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Risposta del principe di Persia a Schemselnihar

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Risposta del principe di Persia a Schemselnihar
Lettera di Schemselnihar al principe di Persia Storia degli amori di Camaralzaman, principe dell'isola dei Figli di Khaledan, e di Badura, principessa della China
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RISPOSTA
DEL PRINCIPE DI PERSIA A SCHEMSELNIHAR.


«La vostra preziosa lettera produsse in me grandissimo effetto, ma non quanto avrei desiderato. Voi cercate di consolarmi della perdita di Ebn Thaher. Aimè! per quanto sensibile io vi sia, è questa la minima parte dei mali che soffro. Voi li conoscete cotesti tormenti, e già sapete la vostra sola presenza essere capace di guarirli. Quando verrà il tempo che ne potrò fruire senza tema d’esserne privo? Quanto mi par lontano! o piuttosto dovremo noi lusingarci di poterlo vedere? Voi mi comandate di conservarmi: vi obbedirò, avendo rinunziato alla mia propria volontà per non seguire che la vostra. Addio.»

«Percorsa ch’ebbe il gioielliere questa lettera, la diede alla confidente, la quale gli disse lasciandolo: — Vado, o signore, a far in modo che la mia padrona riponga in voi la stessa fiducia che aveva in Ebn Thaher. Domani avrete mie nuove.» In fatti, il giorno seguente la vide egli arrivare con un’aria che ne indicava il giubilo. — La vostra sola vista,» le disse, «mi fa conoscere che avete posto lo spirito di Schemselnihar nella disposizione che desideravate. — È vero,» rispose la confidente, «ed ora sentirete in qual guisa vi sono pervenuta. Ieri,» proseguì essa, «trovai Schemselnihar, la quale mi aspettava con impazienza: le consegnai la lettera del principe; la lesse ella colle lagrime agli occhi, e quando ebbe finito, siccome vidi che stava per abbandonarsi al suo solito cordoglio: «Signora,» le dissi, «senza dubbio la lontananza di Ebn Thaher vi affligge; ma permettetemi di scongiurarvi, in nome di Dio, a non più disperarvi su questo argomento. Abbiamo trovato [p. 221 modifica]un altro lui stesso, che si offre a servirvi con altrettanto zelo, e, cosa più importante, con maggior coraggio.» Le parlai allora di voi,» continuò la schiava, «e le raccontai il motivo che vi aveva fatto andare dal principe di Persia. In fine, l’assicurai che manterreste inviolabilmente il segreto al principe ed a lei, e che eravate risoluto a favorire con tutto il poter vostro i loro amori. Mi parve molto consolata dopo il mio discorso. «Ah! qual obbligazione,» sclamò essa, «non abbiamo noi, il principe di Persia ed io, all’uomo cortese, del quale mi parlate! Voglio conoscerlo e vederlo, per sentire dalla propria sua bocca ciò che voi dite, e ringraziarlo della di lui inaudita generosità verso persone, alle quali niuna cosa l’obbliga interessarsi con tanto calore. La sua vista mi farà piacere, e nulla ommetterò per confermarlo in sì buoni sentimenti: non mancate di andarlo a prendere domani, e condurmelo.» Abbiate adunque, o signore, la bontà di accompagnarmi fino al suo palazzo. —

«Le parole della confidente posero in non poco imbarazzo il gioielliere. — La vostra padrona,» soggiuns’egli, «mi permetterà di dire che non ha pensato bene a quanto esige da me. L’accesso che Ebn Thaher aveva libero presso il califfo, gli permetteva d’entrare da per tutto, e gli ufficiali, che lo conoscevano, lo lasciavano andare e venire senza difficoltà al palazzo di Schemselnihar; ma io, come oserei entrarvi? Voi stessa ben vedete che non è possibile. Vi supplico dunque di porre sott’occhio a Schemselnihar le ragioni che devono vietarmi di darle questa soddisfazione, e tutte le dispiacevoli conseguenze che ne potrebbero derivare. Se ella vi rifletterà alquanto, non dubito non sia per trovare che sarebbe un espormi inutilmente a gravissimo pericolo. —

«Procurò la confidente di rassicurare il gioielliere. — Credete voi,» gli disse, «che [p. 222 modifica]Schemselnihar sia tanto priva di ragione per esporvi al minimo pericolo, facendovi venire in casa propria, voi dal quale attende servigi sì emeriti? Riflettete anzi voi medesimo, non esservi la menoma apparenza di periglio per voi; noi siamo, la mia padrona ed io, troppo interessate in questo affare, per impegnarvi mal a proposito. Potete fidare nella mia prudenza, e lasciarvi condurre. Fatta la cosa, mi confesserete voi stesso che infondato era il vostro timore. —

«Il gioielliere si arrese alle conclusioni della confidente, e si alzò per seguirla; ma qualunque fosse la fermezza di cui naturalmente si piccava, erasi il terrore impossessato in guisa di lui, che tremava tutto. — Nello stato in cui siete,» gli disse ella, «ben reggo che val meglio ve ne restiate a casa vostra, e che Schemselnihar prenda altre misure per vedervi; e non è da dubitare, che per soddisfare alla prepotente voglia che ne ha, non venga essa medesima a trovarvi qui in persona. In tal caso, non escite, o signore; sono certa che non istarete molto a vederla arrivare.» Ben erasi apposta la confidente, la quale non ebbe appena riferito a Schemselnihar la paura del gioielliere, che questa si accinse a recarsi da lui.

«La accolse egli coi segni del maggior rispetto, e seduta che fu, siccome era un po’ stanca del percorso cammino, si scoprì, e, lasciò vedere al gioielliere una bellezza, la quale gli persuase essere il principe di Persia scusabile di aver donato il suo cuore alla favorita dei califfo. Saluto poscia il gioielliere con aria graziosa, e gli disse: — Non ho potuto sentire con qual ardore abbiate abbracciato gl’interessi del principe di Persia e miei, senza aver tosto desiderato di ringraziarvene io medesima. Rende grazie al cielo di averci sì presto indennizzati della perdita di Ebn Thaher...»

Il giorno che spuntava costrinse la sultana a [p. 223 modifica]prorogare alla notte seguente la continuazione del suo racconto.


NOTTE CCIII


— Sire, Schemselnihar disse quindi varie altre cose obbliganti al gioielliere, e si ritirò nel suo palazzo; il mediatore corse subito a render conto della visita ricevuta al principe di Persia, il quale, vedendolo, gli disse: — Vi aspettava con impazienza. La schiava confidente mi ha portata una lettera della sua padrona, ma questa non m’ha recato gran sollievo. Checchè mi possa far dire l’amabile Schemselnihar, non oso nulla sperare, e la mia pazienza già si trova al colmo. Non so più a qual partito appigliarmi; la partenza di Ebn Thaher mi mette alla disperazione. Egli era il mio appoggio: perdendolo, ho tutto perduto. Finchè stava qui, poteva lusingarmi di qualche speranza, pel libero adito ch’egli aveva presso Schemselnihar. —

«A quelle parole, preferite dal principe con tal vivacità, che non diè tempo al gioielliere di parlare, questi alfine gli disse: — Principe, niuno può pigliar una parte più viva ai vostri affanni di quella che io vi prendo; e se vorrete aver la pazienza di ascoltarmi, vedrete che posso recarvi sollievo.» A tali parole, il principe si acquetò e gli porse orecchio. — Ben veggo,» ripigliò il gioielliere, «che l’unico mezzo di rendervi contento si è di far in modo che possiate parlare con Sehemselnihar in libertà; è questa la soddisfazione che voglio procurarvi, ed alla quale m’accingerò subito domani. Non è mestieri esporvi ad entrare nel palazzo di Schemselnihar: sapete per esperienza ch’è un passo troppo pericoloso. Conosco [p. 224 modifica]un luogo più opportuno per questo abboccamento, e dove potrete stare in tutta sicurezza.» Quando egli finì di parlare, il principe lo abbracciò con trasporto, dicendo: — Voi risuscitate, con questa lusinghiera promessa, un infelice amante, ch’erasi già dannato alla morte. A quanto m’avveggo, ho pienamente riparata la perdita di Ebn Thaher. Tutto ciò che farete sarà ben fatto; m’abbandono intieramente a voi. —

«Dopo che il principe ebbe ringraziato il gioielliere dello zelo dimostratogli, tornò questi a casa sua, dove, la mattina susseguente, venne a trovarlo la schiava di Schemselnihar, alla quale egli tosto disse di aver fatto sperare al principe di Persia di poter fra poco vedere la sua bella. — Vengo espressamente,» gli rispose la schiava, «per prendere intorno a ciò gli opportuni concerti con voi. Mi sembra,» proseguì, «che questa casa sarebbe abbastanza comoda a tale oggetto. — Potrei,» ripigliò egli, «farli venir qui, ma ho pensato che saranno in maggior libertà in un’altra mia casa, nella quale di presente non abita alcuno. L’ammobiglierò subito colla dovuta decenza per riceverli. — In tal caso,» tornò a dire la confidente, «non si tratta più adesso, se non di farvi acconsentire Schemselnihar. Corro a parlargliene, e fra breve sarò da voi colla risposta. —

