Silvio Pellico

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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


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LE CHIESE.





Altaria tua! Domine virtutum.

(Ps., v. 4).



Oh di preghiera e verità e conforto
     E sublimi pensieri amate case,
     Case di Dio! sin da’ primi anni a voi
     4Con rispettosa tenerezza il guardo
     Io rivolger godea, come a ricovro
     Di prole addolorata entro riposta
     D’ottimo padre stanza, a’ filïali
     8Lamenti sempre ascoltator benigno.

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          Lunghe l’infanzia mia tenner vicende
     D’infermità e mestizia. A me d’intorno
     Giubilavano vispi e saltellanti,
     12E di bellezza angelica festosi,
     I pargoletti di que’ giorni, ed io,
     Nato robusto al par di lor, caduto
     In rio languor vedeami, ed in secreti
     16Indicibili spasmi; e spesse volte
     Morte ponea sovra il mio crin l’artiglio,
     Ma per gioco ponealo, e mi sdegnava.
     Così che pur ne’ dì quando men egro
     20Io strascinava il corpicciuolo, e lieta
     La voce uscìa dalle mie smorte labbra,
     Tra i floridi compagni, ascosamente
     Spesso mie brevi gioie interrompea
     24La pietà di mia fral, misera forza;
     Ed impeti frequenti allor d’angoscia
     Il petto mi premean, sicch’io fuggiva
     A nasconder mie lagrime solinghe;
     28E quei che mi scopriano indi piangente
     Per ignota cagion, mi dicean pazzo.
          Salve, o gotici, begli archi del Tempio
     Che di Saluzzo è gloria! Archi, ove m’ebbi
     32Alle mistiche fonti il nome caro
     D’un tra i vati gentili, onde graditi

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     Sonaron carmi per le patrie valli.
     Palpiti d’esultanza erano i miei
     36Quando me tenerello a quell’angusta
     Chiesa portava a’ dì festivi il pio
     Braccio materno; e ricordanza vive
     In questo cor della speranza arcana
     40Che molcea i mali miei, quando su quelle
     Antiche, venerande are il mio ciglio
     Supplicemente ricercava Iddio.
          E salve, o tempio di men nobil foggia,
     44Ma parlante a me pur dolci memorie,
     In Pinerol, città seconda, ov’io
     Riposai le mie inferme ossa crescenti!
     Là nelle vespertine ombre, al chiarore
     48Della lampada santa, io colla madre
     E col fratel pregava la pietosa
     Degli Angioli Regina e degli afflitti,
     Ed in secreto a lei mi cordogliava
     52De’ malefici influssi, onde a’ miei nerbi
     Strazio era dato, ed al mio cor tristezza,
     Ed aïta io chiedeale, ovver la tomba.
     Ma l’infantil querela uscìa con sensi
     56D’aumentata fiducia, e allevïarsi
     In me sentìa l’affanno, e sentìa l’alma
     Di pensier fecondarmisi e d’amore.

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          Nelle tue, Pinerolo, aure dilette
     60L’adolescenza mia fu di soavi,
     Religïosi gaudii confortata;
     E indelebile è in me l’ora solenne,
     Quando, trepido il sen, mossi all’altare
     64Tra drappelletto di fanciulli il grande
     Atto a compir, di confermar col proprio
     Conoscimento le promesse auguste,
     Che di virtù magnanima al battesmo
     68Pronunciarono labbra altre per noi.


Oh nobil rito! oh santo olio! oh possente
     Grazia del Crisma! oh simboli che tanto
     71A sublimi desiri alzan la mente!

Con pompa veneranda il Pastor santo
     Presentasi all’altare, e a lui corona
     74Fan suoi pii Sacerdoti in aureo ammanto.
   
Celestiale armonia nel tempio suona
     Di cantici divoti, e di pietate
     77Palpita il core a ogni gentil persona;

E più alle madri che nel vel celate
     Delle viscere lor sui cari frutti
     80Tengono le pupille innamorate,

Scongiurando che a Dio s’elevin tutti.

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» Re del ciel che noi madri volesti
     Di que’ giovani spirti diletti,
     Nel dolore li abbiam benedetti
     85Pria che i cigli schiudessero al dì;
          Nel dolore li abbiamo allattati,
     Custoditi li abbiam nel dolore:
     Ah, per essi t’offriamo, o Signore,
     89Tutto ciò che nostr’alma patì!
   
