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ricarsi più presto del solito, e finse di dormire. Il sultano, tosto informatone, entrò nel di lei appartamento, impaziente di fare la prova del segreto, si avvicinò pian piano al letto della consorte, le pose sul seno il cuore dell’upupa, e le disse:
«Sehah-Khaton, è così che voi ricompensate il mio amore? - Come!» rispos’ella; «qual colpa ho commessa?
«— Non avete voi,» continuò il sultano, «fatto venire quel giovane per soddisfare la passione che concepiste per lui? — È vero,» rispos’ella, «che in mezzo a quelli che mi circondano, io non conosco persona più amabile, più saggia o fedele; ma come potete voi credere ch’io ami uno schiavo?
«— Perchè adunque,» continuò il re, «l’avete abbracciato? — Perchè è mio figlio,» rispose la regina, «una parte del mio sangue, e fu la tenerezza materna che mi spinse ad abbracciarlo. —
«Quella risposta cagionò al re il maggior istupore.
«— Come può essere mai vostro figlio,» continuò egli, «se questi fu assassinato da suo zio Balavan, come mi scrisse il re Soieiman-Schah, suo nonno? — È vero,» rispose Schah-Khaton, «che fu assassinato, ma il colpo non era mortale, e rinvenne all’esistenza, non essendo ancor giunto il termine de’ suoi giorni. —
«Il sultano, soddisfatto di quella risposta, risolse di servirsi del mezzo ch’essa gli dava per assicurarsi sempre più della verità; uscì dall’appartamento della regina, fece venire dinanzi a sè il giovane, e cercò sul di lui petto le vestigia della barbarie di suo zio. La cicatrice era sì evidente, che tutti i suoi dubbi si dileguarono: abbracciò il figlio di Schah-Khaton, lo riconobbe come proprio, e ringraziò il cielo di averlo preservato dal grave delitto che stava per commettere.