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gerete, povero amico, quando, leggendo questa mia lettera, vi dovrete persuadere ch’io non son morta di alcun male, oltre la malattia della mia volontà — ma, a traverso il pianto, l’intelligenza vostra dirà che la catastrofe non le giunge nuova. Ed, infatti, voi che conoscete la mia vita — e conoscete la mia anima ed il mio impasto fisico — non dovrete stupire se, poste in contrasto di una esistenza inconciliabile, le mie facoltà psichiche non hanno saputo resistere, ed hanno trascinato nel disastro le energie della mia materia.

Per quanto voi siate la scienza ed io sia l’ignoranza — anzi il soggetto — pure abbastanza spassionatezza di giudizio mi resta per vedere, oggi, in questo estremo esame della mia vita ch’io sono stata, forse, una morbosamente dotata. L’affettività grande del mio cuore è stata di troppo superiore, a quanto l’equilibrio di un sano organismo richiederebbe. Quella insanità passionale, che mi ha posseduta sempre, e di cui non ho mai potuto — e neppure ho voluto — disfarmi, benché per essa ancor più intricate si