Le Mille ed una Notti/Storia di Soleiman-Schah
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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STORIA
DI SOLEIMAN-SCHAH.
«— Solelman-Schah, re di Persia, aveva un fratello che molto amava, e nel quale riponeva gran fiducia. Questo fratello, sì caro al suo cuore, morì, lasciando una sola figlia, che raccomandò alla tenerezza di Soleiman. Questi, il quale aveva due soli figli maschi, amava Schah-Katon (era il nome di sua nipote) come se gli fosse stata figlia, e prendeva la maggior cura della sua educazione.
«La principessa corrispose alla tenerezza del re suo zio, e superò di molto la di lui aspettativa; dotata delle più felici disposizioni naturali, acquistò bentosto tutte le cognizioni convenienti al suo sesso ed al suo grado. Ai talenti dello spirito, alle qualità del cuore, essa aggiungeva tutta la leggiadria del corpo, «poteva passare per la più bella creatura de’ suoi tempi.
«Soleiman-Schah, vedendo la nipote in età da marito, risolse di farle sposare uno de’ figli. Entrato un giorno da lei, fece ritirare tutte le donne del sito seguito, e le disse abbracciandola:
«— La tenerezza ch’io aveva per mio fratello si è rivolta intieramente su voi: ed è maggiore di quella che dovrei avere per una nipote: io v’amo più che se foste mia figlia, e d’or in avanti voglio chiamarvi con tal nome. Voi conoscete i principi miei figli; essi vennero allevati con voi: io voglio unirvi ad uno di loro; vi lascio padrona assoluta della scelta, dandovi in isposo colui che preferirete, e riconoscendolo per mio erede. —
«La principessa, sorpresa da quelle parole, si alzò, baciò le mani dello zio, e gli rispose:
«— Sire, voi avete su me tutti i diritti d’un padre, e ancor di più; la mia sommissione è senza limiti: fate voi stesso questa scelta, che sarebbe troppo difficile per me; pronunciate, e la mia volontà seguirà la vostra decisione!
«— Io vi son grato,» riprese Soleiman-Schah, «della fiducia che mi dimostrate; ella aumenterebbe ancora la mia tenerezza, se fosse possibile; giacchè volete ch’io stesso disponga della vostra mano, io la darò al più giovane de’ miei figli: l’affetto che osservai fra voi due ripromette la miglior unione; dandogli la vostra mano, e lasciandogli la mia corona, io faccio in una sol volta la sua felicità, la vostra e quella de’ miei popoli. —
«Schah-Khaton abbassò gli occhi, ringraziando lo zio. Soleiman-Schah fece celebrare alcuni giorni dopo il matrimonio della nipote col principe Malik-Sohah, suo secondogenito, lo designò per proprio erede, e gli fece giurar obbedienza dai grandi e dal popolo.
«Balavan, il primogenito di Soleiman-Schah, aspirava alla mano della cugina, e credevasi certo di salire al trono dopo la morte del padre; la preferenza che il fratello minore otteneva, gli inspirò la più violenta gelosia. Il rispetto ed il timore che aveva pel genitore lo astrinsero dapprima a dissimulare, ma il fuoco rinchiuso nel suo cuore acquistò sempre più forza e violenza.»
NOTTE CDLX
— «La giovane regina, dopo nove mesi, partorì un bambino più bello del sole. Questo avvenimento pose il colmo alla disperazione di Balavan e lo indusse a commettere, per vendicarsi, il più orrendo misfatto. Introdottosi di notte nell’appartamento del fratello, trovò la nutrice addormentata, ed il fanciullo che riposava nella sua culla vicino a lei. Si fermò a considerarlo, e tocco della sua bellezza, disse fra sè:
«— Questo fanciullo ha tutta là beltà della madre. E perchè non è mio? Io meritava più di mio fratello la mano di Schah-Khaton e la corona.—
«Questa idea avendone esaltato il furore, alzò il pugnale, e lo immerse nel seno del bambino. Penetrò poscia nell’appartamento del fratello, che dormiva vicino alla sposa, e lo trafisse nel cuore. Stava per immolare anche la giovane regina; ma la speranza di possederla gli trattenne il braccio.
«Per soddisfare al proprio amore ed assicurarsi l’impunità dei delitti commessi, bisognava aggiungervi il parricidio: Balavan, furibondo e fuor di sè, corse all’appartamento del padre; ma la guardia gl’impedì d’entrare. Vedendo allora, che non poteva sfuggire ai sospetti ed al castigo che meritava, uscì dal palazzo, e prese la fuga, andando a rinchiudersi in un lontano castello, nel quale sì fortificò.
«Il dolore e la costernazione si sparsero in breve nel palazzo. La nutrice, svegliandosi, vuol allattare il principe, e vede la culla piena di sangue. Tremante e smarrita, corre all’appartamento del padre, e lo trova estinto. Le sue grida risvegliano la regina, che, precipitandosi sullo sposo e sul figlio, li abbraccia e tenta richiamarli in vita; il consorte, ha reso l’ultimo sospiro, ma il figlio respira ancora. Lo prendo in braccio, lo riscalda al seno, e fa venire i più abili chirurgi. Essi esaminano la ferita, assicurano, elle non è mortale, e vi applicano opportuni rimedi. Il bambino apre tosto gli occhi, domanda il seno della nutrice, e sembra fuor di pericolo.
«Il re Soleiman-Schah, venuto a mescolare le sue lagrime con quelle della giovane regina, fu sorpreso di non vedere il primogenito a partecipare del dolore comune, e concepì sospetti che si cambiarono in certezza appena ne seppe la fuga. Detestando quell’attentato, ma più occupato del suo dolore che della cura di vendicarlo, fece fare a Malik-Schah magnifici funerali, e volle che il bambino, sfuggito al furore di Balavan, portasse il nome del padre. Il giovane Malik-Schah divenne allora l’oggetto di tutte le affezioni dell’avo, il quale occupossi della sua educazione, insieme alla di lui madre, e si consolavano a vicenda vedendolo crescere e rinvigorirsi di giorno in giorno. Quando Malik-Schah, ebbe compita l’età di cinque anni, Soleiman-Schah convocò i grandi del regno, fece montare il principino su d’un cavallo magnifico, gli fece rendere gli onori che solevansi dare a sè stesso, e solennemente proclamare suo successore.
