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«— Madre,» le disse Schah-Khaton, «io vi avverto, e vi giuro, per quanto v’ha di più sacro, che preferisco morir prima con mio figlio, piuttosto che espormi, dandogli tal nome, a vedermi tacciata d’impostura, ed udirmi dire ch’io lo chiamo così per coprire il mio disonore. Io credo adunque che la pazienza e la rassegnazione siano i soli rimedi alla mia sventura.

«— Figlia, permettetemi di chiamarvi con questo nome,» soggiunse la nutrice, commossa dalla costanza e delicatezza della regina, «io spero che Iddio farà conoscere la verità senza esporvi al pericolo che temete. Corro dal sultano, e se è necessario, mi servirò d’un innocente artifizio per disingannarlo. —

«Schah-Khaion ringraziò la nutrice, che si recò tosto dal soldano. Lo trovò immerso nei più tetri pensieri e nel più profondo abbattimento. — Figlio,» gli disse, dopo esserglisi seduta vicino ed aver alquanto serbato il silenzio, «lo stato in cui vi trovo m’inquieta e mi tormenta: sono già molti giorni che voi non uscite di casa, e non montate a cavallo. So sapessi ciò che avete, potrei forse rimediarvi.

«— Tutto il mio male,» rispose il sultano sospirando,» proviene da una perfida che ha ingannata la mia fiducia e perduta la stima che riponeva in lei. Schah-Khaton ama quel giovane Persiano giunto qui da poco tempo: uno de’ miei ufficiali li ha veduti abbracciarsi; ma io saprò vendicarmi dei colpevoli, ed in breve la loro morte servirà d’esempio a chi fosse abbastanza temerario per imitarli.

«— Figlio,» riprese la nutrice, «una donna infedele non merita che vi affliggiate a questo punto; voi dovete senza dubbio punirla; ma il castigo sarebbe inutile, e forse dannoso, se troppo vi sollecitaste; la precipitazione genera soventi volte il pentimento. I colpevoli sono nelle vostre mani; non possono fuggire; datevi la pena di esaminare attentamente quest’affare, e conoscerne a fondo la verità.