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«Ricevettero que’ dieci uomini il gioielliere senza fargli molti complimenti: gli dissero di sedere, ed egli tosto obbedì, sentendone gran bisogno, poichè non solo non aveva più fiato per aver camminato tanto tempo, ma lo spavento, ond’era còlto al vedersi con persone si atte a cagionargliene, non gli avrebbe permesso di stare in piedi. Siccome quelli aspettavano, per cenare, il loro capo, così appena fu giunto, si portarono i cibi. Lavatisi le mani, obbligarono il gioielliere a fare lo stesso, e porsi a mensa con loro. Dopo il pasto, domandarongli quegli uomini se sapesse con chi parlava. Rispose di no, ed anzi ignorare il quartiere ed il luogo nel quale trovavasi. — Raccontateci la vostra avventura della scorsa notte,» gli dissero allora, «e non ci nascondete nulla.» Il gioielliere, maravigliato di quel discorso, rispose: — Signori miei, forse ne siete già istruiti? — È vero,» replicarono quelli; «il giovane e la dama ch’erano ier sera in casa vostra ce ne hanno parlato; ma lo vogliamo sapere dalla vostra propria bocca.» Non fu d’uopo d’altro per far comprendere al gioielliere che parlava ai malandrini, i quali avevano invasa e saccheggiata la sua casa. — Signori,» sclamò egli, «sono in grand’ansietà per quel giovane e quella dama; potreste darmene notizie?...»

S’interruppe a questo passo Scheherazade per avvertire il sultano dell’Indie che il giorno già compariva. La notte seguente ripigliò essa così il suo discorso:


NOTTE CCV


— Sire,» diss’ella, «alla domanda volta dal gioielliere ai ladri, se non sapessero dargli qualche no-