Il tuo spirto divino discenda
     In que’ teneri ingegni inesperti:
     Li fortifichi, li alzi, li accerti
     93Della Croce per l’arduo cammin.
          Oggi intendano e intendan per sempre
     Che non nacquero a ignobile cura,
     Che son enti d’eccelsa natura,
     97Che la palma celeste è lor fin!
   
Il tuo spirto divino addolcisca
     Que’ germogli del sesso più forte:
     Non paventin perigli, nè morte,
     101Ma li tempri alto senso d’amor!
          Il tuo spirto divino sostenga
     Que’ germogli del sesso più amante:
     Sieno spose, o sien vergini sante,
     105Ma in bell’opre virile abbian cor!

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E delle accolte, lagrimose madri
     Col tacit’inno pe’ figliuoli amati
     108Il secreto consuona inno de’ padri;

Sebbene i maschi petti ammaestrati
     Da esperïenza e fantasie più meste,
     111Veggan su que’ fanciulli or sì beati

Minacciose adunarsi, atre tempeste.

          » Giovin’ alme, or v’assecura
               Quella pace che gustate
               E all’Altissimo giurate,
               116Immutabil fedeltà:
          Ma non conscii voi tocca l’aurora
     D’un’età di prestigi e di guerra,
     Che vi chiama, vi sprona, v’afferra,
     120Vi strascina, a qual meta non sa!

          Ah, noi pur dal Crisma santo
               Confermati esultavamo,
               E spogliar l’antico Adamo
               124Era saldo in noi desir!
          Ma spuntato quel tempo tremendo
     Che i mortali a cimento conduce,
     Spesse volte falsissima luce
     128In rei lacci ne fece languir.

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          Più gagliardi, più assistiti
               Da invisibili portenti
               Voi non domino i cimenti,
               132Voi più traggano a virtù:
          Una stirpe formate di prodi
     Che agli esempi vigliacchi s’involi,
     Che la Chiesa gemente consoli,
     136Ch’altre stirpi consacri a Gesù »!

Mentre de’ genitori i voti accesi
     Sorgono per la prole benedetta,
     139Stanno i fanciulli all’alta pompa intesi,

E ciascun d’essi palpitando aspetta
     Lo Spirto Santo e la percossa, donde
     142L’alma a patir per nobil opre è eletta.

All’unzïone, al tocco, alle profonde
     Del Vescovo parole, il giovin core
     145Con proposti magnanimi risponde.

Mai paventato non avea il Signore,
     Come il paventa in quest’istante, e mai
     148Non avea per Lui tanto arso d’amore!

Nessun dica al fanciul: « Tu obblïerai
     Questo gran dì »: più non possibil crede
     151Volgere a colpa affascinati i rai:

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Trasmutato a quel rito in uom si vede;
     Sdegna le vanità, sdegna i piaceri;
     154Più non vuol che Speranza e Amore e Fede,

E benefici, puri, alti pensieri,
     E studi gravi, e faticante vita
     157Pe’ divini del Golgota sentieri!

Ah! benchè poi dopo cotanto ardita
     Dolce fidanza, a tempo non lontano
     160Trascorra ov’a lui d’uopo è nova aïta,

Al Crisma santo ei no, non mosse invano:
     Però che in lui ritorna con possanza
     163Questa voce secreta: « Io son cristiano »!
   
E ripiglia la Croce, e al ciel s’avanza.

                             ................

A me quella secreta, amabil voce
     Più nella giovinezza non diè posa,
     Sì che sovente alla gettata Croce
     168Rivolsi la pupilla timorosa;
     E sebben mi paresse incarco atroce,
     La riportai con esultanza ascosa,
     Rammentando mia infanzia, quella Chiesa,
     172E quel Crisma, e la possa indi in me scesa.

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E qual fu lo splendor d’un altro giorno:
     Il giorno in cui di sè nutrimmi Iddio!
     Ah! non in tempio di gran pompa adorno
     176Trarre allor mi fu dato al festin pio:
     Genitori e fratei piangeanmi intorno,
     E venne il Pan celeste al letto mio!
     E l’accolsi agognando inclita sorte
     180Dopo la sovrastante ora di morte
    
Ma l’offerta ch’io pronto a Dio porgea,
     Non fu accettata, e lunghi dì ancor vissi!
     Oh! chi può dir con qual d’amore idea
     184Morte sperando al Salvator m’unissi?
     Mille fïate poscia a me riedea
     La ricordanza di quel giorno, e dissi:
     « Deh, possa ancor con sì sublime amore,
     188Come in quel dì, ricever io il Signore! »
    
Quindi appena sui piè mi ressi alquanto
     Dopo quel memorando atto divino,
     Mossi alla chiesa, e di dolcezza ho pianto,
     192Ivi tornando al sovruman festino:
     E mi parea che con dolor più santo
     Io sopportassi l’egro mio destino,
     E che tutto il mio core arder dovesse
     196In avvenir di quelle fiamme istesse.