«Frattanto Balavan, non contento di essersi posto al sicuro dal risentimento e dalla vendetta del padre, cercava eziandio di movergli guerra. Si recò dal re d’Egitto, presentossi come un principe sfortunato che la calunnia e l’intrigo aveano costretto ad abbandonare la corte del padre, e gli domandò soccorso per rientrare nel regno e riprendere il grado che gli si competeva. Il re d’Egitto, impietosito da quel racconto di cui non sospettava la falsità, lo pose alla testa di numeroso esercito.
«Soleiman-Schah, udita quella notizia, scrisse al re egizio per isvelargli i misfatti di Balavan, dicendo che avea immolato di propria mano il fratello ed il nipotino allora in culla. La lettura di quel foglio fe’ sottentrare l’orrore alla compassione nel cuore del re d’Egitto; e dato ordine d’imprigionare Balavan, offrì a Soleiman-Schah di mandargli lo scellerato carico di catene oppure la sua testa. Lo sfortunato genitore non volendo togliere la vita al figliuolo, benchè colpevole, e persuaso che tosto o tardi pagherebbe il fio del suo delitto, rispose al re egizio, pregandolo soltanto di allontanare Balavan dalla sua corte.
«Il soldano si confermò ai desiderii di Soleiman-Schah, e risolse di fargli alla sua volta una domanda. Quanto aveva udito dire di Schah-Khaton, gli elogi che avevangli fatti della sua bellezza e del suo spirito, lo fecero invaghito di quella principessa; mandò un ambasciatore a Soleiman-Schah per domandarne la mano.
«Il re di Persia partecipò quella domanda alla nipote, e volle sapere quali ne fossero i sentimenti.
«— Io sono maravigliata,» rispose la donna piangendo, «che mio zio mi faccia una simile domanda: io non devo pensare a nuove nozze, dopo aver perduto lo sposo che mi avevate dato; e come potrei allontanarmi da mio zio, ed abbandonare un figlio che forma tutta la mia consolazione?
«— Voi avete ragione,» riprese Soleiman-Schah; «ma debbo parteciparvi i miei timori; io sono vecchio e vicino al termine della mia vita, e temo che voi e vostro figlio non possiate resistere alle intraprese di Balavan; perciò ho fatto sapere al sultano ed agli altri re miei vicini che l’infame aveva immolato in culla suo nipote, e nascosi loro che il bambino vivesse ancora. La vostra parentela col re d’Egitto sarebbe un possente appoggio per voi e per questo figlio che deve succedermi. —
«La madre del giovane Malik-Schah, tocca dall’interesse di suo figlio, acconsentì a vincere la propria ripugnanza, e parve disposta a seguire i consigli dello zio. Questi scrisse al sultano che Schah-Khaton si trovava onorata dalla sua scelta, e che si poneva in viaggio per recarsi da lui.
«Il monarca egiziano si recò incontro alla principessa, e trovò che là di lei beltà ed il suo spirito superavano d’assai quanto gliene avevano detto. Concepì per lei il più ardente amore, le diede il primo grado fra le donne che aveva sposate, e colmatola d’onori e di doni, volle eziandio attestare la sua riconoscenza al re di Persia, stringendo con lui alleanza.
«Soleiman-Schab, sempre occupato di assicurare vie più la corona al nipotino, lo fece riconoscere di nuovo per proprio successore, quando ebbe raggiunta l’età di dieci anni, e prestare ancora il giuramento di fedeltà dai sudditi. Il vecchio morì poco dopo questa cerimonia, e Malik-Schah salì al trono.
«Quando Balavan ebbe saputa la morte del padre, risolse di far valere i diritti che gli dava la sua nascita; radunò segretamente molti soldati, strinse intelligenze colle principali città della Persia, ed alla corte stessa del giovane re, e promise magnifiche ricompense a chi si dichiarassero in proprio favore. Quando tutto fu preparato per l’esecuzione del suo disegno, fece avanzare le truppe da diverse parti, e si avvicinò in persona alla capitale. I congiurati s’impadronirono del giovane Malik-Schah, e Balavan fu riconosciuto re.
«Togliendo la corona a Malik-Schah, i principali congiurati non vollero privarlo di vita: i giuramenti fatti all’avo ed a lui stesso, erano sì recenti, ch’ebbero orrore di bagnare le mani nel di lui sangue. Essi esigettero da Balavan che non attenterebbe ai giorni del nipote, ma che sarebbesi accontentato di tenerlo in carcere.
«Schah-Khaton fu in breve informata di quell’avvenimento. Dopo la di lei separazione dal figlio, era in preda alla noia ed all’inquietudine, e non pensava che all’oggetto della sua tenerezza; la di lei situazione era ancora più penosa, giacchè non osava confidare ad alcuno il proprio dolore. Soleiman-Schah aveva detto al sultano che il suo nipote era morto: ella non poteva rivelare il mistero della sua esistenza, senza dar luogo al sultano di accusare il defunto zio di avergli nascosta la verità. La nuova della rivoluzione di Persia fu per l’infelice madre un colpo di fulmine, e l’afflisse tanto, che potè nascondere a stento, l’eccesso del proprio dolore.
«Erano già quattro anni che il giovane Malik-Schah, rinchiuso in un oscuro carcere, soffriva tutti gli orrori della più dura prigionia. I grandi ed il popolo parlavano sovente della sua disgrazia e ne compiangevano il destino; Balavan stesso, allorchè videsi pacifico possessore dell’impero, sentiva per quel fanciullo, sfuggito al suo furore, sentimenti più umani: ne parlava qualche volta, e permetteva che se ne parlasse, dinanzi a lui.
«Un giorno che Balavan sembrava dolersi, in presenza del consiglio, che la quiete e la sicurezza dello stato non gli permettessero di rendere la libertà al nipote, uno de’ suoi visiri, presa la parola, gli fece conoscere dapprima che l’elevazione di Malik-Schah, e tutto ciò che l’aveva preceduta, essendo stata opra dell’avo, e l’effetto d’una cieca predilezione, non poteva incolparne lui stesso; che era troppo giovane, e la potenza del re troppo salda per temerne qualche danno; che lo stato di languore e la debolezza in cui avevalo ridotto la prigione, non permetteva di credere che dovesse vivere a lungo. Il visir aggiunse che, per conciliare la clemenza colla sicurezza, il re poteva mandare il nipote sui confini dell’impero.
«Balavan approvò il consiglio, e risolse di dare al nipote il comando d’una piazza forte sulla frontiera, esposta di frequente agli assalti degl’infedeli. Ciò facendo mostravasi generoso, lusingava i grandi ed il popolo, faceva cessare una compassione le cui conseguenze lo inquietavano, ed inoltre sperava disfarsi del giovane.
