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sero alla loro dimora, ove, dopo averli presi per tutte le vie di dolcezza che abbiam saputo immaginare, ottennemmo finalmente la nostra libertà, e ci ricondussero fin qui. Ci hanno inoltre restituita buona porzione del bottino da loro fatto, come potete vedere.» Sì dicendo, mostrò al comandante il fagotto d’argenteria che portava.
«L’ufficiale non si contentò di quella risposta, ed accostatosi al gioielliere ed al principe di Persia, li guardò l’un dopo l’altro; indi, voltosi a loro, ripigliò: — Ditemi il vero, chi è questa signora, come la conoscete, ed in qual rione abitate? —
«Tale domanda li imbarazzò moltissimo, e non sapevano cosa rispondere: ma Schemselnihar vinse la difficoltà. Trasse il comandante in disparte; e non ebbegli appena parlato, che questi mise il piede a terra con grandi segni di rispetto e civiltà, e comandò subito alla sua gente di far venire due battelli.
«Quando furono giunti, il comandante fece imbarcare Schemselnihar nell’uno, ed il principe di Persia col gioielliere nell’altro, con due de’ suoi uomini per navicello, ordinando loro di accompagnar ciascuno ove doveva andare. I due battelli allora si separarono, prendendo una strada diversa; ma ora non parleremo se non di quello sul quale trovavansi il principe di Persia ed il gioielliere.
«Il principe, per risparmiar fatica alle guide state date a lui ed al gioielliere, disse loro che condurrebbe il compagno con sè, e nominò il quartiere in cui abitava. Su tale indicazione, i conduttori fecero approdare il navicello davanti al palazzo del califfo; il principe di Persia ed il gioielliere n’ebbero grandissimo terrore, ma non osarono nulla manifestarne. Benchè avessero udito l’ordine dato dal comandante, non lasciarono tuttavia di pensare che si volesse metterli nel corpo di guardia, ond’essere alla domane presentati al califfo.