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L’ombra del tempio al giovinetto è invito
     A pensieri gentili ed elevati:
     Tacite preci, canto, augusto rito,
     200Tutto ivi il trae da’ ciechi impeti usati;
     Tutto l’inizia a pregiar l’uom, munito
     Di ragione e d’affetti alti ispirati;
     Santa filosofia quivi il matura
     204Sì che in terra egli stampi orma secura.
   
Che se ignobile in terra orma sovente
     Stampa il mortal che pio fu giovanetto,
     Non è già perchè sia guida impotente
     208Religïone a obbedïente petto,
     Ma perchè alla celeste Conducente
     Sveltosi l’uom, s’affida a novo affetto,
     E segue il proprio orgoglio e i vili esempi,
     212E teme la beffarda ira degli empi.
   
Oh come lor beffarda ira scagliata
     Contro gli altari l’alma mia percosse!
     Ed, ahi! la prima voce scellerata,
     216Che da innocente fede mi rimosse,
     Uscì da tal, che, dopo aver sacrata
     Sua vita al tempio, il divin giogo scosse!
     Quanto è alta luce pio, ver Sacerdote,
     220Tant’è funesto mastro ogni Iscariote!

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               D’inferno una smania
                    Tormenta quel tristo,
                    Che indegno consacra
                    La coppa di Cristo,
                    Che insegna il Vangelo
                    226Con labbro infedel;
                         Che invidia de’ laici
                    Le vesti e la chioma,
                    Che irato sogghigna
                    Sui cenni di Roma,
                    Che nutre eresia
                    232Mal cinta da vel.
                  
               Ossesso quel petto
                    Quïete non gode
                    Se in alme innocenti
                    Non getta sua frode,
                    Se non avvelena
                    238Lor candida fè:
                         Ei spera, involando
                    Credenti al Signore,
                    Estinguere il verme
                    Che rodegli il core,
                    E dirsi: « Per gli empi
                    244» Castigo non v’è ».

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Tal fu lo sciagurato, onde la prima
     Fïata io stupefatto e impaurito
     Intesi accenti di bestemmia astuti
     248Contro a’ misteri, dietro cui l’eterna
     Maestà del Signore all’uom traluce.
          Avess’io a quell’apostata strappata
     L’indegna larva! L’avess’io al cospetto
     252De’ giusti vilipeso! Io stoltamente
     Tacqui, e volsi nel cor le rie parole
     Dell’incarnato Sàtana, e sorrisi
     Al suo ingegnoso e perfido sorriso,
     256E in forse stetti, fra i dettami austeri
     Da verità segnatimi, e i dettami
     Lieti e superbi del parlante serpe.
          Da quel funesto giorno io non potei,
     260No, disamar le sante are paterne,
     Ma a quando a quando io le mirava, incerto
     Se venerar le dovess’io, siccome
     Ne’ miei dì d’innocenza, o se più senno
     264Fosse obblïarle o irriderle, e aver soli
     Idoli i miei voleri e il mio ardimento.
          Così varcai l’adolescenza, e gli anni
     Toccai di giovinezza, ebbro di studi
     268E di speranza nelle forze innate
     Del mio altero intelletto. E pure i templi

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     Secreto avean per me fascino sempre!
     E sovente io gettava i baldanzosi
     272Libri, e fuggìa le argute, empie congreghe,
     Per raddurmi solingo e sconfortato
     Sotto i tuoi grandïosi archi vetusti,
     Lugdunense Basilica, ove i primi
     276Apostoli di Gallia hanno sepolcro!
          Oh bella chiesa! Quante volte prono
     Colà pregando e meditando io piansi
     Le natìe abbandonate Itale sponde,
     280E il focolar lontano, ove la madre
     Ed il padre e i fratelli erano assisi,
     E piansi in un mie tenebre, miei dubbi,
     Mie passïoni, ed il perduto Iddio!
          284Perduto, no, per me non era! e il lume
     Di lui mi sfolgorava alcune volte
     Sì che sparìan le tenebre, e di novo
     Io mandava dal core inni di gioia.
          288Ma tempi erano quei di non verace
     Filosofia, sulle rovine sorta
     Di molti altari, e sovra molto sangue;
     E la Gallica terra, infra sue pesti,
     292Di sacerdoti rinnegati avanzo
     Chiudea velenosissimo; e i più feri,
     Più studïosi e scaltri eran nemici

