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tacque dopo queste parole. La notte seguente continuò poi la medesima novella, e disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCVIII


— Sire, la confidente tornò a raggiungere il gioielliere nella moschea, in cui lo aveva lasciato; e consegnandogli le due borse: — Prendete,» gli disse, «e soddisfate i vostri amici. — Ce n’è,» rispose il gioielliere, «molto al di là del necessario; ma non ardisco ricusare la grazia che una buona e generosa dama vuol fare al suo umilissimo servo. Vi prego di assicurarla che serberò eterna memoria delle sue bontà.» Convenne poi colla confidente ch’essa verrebbe a trovarlo nella casa in cui avevalo veduto la prima volta, quando avesse qualche cosa da comunicargli per parte di Schemselnihar, e per sapere notizie del principe di Persia; indi si separarono.

«Tornò il gioielliere a casa contentissimo, non solo per possedere di che soddisfare pienamente i suoi amici, ma perchè eziandio vedeva non esservi nessuno in Bagdad, il quale sapesse che il principe di Persia e Schemselnihar si fossero trovati nell’altra sua casa quando quella venne spogliata. È vero che aveva palesata la cosa ai malandrini; ma confidava nella loro segretezza. D’altronde, non avevano essi relazioni bastanti nella città per non temere alcun danno per sè, quando pur l’avessero divulgata. Il giorno, dopo adunque, cercati subito gli amici che lo avevano favorito, non istentò molto a contentarli, avanzandogli anche denaro abbastanza per ammobigliare decentemente la casa derubata, in cui mise vari servi per abitarla. Per tal modo dimenticò il pericolo cui era sfuggito, e verso sera si recò dal principe di Persia.