Wikisource:Testo in evidenza/Archivio/2015

4 gennaio

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     La guerra nelle montagne    di Rudyard Kipling (1917), traduzione dall'inglese di Anonimo (1917)

 
Quando raggiungemmo la grande pianura veneta, presso il Quartier Generale dell’Esercito, i fronti italiani ci furono spiegati con una chiarezza che rendeva inutili le carte topografiche.

«Abbiamo tre fronti»; — disse la mia guida — «sul primo, quello dell’Isonzo, che è la strada che conduce a Trieste, le nostre truppe possono procedere, sebbene tra grandi difficoltà. Sul secondo, quello del Trentino, al nord, dove il nemico è più vicino alle nostre pianure, le nostre truppe debbono arrampicarsi. In ogni altra parte esse debbono pure inerpicarsi e fare dell’alpinismo; lo vedrete».

Egli additò, a sud-est e ad est, attraverso la nebbia caliginosa, alcune giogaie dall’aspetto sinistro, donde si udiva il rimbombo lontanissimo dei cannoni, che discutevano gravemente. «Dove andiamo ora è il Carso», mi disse. Si volse poscia a nord-est e a nord, dove montagne, più vicine e più alte, lasciavano apparire strisce di neve tra le loro rugosità. «Sono le Alpi Giulie», egli continuò. «Tolmino è là dietro. Lì a nord, dove la neve è più densa — vedete? — sono le Alpi Carniche e noi combattiamo su di esse; più in là, ad occidente, vengono le Dolomiti, sulle quali i turisti eran soliti di fare ascensioni, descrivendole poi sui libri [...]».

11 gennaio

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     I Malavoglia    di Giovanni Verga (1881)

 
Un tempo I Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poichè da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ’Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; [...]

18 gennaio

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     Così parlò Zarathustra    di Friedrich Nietzsche (1885), traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)

 
Quand’ebbe compiuto il trentesimo anno, Zarathustra lasciò la sua patria e il lago natìo, e si recò su la montagna. Là per dieci anni gioì, senza stancarsene, del suo spirito e della sua solitudine.

Ma al fine il suo cuore si mutò; e un mattino egli si levò con l’aurora, s’avanzò verso il sole e così gli disse:

«Oh grande astro! Che sarebbe della tua felicità, se tu non avessi a chi splendere?

Per dieci anni tu sei venuto alla mia caverna: ti saresti recato a noja la tua luce e il tuo cammino senza di me e del mio serpente.

Ma noi ti attendevamo tutte le mattine, tu ci davi il tuo superfluo e ne avevi ricambio di benedizioni.

Guarda! Io sono sazio della mia sapienza, come l’ape del miele di cui ha fatta soverchia provvista; io ho bisogno di mani, che si stendano per coglierla.

Io vorrei donare e distribuire, sino a tanto che i savi tra gli uomini fossero divenuti lieti della loro follìa, e i poveri della lor ricchezza [...]».

25 gennaio

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     Il mio cuore fra i reticolati    di Mario Carli (1934)

Il 24 maggio 1915, giorno in cui l'Italia dichiarò guerra all'Austria, Franco Arbace si trovava ad avere precisamente venticinque anni, un'amante ufficiale, ottantamila lire di debiti, e una grande stanchezza della vita.

Se queste quattro proprietà fossero intimamente concatenate fra di loro, così da imporre al loro possessore il seguente ragionamento: «Sono giovane, e perciò ho un'amante: ho un'amante e per conseguenza ho fatto dei debiti: non posso pagarli e l'angustia che mi deriva da questo fatto si generalizza in una stanchezza profonda della vita....» non è facile stabilire. Certo è che al momento della mobilitazione — crisi nazionale delle più formidabili — anche lo spirito di Franco Arbace si trovò in piena crisi.

Nulla è così interessante come il ricercare e analizzare le diverse ripercussioni intime che questo grandioso dramma collettivo ebbe su ogni giovane della nostra generazione, sia che abbia vestito più o meno prontamente il grigio-verde scagliandosi nella grande bufera, sia che non vi abbia partecipato direttamente ma di riflesso.

1 febbraio

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     Manuale di 150 ricette di cucina di guerra    di Anonimo (1916)

1. - Sugo economico.