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     De’ sacri templi, rïaperti allora,
     296E dal Corso magnanimo scettrato
     Arditamente in onoranza posti.
          Un di que’ Giudi inverecondi a’ passi
     Miei s’attaccò: l’ornavan lusinghieri
     300Eletti modi, e pronto ingegno, e il foco
     De’ sottili motteggi scoppiettanti,
     E facile parola, e d’infiniti
     Libri conoscimento, e quell’audace
     304Sentenzïar che sicuranza appare.
          Sommessa voce ripetea d’orecchio
     In orecchio: « Ei fu monaco »! E la macchia
     Sciagurata d’apostata sembrava
     308Sedergli orrenda sulla calva fronte,
     E dir: « Nessun più sulla terra l’ami! »
     E nessun più l’amava, e nondimeno
     Ascondean tutti l’intimo ribrezzo,
     312E cortesi accoglieanlo, e davan plauso
     Alla dolce arte della sua favella.
         Quella canizie al disonor devota
     Orror metteami e in un pietà. Più giorni
     316L’esecrai, l’osservai, gli porsi ascolto
     Come a stupendo rettile, e gli chiusi
     I miei pensieri; indi scemò l’occulto
     Raccapriccio, e piegai più tollerante

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     320L’alma alle grazie di quel falso ingegno.
          Oh pe’ giovani cuori alta sventura
     Lo scontrarsi in sagaci empi, che fama
     Di lunghi studi grandeggiar fa al guardo
     324Dell’attonito volgo, e d’intelletti
     Che pur volgo non sono! Al rinnegato,
     Pur non amandol, mi parea di stima
     Ir debitor per l’inclite faville
     328Del possente suo spirto, e palesava
     Ei di mia reverenza e d’amistade
     Gentil, singolar brama; e questa brama
     Era al mio stolto orgoglio esca gradita.
          332Lunghe non fur tra noi le avvicendate
     Confidenze ed indagini, e m’invase
     Giusto corruccio, e da colui mi svelsi:
     Ma le illudenti sue dottrine, a guisa
     336Di succhiante invisibile vampiro,
     Stavan su me, riedean cacciate, e furmi
     A tutti i giovenili anni tormento.
  
                             ................
  
     Più vivo in me si raccendea l’amore
          Delle case di Dio, quando rividi,
          Bella Italia, il tuo sole animatore,
          342E m’accolsero i cari Insubri lidi,

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          Dove gli avi mostràr quanto al Signore
          Fosser devoti e a grande intento fidi;
          Tal sacra ergendo maestosa mole,
          346Che a lodarla il mortal non ha parole.
          
     Troppo ancora in Milan l’anìma mia
          Tra giochi e alteri studii vaneggiava,
          E glorïosi amici e fama ambìa,
          350Ed ogni dì più folli ombre afferrava.
          Ma pur di salutar malinconia
          Frequente un’ora i gaudii miei turbava,
          E al tempio allora io rivolgeva il piede,
          354E in me scendea consolatrice fede.
          
     E l’amato mio Foscolo infelice,
          Sebben lui fede ancor non consolasse,
          Talor volea con umile cervice
          358Mescersi all’alme per cordoglio lasse,
          Che la bella de’ cieli Imperadrice
          Imploravan che a lor grazia impetrasse;
          E quando al tempio a sera ei mi seguiva,
          362Indi commosso e pensieroso usciva.
          
     Oh quante volte insiem quella scalea
          Ascendemmo del duomo inosservati!
          Quante volte in quegli archi ei mi traea,
          366E là susurravam detti pacati

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          Sul beneficio d’ogni eccelsa idea,
          Sui vantaggi dell’are all’uom recati,
          Sulla filosofia maravigliosa
          370Che della Chiesa in ogni rito è ascosa!
          
     Oh allorquando vi penso, io spero ognora
          Che, pria di morte almen, quell’alto ingegno
          Avrà veduta la söave aurora
          374Del promesso agli umani eterno regno!
          Spero che quella forte anima ancora
          Nodrito avrà del ciel desìo sì degno,
          Che quel Dio che sol vuole essere amato
          378Avrà i tardi sospiri anco accettato!
          