«Balavan fece adunque uscire Malik-Schah dalla prigione, gli protestò, che aveva tutto dimenticato, lo vestì d’un abito d’onore, e nominollo comandante della frontiera.
«Malik-Schah partì accompagnato da una debole scorta. Appena giunto al luogo di sua destinazione, tu assalito dai nemici, abbandonato dai suoi e fatto prigione. La sua gioventù e bellezza non commossero gl’infedeli, che lo rinchiusero in un sotterraneo, nel quale erano già ammucchiati, l’un sull’altro, molti musulmani.
«L’uso degl’infedeli era di far uscire di carcere tutti i prigionieri al principio dell’anno, e precipitarli dall’alto di una torre. Giunto il fatal giorno, Malik-Schah fu precipitato cogli altri; ma la Provvidenza, che vegliava sui suoi giorni, lo fece cadere sui cadaveri dei compagni di sventura: fu soltanto tramortito della caduta, e rimase lungo tempo privo di sensi.
«Gl’infedeli non facevano portar via le salme degl’infelici che si precipitavano; ma lasciavanli invece pascolo degli uccelli e degli altri animali carnivori. Il giovane principe, rimasto svenuto tutto il giorno, tornò in sè durante la notte.
«Rese tosto grazie a Dio, riponendo in lui tutta la fiducia, ed allontanatosi dai cadaveri ond’era circondato, viaggiò sino allo spuntar del giorno. Affamato e stanco, si nutrì di foglie e frutti selvatici, e si nascose in un bosco. Si rimise in cammino la notte seguente, e continuò a viaggiare così tutte le notti, ritirandosi durante il giorno nei boschi, finchè giunse sulle terre del re, suo zio. Entrò allora nel casolare di alcuni paesani, ai quali raccontò, senza farsi conoscere, il modo meraviglioso col quale era sfuggito ad una morte certa.
«Quella buona gente ammirò la Provvidenza, fu tocca da compassione pel giovane principe, gli diede da mangiare e da bere, e lo tenne presso di sè per molti giorni.
«Quando Malik-Schah fu un po’ ristabilito dalle fatiche sostenute, si fece indicare dai paesani la strada che conduceva alla capitale della Persia. Essi gliela mostrarono, e diedergli altresì provvisioni per continuare il viaggio, senza pensare che chi avevano accolto con tanta umanità fosse il nipote del re Balavan.
«Il giovane giunse alla capitale della Persia, stanco ed affamato, magro e pallido, coi piedi nudi ed insanguinati. Prima di entrare nella città, sedè vicino alla porta, sulla riva di una vasca che riceveva le acque d’una fontana. Appena fu riposato, vide venire alla sua volta molti cavalieri; erano ufficiali del re che tornavano dalla caccia, e volevano abbeverare i cavalli. Quand’ebbero veduto il giovane viaggiatore, il suo lacero abbigliamento ed il cattivo arnese divennero l’oggetto de’ loro discorsi e motteggi.
«Malik-Schah, senza sconcertarsi, si avvicinò a quegli ufficiali, e disse loro: — Permettetemi, signori, di farvi una domanda: come sta il re Balavan?
«— Sei tu pazzo?» rispose uno degli ufficiali; «straniero e di più mendicante, a quel che sembra, perchè chiedi tu notizie della salute del re?
«— È mio zio,» riprese Malik-Schah.
«— Se tu non sei pazzo,» continuò l’ufficiate, «certamente, ragazzo mio, sei un impostore: noi sappiamo che il re Balavan non ha nipoti. Ne ebbe uno, ma fu ucciso combattendo contro gl’infedeli,
«— Io sono suo nipote in persona,» replicò Malik-Schah, «gl’infedeli non mi hanno tolto la vita. —
«Il giovane narrò allora tutte le sue avventure. Gli ufficiali lo riconobbero, gli baciarono le mani, ed il più distinto gli disse:
«— Voi siete, il pronipote del nostro ultimo re: voi stesso foste nostro sovrano: noi dobbiamo interessarci per la vostra conservazione, innalzar voti per la vostra felicità, e dimostrarvi quanto c’ispira l’attaccamento ed il rispetto. Allorchè Balavan, per condiscendenza alle preghiere d’alcuni uomini di coraggio e virtuosi, vi fece uscire dalla prigione in cui eravate rinchiuso da quattro anni, e vi affidò il comando delle frontiere, sapeva che dovevate cadere nelle mani degl’infedeli, e cercava ogni mezzo per farvi perire. Dio vi ha liberato da quel pericolo in modo miracoloso; ma come potete voi tornare da Balavan, e riporvi di nuovo in suo potere? fuggite piuttosto da’ suoi stati, e ritiratevi in Egitto da vostra madre. —
«Malik-Schah ringraziò gli ufficiali dell’amore che gli dimostravano, e rispose: — Quando il mio avo, Soleiman-Schah, scrisse al re d’Egitto per accordargli la mano di mia madre, non gli disse che io viveva ancora; essa pure avrà conservato il segreto ch’erale stato raccomandato intorno alla mia esistenza, ed io non posso farmi conoscere in Egitto senza compromettere la buona fede e la sincerità di mia madre.
«— Avete ragione, o principe,» replicò l’ufficiale; «ma quand’anche foste costretto di restare sconosciuto in Egitto, ed attaccarvi al servizio di qualcuno, la vostra vita sarà se non altro sicura. —
«Malik-Schah avendo attestato agli ufficiali che ne avrebbe seguito il consiglio, essi gli diedero tutto il denaro che avevano e le loro provvigioni, lo accompagnarono per un tratto di strada, o presero congedo facendo voti per la sua salvezza.
«Dopo un viaggio lungo e penoso, Malik-Schah giunse in Egitto. Si fermò nel primo villaggio che incontrò, e si pose al servizio d’uno di quegli abitanti, aiutando il padrone nel coltivare la terra e nelle altre occupazioni della campagna.
«Frattanto Schah-Khaton, non avendo ricevuta alcuna notizia dalla Persia dopo l’imprigionamento del figlio, era in preda alla più crudele inquietudine, e non poteva gustare alcun riposo; i piaceri della corte d’Egitto, le feste colle quali il suo sposo cercava distrarla, non avevano per lei alcuna attrattiva; era sempre trista e pensierosa, e non osava confidare al re il motivo del proprio dolore. Essa aveva presso di sè uno schiavo condotto di Persia, e nel quale riponeva molta fiducia; era uomo intelligente, prudente e destro. Un giorno, che si trovava sola con lui, gli disse:
«— Tu sei al mio servizio fin dall’infanzia: conosci l’amore che nutro per mio figlio; sai che sono costretta a tacere su tutto quanto gli concerne, e non cerchi di procurarmi sue notizie?
