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eunuco della nostra guardia, che le diede ricovero. Nè qui è tutto: l’altra schiava sua compagna è fuggita anch’essa, rifugiandosi al palazzo del califfo, al quale abbiam ogni motivo di credere che abbia svelato l’intrigo. Ed eccone la ragione: il califfo ha oggi mandato a prendere Schemselnihar da una ventina d’eunuchi, che l’hanno condotta al di lui palazzo. Io trovai il mezzo di evadermi per venirvi ad avvisare. Non so cosa sarà nato, ma ne auguro poco di buono. Checchè ne sia, vi scongiuro di conservar bene il segreto....»

L’aurora, cominciando a tingere de’ vividi, suoi colori le finestre dell’appartamento, impose silenzio alla sultana, la quale continuò il racconto la notte seguente in questi sensi:


NOTTE CCIX


— Sire, la confidente aggiunse a ciò che aveva già detto al gioielliere, esser bene ch’egli andasse, senza perder tempo, a trovare il principe di Persia, per avvertirlo dell’accaduto, affinchè si tenesse pronto ad ogni evento, conservandosi fedele alla causa comune. Non gli disse di più, e partì velocemente senza aspettar risposta.

«Ma che cosa avrebbe potuto rispondere il gioielliere nello stato in cui si trovava? Rimase immobile, e come stordito dal colpo. Pur vedendo che il pericolo incalzava, si scosse alfine, e corso tosto dal principe, entrò nella sua camera con un’aria da cui già traspariva la cattiva nuova che veniva ad annunziargli. — Principe,» gli disse, «armatevi di pazienza, di costanza e di coraggio, e preparatevi alla più terribile sventura che siavi mai accaduta in vita vostra.