     Con reverenza visitava io pure
          Altre in Milano vetustissim’are:
          Quella ov’ a Sant’Ambrogio ama sue cure
          382Il buon Lombardo con fiducia alzare,
          Ed il sacel, dove Agostin le impure
          Fiamme alfin volle in sacra onda smorzare,
          E colà volgev’ io nella mesta alma
          386Sete di verità, sete di calma.
          
     Ed in talun di quegli alberghi santi
          Una donna io vedea ch’erami stella;
          E a lei movendo i guardi miei tremanti,
          390S’umilïava mia ragion rubella:

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          Mi parea ch’a me un angiolo davanti
          Stesse per me pregando, e allora in quella
          Amica del Signor ponendo io speme,
          394« Ah sì, diceva, in ciel vivremo insieme! »
         
     Ma de’ templi alla mistica dolcezza
          Vinto non era appien l’orgoglio mio:
          Il passo indi io traea con leggerezza,
          398E i gravi intenti rimettea in obblio:
          Rossor prendeami appo colui che sprezza
          Chi, pari al volgo, osa implorare Iddio:
          Io mi volgeva a Dio, ma come Piero,
          402Interrogato, ahi! rinnegava ii vero!
         
     E poi non come Piero io mi pentiva
          Con dïuturno, generoso pianto;
          Incostante nodrìa fede mal viva,
          406E a guisa d’infedele oprava intanto:
          Allor fu che la folgor mi colpiva,
          E ogni mortal mio giubilo andò franto,
          E in man mi vidi d’avversario forte,
          410Me condannante a duri ceppi o morte.
         
     Oh lunghi di catene e d’infiniti
          Strazi del core inenarrabili anni!
          Ed oh! com’anco in giorni sì abborriti
          414Mia fantasia godea sciogliere i vanni,

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          E fingersi ogni sera entro i graditi
          Templi, ed ivi esalar gli acerbi affanni!
          Poche amate persone e i patrii altari
          418Erano allora i miei pensier più cari!
         
               Oh quai mi parver secoli
                    Que’ primi anni di duolo,
                    In che fra mura squallide
                    422Vissi cruciato e solo!
                 
               Nè mai con altri supplici
                    Sorgea la prece mia,
                    Ed il desìo del tempio
                    426La pace a me rapìa!
                 
               Mi si pingeano i fervidi
                    Religïosi incanti,
                    Le grazie che sfavillano
                    430D’in sugli altari santi:
                 
               E di Davidde i gemiti,
                    E gli avvivanti lumi,
                    E le armonie dell’organo,
                    434E i mistici profumi,
                 
               E l’ineffabil agape,
                    Ove il Signore istesso
                    Pasce e solleva ad inclite
                    438Speranze l’uomo oppresso.
         

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               Allor la vil perfidia
                    Del mondo io ricordando,
                    Dare ai profani gioliti
                    442Giurava eterno bando,
                 
               E con insonni palpebre,
                    E con preghiera accesa
                    Chiedea versar mie lagrime
                    446Ancora entro una chiesa!
                 
               Mi sovvenian le placide
                    Ombre de’ monasteri,
                    E le velate vergini,
                    450Ed i romiti austeri:
                 
               E tormentosa invidia
                    Prendeami di que’ petti
                    Ch’appo gli altari effondere
                    454Doglia potean e affetti.
                 
               Ma in quella mia nel carcere
                    Brama de’ sacri ostelli,
                    Söavi sensi teneri
                    458Pur si mescean novelli.
            
               Rendeva al Cielo io grazie
                    Che i genitori amati
                    Piangere almen potessero
                    462Anzi all’altar prostrati.

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               Anzi all’altar che ai miseri
                    Sol può istillar virtute,
                    Che rïalzar può l’anime
                    466Da angoscia più abbattute!

                             ................
   
Un giorno alfine, oh fortunato giorno!
     Nunzio ne venne che sariane schiuso
     469Della comun preghiera ivi il soggiorno:
   
E tratto per brev’ora allor dal chiuso,
     Rividi il tabernacolo, ove alberga
     472Colui che in ciel di gloria è circonfuso.
   
Tempio quello non è ch’ardito s’erga
     Sovra eccelse colonne, e in maraviglia,
     475Quasi reggia celeste, i cuori immerga.
   
Poco più che a magione umìl somiglia,
     E pur ivi m’invase quel tremore
     478Che per solenne ossequio all’uom s’appiglia;
   
E per quell’ara palpitai d’amore,
     Come mai palpitato io non avea,
     481E in ver sentii ch’ivi sedea il Signore!
   
