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rogare alla notte seguente la continuazione del suo racconto.


NOTTE CCIII


— Sire, Schemselnihar disse quindi varie altre cose obbliganti al gioielliere, e si ritirò nel suo palazzo; il mediatore corse subito a render conto della visita ricevuta al principe di Persia, il quale, vedendolo, gli disse: — Vi aspettava con impazienza. La schiava confidente mi ha portata una lettera della sua padrona, ma questa non m’ha recato gran sollievo. Checchè mi possa far dire l’amabile Schemselnihar, non oso nulla sperare, e la mia pazienza già si trova al colmo. Non so più a qual partito appigliarmi; la partenza di Ebn Thaher mi mette alla disperazione. Egli era il mio appoggio: perdendolo, ho tutto perduto. Finchè stava qui, poteva lusingarmi di qualche speranza, pel libero adito ch’egli aveva presso Schemselnihar. —

«A quelle parole, preferite dal principe con tal vivacità, che non diè tempo al gioielliere di parlare, questi alfine gli disse: — Principe, niuno può pigliar una parte più viva ai vostri affanni di quella che io vi prendo; e se vorrete aver la pazienza di ascoltarmi, vedrete che posso recarvi sollievo.» A tali parole, il principe si acquetò e gli porse orecchio. — Ben veggo,» ripigliò il gioielliere, «che l’unico mezzo di rendervi contento si è di far in modo che possiate parlare con Sehemselnihar in libertà; è questa la soddisfazione che voglio procurarvi, ed alla quale m’accingerò subito domani. Non è mestieri esporvi ad entrare nel palazzo di Schemselnihar: sapete per esperienza ch’è un passo troppo pericoloso. Conosco