Spezzate una certa quantità di ossa e unitevi dei ritagli di carne, nervi od altro che aveste disponibile, mettete tutto in una casseruola nella quale avrete sciolto un pò di lardo e di grasso. Unite una cipolla abbastanza grossa e tagliata a fettine, una carota, un mazzetto di erbe aromatiche, due o tre chiodi di garofano, dieci grani di pepe, un mestolo d’acqua. Mettete al fuoco e lasciate cuocere rimescolando ogni tanto sino a che l’acqua sia stata ridotta e che il fondo della casseruola cominci a prendere il color bruno chiaro. Allora aggiungete l’acqua necessaria per coprire tutto: fate bollire, schiumate e continuate la cottura per due o tre ore (cassa-fornello) in modo che tutto sia ben cotto. Sgrassate poi con cura il sugo che si sarà formato e passatelo. Il sugo destinato a servire per le salse o per cucinare la carne non deve essere molto cotto nè molto salato. Conservatelo in un barattolo.

8 febbraio

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     Patria Esercito Re    di Leopoldo Pullè (1908)

Il Tricolore
 
Bandiera

  . . . . . . . . . . . Anima eterna
Del mio paese! A me nell’arso fianco
Il tuo possente anelito trasfondi,
Fammi udir dalle schiuse sepolture
La tua gran voce! — E tu m’ispira il verso
Che fa santa la tomba, ed immortale
Il lauro ai forti per la patria estinti!

Con questa invocazione — stupendo squarcio di poesia, dedicato a quell’Esercito ch’è salute e gloria d’Italia — Costantino Nigra, l’antico e fidato segretario di Camillo di Cavour, assurgendo a uno di que’ voli lirici che oggi — pur troppo! — dobbiamo chiamare antichi, rende omaggio ai capitani e ai soldati morti nelle patrie battaglie per la indipendenza e la unità del proprio paese.

L’invocazione richiama il nostro pensiero a quel marzo 1848, quando, al grido di Viva l’Italia!... Viva Pio IX!... per le strade delle città liberate, si cantava: [...]

15 febbraio

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     La crisi dell'infanzia e la delinquenza dei minorenni    di Scipio Sighele (1911)

 
Il suicidio dei fanciulli.

I.

Si discuteva anni or sono, — quando gli studî di statistica comparata erano nuovi e quindi più alla moda di quel che oggi non siano, — se la civiltà abbia portato, anche nel campo morale, tutti quei progressi che innegabilmente portò nella vita materiale. E gli ottimisti affermavano che il delitto, almeno nelle sue forme più gravi, va sempre diminuendo; e i pessimisti dimostravano col documento inconfutabile delle cifre, che viceversa i delitti aumentano con una proporzione geometrica spaventosa.

Forse, e gli uni e gli altri avevano in parte ragione, giacchè presso alcuni popoli civili la criminalità effettivamente diminuisce, e presso molti altri pur troppo aumenta.

Dove non è permessa varietà e contraddittorietà di opinioni è a proposito del suicidio, il quale segue dovunque da molto tempo una linea ascensionale che impensierisce, e che lo può far definire il fenomeno patologico caratteristico del nostro tempo. La lotta per la vita ha oggi, in confronto al passato, assai maggior numero di deboli che non sanno o non vogliono combatterla, assai maggior numero di vinti che la fuggono e si condannano all’auto-eliminazione.

22 febbraio

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     Alle porte d'Italia    di Edmondo De Amicis (1888)

 
PINEROLO SOTTO LUIGI XIV

Al Signor Carlo Toggia, a Torino.

Pinerolo, 22 luglio 1675.

Ti ringrazio della bella lettera, la quale, dopo tanti mesi di silenzio, m’è stata cagione di vivissimo piacere. Ti porgerà questa mia il signor Pietro Osasco, procuratore di S. A. R. il duca di Savoia; il solo pinerolese al quale io possa confidare una lettera pericolosa con la speranza che i vostri riveriti padroni non gli ficchino le mani nelle tasche. Grazie delle affettuose domande intorno alla famiglia. I fratelli, le sorelle, tutti son sani come pesche. Io pure, grazie a quest’aria purissima che vien dai monti, e nonostante le molte noie della mia professione, se non schiatto dalla salute, almeno posso dire che i medici non hanno mai visto il colore del mio letto. Se anche non mi tenessero qua i miei affari, ci starei forse egualmente, perchè ci ho messo le radici, e mi pare che non potrei più trapiantarmi senza pericolo. La città mi piace infinitamente. Vista dall’alto, posta com’è all’imboccatura di due bellissime valli, ai piedi delle Alpi Cozie, davanti a una pianura vastissima, seminata di centinaia di villaggi, che paiono isole bianche in un mare verde e immobile, è la città più bella del Piemonte.

