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NOTTE CCIV


— Mentre Schemselnihar allettava il principe di Persia, esprimendogli la sua passione con parole che componeva all’improvviso, si udì un gran rumore, e tosto uno schiavo, che il gioielliere aveva condotto seco, comparve tutto spaventato, dicendo che si sforzava la porta; e che avendo domandato chi fosse, invece di rispondere, eransi raddoppiati i colpi. Atterrito il gioielliere, lasciò Schemselnihar ed il principe per andar in persona a verificare la terribil notizia. Era già nel cortile, quando travide nell’oscurità una turba d’uomini armati di scuri e di sciabole, che, scassinata la porta, venivano direttamente alla sua volta. Si gettò egli al più presto contro un muro; e senza esserne veduto, li vide passare in numero di dieci.

«Siccome non poteva essere di molto aiuto al principe di Persia ed a Schemselnihar, sì contento di compiangerli fra sè, e s’appigliò al partito di darsi alla fuga. Uscì dunque dalla casa, ed andò a rifuggirsi in quella d’un vicino, il quale non era ancora andato a letto, non dubitando che quella violenza impreveduta non si facesse per ordine del califfo, avvertito senza dubbio dell’abboccamento, della sua favorita col principe di Persia. Dalla casa, nella quale erasi salvato, udiva il gran fracasso che faceva nella sua; e quel fracasso durò fino a mezzanotte. Allora, parendogli che tutto fosse tranquillo, pregò il vicino di prestargli una scimitarra; e munito di quell’arme, uscì, inoltrossi fino alla porta della casa, ed entrò nella corte, dove con terrore scorse un uomo, il quale gli chiese chi fosse. Riconobbe alla voce il