Brev’ora fu, ma pure indi io sorgea
     Trasmutato in altr’uom, portando in seno
     484Il Salvator che i mesti accoglie e bea.

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E tale in que’ momenti era il baleno
     Della luce divina in me raggiante,
     487Che il patir mi parea di gioia pieno,
    
E leve il ferro mi parea alle piante.
    
                             ................
    
Oh di Spielbergo semplice chiesuola,
     Ove non s’alzan preci altre giammai,
     Che del mortal che cinge ivi la stola,
     492E di viventi infra catene e guai,
     Ah, in te risplende pur Quei che consola!
     Quei, che del fiacco non respinge i lai!
     Quei, che l’amaro calice accettando,
     496Com’uomo il rimovea raccapricciando!
    
Con qual ìla settima festiva
     Aurora io nel mio carcere attendea!
     Per sei giorni in mestizia illanguidiva,
     500O la mente pensosa egra fervea,
     E talon preda sì di larve giva,
     Che il lume di ragion perder temea:
     In quell’ore io talvolta Iddio cercava,
     504E, inorridisco in dirlo! io nol trovava.

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Ma il giorno del Signor rivedea alfine,
     E mettea lieto suon la pia campana,
     E a soavi pensier l’alme fea chine,
     508E a ricordanze dell’età lontana:
     Potenze inespressibili, divine
     Scemar parean l’orror della mia tana,
     E a me, come a fanciul, batteva il petto
     512Di quel festivo bronzo al suon diletto.
    
Poi tutte disparian mie cure atroci
     Quando il pietoso sgherro aprìa le porte,
     E de’ compagni mi giungean le voci,
     516E la imperante seguivam coorte;
     Gli avvinti si porgean cenni veloci
     Di costante amistà nell’aspra sorte;
     Ma non a tutti amici ivi era dato
     520Incontrarsi, parlar, pregarle allato.
    
Sempre, sempre novella, alta esultanza
     Il commosso m’invase animo, quando
     In quell’incolta ma pur sacra stanza
     524Posi il piè, mie catene strascinando,
     E in simbolica vidi umil sembianza
     Suoi sfolgoranti rai Gesù ammantando
     Benedirci, e per noi con inesausto
     528Amore offrirsi al Padre in olocausto.

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Colà il Signor mi favellava al core,
     E la sua voce somigliava a quella
     D’amorevole, ansante genitore
     532Che a sè un figliuolo sconsolato appella,
     E « Disgombra, gli dice, ogni timore
     » Che mai mia tenerezza io da te svella!
     » Veggio che disamar tu me non sai,
     536» E ciò che indi tu vuoi, tutto otterrai! »

Ei mi diceva inoltre: ― « Io t’ho punito
     » Non già per rabbia onde avvampar non soglio,
     » Ma perchè il prego mio non era udito,
     540» E sì correvi per le vie d’orgoglio,
     » Che obblïato me avresti, e lui seguito
     » Che l’alme adesca all’eternal cordoglio:
     » Con forte piglio il correr tuo rattenni,
     544» Ma t’amai, t’amo, e per salvarti io venni! »

Io mi gettava allora a’ piedi suoi
     Con dolcezza ineffabile, e piangeva,
     E sclamava: « Signor, fa ciò che vuoi
     548» Di questo figlio della debol Eva!
     » Sordo, vissi, pur troppo, a’ cenni tuoi,
     » Ma tua incorante voce or mi solleva:
     » Nulla sperar dovrei, ma poichè m’ami,
     552» Un don ti chieggo ancor ― ch’io ti rïami! »

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E poi prendea fiducia, e proseguìa
     A lui tutti schiudendo i miei desiri:
     Lo supplicava per la madre mia
     556Che sparso avea per me tanti sospiri!
     Pel dolce padre calde preci offrìa!
     Per tutti quegli amati onde i martìri
     M’eran del martir mio più dolorosi,
     560E ch’io tanto di me sapea bramosi!
   
     Del Moravo castello umil tempio,
          Quante grazie ti debbo soavi!
          Il mio spirto pöetico alzavi
          564Dai terreni, opprimenti dolor.
               Io sentiva entro te que’ dolori,
          Ma diversi, ma misti a contento:
          Io chiedea raddoppiato tormento,
          568Purchè Dio m’addoppiasse l’amor.
        