«Infatti, fu diligentissima; non tardò a tornare, e riferì al gioielliere che la sua padrona non mancherebbe di trovarsi al luogo stabilito verso il tramonto. Nello stesso tempo gli mise in piano una borsa, dicendogli ch’era per provvedere la cena. La condusse egli tosto alla casa in cui dovevano incontrarsi i due amanti; affinchè sapesse dov’era e potesse condurvi la favorita; indi, separatisi, andò a prendere in prestito da vari amici vasellami d’oro e d’argento, tappeti, cuscini ricchissimi, ed altre suppellettili, colle quali ammobigliò la casa, magnificamente; e posta ogni cosa in ordine, recossi dal principe di Persia. [p. 225 modifica]«Figuratevi l’allegrezza del giovane quando il gioielliere gli disse, che lo veniva a prendere per condurlo alla casa da lui preparata onde riceverlo unitamente a Schemselnihar. Quella nuova gli fece dimenticare le pene ed i patimenti sofferti. Indossò un abito magnifico, ed uscì, senza seguito, col gioielliere, il quale lo fece passare per parecchie vie remote, affinchè niuno li osservasse, e l’introdusse finalmente nella casa, ove cominciarono a conversare fino all’arrivo di Schemselnihar.

«Non aspettarono però a lungo quella troppo appassionata amante, la quale giunse dopo la preghiera del tramonto, colla confidente e due altre schiave. Mi sarebbe impossibile l’esprimervi l’eccesso del giubilo de’ due innamorati al vedersi. Sedettero sopra un sofà, estettero alcun tempo guardandosi senza poter proferire parola, tanto erano fuor di sè: ma quand’ebbero ricuperato l’uso della favella, ben si rifecero di quel silenzio, e si dissero scambievolmente cose si tenere, che ne piansero il gioielliere, la confidente e perfino le due schiave. Il gioielliere nondimeno asciugò le lagrime per pensare alla cena, che portò egli medesimo. I due amanti bevettero e mangiarono poco; quindi, ripostisi entrambi sul sofà, Schemselnihar domandò al gioielliere se non avesse un liuto o qualche altro stromento. Questi, che aveva avuto l’anti-veggenza di provveder quanto poteva farle piacere, le portò un liuto; impiegò essa alcuni momenti ad accordarlo, e poscia cantò....»

Qui si fermò Scheherazade, vedendo comparire il giorno. La notte seguente così proseguiva:

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NOTTE CCIV


— Mentre Schemselnihar allettava il principe di Persia, esprimendogli la sua passione con parole che componeva all’improvviso, si udì un gran rumore, e tosto uno schiavo, che il gioielliere aveva condotto seco, comparve tutto spaventato, dicendo che si sforzava la porta; e che avendo domandato chi fosse, invece di rispondere, eransi raddoppiati i colpi. Atterrito il gioielliere, lasciò Schemselnihar ed il principe per andar in persona a verificare la terribil notizia. Era già nel cortile, quando travide nell’oscurità una turba d’uomini armati di scuri e di sciabole, che, scassinata la porta, venivano direttamente alla sua volta. Si gettò egli al più presto contro un muro; e senza esserne veduto, li vide passare in numero di dieci.

«Siccome non poteva essere di molto aiuto al principe di Persia ed a Schemselnihar, sì contento di compiangerli fra sè, e s’appigliò al partito di darsi alla fuga. Uscì dunque dalla casa, ed andò a rifuggirsi in quella d’un vicino, il quale non era ancora andato a letto, non dubitando che quella violenza impreveduta non si facesse per ordine del califfo, avvertito senza dubbio dell’abboccamento, della sua favorita col principe di Persia. Dalla casa, nella quale erasi salvato, udiva il gran fracasso che faceva nella sua; e quel fracasso durò fino a mezzanotte. Allora, parendogli che tutto fosse tranquillo, pregò il vicino di prestargli una scimitarra; e munito di quell’arme, uscì, inoltrossi fino alla porta della casa, ed entrò nella corte, dove con terrore scorse un uomo, il quale gli chiese chi fosse. Riconobbe alla voce il [p. 227 modifica]suo schiavo. — Come hai fatto,» gli disse, «a sfuggire alle guardie? — Signore,» rispose lo schiavo, «mi sono nascosto in un angolo del cortile, e mi mossi soltanto quando non intesi più romore. Ma non è la guardia che abbia sferzata la casa vostra; sono ladri, che ne’ giorni scorsi ne hanno saccheggiata un’altra in questo quartiere. Non c’è da dubitare che non siano venuti adescati dalla ricchezza delle mobiglie, da voi fatte portar qui, e ch’essi avranno osservata. —

«Trovò il gioielliere assai probabile la congettura dello schiavo; visitò la casa, e vide in fatti che i ladri avevano asportato i mobili della camera, nella quale stavano a colloquio Schemselnihar coll’amante; che ne avevano tolto il vasellame d’oro e d’argento, non lasciandovi in fine la minima cosa. Ne fu desolato. — O cielo,» sclamò, «son perduto senza rimedio! Che cosa diranno i miei amici, e quale scusa porterò loro, quando dirò che i ladri hanno invasa la mia casa, rubando tutto quello ch’essi mi avevano sì generosamente prestato? Non bisognerà che io li indennizzi della perdita loro cagionata? D’altronde, che cosa avvenne mai di Schemselnihar e del principe di Persia? Questo affare farà sì gran chiasso, ch’è impossibile non giunga fino alle orecchie del califfo, il quale verrà così a sapere di questo convegno, ed io rimarrò vittima della sua collera.» Lo schiavo, che gli era affezionatissimo, procurò di consolarlo. — Quanto a Schemselnihar,» gli disse, «probabilmente i ladri si saranno accontentati di spogliarla, e giova credere che siasi ritirata colle schiave nel suo palazzo: il principe di Persia avrà corsa la medesima sorte. Così potete sperare che il califfo ignorerà sempre l’avventura. Riguardo poi alla perdita fatta dai vostri amici, è questa una disgrazia che non avete potuto evitare. Essi ben sanno [p. 228 modifica]che i ladri sono in tal numero, ch’ebbero l’ardire di saccheggiare non solo la casa, di cui v’ho parlato, ma parecchie altre eziandio dei principali signori della corte, nè ignorano che, malgrado gli ordini stati dati onde prenderli, non si è ancora potuto coglierne alcuno, per quanta diligenza siasi adoperata. Basterà che rendiate ai vostri amici il valore delle cose rubate, e vi resterà ancora, grazie a Dio, bastevoli sostanze. —

«Mentre aspettava lo spuntar del giorno, il gioielliere fece dallo schiavo accomodare alla meglio la porta di strada ch’era stata scassinata; e poi tornò alla sua solita casa col servo, facendo tristissimo riflessioni sull’accaduto. — Ebn Thaher,» andava fra sè dicendo, «è stato molto più saggio di me; egli aveva preveduto questa disgrazia, nella quale mi son gettato alla cieca; volesse Iddio non mi fossi mai immischiato in un intrigo che forse mi costerà la vita! —

«Appena fu giorno, si sparse per tutta la città la voce della casa derubata, traendo a lui una folla di amici e di vicini, la maggior parte dei quali venivano col pretesto di attestargli il loro dispiacere per quella disgrazia, ma più in vero per la curiosità di saperne i particolari. Non tralasciò egli di ringraziarli dell’affetto che gli dimostravano, ed ebbe almeno la consolazione di sentire che nessuno parlava di Schemselnihar, nè del principe di Persia; cosa che fecegli supporre ch’essi fossero alle case loro, od in qualche altro luogo di sicurezza.

«Quando il gioielliere fu solo, i suoi servi gli recarono da mangiare; ma egli non assaggio quasi nulla. Era mezzogiorno circa quando un suo schiavo venne a dirgli, trovarsi alla porta un uomo, a lui ignoto, il quale chiedeva di lui; il negoziante, non volendo ricevere in casa uno sconosciuto, si [p. 229 modifica]alzò, ed andò a parlargli alla porta. — Sebbene voi non mi conosciate, gli disse quell’uomo, e io però vi conosco assai bene, e vengo a discorrervi d’un affare importante.» Il gioielliere, a quelle parole, lo pregò di entrare. — No,» riprese l’incognito, «abbiate, di grazia, piuttosto la compiacenza divenire con me fino all’altra vostra casa. — Come sapete voi,» soggiunse il gioielliere, «che io abbia un’altra casa? — Lo so,» tornò a dire lo sconosciuto. «Seguitemi, vi prego, e non temete di nulla; ho a comunicarvi qualche cosa che vi farà piacere.» Il gioielliere partì subito con lui; e raccontatagli, strada facendo, in qual maniera la casa, ove andavano, fosse stata spogliata, gli disse ch’ella non trovavasi in condizione di potervelo ricevere.

