Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
241 |
«Siccome vedevano ch’io non rispondeva nulla: — E voi,» chiesero al principe di Persia, «chi siete voi pure? Ben vediamo che nemmen voi siete un semplice popolano, come diceste.» Ma egli non li soddisfece più di me intorno a quello che desideravano di sapere, e solo disse d’esser venuto a trovare il gioielliere, cui nominò, per istar allegro con esso lui, e che la casa, nella quale ci avevano trovati, gli apparteneva.
«— Conosco il gioielliere,» disse tosto uno dei malandrini, che sembrava esercitar autorità sugli altri; «gli devo qualche obbligazione ch’egli ignora, e so che ha un’altra casa; m’incarico dunque di farlo venir qui domani. Non vi porremo in libertà,» soggiunse, «finchè non sappiamo chi siate: ma frattanto non vi sarà fatto alcun male. —
«L’indomani il gioielliere fu condotto; e quello zelante nostro amico, credendo di farci del bene, come in fatti ce lo fece, dichiarò ai ladri chi veramente eravamo; allora vennero coloro a chiedermi scusa, e credo che in egual maniera si contenessero col principe di Persia, il quale stava in un altro luogo, protestando che non avrebbero assalito la casa nella quale ci trovarono, se avessero saputo che apparteneva al gioielliere. Presici dunque subito, il principe di Persia, il gioielliere ed io ci condussero fino alla sponda del fiume; quivi ne fecero entrare in un battello che ci traghettò da questa parte; ma, appena sbarcati, vedemmo accorrere un drappello di guardie a cavallo.
«Presi il comandante in disparte, palesai il mio nome, e gli dissi, che la sera precedente, tornando dalla casa d’un’amica, i ladri, che allora ripassavano all’altra sponda, mi avevano fermata e condotta a casa loro; che m’era ad essi nominata, e che, lasciandomi in libertà, avevano fatta la medesima grazia,