«— Madama,» le rispose lo schiavo, «l’esistenza di vostro figlio fu sempre in questi luoghi un mistero, e se anche si trovasse qui, voi non potreste riconoscerlo, senza esporvi a perdere la grazia del re, il quale non vi crederebbe, essendo egli persuaso che voi non avete alcun figlio.
«— Hai ragione,» riprese la regina; «ma quand’anche fosse ridotto a custodire gli armenti, e non lo potessi vedere, avrei nondimeno la consolazione di saperlo vivo. Prendi adunque nel mio tesoro tutto il denaro di cui avrai bisogno; parti, e conduci teco mio figlio, o recami sue notizie.
«— Signora,» ripigliò lo schiavo, «io sono pronto ad eseguire i vostri ordini; ma non posso allontanarmi senza il permesso del re. Esso vorrà sapere il motivo del mio viaggio; bisogna immaginarne uno che possiate comunicargli. Ditegli che, dopo la morte del vostro sposo, avete nascosti alcuni forzieri pieni d’oro, d’argento e di gemme, e che mi mandate in cerca di questi preziosi tesori. —
«La regina approvò il suggerimento, partecipò al re il preteso disegno, «non durò fatica ad ottenere l’assenso che desiderava.
«Il fedel schiavo partì subito, travestito da mercante. Giunto nella capitale della Persia, seppe che Malik-Schah, dopo essere rimasto quattro anni in prigione, n’era stato levato e mandato alle frontiere; che, caduto nelle mani degli infedeli, lo avevano messo a morte. Commossa da questa notizia, che non osava portare a Schah-Khaton, lo schiavo non sapeva a qual partito appigliarsi.»
NOTTE CDLXI
— «Mentre stava sempre in preda a quest’incertezza, incontrò uno degli ufficiali al quale il giovane principe erasi fatto conoscere quando stava seduto vicino alla porta della città. Quest’ufficiale riconobbe lo schiavo, avendolo sovente veduto da Schah-Khaton, si pose a conversare con lui, gli parlò della regina, e gli domandò che cosa venisse a fare in Persia. Lo schiavo rispose esser venuto a vendere mercanzie, e che tornava in Egitto. — In questo caso, «riprese l’officiale, «voi potrete annunziare a Schah-Khaton ciò che ora vi racconterò intorno a suo figlio. —
«L’ufficiale narrò allora allo schiavo il mode col quale egli e vari suoi compagni avevano incontrato il principe, e com’era sfuggito dalle mani degl’infedeli. — Sia lodato Iddio!» disse fra sè il falso mercante; «colui che io non interrogava, mi dice di più di quello che desiderava sapere.» Pregò poscia l’ufficiale di non dir ad alcuno ciò che aveva scoperto. — Io ve lo prometto,» gli disse l’ufficiale, che aveva notata la gioia dimostrata dallo schiavo, «e non tradirò il vostro segreto, quand’anche sapessi che siete venuto qui appositamente per aver notizie di Malik-Schah.—
«Lo schiavo, assicurato dalla buona fede e dalla generosità dell’ufficiale, gli dipinse l’inquietudine di Schah-Khaton, e gli svelò il mistero del proprio viaggio. L’ufficiale, dal canto suo, gli confidò che il principe si era incamminato verso l’Egitto, e che avevalo accompagnato fino al tal luogo. Gli descrisse la sua situazione, e gli diede tutti i dettagli necessari che potevano servirgli a trovarlo e riconoscerlo.
«Lo schiavo lo ringraziò di nuovo, e partì subito per recarsi al luogo che gli avevano indicato. Continuò poscia il viaggio, domandando dappertutto notizie del giovane che dipingeva, ed assicurandosi, con informazioni che aveva cura di prendere destramente, di tutti i luoghi per dov’era passato. Giunto nel paese ove dimorava il principe, non trovò alcuno che potesse rispondere alle sue domande. Inquieto di questa circostanza, rimontò a cavallo per continuare il cammino.
«All’uscire dal villaggio, vide un asino legato ad una corda, tenuta da un fanciullo sdraiato in terra, e che dormiva profondamente. Lo guardò passando, senz’altro sentimento che quelle d’una pietà naturale, e disse fra sè:
«— Se colui che io cerco fosse ridotto alla condizione di questo infelice che dorme vicino alla strada come potrei io trovarlo? L’età, le fatiche, la miseria, hanno certamente cambiata la sua fisonomia, e non potrei riconoscerlo anco se mi fosse dinanzi. Me lasso! finora mi sono sempre ingannato: tutte le mie fatiche, i miei viaggi saranno riusciti inutili. —
«Occupato da tali riflessioni, lo schiavo si abbandonava alla disperazione, e percuotendosi il viso: — Forse,» soggiunse poscia, «questo infelice non è, come potrebbesi credere a prima vista, il figlio di un contadino. Bisogna che sappia chi sia.» Ciò dicendo, ritorna sui suoi passi, e sceso da cavallo, siede vicino al fanciullo. Lo esamina o lo considera attentamente da capo a piedi; poscia fa un po’ di rumore e tossisce onde svegliarlo.
«— Giovine,» gli disse, quando si fu rialzato ed ebbe aperti gli occhi, «tu abiti, a quanto pare, in questo villaggio, e tuo padre è uno degli abitanti del luogo?
«— Io sono straniero,» rispose il giovanetto; «nacqui in Persia, e non dimoro qui che da poco tempo.—
«Lo schiavo, interessato da quella risposta, fece in seguito molte altre domande al giovanetto, e riconobbe tosto colui che desiderava incontrare. Gli gettò le braccia al collo, dimostrò piangendo il dolore che provava vedendolo in quella situazione, e gli disse che lo cercava per ordine della genitrice e ad insaputa del re suo sposo; lo fece inoltre avvertito che sua madre doveva accontentarsi di sapere ch’era vivo, e che non lo poteva per allora vedere nè riconoscere per figliuolo.
«Malik-Schah, ben istruito delle ragioni che facevano operare la madre in tal maniera, si lusingò che, vicino ad essa, godrebbe almeno di una sorte più felice. Ringraziato lo schiavo del suo zelo, gli attestò l’impazienza che aveva di partire. Lo schiavo tornò al villaggio, vi comperò alcuni abiti per il principe, e presero insieme il cammino della capitale dell’Egitto.