«Quando furono davanti alla casa, e che l’incognito ne vide la porta mezzo sfasciata: — Andiamo innanzi,» disse il gioielliere; «veggo che mi diceste la verità; vi condurrò io in un luogo ove staremo più comodi.» Così dicendo, continuarono a camminare, e procedettero tutto il resto del giorno senza fermarsi. Stanco il gioielliere del cammino percorso, e dolente di vedere che la notte si avvicinava, e lo sconosciuto camminava sempre, senza dirgli ove pretendesse condurlo, cominciava a perdere la pazienza, quando arrivarono in un luogo che guidava al Tigri. Giunti sulla sponda del fiume, quivi s’imbarcarono in un navicella, e passarono dall’altra parte. Allora lo sconosciuto condusse il gioielliere per una lunga strada, dove non era mai stato; e fattogli percorrere non so quanti viottoli remoti, si fermò ad una porta, aperta la quale, lo fece entrare, tornò a chiuderla ed assicurarla con una grossa spranga di ferro, e lo condusse in una camera in cui stavano dieci altri uomini, non meno ignoti al gioielliere di quello che lo aveva condotto. [p. 230 modifica]«Ricevettero que’ dieci uomini il gioielliere senza fargli molti complimenti: gli dissero di sedere, ed egli tosto obbedì, sentendone gran bisogno, poichè non solo non aveva più fiato per aver camminato tanto tempo, ma lo spavento, ond’era còlto al vedersi con persone si atte a cagionargliene, non gli avrebbe permesso di stare in piedi. Siccome quelli aspettavano, per cenare, il loro capo, così appena fu giunto, si portarono i cibi. Lavatisi le mani, obbligarono il gioielliere a fare lo stesso, e porsi a mensa con loro. Dopo il pasto, domandarongli quegli uomini se sapesse con chi parlava. Rispose di no, ed anzi ignorare il quartiere ed il luogo nel quale trovavasi. — Raccontateci la vostra avventura della scorsa notte,» gli dissero allora, «e non ci nascondete nulla.» Il gioielliere, maravigliato di quel discorso, rispose: — Signori miei, forse ne siete già istruiti? — È vero,» replicarono quelli; «il giovane e la dama ch’erano ier sera in casa vostra ce ne hanno parlato; ma lo vogliamo sapere dalla vostra propria bocca.» Non fu d’uopo d’altro per far comprendere al gioielliere che parlava ai malandrini, i quali avevano invasa e saccheggiata la sua casa. — Signori,» sclamò egli, «sono in grand’ansietà per quel giovane e quella dama; potreste darmene notizie?...»

S’interruppe a questo passo Scheherazade per avvertire il sultano dell’Indie che il giorno già compariva. La notte seguente ripigliò essa così il suo discorso:


NOTTE CCV


— Sire,» diss’ella, «alla domanda volta dal gioielliere ai ladri, se non sapessero dargli qualche [p. 231 modifica]notizia del giovane e della dama: — Non abbiatene alcun timore,» risposero; «essi sono in luogo di sicurezza, e stanno bene.» E così dicendo, gli mostrarono due gabinetti, assicurandolo che trovavansi colà, ciascuno separatamente. — Ci hanno detto;» soggiunsero, «non esservi se non voi solo, il quale abbiate cognizione di ciò che li risguarda. Appena lo sapemmo, abbiamo usato loro tutti i possibili riguardi per vostra considerazione. Ben lungi dall’averli trattati colla menoma violenza, li abbiamo al contrario ricolmati d’ogni sorta di gentilezze, e niuno di noi avrebbe voluto far loro male alcuno. V’assicuriamo lo stesso per la vostra persona e potete riporre in noi tutta la immaginabile fiducia. —

«Rassicuralo il gioielliere da tale discorso, e lieto che il principe di Persia e Schemselnihar avessero salva la vita, prese il partito di raffermar vie più i ladroni nella loro buona volontà; si dilluse quindi in ringraziamenti, li adulò, e colmolli di mille benedizioni. — Signori,» lor disse, «confesso che non ho l’onore di conoscervi; ma è una grande fortuna per me il non esservi sconosciuto, e non so ringraziarvi abbastanza del bene che questa conoscenza mi ha da parte vostra procurato. Senza parlare d’un atto sì grande d’umanità, ben veggo non esservi se non persone della vostra sorta, che siano capaci di custodire con tal fedeltà un segreto, da non lasciar dubbio che possa venir rivelato; e quando siavi qualunque difficile impresa, basta darne a voi l’incarico, onde vederla condotta a buon fine pel vostro ardire, il coraggio e l’intrepidezza vostra. Fondato su qualità che a sì buon titolo v’appartengono, non avrò alcuna difficoltà a narrarvi la mia storia e quella delle due persone da voi trovate in casa mia, con tutta la fedeltà che da me richiedeste. —

«Prese ch’ebbe il gioielliere queste oratorie [p. 232 modifica]precauzioni per interessare ì malandrini nella confidenza intiera di ciò che lor voleva palesare, la quale, per quanto poteva giudicarne, non avrebbe mancato di non produrre buon effetto, ei fece loro, senza ommetter sillaba, la relazione minuta degli amori del principe di Persia o di Schemselnihar, dal principio fino all’abboccamonto da lui ad essi procurato nella propria casa.

«Maravigliarono assai i ladri di tutte quelle particolarità. — E che!» sclamarono, quando il gioielliere ebbe finito il suo racconto; «è mai possibile che quel giovane sia l’illustre Alì Ebn Becar, principe di Persia, e quella dama, la bella e famosa Schemselnihar?» Il gioielliere giurò di aver detta la pura verità, e soggiunse che non dovea sembrar loro strano se persone sì distinte avessero avuto ripugnanza a farsi conoscere.

«Su tale assicurazione, i malandrini corsero, l’un dopo l’altro, a gettarsi a’ piedi del principe e di Schemselnihar per supplicarli a perdonar loro, protestando che quella violenza non sarebbe accaduta, se stati fossero informati della qualità delle loro persone prima d’invadere la casa del gioielliere. — Ora,» soggiunsero, «procureremo di metter riparo al fallo da noi commesso.» Tornati quindi al gioielliere, gli dissero: «Siamo ben dolenti di non potervi restituire tutto ciò ch’è stato tolto di casa vostra, non essendone più una parte a nostra disposizione. Vi preghiamo pertanto a contentarvi delle argenterie, che tosto vi consegneremo. —

«Il gioielliere si stimò troppo fortunato della grazia che gli si faceva. Quando i ladri gli ebbero consegnate le argenterie, fecero venire il principe di Persia e Schemselnihar, e lor dissero, come anche al gioielliere, che li avrebbero condotti in un luogo dal quale potevano ritirarsi ciascheduno alle proprie case; ma [p. 233 modifica]che prima volevano s’impegnassero con giuramento a non palesarli. Il principe di Persia, Schemselnihar ed il gioielliere li assicurarono di fidare interamente nella loro parola, ma che, giacchè lo desideravano, facevano solenne giuramento di mantener loro un’inviolabile fedeltà. E tosto i ladroni, soddisfatti della promessa, uscirono con loro.

«Strada facendo, il gioielliere, inquieto di non vedere la confidente, nè le due schiave, si accostò a Schemselnihar, e la supplicò di dirgli cosa ne fosse accaduto. — Non ne so nulla,» rispose la giovane. «Non posso dirvi se non che ci presero di casa vostra, ci fecero passar il fiume, e fummo condotti alla casa d’onde veniamo. —

«Schemselnihar ed il gioielliere non favellarono più a lungo insieme; lasciaronsi condurre dai ladri col principe, e giunti in riva al fiume, i malandrini presero un battello, s’imbarcarono con essi, e li tragittarono dall’altra parte.

«Mentre il principe di Persia, Schemselnihar ed il gioielliere sbarcavano, si udì un grande strepito della guardia a cavallo che accorreva, e che giunse nel momento in cui il battell0 erasi appena staccato dalla riva, e conduceva i ladri all’altra a tutta forza di remi.

«Il comandante del drappello chiese al principe, a Schemselnihar ed al gioielliere d’onde venissero ad ora sì tarda, e chi fossero. Siccome erano tutti colti da terrore, e d’altronde temevano di dire qualche cosa che li pregiudicasse, rimasero interdetti. Pure bisognava parlare; e fecelo il gioielliere, il quale aveva l’animo un po’ men turbato. — Signore,» rispose dunque, «posso assicurarvi in primo luogo che siamo oneste persone della città. Quelli che stanno nel battello d’onde siamo ora sbarcati, e che tornano all’altra sponda, sono ladroni che invasero la notte scorsa la casa ove ci trovavamo; la spogliarono, è ci [p. 234 modifica]condussero alla loro dimora, ove, dopo averli presi per tutte le vie di dolcezza che abbiam saputo immaginare, ottennemmo finalmente la nostra libertà, e ci ricondussero fin qui. Ci hanno inoltre restituita buona porzione del bottino da loro fatto, come potete vedere.» Sì dicendo, mostrò al comandante il fagotto d’argenteria che portava.

