Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/364


348


«— Scellerato, è tempo di rinunciare alla vita, «non devi omai sperar salvezza!

«— Chi può,» rispose il giovane, «desistere dallo sperare nell’Onnipossente? Egli è pronto sempre a soccorrere l’oppresso: talvolta aspetta, per liberarlo, che il pericolo sia al colmo, e gli fa trovare la vita in mezzo alla morte. —

«Il re Azadbakht interruppe qui il giovane paggio. — Sono stanco,» gli disse, «di udire le tue parole ingannatrici; l’ora del tuo supplizio è suonata.» I carnefici afferrano la loro vittima e la conducono fuori della città, accompagnati da numerosa scorta di soldati; il re stesso, seguito da tutta la corte, si reca al luogo del supplizio.

«Il capo dei ladri, che aveva educato il giovane come proprio figlio, si trovava per caso nella folla radunata ad assistere all’esecuzione, e chiese chi fosse il condannato. Gli si raccontò la sua storia, ed in qual maniera fosse stato fatto prigione, assalendo una carovana, e condotto alla corte del re. Il capo dei ladri s’immaginò subito che quel giovane poteva esser quello rimasto prigioniero in un’occasione affatto consimile. I suoi sospetti cambiaronsi in certezza quando lo vide comparire. Si slancia allora tra la folla, scosta le guardie, e si precipita al collo del giovane, gridando: — È mio figlio; è questo il fanciullo che trovai alle falde della tal montagna, sulla riva del tal fonte! —

«Azadbakht, colpito da quell’impreveduto avvenimento; e specialmente dai detti dell’incognito, ordinò che glielo conducessero davanti, e volle gli raccontasse quanto sapeva della storia di quel giovane.

«— Principe,» disse lo sconosciuto, «io so che facendomi a voi conoscere, m’espongo a certa morte; ma il mio affetto per questo giovane è superiore ad ogni altra considerazione, e spero che la singolarità