«La sorte che perseguitava il giovane principe non gli spirava del tutto ancor favorevole, ed una nuova disgrazia venne in breve ad esperimentare la sua costanza. Mentre erano vicini al termine del loro viaggio, furono assaliti da una banda d’assassini, che, spogliatili, li gettarono legati in una cisterna, ove avevano già rinchiusi altri infelici, colà periti di fame. Lo schiavo, vedendosi così legato, circondato di cadaveri, e certo della loro morte, si abbandonava al dolore e versava torrenti di lagrime. Il giovane, invece, l’esortava alla pazienza, dimostrandogli l’inutilità de gemiti e del pianto.
«— Principe,» gli disse lo schiavo, «non è l’immagine della morte che mi angustia; è il vostro destino e quello di vostra madre ch’io deploro; dopo i mali che soffriste, perchè dovete perire d’una morte tanto orribile ed inaspettata! — Tutto ciò che mi è avvenuto,» rispose il principe, «stava scritto in un libro dal quale nulla può cancellarsi; il resto del mio destino è parimenti fissato, e se il termine de’ miei giorni è giunto, nessuna potenza potrebbe ritardarlo.—
«Due giorni e due notti erano trascorsi dacchè si trovavano in quell’orribile situazione; la fame ne aveva quasi interamente distrutte le forze, e restava loro appena un soffio di vita, quando la Provvidenza, che vegliava sui giorni del giovane principe, volle che il re d’Egitto, cacciando, venisse, fino in que’ luoghi, inseguendo una gazzella, che fu presa vicino alla cisterna. Uno de’ suoi, disceso da cavallo per iscannar l’animale, udì uscir gemiti dalla cisterna. Informatone il re, questi si avanzò col seguito, ed ordinò che qualcuno vi scendesse. Il giovane principe e lo schiavo erano vicini a morire; li trassero di là, e slegatili, fecero trangugiar loro liquori fortificanti, che ne rianimarono le forze, richiamandoli alla vita. Il re riconobbe, con istupore, lo schiavo al servizio della sposa, e chiese chi lo avesse ridotto in quella situazione.
«— Io ritornava,» disse lo schiavo, «seguito da molti muli carichi del tesoro che la regina avevami mandato a cercare in Persia; alcuni briganti ci hanno assaliti, spogliati, e gettati colle mani e coi piedi legati in questa cisterna, ove saremmo periti come quelli che vi furono messi prima di noi, se il cielo non vi avesse mandato a salvarci la vita.
«— Chi è questo giovane?» domandò poscia il re. — È,» rispose lo schiavo, «il figlio della nutrice della regina. Sua madre, poco fortunata, mi pregò di condurlo meco per servirvi; io aveva bisogno di qualcheduno che mi accompagnasse, e lo presi con me. È giovane attivo, intelligente, ed i suoi servigi non potranno dispiacervi.—
«Il re d’Egitto si diresse alla volta della capitale accompagnato dal giovane e dallo schiavo, e chiese loro, cammin facendo, notizie del re Balavan, ed in qual modo governasse i sudditi. — Balavan,» rispose il giovanetto, «maltratta i grandi ed il popolo, e nessuno fa voti per la durata del suo dominio.—
«Giunto nel suo palazzo, il re andò tosto ad annunciare alla regina il ritorno dello schiavo, e le raccontò l’accaduto. Quando fu alla circostanza della cisterna, la regina mutò di colore, e fu in procinto di prorompere in un grido.
«— Che cosa avete?» le disse il re, accusandosi dell’impressione che quel racconto, faceva su lei. «La perdita dei vostri tesori può affliggervi a queste punto? — Principe,» rispose la regina, «io vi giuro, per la gloria del vostro impero, che sono commossa soltanto dei mali che questo fedel servo ha sofferto per me. Forse tal sensibilità vi sembrerà eccessiva; ma codesto schiavo è al mio servigio fin dall’infanzia, e bisogna perdonare al mio sesso un po’ di fralezza.» li re attestò alla sposa il proprio dolore di averle fatto un racconto troppo esatto, e si ritirò.
«Schah-Khaton, vedendosi sola, fece chiamare io schiavo; questi le raccontò quant’era accaduto al principe dopo esser uscito di carcere, gli artifizi dello zio, la sua prigionia, il modo miracoloso col quale Iddio lo aveva sottratto alla morte, ciò che lo aveva indotto ad abbandonare la Persia; infine, lo stato nel quale lo aveva trovato, e la fortuna avuta di riconoscerlo addormentato vicino alla strada. — Che cosa disse il re,» gli domandò, con premura Schah-Khaton, «quando vide con te il giovane? Non ti ha domandato chi era? Che cosa gli hai risposto? — Signora,» riprese lo schiavo, «io cercai di secondarvi, senza dare alcun sospetto, su quanto volevate nascondere: ho detto ch’era il figlio della vostra nutrice, che desiderava attaccarsi al servizio del re.» Schah-Khaton approvò lo strattagemma, lodò lo zelo e la fedeltà dello schiavo, e gli raccomandò di vegliare sul figlio.
«Il re d’Egitto, dal canto suo, ricompensò il fedel servo della regina, prese al servizio il giovane, e gli affidò la cura dell’interno del palazzo. Lo distinse tosto da tutti quelli che lo avvicinavano, ed ogni giorno più gli dimostrava la sua benevolenza.
«Schah-Khaton vedeva sovente il figlio, ma senza osar di parlargli, e non poteva trovar bastanti occasioni di mirarlo e ne spiava tutti i passi, e stava a tal uopo spesse volte alle finestre dei palazzo.
«Viveva da qualche tempo in quella penosa situazione, allorchè un giorno che lo aspettava per vederlo passare dinanzi alla porta del suo appartamento, non potendo resistere alla piena della natura ed alla tenerezza materna, se gli gettò al collo, lo baciò e lo strinse al seno.