«L’ufficiale non si contentò di quella risposta, ed accostatosi al gioielliere ed al principe di Persia, li guardò l’un dopo l’altro; indi, voltosi a loro, ripigliò: — Ditemi il vero, chi è questa signora, come la conoscete, ed in qual rione abitate? —

«Tale domanda li imbarazzò moltissimo, e non sapevano cosa rispondere: ma Schemselnihar vinse la difficoltà. Trasse il comandante in disparte; e non ebbegli appena parlato, che questi mise il piede a terra con grandi segni di rispetto e civiltà, e comandò subito alla sua gente di far venire due battelli.

«Quando furono giunti, il comandante fece imbarcare Schemselnihar nell’uno, ed il principe di Persia col gioielliere nell’altro, con due de’ suoi uomini per navicello, ordinando loro di accompagnar ciascuno ove doveva andare. I due battelli allora si separarono, prendendo una strada diversa; ma ora non parleremo se non di quello sul quale trovavansi il principe di Persia ed il gioielliere.

«Il principe, per risparmiar fatica alle guide state date a lui ed al gioielliere, disse loro che condurrebbe il compagno con sè, e nominò il quartiere in cui abitava. Su tale indicazione, i conduttori fecero approdare il navicello davanti al palazzo del califfo; il principe di Persia ed il gioielliere n’ebbero grandissimo terrore, ma non osarono nulla manifestarne. Benchè avessero udito l’ordine dato dal comandante, non lasciarono tuttavia di pensare che si volesse metterli nel corpo di guardia, ond’essere alla domane presentati al califfo.

[p. 235 modifica]«Tale però non era l’intenzione delle guide: quando li ebbero fatti smontare, siccome dovevano andar a raggiungere la propria squadra, li raccomandarono ad un’ufficiale della guardia del califfo, che diede loro due soldati onde accompagnarli per terra al palazzo del principe di Persia, che stava assai lontano dal fiume. Vi arrivarono alla fine, ma stanchi in guisa che a stento potevano moversi.

«Oltre quella grande stanchezza, il principe era anche afflittissimo del disgraziato contrattempo accaduto a lui ed a Schemselnihar, e che gli toglieva d’ora innanzi la speranza d’un altro colloquio; talchè, appena seduto sul sofà, svenne. Mentre la maggior parte de’ suoi stavano intenti a farlo tornare in sè, circondarono gli altri il gioielliere, e lo scongiurarono a dire cosa fosse accaduto al principe, la cui assenza li aveva immersi in inesprimibile inquietudine.»

Scheherazade s’interruppe a queste ultime parole, vedendo i primi albori; la notte appresso ripigliò il racconto, dicendo al sultano dell’Indie:


NOTTE CCVI


— Sire, diceva ieri a vostra maestà, che mentre alcuni servi occupavansi a far rinvenire il principe di Persia dal suo svenimento, altri avevano chiesto al gioielliere cosa fosse accaduto al loro padrone. Il gioielliere, non volendo rivelar loro nulla di ciò che non ispettava ad essi di sapere, rispose essere una straordinaria avventura; ma che non era tempo di farne il racconto, e che valeva meglio pensare a soccorrere il principe. Per buona fortuna, questi risensò in quel momento, e quelli che aveangli fatta tale domanda con tanta premura, si trassero indietro, rimanendo in [p. 236 modifica]attitudine rispettosa, e dimostrando molta gioia perchè lo svenimento non avesse durato più a lungo.

«Quantunque il principe di Persia avesse ricuperato l’uso dei sensi, rimase nondimeno in tanta debolezza, che non poteva aprir bocca per parlare. Non rispondeva se non per cenni anche ai suoi parenti che lo interrogavano, e giaceva ancora in quello stato l’indomani mattina, quando il gioielliere s’accommiatò da lui. Non gli rispose il principe se non con un cenno d’occhi, e stesegli la mano; vedendo poi ch’era carico del fagotto d’argenterie restituitegli dai ladri, fe’ segno ad un servo di prenderlo, e portarglielo fino a casa.

«Il gioielliere era stato aspettato dalla sua famiglia con grande impazienza il giorno ch’erane uscito coll’uomo venuto a domandarlo, e cui non conosceva; e non dubitarono non gli fosse accaduta qualche altra faccenda peggiore della prima, allorchè fu passato il tempo in cui doveva essere di ritorno. Sua moglie, i figliuoli, i servitori, tutti stavano in somma angustia, e piangevano ancora quand’egli giunse. Estrema fu la loro gioia rivedendolo; ma si turbarono allo scorgerlo assai cangiato nel poco tempo che non lo avevano veduto. La lunga fatica del giorno precedente e la notte trascorsa in mezzo a continui terrori, e senza dormire, erano la cagione di quel cambiamento, che reso avevalo appena riconoscibile. Ora, siccome sentivasi egli pure estremamente abbattuto, rimase in casa due giorni per rimettersi, non vedendo se non qualcuno de’ suoi più intimi amici, pei quali aveva ordinato di lasciar libero l’ingresso.

«Al terzo giorno, il gioielliere, che sentivasi un po’ rimesso in forze, credette farebbegli bene l’uscire a prender aria. Andò dunque alla bottega d’un mercadante suo amico, col quale conversò a lungo; mentre alzavasi per pigliar congedo da lui e ritirarsi, vide una donna che gli faceva segno, e tosto la riconobbe per [p. 237 modifica]la confidente di Schemselnihar. Fra la gioia ed il timore che n’ebbe, se ne andò più veloce, senza guardarla; essa il seguì, come se lo era già immaginato, poichè il luogo in cui trovavasi, non gli parve opportuno per intertenersi con lei. Camminava alquanto sollecito, e la confidente, che non poteva tenergli dietro del medesimo passo, gli gridava di quando in quando d’aspettarla. Ben la intendeva egli, ma dopo ciò ch’eragli accaduto, non arrischiavasi di parlarle in pubblico, per tema di far sospettare che avesse relazione con Schemselnihar. In fatti, sapevasi in Bagdad che la schiava apparteneva a quella favorita, e che ne faceva tutte le provviste. Continuando adunque del medesimo passo, giunse ad una moschea poco frequentata, e dove sapeva non trovarsi alcuno; essa entrò dietro a lui, ed ebbero tutta la libertà di discorrere senza testimoni.

«Il gioielliere e la confidente di Schemselnihar attestaronsi reciprocamente il loro giubilo al rivedersi dopo la strana avventura cagionata dai ladroni, ed il timor loro l’un per l’altra, senza parlare di quello che riguardava le proprie persone.

«Il gioielliere voleva che la confidente cominciasse dal raccontargli in qual modo fosse fuggita colle due schiave, e che le desse quindi notizie di Schemselnihar dal tempo che non l’aveva veduta. Ma la confidente dimostrò tale smania di sapere prima ciò ch’era a lui accaduto dopo la loro impreveduta separazione, ch’egli fu costretto a soddisfarla. — Ecco,» le disse terminando, «quanto desideravate sapere; ora, ve ne prego, ditemi voi pure quello che vi ho già richiesto.

«— Quando vidi comparire i ladroni,» disse la confidente, «m’immaginai, senza esaminarli bene, che fossero soldati della guardia del califfo; che il califfo fosse stato informato dell’uscita di Schemselnihar, e li avesse mandati per tor la vita a lei, [p. 238 modifica]al principe di Persia ed a noi tutti. Preoccupata da tal pensiero, salii subito sulla terrazza in cima della vostra casa, mentre i malandrini entrarono nella stanza, nella quale trovavansi il principe di Persia Schemselnihar. Le due schiave della favorita furono pronte a seguirmi, e di terrazza in terrazza arrivammo fino a quella d’una casa di oneste persone, le quali ci accolsero con molta cortesia, e presso cui passammo la notte. La mattina seguente, ringraziato il padrone di casa del favore accordatoci, tornammo al palazzo di Schemselnihar, entrandovi in gran disordine, e tanto più afflitta, in quanto che non sapevamo il destino de’ nostri due sfortunati amanti. Le altre donne di Schemselnihar stupirono al vederci tornare senza di lei, e noi dicemmo loro, come eravamo convenute, essere la nostra padrona rimasta, da una dama sua amica, d’onde doveva mandarci a chiamare per andarla a riprendere quando le piacesse di far ritorno; della quale scusa si accontentarono. Passai nondimeno il giorno in gravissima inquietudine, e, venuta la notte, apersi la porta di dietro, e vidi un piccol battello sul canale deviato dal fiume che vi mette capo. Chiamai il navicellaio, e lo pregai d’andare su le giù pel fiume, osservando se vedesse una signora, e, se la incontrasse, di condurla. Aspettai il suo ritorno colle due schiave che stavano inquieta al par di me, ed era già quasi mezza notte, quando il medesimo battello giunse con dentro due uomini ed una donna seduta a poppa. Quando il navicello ebbe approdato, que’ due uomini aiutarono la donna ad alzarsi ed a scendere, ed io la riconobbi per Schemselnihar, con una gioia al rivederla e perchè si fosse trovata, cui non so abbastanza esprimere...»

