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suo schiavo. — Come hai fatto,» gli disse, «a sfuggire alle guardie? — Signore,» rispose lo schiavo, «mi sono nascosto in un angolo del cortile, e mi mossi soltanto quando non intesi più romore. Ma non è la guardia che abbia sferzata la casa vostra; sono ladri, che ne’ giorni scorsi ne hanno saccheggiata un’altra in questo quartiere. Non c’è da dubitare che non siano venuti adescati dalla ricchezza delle mobiglie, da voi fatte portar qui, e ch’essi avranno osservata. —

«Trovò il gioielliere assai probabile la congettura dello schiavo; visitò la casa, e vide in fatti che i ladri avevano asportato i mobili della camera, nella quale stavano a colloquio Schemselnihar coll’amante; che ne avevano tolto il vasellame d’oro e d’argento, non lasciandovi in fine la minima cosa. Ne fu desolato. — O cielo,» sclamò, «son perduto senza rimedio! Che cosa diranno i miei amici, e quale scusa porterò loro, quando dirò che i ladri hanno invasa la mia casa, rubando tutto quello ch’essi mi avevano sì generosamente prestato? Non bisognerà che io li indennizzi della perdita loro cagionata? D’altronde, che cosa avvenne mai di Schemselnihar e del principe di Persia? Questo affare farà sì gran chiasso, ch’è impossibile non giunga fino alle orecchie del califfo, il quale verrà così a sapere di questo convegno, ed io rimarrò vittima della sua collera.» Lo schiavo, che gli era affezionatissimo, procurò di consolarlo. — Quanto a Schemselnihar,» gli disse, «probabilmente i ladri si saranno accontentati di spogliarla, e giova credere che siasi ritirata colle schiave nel suo palazzo: il principe di Persia avrà corsa la medesima sorte. Così potete sperare che il califfo ignorerà sempre l’avventura. Riguardo poi alla perdita fatta dai vostri amici, è questa una disgrazia che non avete potuto evitare. Essi ben sanno