«Uno degli ufficiali di camera del re, che usciva in quel momento, fu testimonio dell’azione della regina, e ne rimase sorpreso. Entrò dal padrone tremando, e dimostrando la sua maraviglia dall’aspetto e dai gesti. — Che cosa è accaduto?» chiese il re; «che vieni tu ad annunciarmi? — Principe,» rispose l’ufficiale, «qual cosa posso io annunciarvi di più grave e sorprendente di quello che ho veduto coi miei propri occhi? Quel giovane, venuto or son pochi giorni dalla Persia, è l’oggetto degli amori della regina; io la sorpresi che lo abbracciava alla porta dell’appartamento. —
«Sarebbe difficile il dipingere l’impressione che queste poche parole fecero sul re d’Egitto; rimase dapprima immobile per un po’ di tempo, poscia divenne furioso, lacerò le vesti, strappossi la barba e si percosse il viso. Ad un tratto ordinò che si arrestasse il giovane e lo schiavo che lo aveva condotto, e fossero rinchiusi in un’oscura prigione: uscì dall’appartamento, si recò dalla regina, e le disse, accostandosele:
«— La vostra condotta, signora, è veramente degna della nascita vostra; e sostenete assai bene la riputazione di saggezza e virtù che vi ha fatto ricercare dai re dei più lontani paesi: il vostro carattere, le vostra naturali inclinazioni si manifestano colle più belle azioni.» Il soldano, cessando poscia dall’ironia, colmò la regina dei più sanguinosi rimproveri, la minacciò che si sarebbe vendicato ad usura della di lei perfidia e del tradimento che lo disonorava, e l’abbandonò bruscamente, dimostrandole il più profondo disprezzo.
«Shah-Khaton era tanto più afflitto della collera del re, perchè credeva di non potersi giustificare: essa non aveva mai osato disingannarlo sulla morte del giovane Malik-Schah; e ciò che avrebbe allora potuto dirgli sarebbesi creduto una menzogna. In questo estremità ricorse a Dio, e gli rivolse codesto preghiera: — O «tu che l’apparenza non può ingannare, tu che conosci il segreto dei cuori, da te aspetto qualche soccorso; è in te solo ch’io ripongo tutto la mia fiducia.»NOTTE CDLXII
— «Molti giorni passarono senza che il re si appigliasse ad alcun partito; era tristo e pensoso, e non poteva prendere alcun cibo. Il supplizio dello schiavo e del giovane non parevagli bastante a soddisfare interamente la sua vendetta; la regina era a’ suoi occhi ancor più rea, ma non poteva risolversi a toglierle la vita: il suo amore per lei sembrava aumentare, dopo ch’erasi privato del piacere di vederla; sentiva che facendola morire, esponevasi al più grave dolore, e forse non le sarebbe sopravvissuto.
«La nutrice del soldano, che dimorava nel serraglio, fu allarmata dal cambiamento che scorse nella di lui fisonomia. Era una donna prudente e sperimentata, che conosceva molti rimedi e segreti, e nella quale il re riponeva di solito molta fiducia: temendo, questa volta, d’inasprire il suo dolore, o che non volesse fargliene conoscere la cagione, risolse di rivolgersi a Schah-Khaton, che vedeva nella medesima situazione. — Che cosa ha dunque il soldano?» le disse un giorno; e sembra assai tristo, e non mangia quasi più. — Lo ignoro,» rispose Schah-Khaton.
«La vecchia non si disanimò per quella risposta, e fece tanto colle sue preghiere e colle carezze, che la regina, dopo averle fatto giurare il segreto, le raccontò la propria storia e quella del figlio. — Sia lodato Iddio,» sclamò la nutrice prosternandosi; «non sarà difficile il calmare la gelosia del soldano e disingannarlo!,
«— Madre,» le disse Schah-Khaton, «io vi avverto, e vi giuro, per quanto v’ha di più sacro, che preferisco morir prima con mio figlio, piuttosto che espormi, dandogli tal nome, a vedermi tacciata d’impostura, ed udirmi dire ch’io lo chiamo così per coprire il mio disonore. Io credo adunque che la pazienza e la rassegnazione siano i soli rimedi alla mia sventura.
«— Figlia, permettetemi di chiamarvi con questo nome,» soggiunse la nutrice, commossa dalla costanza e delicatezza della regina, «io spero che Iddio farà conoscere la verità senza esporvi al pericolo che temete. Corro dal sultano, e se è necessario, mi servirò d’un innocente artifizio per disingannarlo. —
«Schah-Khaion ringraziò la nutrice, che si recò tosto dal soldano. Lo trovò immerso nei più tetri pensieri e nel più profondo abbattimento. — Figlio,» gli disse, dopo esserglisi seduta vicino ed aver alquanto serbato il silenzio, «lo stato in cui vi trovo m’inquieta e mi tormenta: sono già molti giorni che voi non uscite di casa, e non montate a cavallo. So sapessi ciò che avete, potrei forse rimediarvi.
«— Tutto il mio male,» rispose il sultano sospirando,» proviene da una perfida che ha ingannata la mia fiducia e perduta la stima che riponeva in lei. Schah-Khaton ama quel giovane Persiano giunto qui da poco tempo: uno de’ miei ufficiali li ha veduti abbracciarsi; ma io saprò vendicarmi dei colpevoli, ed in breve la loro morte servirà d’esempio a chi fosse abbastanza temerario per imitarli.
«— Figlio,» riprese la nutrice, «una donna infedele non merita che vi affliggiate a questo punto; voi dovete senza dubbio punirla; ma il castigo sarebbe inutile, e forse dannoso, se troppo vi sollecitaste; la precipitazione genera soventi volte il pentimento. I colpevoli sono nelle vostre mani; non possono fuggire; datevi la pena di esaminare attentamente quest’affare, e conoscerne a fondo la verità.
«— Avvi bisogno di esame in questa circostanza?» rispose il principe; «l’amore di Schah-Khaton per quel giovane non è forse palese, e non è dessa che lo ha fatto venir qui?
«— È vero,» replicò la nutrice; «ma voi non potete conoscere ancora che una parte della verità. Io conosco un mezzo sicuro di penetrare nel cuore di Schah-Khaton, e farle confessare tutto l’intrigo: acconsentite soltanto ad impiegare questo mezzo.
«— V’acconsento volentieri,» rispose il sultano;» che bisogna fare per ciò?
«— Voi conoscete,» continuò la nutrice, «l’uccello chiamato upupa, di cui si parla nel capitolo del santo Corano, che ha per titolo la Formica; questo uccello, che riferiva al più saggio dei re ciò che avveniva alla corte della regina Saba, e gli serviva di messaggero, indicavagli eziandio le sorgenti d’acqua nascoste nelle viscere della terra; esso può parimenti servire a rivelar i più segreti pensieri degli uomini. A tal uopo, basta porre il cuore d’uno di questi uccelli sul petto d’una persona addormentata; essa risponde allora, nella sincerità della sua anima, a tutte le domande che le si fanno, e svela i più reconditi pensieri. — «Il soldano, lieto di poter scoprire così facilmente ciò che desiderava conoscere, disse alla nutrice di procurarsi subito uno di quegli uccelli e portargliene il cuore.