Scheherazade finì qui il suo discorso per quella notte, e la seguente riprese la novella, dicendo al sultano dell’Indie:

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NOTTE CCVII


— Sire, lasciamo ieri la confidente di Schemselnihar nella moschea, ove faceva al gioielliere il racconto di quanto erale accaduto dacchè non si avevano veduto, e le circostanze del ritorno della sua padrona al palazzo. Proseguì essa così:

«Diedi,» disse, «la mano alla mia padrona per aiutarla a metter piede terra, ed aveva ella gran bisogno di quel soccorso, non potendosi quasi più sostenere. Appena sbarcata, mi disse all’orecchio, con accento che palesava la sua afflizione, di andar a prendere una borsa di mille pezze d’oro, e darla ai due soldati che l’avevano accompagnata. La misi fra le braccia delle due schiave acciò la reggessero; e detto alle guardie di aspettarmi un momento, corsi a prendere la borsa, e tornando di volo, la diedi ai due soldati, pagai il barcaiuolo, e chiusi la porta. Raggiunsi poi Schemselnihar, la quale non era ancor arrivata alla sua stanza; non perdemmo tempo a spogliarla e metterla a letto, dove appena fu, parve volesse esalar l’anima per tutto il resto della notte. Il giorno appresso, le altre sue donne dimostrarono molta premura di vederla; ma io dissi loro che, essendo tornata estremamente stanca, aveva bisogno di riposo per rimettersi. Le prodigammo frattanto, le altre due donne ed io, tutti gl’immaginabili soccorsi che attender poteva dal nostro zelo. Si ostinò sulle prime a non voler prender nulla, ed avremmo disperato della sua vita, se non ci fossimo accorte che il vino cui le facevamo bere di tanto in tanto, la rimetteva in forza. A furia di preghiere, vincemmo alfine la sua ostinazione, e la obbligammo a mangiare. Quando [p. 240 modifica]vidi ch’era in istato di parlare (non avendo fin allora fatto che piangere, gemere e sospirare), le domandai in grazia di volermi dire per qual ventura scampata fosse dalle mani dei ladri. — Perchè esigete da me,» mi disse con un profondo sospiro, «che rinnovi sì grave soggetto di dolore? Volesse Iddio che i malandrini, invece di conservarmela, mi avessero tolta la vita! così sarebbero finiti i miei tormenti, e più non vivrei per vie maggiormente soffrire! — Signora,» ripigliai, «vi supplico di non rigettare le mie istanze. Non ignorate essere una specie di consolazione per gl’infelici il raccontare le loro più dolorose disgrazie: Quello che vi domando vi recherà sollievo, se avete la bontà di accordarmelo.

«— Ascoltate,» essa mi disse allora, «la cosa più desolante che accader possa ad una persona appassionata quant’io le sono, e che credeva di non aver più nulla a desiderare. Quando vidi entrar i malandrini colla sciabola ed il pugnale in mano, credetti esser giunta all’ultimo giorno della nostra vita, il principe di Persia ed io, nè dolevami della morte, nel pensiero che doveva con lui morire. Invece di gettarsi su noi per trapassarci il cuore, come me lo aspettava, udii comandare a due di custodirci, e gli altri frattanto fecero fagotto di tutto ciò che trovavasi nella stanza e nelle camere vicine. Quand’ebbero finito, recatisi in ispalla i fardelli, uscirono, e ci condussero con loro.

«Per istrada, uno di quelli che ci accompagnavano mi domandò chi fossi, ed io gli dissi di essere una ballerina. Fece la medesima domanda al principe, il quale rispose ch’era un popolano.

«Giunti a casa loro, ebbimo nuovi motivi di spavento, chè mi circondarono tutti, e dopo aver considerato il mio abito ed i ricchi gioielli, dei quali andava adorna, cominciarono a dubitare ch’io avessi mascherata la verità. — Una ballerina non è fatta come voi,» mi dissero; «palesateci chi veramente siete. —

[p. 241 modifica]«Siccome vedevano ch’io non rispondeva nulla: — E voi,» chiesero al principe di Persia, «chi siete voi pure? Ben vediamo che nemmen voi siete un semplice popolano, come diceste.» Ma egli non li soddisfece più di me intorno a quello che desideravano di sapere, e solo disse d’esser venuto a trovare il gioielliere, cui nominò, per istar allegro con esso lui, e che la casa, nella quale ci avevano trovati, gli apparteneva.

«— Conosco il gioielliere,» disse tosto uno dei malandrini, che sembrava esercitar autorità sugli altri; «gli devo qualche obbligazione ch’egli ignora, e so che ha un’altra casa; m’incarico dunque di farlo venir qui domani. Non vi porremo in libertà,» soggiunse, «finchè non sappiamo chi siate: ma frattanto non vi sarà fatto alcun male. —

«L’indomani il gioielliere fu condotto; e quello zelante nostro amico, credendo di farci del bene, come in fatti ce lo fece, dichiarò ai ladri chi veramente eravamo; allora vennero coloro a chiedermi scusa, e credo che in egual maniera si contenessero col principe di Persia, il quale stava in un altro luogo, protestando che non avrebbero assalito la casa nella quale ci trovarono, se avessero saputo che apparteneva al gioielliere. Presici dunque subito, il principe di Persia, il gioielliere ed io ci condussero fino alla sponda del fiume; quivi ne fecero entrare in un battello che ci traghettò da questa parte; ma, appena sbarcati, vedemmo accorrere un drappello di guardie a cavallo.

«Presi il comandante in disparte, palesai il mio nome, e gli dissi, che la sera precedente, tornando dalla casa d’un’amica, i ladri, che allora ripassavano all’altra sponda, mi avevano fermata e condotta a casa loro; che m’era ad essi nominata, e che, lasciandomi in libertà, avevano fatta la medesima grazia, [p. 242 modifica]a mio riguardo, anche alle altre due persone che vedeva, quando li ebbi assicurati ch’erano di mia conoscenza. Discese egli tosto da cavallo per farmi onore; e dopo avermi esternato il proprio giubilo al potermi servire in qualche cosa, fece venire due battelli, e mi fe’ imbarcare su uno di essi coi due soldati che vedeste, ed i quali mi hanno scortata fin qui. Circa al principe di Persia ed al gioielliere, li rimandò nell’altro, anch’essi con due de’ suoi uomini per accompagnarli, e condurli in sicurezza alle case loro.

«Confido,» soggiunse terminando e struggendosi in lagrime, «che lor non sarà accaduto alcun sinistro dopo la nostra separazione, e non dubito che il dolore del principe non sia eguale al mio. Il gioielliere che ci ha con tanto affetto serviti, merita di essere compensato delle perdite sofferte per amor nostro. Non mancate pertanto di prendere domattina due borse, ciascuna di mille pezze d’oro, portargliele da parte mia, e domandargli notizie del principe.»

«Quando la mia buona padrona ebbe finito, procurai, secondo l’ultimo ordine da lei ricevuto, d’informarmi del principe di Persia, ed intanto cercai persuaderla a fare ogni sforzo per vincere sè medesima, dopo il grave pericolo incorso, ed al quale aveva sfuggito sol per miracolo. — Non replicate,» mi disse, «e fate ciò che vi comando. —

«Fui costretta a tacere, e mi accinsi ad obbedirla; sono stata a casa vostra, ove non vi ho trovato; e nell’incertezza di rinvenirvi nel luogo in cui mi venne detto che potevate essere, fui sul punto di recarmi dal principe di Persia, ma non osai farlo. Ho lasciato, nel passare, le due borse in casa d’una persona di mia conoscenza; aspettatemi qui un momento; non istarò molto a portarvele...»

Scheherazade, avvedendosi che il giorno compariva, [p. 243 modifica]tacque dopo queste parole. La notte seguente continuò poi la medesima novella, e disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCVIII


— Sire, la confidente tornò a raggiungere il gioielliere nella moschea, in cui lo aveva lasciato; e consegnandogli le due borse: — Prendete,» gli disse, «e soddisfate i vostri amici. — Ce n’è,» rispose il gioielliere, «molto al di là del necessario; ma non ardisco ricusare la grazia che una buona e generosa dama vuol fare al suo umilissimo servo. Vi prego di assicurarla che serberò eterna memoria delle sue bontà.» Convenne poi colla confidente ch’essa verrebbe a trovarlo nella casa in cui avevalo veduto la prima volta, quando avesse qualche cosa da comunicargli per parte di Schemselnihar, e per sapere notizie del principe di Persia; indi si separarono.