     Io il disprezzo acquistava de’ ferri,
          Ma non più quel disprezzo superbo
          Che del vinto fa l’animo acerbo
          572Contro quei che nel lutto il gettàr.
               Io sperava, io credea che i vincenti
          M’assegnasser destin sì tremendo,
          Non vil odio, ma sol rivolgendo
          576Di giustizia rigor salutar.

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     Io dicea che se in pugno tenuto
          Uno scettro in que’ giorni avess’io,
          Gli avversanti dell’animo mio
          580Con isdegno atterrati avrei pur:
               E scernea che son fremiti ingiusti
          Que’ dell’uom che da forti domato,
          Non ripensa ch’ei forza ha sfidato,
          584Che d’un dritto essi i vindici fur.
       
     Compiangea il fato mio, ma pensando
          Qual dover mosse i giudici miei:
          Ma pensando che in ciel li vedrei
          588S’io perdon ritrovava al fallir.
               E di grazia per me sospiroso,
          Supplicava ogni grazia per essi,
          Presentendo i reciproci amplessi
          592Là dov’ira non puossi nodrir.
       
Della chiesuola de’ prigioni uscito,
     Io ritornava entro mia mesta cella
     Col sen da mille affetti intenerito,
     596Con fantasia più generosa e bella:
     L’ineffabil poter del santo rito
     Avermi parea dato alma novella:
     Ed intero quel dì lieto sciogliea
     600Di David gl’inni, ed inni altri tessea.

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Oh facoltà di poëtar gioconda,
     Ma più negli anni orribili del lutto,
     Quando forza divina il core inonda
     604E d’eccelsi pensier lo infiamma tutto!
     Quando nell’uom tal grazia sovrabbonda
     Che a benedir sue croci indi è condutto!
     Face di poesia! senza una chiesa,
     608No, non saresti in me rimasta accesa!
  
E se tal possa amabil dell’ingegno
     In me si fosse per dolore estinta,
     Languito avrei d’ira e superbia pregno,
     612O l’alma a vil furor sariasi spinta:
     Della vita un frenetico disdegno
     Spesso prendeami in tanti mali avvinta,
     Poi la luce de’ sacri inni tornando,
     616Io riponea l’empio disdegno in bando.
  
Il mortal che in mestizia s’inabissa,
     E fero soffre ineluttabil danno,
     Sempre in oggetti d’ira il guardo affissa;
     620Ogni umano gli par vile o tiranno;
     L’altrui virtù al suo torbo occhio s’ecclissa;
     In tutti sogna i benefizi inganno;
     E fraterna pietà posta in obblio,
     624Disama e niega e maledice Iddio.

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Filosofar s’immagina il fremente
     Calunnïando il mondo e il Creatore;
     Ma chiudendo a’ pensieri alti la mente
     628Tutto mira a traverso empio livore,
     Bugiarda estima ogni men atra lente;
     Satana è il suo maestro e il suo autore;
     Armi date e coraggio a quell’ossesso,
     632Ed eccol trucidare altri o sè stesso.
    
Vicino a quella infame insania giacqui
     Più d’una volta a’giorni incarcerati;
     Ed allor tetramente mi compiacqui
     636Ricordando que’ libri sciagurati,
     Che nell’audace secolo in cui nacqui
     Plausi a ferocia e suicidio han dati,
     E col velen de’ rei volumi in petto,
     640Volvea il fin dell’apostol maladetto.
    
Grazie, chiesuola, a’ prigionieri amica!
     Da te emanava inenarrato incanto!
     Da te riedea la mia fiducia antica
     644Nell’assistenza del tre volte Santo!
     In te il perdon non mi costò fatica!
     In te d’amore e di dolcezza ho pianto!
     In te ne’ tristi dì ripigliai lena,
     648E sino al termin sopportai mia pena!

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     Improvvisa comparve un’aurora
          Che distinguer dall’altre non seppi,
          E la sera ivan sciolti i miei ceppi!
          652Ed uscii dall’orrendo castel!
               Del decennio l’angoscia mortale
          Un istante, un accento avea sgombra:
          Dalla fossa qual reduce un’ombra,
          656Mi stupìan terra ed uomini e ciel.
         
     Traversai valli e balze straniere,
          M’avvïai della patria a’ bei lidi,
          L’Alpe ascesi, ed oh gioia! rividi
          660La natíva penisola alfin.
               Al dolcissimo letto del padre
          Egro giunsi, ma giunsi felice:
          Lui rividi e la mia genitrice;
          664Tra lor braccia mie pene avean fin!