«La nutrice si recò dapprima dalla regina; le narrò il colloquio avuto col sultano, la prevenne che verrebbe da lei, quando la credesse addormentata, e le raccomandò di rispondere con ardire e franchezza alle sue domande, fingendo sempre di dormire. Si fece poscia recare un’upupa, ne estrasse il cuore e lo consegnò al re.
«Scesa la notte, Schah-Khaton disse che voleva coricarsi più presto del solito, e finse di dormire. Il sultano, tosto informatone, entrò nel di lei appartamento, impaziente di fare la prova del segreto, si avvicinò pian piano al letto della consorte, le pose sul seno il cuore dell’upupa, e le disse:
«Sehah-Khaton, è così che voi ricompensate il mio amore? - Come!» rispos’ella; «qual colpa ho commessa?
«— Non avete voi,» continuò il sultano, «fatto venire quel giovane per soddisfare la passione che concepiste per lui? — È vero,» rispos’ella, «che in mezzo a quelli che mi circondano, io non conosco persona più amabile, più saggia o fedele; ma come potete voi credere ch’io ami uno schiavo?
«— Perchè adunque,» continuò il re, «l’avete abbracciato? — Perchè è mio figlio,» rispose la regina, «una parte del mio sangue, e fu la tenerezza materna che mi spinse ad abbracciarlo. —
«Quella risposta cagionò al re il maggior istupore.
«— Come può essere mai vostro figlio,» continuò egli, «se questi fu assassinato da suo zio Balavan, come mi scrisse il re Soieiman-Schah, suo nonno? — È vero,» rispose Schah-Khaton, «che fu assassinato, ma il colpo non era mortale, e rinvenne all’esistenza, non essendo ancor giunto il termine de’ suoi giorni. —
«Il sultano, soddisfatto di quella risposta, risolse di servirsi del mezzo ch’essa gli dava per assicurarsi sempre più della verità; uscì dall’appartamento della regina, fece venire dinanzi a sè il giovane, e cercò sul di lui petto le vestigia della barbarie di suo zio. La cicatrice era sì evidente, che tutti i suoi dubbi si dileguarono: abbracciò il figlio di Schah-Khaton, lo riconobbe come proprio, e ringraziò il cielo di averlo preservato dal grave delitto che stava per commettere.
«Voi vedete, o re,» continuò il giovane intendente, volgendosi al sultano Azadbakht, «vedete che Iddio solo ha preservato il giovane Malik-Schah dai pericoli ai quali sembrava dovesse infallibilmente soccombere. Il vostro schiavo calcola sulla medesima protezione, ancor più che sulla bontà che vi fece differire la mia morte, e su tutto quanto io possa dirvi in mia difesa; sì, spero che Dio farà risplendere la mia innocenza e confonderà la malvagità dei vostri visiri. —
«Azadbakht, sorpreso da quanto aveva udito, credette dover differire la morte del giovane, e diede ordine di ricondurlo in prigione; ma nello stesso tempo si rivolse ai visiri, e disse loro:
«— Questo giovane cerca sottrarsi ad una morte sicura accusandovi; ma non mi lascerò ingannare da codesto artifizio; conosco l’attaccamento che avete per me, il vostro zelo pel bene dello stato, e la rettitudine delle vostre intenzioni; non temete dunque nulla per voi; proferisco da questo momento la sua sentenza. Fate erigere una croce fuor della città, ed un banditore percorra le contrade ad annunciare ad alta voce il supplizio di chi ha tradita la mia fiducia, abusando della mia bontà. —
«I visiri furono assai contenti udendo le parole del re. Appena ebbe finito, si congedarono da lui, fecero erigere la croce e pubblicare la sentenza. Passarono poscia la notte in gozzoviglia, felicitandosi a vicenda del successo della loro ultima astuzia.
«All’indomani, undecimo giorno di prigionia del giovine ministro, i dieci visiri si presentarono di buon mattino al re Azadbakht, e gli annunciarono che il popolo erasi radunato in folla fuor della città, attendendo con impazienza l’esecuzione della sentenza pronunciata e fatta, pubblicare il dì innanzi. Il re ordinò che si facesse venire il giovane. Quando fu comparso, uno dei visiri non potè trattenersi dal dirgli:
«— Scellerato, è tempo di rinunciare alla vita, «non devi omai sperar salvezza!
«— Chi può,» rispose il giovane, «desistere dallo sperare nell’Onnipossente? Egli è pronto sempre a soccorrere l’oppresso: talvolta aspetta, per liberarlo, che il pericolo sia al colmo, e gli fa trovare la vita in mezzo alla morte. —
«Il re Azadbakht interruppe qui il giovane paggio. — Sono stanco,» gli disse, «di udire le tue parole ingannatrici; l’ora del tuo supplizio è suonata.» I carnefici afferrano la loro vittima e la conducono fuori della città, accompagnati da numerosa scorta di soldati; il re stesso, seguito da tutta la corte, si reca al luogo del supplizio.
«Il capo dei ladri, che aveva educato il giovane come proprio figlio, si trovava per caso nella folla radunata ad assistere all’esecuzione, e chiese chi fosse il condannato. Gli si raccontò la sua storia, ed in qual maniera fosse stato fatto prigione, assalendo una carovana, e condotto alla corte del re. Il capo dei ladri s’immaginò subito che quel giovane poteva esser quello rimasto prigioniero in un’occasione affatto consimile. I suoi sospetti cambiaronsi in certezza quando lo vide comparire. Si slancia allora tra la folla, scosta le guardie, e si precipita al collo del giovane, gridando: — È mio figlio; è questo il fanciullo che trovai alle falde della tal montagna, sulla riva del tal fonte! —
«Azadbakht, colpito da quell’impreveduto avvenimento; e specialmente dai detti dell’incognito, ordinò che glielo conducessero davanti, e volle gli raccontasse quanto sapeva della storia di quel giovane.
«— Principe,» disse lo sconosciuto, «io so che facendomi a voi conoscere, m’espongo a certa morte; ma il mio affetto per questo giovane è superiore ad ogni altra considerazione, e spero che la singolarità della sua avventura ed il mio amore per lui toccheranno il cuore di vostra maestà, ed ecciteranno verso di noi la sua clemenza.