«Tornò il gioielliere a casa contentissimo, non solo per possedere di che soddisfare pienamente i suoi amici, ma perchè eziandio vedeva non esservi nessuno in Bagdad, il quale sapesse che il principe di Persia e Schemselnihar si fossero trovati nell’altra sua casa quando quella venne spogliata. È vero che aveva palesata la cosa ai malandrini; ma confidava nella loro segretezza. D’altronde, non avevano essi relazioni bastanti nella città per non temere alcun danno per sè, quando pur l’avessero divulgata. Il giorno, dopo adunque, cercati subito gli amici che lo avevano favorito, non istentò molto a contentarli, avanzandogli anche denaro abbastanza per ammobigliare decentemente la casa derubata, in cui mise vari servi per abitarla. Per tal modo dimenticò il pericolo cui era sfuggito, e verso sera si recò dal principe di Persia. [p. 244 modifica]«Gli ufficiali del principe, ricevendolo, gli dissero che arrivava molto a proposito; che il principe, dacchè non lo aveva veduto, era in uno stato che dava motivo di temere della sua vita, e che non si poteva ricavarne una sola parola. Lo introdussero quindi, senza far rumore, nella di lui camera, ove lo trovò caricato nel letto, cogli occhi chiusi, ed in una condizione che lo mosse a pietà. Lo salutò toccandogli la mano, ed esortollo a farsi coraggio.

«Il principe di Persia conobbe essere il gioielliere che gli parlava, ed aperti gli occhi, lo guardò in modo da fargli comprendere la grandezza della sua afflizione, infinitamente maggiore di quella provata la prima volta che aveva veduto Schemselnihar. Gli prese e strinse la mano per indicargli la sua amicizia, e gli disse, con fievole accento, di essergli ben grato della pena che si dava venendo a trovare un uomo sì infelice ed afflitto com’egli era.

«— Principe,» rispose il gioielliere, «non parliamo, vi supplico, delle obbligazioni che potreste avermi; vorrei che i buoni uffici, cui ho procurato di rendervi, avessero avuto miglior esito. Parliamo piuttosto della vostra salute; nello stato in cui vi veggo, temo non vi lasciate abbattere da voi stesso, e non prendiate il necessario cibo per sostentare la vita. —

«I servi, che trovavansi intorno al principe loro padrone, colsero quell’occasione per dir al gioielliere che avevano immensa difficoltà a fargli prendere qualche cosa, e non volersi egli aiutare, essendo già molto tempo che non aveva preso nulla. Ciò indusse il gioielliere a supplicare il principe di permettere che la sua gente gli recasse qualche cibo, e di prenderne, e dopo grandi istanze, l’ottenne.

«Quando il principe di Persia ebbe, a persuasione del gioielliere, mangiato ben più che non avesse ancor fatto, comandò a suoi di lasciarlo solo con lui, [p. 245 modifica]ed usciti che furono: — Oltre il male che mi opprime,» gli disse, «sento estremo dolore della perdita da voi sofferta per amor mio; è giusto che pensi a compensarvi; ma prima, e sono a chiedervene mille volte perdono, vi prego di dirmi se abbiate nulla saputo di Schemselnihar, da quando fui costretto a separarmi da lei. —

«Già istruito il gioielliere dalla confidente, gli raccontò tutto ciò che sapeva dell’arrivo di Schemselnihar al suo palazzo, dello stato in cui erasi trovata da quel tempo fino al momento che, sentendosi meglio; mandò da lui la confidente per informarsi di sue notizie. Non rispose il principe di Persia al discorso del gioielliere se non con sospiri e con lagrime; poi, malgrado la sua debolezza, fece uno sforzo per alzarsi, domandò alcuni de’ suoi, e con essi andò in persona alla sua guardaroba, cui si fece aprire, ordinando che, fatti parecchi fardelli di ricchi mobili ed argenterie, si portassero quindi a casa del gioielliere.

«Volle questi esimersi dall’accettare il presente del principe di Persia; ma benchè gli rappresentasse che Schemselnihar avevagli già mandato più del bisognevole per rimettere ciò che i suoi amici avevano perduto, esso volle non ostante essere obbedito; il gioielliere fu quindi obbligato ad attestargli la propria gratitudine per la di lui liberalità, assicurandolo di non saperlo abbastanza ringraziare. E volea pigliar congedo; ma il principe lo pregò di fermarsi, e conversarono insieme buona parte della notte.

«La mattina seguente entrò il gioielliere di nuovo dal principe prima di andarsene, e questi, fattoselo sedere accanto, gli disse: — Voi sapete che in tutte le cose si ha uno scopo; lo scopo d’un amante è quello di possedere senza ostacoli l’oggetto vagheggiato; se perde una volta questa speranza, è certo che non deve più pensar a vivere. Comprenderete che [p. 246 modifica]tale è la condizione nella quale mi trovo. In fatti, mentre per due volte mi credo al colmo de’ miei desiderii, allora appunto vengo dal mio tristo destino strappato nella più crudel maniera dal fianco di colei che amo. Dopo ciò, più non mi resta che pensare alla morte: me la sarei già data, se la nostra religione non mi vietasse d’essere omicida di me medesimo; ma non v’ha bisogno che la prevenga: ben sento che non dovrò attenderla a lungo.» Ciò detto tacque, prorompendo in gemiti, sospiri, singhiozzi e lagrime, che lasciò scorrere in abbondanza.

«Il gioielliere, il quale non conosceva altro mezzo di distoglierlo da quel disperato pensiero fuorchè rimettendogli Schemselnihar nella memoria, e dargli così qualche ombra di speranza, gli disse temere non fosse già venuta la confidente, per cui stimava opportuno di non perder tempo a tornare a casa. — Vi lascio andare,» rispose il principe; «ma se la vedete, vi prego di raccomandarle bene d’assicurare Schemselnihar, che se debbo morire, come già me l’aspetto, io l’amerò fino all’ultimo sospiro, e fin nella tomba. —

«Tornò il gioielliere a casa, e vi rimase nella speranza di vedere la confidente, la quale giunse in fatti alcune ore dopo, ma tutta in lagrime ed in grandissimo scompiglio. Atterrito a quella vista il gioielliere, si affrettò ansiosamente a chiederle cosa avesse.

«— Schemselnihar, il principe di Persia, voi ed io,» ripigliò la confidente, «siamo tutti perduti. Udite la triste notizia che seppi ieri, tornando al palazzo dopo avervi lasciato. Schemselnihar aveva fatto castigare, per non so qual fallo, una delle due schiave che vedeste con lei il giorno del convegno nell’altra vostra casa. La schiava, offesa di quella punizione, trovata aperta la porta del palazzo, uscì, e non dubitiamo che non abbia manifestata ogni cosa ad un [p. 247 modifica]eunuco della nostra guardia, che le diede ricovero. Nè qui è tutto: l’altra schiava sua compagna è fuggita anch’essa, rifugiandosi al palazzo del califfo, al quale abbiam ogni motivo di credere che abbia svelato l’intrigo. Ed eccone la ragione: il califfo ha oggi mandato a prendere Schemselnihar da una ventina d’eunuchi, che l’hanno condotta al di lui palazzo. Io trovai il mezzo di evadermi per venirvi ad avvisare. Non so cosa sarà nato, ma ne auguro poco di buono. Checchè ne sia, vi scongiuro di conservar bene il segreto....»

L’aurora, cominciando a tingere de’ vividi, suoi colori le finestre dell’appartamento, impose silenzio alla sultana, la quale continuò il racconto la notte seguente in questi sensi:


NOTTE CCIX


— Sire, la confidente aggiunse a ciò che aveva già detto al gioielliere, esser bene ch’egli andasse, senza perder tempo, a trovare il principe di Persia, per avvertirlo dell’accaduto, affinchè si tenesse pronto ad ogni evento, conservandosi fedele alla causa comune. Non gli disse di più, e partì velocemente senza aspettar risposta.

«Ma che cosa avrebbe potuto rispondere il gioielliere nello stato in cui si trovava? Rimase immobile, e come stordito dal colpo. Pur vedendo che il pericolo incalzava, si scosse alfine, e corso tosto dal principe, entrò nella sua camera con un’aria da cui già traspariva la cattiva nuova che veniva ad annunziargli. — Principe,» gli disse, «armatevi di pazienza, di costanza e di coraggio, e preparatevi alla più terribile sventura che siavi mai accaduta in vita vostra. [p. 248 modifica]«— Spicciatevi a dirmelo,» rispose il principe, «e non mi fate languire; son pronto a morire, se n’è d’ uopo. —

«Il gioielliere gli raccontò allora quanto aveva saputo dalla confidente. — Voi ben vedete,» continuò egli, «che la vostra perdita è sicura. Alzatevi dunque, e fuggite prontamente: il tempo è prezioso. Non dovete esporvi alla collera del califfo; e meno ancora a nulla confessare in mezzo ai tormenti. —

«Poco mancò che il principe, in quel momento, non spirasse di dolore, d’angoscia e di spavento. Messosi a meditare, domandò quindi al gioielliere qual risoluzione gli consigliasse di prendere in una congiuntura in cui non eravi istante da non doverne approfittare. — Non c’è altro,» rispose il gioielliere, «fuorchè montare al più presto a cavallo, e prendere la strada di Anbar (1), onde arrivarvi domani prima di giorno. Prendete de’ vostri chi crederete meglio, con buoni cavalli, e permettete ch’io mi metta in salvo con voi. —

«Il principe di Persia, che non vide partito migliore, si accinse a fare i preparativi meno imbarazzanti, prese denaro e gioie, e congedatosi dalla genitrice, partì allontanandosi in tutta fretta da Bagdad col gioielliere e coi domestici da lui scelti.