                             ................
    
Ahi! nuove pene sempre cingon l’uomo,
     Bench’ei talvolta in impeto giulivo
     667Tutte calamità creda aver domo!
    
Piansi più cuori amati onde me privo
     Gli strali avean d’inesorata morte,
     670E più d’un ch’io lasciato avea captivo!

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Allegrar mi volea della mia sorte,
     Ma spesso in cupo involontario duolo
     673Mie deboli potenze ivano assorte.

Ciò ch’io patissi, Iddio conosce solo,
     La mente rivolgendo a tanti cari
     676Del cui lungo martìr non mi consolo!

Il mondo mi dicea! « Se ancora impari
     » Ad ambir le mie feste e i miei sorrisi,
     679» Sollevati saran tuoi giorni amari ».

Ma indarno sovra lui le ciglia affisi:
     Ei più non mi rendea que’ dì lontani
     682Ch’io con altre dolci alme avea divisi!

Gratitudin destavanmi gli umani
     Che generosi mi plaudeano intorno,
     685Ma i plausi lor pur rïuscianmi vani.

In sì frequente di dolor ritorno,
     Il loco ove ogni dì forza racquisto
     688È quel dove le sante are han soggiorno:

Ogni mattin là prono a’ piè di Cristo
     Breve, benefic’ ora io volger amo,
     691Ed esco allor più dolcemente tristo,

E conformarmi al divin cenno io bramo.

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          « Entro i templi, pari al volgo,
               Di prostrarti non vergogni?
               Lascia, stolto, i vieti sogni:
               696Sol ne’ sensi è verità.
                    Pari a noi, sii glorïosa
               Del tuo secolo facella:
               Al pensar de’ forti appella
               700La crescente umanità ».
    
     « Al pensare de’ forti l’appello;
          Forti son que’ che regge l’Eterno:
          Molti errori nel volgo discerno,
          704Ma non quando umil viene all’altar;
               Ma non quando suoi falli ripensa;
          Ma non quando li lava col pianto;
          Ma non quando de’ Santi nel Santo
          708Alza i lumi, e lo vuol seguitar ».
    
          « D’un Iddio pur si favelli;
               Ma di templi, ma di riti,
               Ma di spiriti contriti
               712 è il pensator.
                    Basta a gloria delle genti
               Predicar virtù civile,
               Maledir ogni opra vile,
               716Intimar fraterno amor ».

[p. 75 modifica]

     « Ch’altro grida la voce dell’Ara,
          Che civili, fraterne virtuti?
          Fiacchi sono del senno gli aiuti,
          720Se l’Eterno virtù non impon.
               D’uomo il senno ch’a Dio non s’elèva
          Con qual dritto imporrà sacrifici?
          Senza Dio l’uom ne’ giorni infelici
          724Ruba, insidia, trucida a ragion ».
         
          « Se adorar si vuole un Nume,
               Sieno semplici omai l’are;
               Vane pompe ad esecrare
               728Ne consiglia l’Evangel:
                    Volgi l’alma a culto novo;
               Il vetusto s’abbandoni:
               Non più incensi, effigie, suoni;
               732Ma qui l’uom, là il Re del ciel ».
         
     « Sventurati! v’abbagliano l’ire;
          Gl’intelletti ad amore schiudete,
          E virtù e verità scorgerete
          736Nelle pompe che innalzano il cor:
               Non son vane se non pel fremente
          Che lor sacra potenza dileggia,
          Che il suo rigido spirto vagheggia
          740Non il bel, non Iddio, non l’amor! »

[p. 76 modifica]

               « Chi son quegl’iniqui
                    Che parlan di Dio?
                    Chi sei che linguaggio
                    Usurpi d’uom pio?
                    Dai ceppi in che fosti
                    746Sol frode provien.
                         Da noi t’allontana
                    Ch’a Dio, a Sacerdoti
                    Vivemmo fedeli
                    Dagli anni remoti,
                    Mentr’empie covavi
                    752Dubbianze nel sen! »
  
                             ................

« Felici voi che al lume eterno ingrati
     Non foste mai, siccome questo insano!
     Ma nulla tolgo a voi, se ardisco alzati
     756Tener gli affetti al Salvator Sovrano.
     I templi non a soli intemerati
     S’apron, ma accolgon pure il pubblicano:
     Di voi, di me pietà prenda il Signore,
     760Ed in noi colla fede istilli amore! »