«Fui altre volte capo d’una masnada di ladri. Noi trovammo un giorno, alle falde d’un monte e sulla riva d’una fontana, un bambino appena nato, avvolto in una stoffa di seta; vicino a lui eravi una borsa contenente mille pezze d’oro. Mosso a pietà di questo fanciullo abbandonato, lo presi, lo portai a casa mia, e l’allevai con tanta cura come se fosse mio figlio.
«Allorchè crebbe in età, lo conduceva meco nelle nostre scorrerie e spedizioni. Attaccammo un dì una carovana composta di gente valorosa e ben armata; molti dei nostri furono uccisi, gli altri costretti alla fuga; il giovane ch’io riguardava come mio figlio, vergognossi di fuggire e fu fatto prigione. Da quel tempo lo cercai inutilmente da per tutto. —
«Di più non abbisognava per convincere il re Azadbakht che il giovane cui stava per uccidere era il frutto della sua unione colla regina Behergiur. Si precipita tosto dal trono, vola verso il figlio, e lo stringe fra le braccia.
«— Caro figlio!» sclamò; «oggetto di tutta la mia tenerezza! stava per immolarti io stesso, e fra poco sarei morto di dolore e rammarico. —
«Stacca quindi i legami del principe, l’abbraccia di nuovo, e gli mette la corona sul capo. Il popolo subito prorompe in trasporti di frenetica gioia, e l’aria rimbomba di sì gran numero di grida, che spaventano e fanno cader qua e là i suoi leggeri abitatori. I tamburi e le trombe uniscono il lor clangore a quelle dimostrazioni di esultanza; il re e suo figlio sono ricondotti in trionfo in città, e rientrano nel palazzo fra il tripudio e le acclamazioni di tutto il popolo.
«La regina Behergiur, informata del felice avvenimento che le rende il figlio cui non cessava di rammaricare, gli corre incontro, si precipita al suo collo e l’abbraccia piangendo. Azadbakht, per celebrare tanta letizia, comandò di mettere in libertà tutti i prigionieri, e che le pubbliche feste durassero sette giorni. Adunò quindi i grandi del regno ed i principali del popolo, e salito sul trono, fè sedere al suo fianco il giovane principe; fu imbandito un lauto pranzo, nel quale si presentarono ai convitati coppe d’oro piene del vino più squisito.
«In mezzo all’universale allegrezza, i soli dieci visiri erano timorosi ed inquieti. — Voi vedete,» disse il principe, dirigendosi ad essi, «come la Provvidenza è venuta in mio soccorso, e m’ha liberato dal pericolo.» Quelle parole aumentarono il timore e la costernazione dei dieci visiri, i quali tenevano gli occhi chini a terra, e stavano tristi e silenziosi.
«— Perchè,» continuò, «le vostre bocche ammutolirono d’improvviso? Che cosa faceste dell’ardire e dell’eloquenza con cui rappresentavate al re l’indegnità della mia condotta, e lo stimolavate a vendicare il suo onore facendo perire un innocente? —
«I dieci visiri, confusi ed atterriti viemaggiormente, attendevano tremando la loro sentenza. Azadbakht, a sua volta, prese la parola, e disse:
«— Ognuno qui divide il mio giubilo; anche gli uccelli pare celebrino la mia felicità e riempiano il cielo di canti di gioia; voi soli, perversi ministri, gemete ed abborrite in segreto la mia letizia. Io sarei afflitto al par di voi se avessi seguito i vostri consigli, e la sola morte avrebbe potuto por fine a’ miei rammarici.
«— Padre,» disse allora il giovane, «la vostra giustizia, la vostra prudenza e bontà, e la cura a ricercare ed esaminare la verità, la vostra lentezza a punire, hanno trionfato dei loro artifizi, risparmiandovi crudeli rimorsi, che la precipitazione cagiona troppo sovente. Quanto a me, tutto il mio delitto, agli occhi dei vostri visiti, dipende dal mie zelo per gl’interessi vostri o per quello del regno: io reprimeva l’avarizia e cupidigia loro, impedendoli di servirsi a piacimento dei vostri tesori; per questo divenni l’oggetto del loro odio, ed eransi collegati onde perdermi. —
«Azadbakht, prima di far punire i dieci visiri, volle ricompensare l’uomo al quale dovea la conservazione del figlio: si congratulò seco lui perchè avesse rinunciato da anni al primiero metodo di vita, lo fece vestire d’un magnifico abito, e gli affidò un comando nel quale il suo coraggio poteva esser utile allo stato. Non contento d’avergli manifestata la sua riconoscenza, invitò i grandi del regno a dargli segni di quella ch’essi medesimi doveano provare. Tutti s’affrettarono a rivestirlo d’abiti preziosi, in modo che, non poteva portarli tutti, non sapendo che fare di tanti doni.
«Il re comandò indi che si erigessero nove croci accanto a quella già preparata pel giovane, e disse ai visiri: — Perfidi consiglieri, sciagurati impostori, con quali scuse potete palliare il vostro delitto?
«— Sire,» rispose uno d’essi, «noi cercheremmo invano di scusarci; abbiam voluto far perire un rivale, e ci siamo rovinati; il male che volevamo fargli ricade su noi stessi; abbiamo raccolto ciò che seminammo; siamo caduti nella fossa che scavavamo sotto i suoi passi.
«— Le dilazioni sono qui inutili,» riprese Azadbakht; «il delitto è evidente, i colpevoli lo confessano, e nulla può giustificarli: il supplizio che subiranno non farà che metter fine a quello che già provano. —
«Alcuni soldati s’impadronirono tosto dei dieci visiri, che subito furono suppliziati, ed i beni che aveano ammassati colle loro rapine e vessazioni, furono confiscati a pro dello stato.
«Azadbakht fece quindi giurar fedeltà al figlio da tutti i grandi del regno e dai principali del popolo, abdicò la sovrana autorità, e rimise nelle di lui mani le redini del governo.
— Tale, o sire,» disse Scheherazade, «è la storia dei dieci visiri. Il giorno che sta per nascere non mi permette di cominciarne un’altra. Spero però che vostra maestà si degnerà d’ascoltarmi ancora: ne se molte altre che certamente gli piaceranno non meno di quella ch’ebbi già l’onore di raccontarle.» Il sultano delle Indie, il quale erasi fatta una dolce abitudine d’udirla, acconsentì senza opposizione, e l’indomani Scheherazade riprese nel solito modo il corso de’ suoi racconti.