«Camminarono il resto del giorno e tutta la notte senza mai fermarsi, fino a due o tre ore prima dell’alba; allora, stanchi di sì lungo viaggio, e non potendone più i cavalli, smontarono per riposare.

«Non avevano appena avuto il tempo di respirare, quando si videro d’improvviso assaliti da una grossa banda d’assassini. Si difesero qualche tempo con coraggio; ma la gente del principe rimase uccisa, [p. 249 modifica]costringendolo così a deporre le armi col gioielliere, ed arrendersi a discrezione. I ladri concessero loro la vita; ma dopo essersi impossessati dei cavalli e del bagaglio, li spogliarono, ed andandosene col bottino, li abbandonarono nel medesimo luogo.

«Quando i ladroni furono lontani: — Or bene,» disse il principe desolato al gioielliere, «che dite voi della nostra avventura e dello stato, in cui siamo ridotti? Non sarebbe stato meglio che fossi rimasto a Bagdad, aspettandovi la morte, in qualunque modo avessi dovuto riceverla?

«— Principe,» rispose il gioielliere, «è questo un decreto della volontà di Dio, cui piace provarci con afflizioni, d’ogni sorta. Noi dobbiamo non mormorarne, e ricevere dalla sua mano queste disgrazie con tutta sommissione. Non fermiamoci qui più oltre, e cerchiamo qualche rifugio, ove si voglia soccorrerci nel nostro infortunio.

«— Lasciatemi morire,» gli disse il principe di Persia; «non importa ch’io muoia qui od altrove. Forse nel momento in cui parliamo, Schemselnihar non è più, e dopo di lei io non debbo più cercar di vivere.» Il gioielliere, a forza di preghiere, giunse in fine a persuaderlo. Camminarono buona pezza, e trovata una moschea aperta, vi entrarono, e passaronvi il resto della notte.

«Allo spuntar del giorno, un uomo solo giunse in quella moschea, il quale vi fece la sua preghiera, e finita che l’ebbe, scorgendo, nel volgersi, il principe di Persia ed il gioielliere seduti in un canto, si mosse alla loro volta, salutandoli con molta cortesia. — Da quanto posso arguire,» disse loro, «mi sembrate stranieri. —

«Prese il gioielliere la parola, e: — Non v’ingannate,» rispose; «siamo stati questa notte derubati, venendo da Bagdad, come potete avvedervene dallo [p. 250 modifica]stato in cui siamo, ed abbiamo bisogno di soccorso; ma non sappiamo a chi rivolgerci. — Se volete prendervi l’incomodo di venire a casa mia,» ripigliò quell’uomo, «vi darò volentieri tutta la possibile assistenza. —

«A quel grazioso invito, si volse il gioielliere al principe di Persia, e gli disse all’orecchio: — Quest’uomo, o principe, come ben vedete, non vi conosce, e dobbiam temere che non giunga qualcun altro, il quale vi riconosca. Non è dunque, mi sembra, da rifiutarsi la grazia che ci vuol fare. — Voi siete il padrone,» rispose il giovane, «ed io acconsento a tutto ciò che vi piacerà. —

«L’uomo, il quale vide che il gioielliere ed il principe di Persia si consultavano fra loro, immaginando che facessero difficoltà ad accettare la sua proposta, domandò qual fosse la loro risoluzione. — Eccoci pronti a seguirvi,» rispose il gioielliere; «ciò che però ne fa maggior pena si è il vederci ignudi, per cui ci vergogniamo di comparire in questo stato! — —

«Per buona fortuna, quell’uomo potè dar loro il bisognevole per coprirsi finchè li ebbe condotti a casa sua, ove appena giunti, ei fece portar loro un abito per ciascuno; e non dubitando non avessero eziandio grande necessità di mangiare, e che avrebbero desiderato di restar soli, fece pur recare parecchie vivande da una schiava. Ma essi non mangiarono quasi nulla, specialmente il principe di Persia, il quale giaceva in un languore ed in un abbattimento tale, che fecero temere assai al compagno per la sua vita.

«Li visitò il loro ospite parecchie volte nel corso del giorno, e sulla sera, sapendo che avevano d’uopo di riposo, li lasciò di buon’ora. Ma il gioielliere fu costretto in breve a chiamarlo, onde assistere alla morte del principe. Avveduto si era che il misero [p. 251 modifica]giovane aveva la respirazione forte ed affannosa; e da ciò comprese che non gli restavano se non pochi momenti di esistenza. Se gli avvicinò, ed il principe gli disse: — È finita, come vedete, e sono ben contento di avervi a testimonio dell’ultimo sospiro della mia vita. La perdo con soddisfazione, e non ve ne dico la ragione; a voi è nota. Tutto il mio dispiacere è di non poter morire tra le braccia della mia cara madre, che m’ha sempre teneramente amato, e per la quale ebbi sempre il dovuto rispetto. Qual dolore sarà il suo per non aver avuta la trista consolazione di chiudermi gli occhi e seppellirmi colle proprie sue mani! Vi supplico di attestargliene l’angoscia che ne soffro; e pregatela da parte mia a far trasportare il mio cadavere a Bagdad, affinchè bagni la mia tomba colle sue lagrime, e m’assista colle sue preghiere.» Non dimenticò l’ospite, e lo ringraziò della di lui generosa accoglienza; avendogli quindi chiesto in grazia di permettere che il proprio corpo restasse in casa sua in deposito finchè venissero a levarlo, spirò....»

Cessò Scheherazade a questo passo, vedendo comparire il giorno. La notte seguente, ripigliando il racconto, disse al sultano dell’Indie:


NOTTE CCX


— Sire, il giorno dopo la morte del principe, approfittò il gioielliere della congiuntura d’una numerosa carovana che andava a Bagdad, ove si restituì con tutta sicurezza. Non fece che rientrare in casa e cangiar d’abito al suo arrivo, e si recò mosto al palazzo del defunto principe di Persia, dove tutti furono allarmati, non vedendo il giovane con lui. Pregò egli si avvertisse la madre del principe che desiderava [p. 252 modifica]parlarle, e non istettero guari ad introdurlo in una sala, ov'essa trovavasi con alcune delle sue donne. — Signora,» le disse il gioielliere in aria e con accento che ben dimostravano la dolorosa nuova che le recava, «Dio vi conservi e vi colmi delle sue bontà! Non ignorate, che l’Onnipotente dispone di noi come gli aggrada... —

«Non gli diè la dama il tempo di continuare, e sclamò: — Ah! voi mi annunciate la morte di mio figlio!» Gettò nel medesimo tempo altissime strida, le quali, unite a quelle delle donne, rinnovarono le lagrime del gioielliere. Si tormentò ella e si afflisse per molto tempo prima di lasciargli riprendere il filo del suo discorso; ma avendo interrotto finalmente i pianti ed i gemiti, lo pregò a continuare, e nulla nasconderle delle circostanze di sì trista separazione. La soddisfece egli; e quand’ebbe finito, essa gli chiese se il principe suo figliuolo non lo avesse, negli ultimi momenti, incaricato di dirle qualche cosa di particolare. L’assicurò che l’infelice non aveva avuto maggior dolore quanto di morire lontano da lei, e che la sola cosa cui avesse, desiderato era, ch’ella volesse prendersi cura di far trasportare a Bagdad la di lui salma. Il giorno dopo, infatti, di buon mattino, si pose l’afflitta donna in via, accompagnata dalle donne e dalla maggior parte delle schiave.

«Quando il gioielliere, ch’era stato trattenuto dalla madre del principe di Persia, ebbe veduto partire la dama, tornò a casa, tutto dolente e ad occhi bassi, in grande cordoglio, per la morte d’un principe sì compito ed amabile, ed ancora nel fior degli anni.

«Mentre camminava in sè raccolto, ecco presentarsegli una donna e fermarsi, a lui davanti. Alzò gli occhi, e vide ch’era la confidente di Schemselnihar, vestita a lutto e tutta in lagrime. Rinnovò egli a tal vista i suoi pianti senza aprir bocca per parlarle, e continuò a camminare fino a casa, ove la confidente lo seguì ed entrò con lui.

[p. 253 modifica]«Sedettero; ed il gioielliere, pigliando pel primo la parola, domandò alla confidente, con un gran sospiro, se già avesse udita la morte del principe di Persia, e se fosse questi ch’ella piangeva. — Aimè! no,» sclamò quella. «Che! quel principe sì vezzoso è morto? Non ha dunque vissuto a lungo dopo la sua amata Schemselnihar! Anime dilette,» soggiunse, «ovunque vi troviate, dovete essere ben contente di potervi omai amare senza ostacoli. I vostri corpi erano un impedimento ai desiderii vostri, ed il cielo ve ne ha liberato per unirvi in eterno! —

«Il gioielliere, che nulla sapeva della morte di Schemselnihar, e che non erasi ancora avviato come la confidente che gli parlava fosse vestita a gramaglia, sentì nuovo dolore udendo quella notizia. — È morta Schemselnihar!» sclamò egli. — È morta,» ripigliò la confidente, piangendo di nuovo, «ed è per lei che porto il lutto. Le circostanze della sua morte sono singolari, e meritano di esservi narrate; ma prima di esporvene il racconto, vi prego di parteciparmi quelle della morte del principe di Persia, che piangerò per tutto il tempo della mia vita, unitamente a Schemselnihar, la mia cara e rispettabile padrona. —

«Il gioielliere diede alla confidente la soddisfazione che bramava; e dopo che ebbele raccontato ogni cosa, fino alla partenza della madre del principe, che recavasi allora appunto in persona, per farne trasportare a Bagdad il cadavere: — Non avrete dimenticato,» gli diss’ella, «avervi io detto che il califfo aveva fatto condurre la mia padrona al proprio palazzo; era vero, come ne avevamo già fatta la supposizione, che il califfo era stato informato degli amori di Schemselnihar e del principe di Persia, dalle due schiave da lui separatamente interrogate. V’immaginerete ch’egli montasse sulle furie contro la favorita, ed [p. 254 modifica]esternasse grandi dimostrazioni di gelosia e di futura vendetta contro il principe di Persia. Niente affatto: non pensò menomamente al principe. Si dolse soltanto di Schemselnihar, ed è a credersi ch’egli attribuisse a sè medesimo quello ch’era accaduto, per il permesso accordatole di girare liberamente per la città senza essere accompagnata dagli eunuchi. Non si può congetturare diversamente, dalla maniera al tutto straordinaria con cui la trattò, come or ora udrete.

«La ricevette il califfo con viso aperto, e quando ebbe notata la mestizia ond’era oppressa, che nondimeno nulla scemava alla sua bellezza (poichè gli comparve davanti senza verun indizio di sorpresa o di timore): — Schemselnihar,» le disse con una bontà degna di lui, «non so tollerare mi veniate davanti con un’aria che infinitamente m’accora. Sapete con quanta passione v’ho sempre amata: dovete esserne persuaso per tutti i segni che mai sempre ve ne diedi. Io non cambio, e vi amo più che mai. Voi avete molti nemici, e questi mi fecero sfavorevoli rapporti sulla vostra condotta; ma tutto quello che hanno potuto dirmi, non produsse in me la minima impressione. Lasciate dunque questa malinconia, e disponetevi a trattenermi questa sera con qualche cosa di grato e piacevole secondo il vostro solito.» Le disse varie altre cortesissime cose, e la fece entrare in un magnifico appartamento vicino al suo, in cui la pregò di aspettarlo.

«L’afflitta Schemselnihar fu sensibilissima a tanti attestati di considerazione per la sua persona; ma più conosceva quanto ne fosse obbligata al califfo, e più sentivasi penetrata dal vivo dolore d’essere disgiunta forse per sempre dal principe di Persia, senza del quale non poteva più vivere.

«Questo colloquio del califfo e di Schemselnihar,» continuò la confidente, «ebbe luogo nel tempo che [p. 255 modifica]io venni a parlarvi; e ne seppi i particolari delle mie compagne ch’erano presenti. Ma quando v’ebbi lasciato, andai a raggiungere Schemselnihar, e fui testimonio di ciò che accadde la sera. La trovai nell’appartamento che ho detto; e siccome essa non dubitava che io venissi di casa vostra, mi fece avvicinare, e senza che alcuno la udisse: — Vi sono gratissima,» così mi parlò, «del servigio che mi fareste; sento però che sarà l’ultimo.» Non mi disse di più; ned io era in luogo da poterle dare qualche conforto.

«Entrò alla sera il califfo al suono degli strumenti delle donne di Schemselnihar, e tosto fu servita la cena. Il califfo prese la mia padrona per mano, e la fece sedere presso di lui sul sofà; ma ella si fece tanta violenza per compiacergli, che la vedemmo spirare pochi momenti dopo. In fatti, appena seduta, cadde all’indietro. Credette il califfo fosse un semplice svenimento, e noi tutte ebbimo il medesimo pensiero; ci affrettammo a soccorreria, ma più non rinvenire, ed ecco in qual guisa la perdemmo.

«Il califfo la onorò delle sue lagrime, cui non seppe frenare, e prima di ritirarsi alle proprie stanze, ordinò di spezzare tutti gli stromenti; il che fu tosto eseguito. Io rimasi tutta la notte vicino al cadavere, e lo lavai io medesima, bagnandolo colle mie lagrime; la mattina dopo fu seppellita, per ordine del califfo, in una magnifica tomba, che le aveva fatto erigere nel luogo da lei stessa prescelto. — Poichè voi dite,» soggiunse quindi, «che si deve portare la salma del principe di Persia a Bagdad, son risoluto di fare in modo che venga collocato nel medesimo sepolcro. —

«Stupì il gioielliere di quella risoluzione della confidente. — Non ci pensate neppure,» ripigliò egli; «il califfo non lo permetterà mai. — Voi lo credete [p. 256 modifica]impossibile,» tornò a dire la confidente, è ma così non è; e ne converrete voi stesso, quando vi avrò detto che il califfo diede la libertà a tutte le schiave di Schemselnihar, con una pensione a ciascheduna, sufficente alla loro sussistenza, incaricando me della cura e della custodia del suo sepolcro; con una buona rendita per conservarlo; e per la mia sussistenza particolare. D’altronde, il califfo, il quale non ignora gli amori del principe di Persia e di Schemselnihar, come già vi dissi, e che non se n’è scandalizzato, non se lo avrà ad offesa.» Il gioielliere non ebbe più nulla da dire; e pregò la confidente di condurlo alla tomba per farvi la sua preghiera. Grande fu la sua meraviglia nel giungervi, quando vide la folla di gente d’ambo i sessi che vi accorrevano da tutte le parti della città: — Non trovo più impossibile,» disse, raggiungendola, alla confidente, «di eseguire ciò che avete sì ben immaginato. Non abbiamo se non a pubblicare, voi ed io, quello che sappiamo sugli amori dell’uno e dell’altra; e specialmente sulla morte del principe di Persia, accaduta quasi nel medesimo tempo. Prima che arrivi il suo corpo, tutta Bagdad concorrerà a domandare che non sia separato da quello di Schemselnihar.» La cosa riuscì, ed il giorno, in cui si seppe che doveva arrivare la salma dell’infelice giovane, un’infinità di popolo le andò incontro per più di venti miglia.

«La confidente stava aspettando alla porta della città, ove si presentò alla madre del principe, per supplicarla, in nome di tutta la popolazione, che ardentemente lo desiderava, di voler permettere che i due amanti, i quali, dal momento ch’eransi cominciati ad amare, non avevano avuto che un sol cuore fino alla morte, avessero una sola e medesima tomba. Acconsentì essa, ed il cadavere fu portato al sepolcro di Schemselnihar, seguito da una moltitudine innumerevole di tutte le [p. 257 modifica]condizioni, e deposto accanto a quella. Da quel tempo tutti gli abitanti di Bagdad e gli stranieri eziandio di tutte le parti del mondo ove siano musulmani, non hanno cessato di tenere in grande venerazione quella tomba, e d’andarvi a fare le loro preghiere.

— Ecco, o sire,» disse qui Scheherazade, la quale nel medesimo tempo si accorse essere già giorno, «quanto io aveva a raccontare a vostra maestà degli amori della bella Schemselnìhar, favorita del califfo Aaron-al-Raschìd, coll’amabile Alì Ebn Becar, principe di Persia.»

Quando Dìnarzade si avvide che la sultana sua sorella cessava di parlare, le diresse vivi ringraziamenti, pel piacere arrecatole col racconto d’una storia sì interessante. — Se il sultano vuol soffrirmi ancora fino a domani,» ripigliò Scheherazade, «ti narrerò quella del principe Camaralzaman (2), che troverai molto più dilettevole.» Tacque ciò detto; ed il sultano, che non seppe ancora risolversi a farla morire, acconsentì ad ascoltarla la notte seguente.


NOTTE CCXI


Il dì dopo, prima dell’alba, appena la sultana Scheherazade fu risvegliata per cura di Dinarzade sua sorella, raccontò al sultano delle Indie la storia di Camaralzaman, come aveva promesso, cominciando di tal guisa:


Note

  1. Era Anbar una città sul Tigri, venti leghe al di sotto di Bagdad.
  2. Vale a dire, in arabo, la luna del tempo o la luna del secolo.