1 marzo

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     Cecilia    di Antonietta Pozzolini (1864)

Come bello e ridente si presenta ai nostri sguardi l’avvenire, quando nella dolce casa paterna, circondati dalle più tenere cure della famiglia, immaginiamo colla vivace fantasia una vita di continui godimenti, dei quali non sappiamo ideare la fine! E la rimembranza di quegli anni sì belli ci accompagna poi sempre col volgere del tempo, e siccome cara visione, consola il cuore oppresso e sconfortato dalle triste vicende del mondo.

Quanto invece dolorosa e muta di ogni gioja trascorre quella beata età giovanile, allorchè privi delle più care affezioni della terra, costretti talvolta a vivere sotto un tetto non nostro, non troviamo un animo gentile che comprenda e compianga i nostri affanni, non una mano pietosa che asciughi le lacrime premule da profondo dolore!

E tale sventura era toccata a Cecilia, giovanetta di circa 18 anni, a cui natura, mentre avea concessa indole affettuosa e sensibile e ornato il volto di delicata bellezza, avea però negate le ineffabili dolcezze dei damestici affetti.

8 marzo

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     Dei sepolcri    di Ugo Foscolo, Ippolito Pindemonte, Giovanni Torti, Vincenzo Monti (1808)

Il Carme di Ugo Foscolo fu a questi giorni argomento di lodi, di biasimo e di controversie. Ippolito Pindemonte mostrò invece nel suo poemetto che l’emulazione frutta più della critica, e maneggiando lo stesso soggetto con disegno e colorito diverso, fece dubbia la palma. Parve a Giovanni Torti che un paragone fra i due Scrittori riescirebbe utilissimo agli studiosi dell’arte; ma perchè egli pure stimò, che la poesia va giudicata con la poesia, scrisse un’epistola, e si sciolse dal costume de’ retori per seguire il metodo d’Orazio e lo stile del Parini. Noi non parleremo del merito di questo terzo componimento; diremo bensì che non il nostro particolare giudizio, nè la sola amicizia per l'autore, ma la sentenza d’uomini esperimentati in letteratura, e molto più l'amore della patria da cui questi versi sono dettati, ci persuade a stamparli.

15 marzo

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     La vallese    di Anonimo (1869)

Ascoltate il mio racconto, anime sincere che cercate riposo, che sareste felici d’aver trovato la pace di Dio, e d’esser sicure dell’amor suo. Io vi racconterò semplicemente quel che ho veduto, quello che io stesso ho detto. Non vi farò parola di un grand’avvenimento, nè di un’impresa eroica, nè di qualche splendida scena di questo mondo. No; non amo, non lodo più quel che il mondo stima. Ciò che questo chiama nobile e grande, sovente io lo sdegno, poichè Colui che ora m’insegna a giudicare delle cose di quaggiù, non giudica come giudicano gli uomini.

Vi parlerò della gioia d’una povera donna, d’una oscura campagnola. Dirò come un’anima ignorante, e vile agli occhi del mondo, acquistò la scienza la più preziosa, e conseguì la gloria che supera quella della dignità e dei troni.

Io mi compiaccio di averla incontrata sulla terra. Ella rese gloria a Dio di avermi udito; e tu, anima che leggi questi versi, se la Verità che contengono dimora in te, sarai benedetta. Anche per te viene in essi annunziata la buona novella.

22 marzo

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     Piccole storie del mondo grande    di Alfredo Panzini (1920)

 
LEUMA E LIA.

Da sette anni l’onorevole Astese non vedeva il dottor Leuma, anzi — a rigor di termini — non sapeva nè pur più dove fosse: se in questa vita o nell’altra.

Ma secondo ogni verosimiglianza dovea essere in questo mondo perchè non fu mai detto che i dottori muoiano come una persona qualsiasi.

Ora è certo che l’onorevole Astese, se avesse avuto a pena una settimana libera, si sarebbe messo subito alla ricerca di quel caro compagno di Leuma. Oh, lo avrebbe sì ripescato e avrebbe con lui rinnovato alcuna cosa della giovinezza, oimè, della giovinezza così da poco tempo fuggita e pure già così lontana. Oh, potersi riposare all’ombra o al sole con Leuma e provare il gran piacere di dire delle sciocchezze senza la paura di perdere di gravità, e portare anche i mattoni a quelle gran fabbriche di castelli in aria di cui Leuma era maestro architetto!

29 marzo

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  La madre

 
Anche quella notte, dunque, Paulo si disponeva ad uscire.

La madre, nella sua camera attigua a quella di lui, lo sentiva muoversi furtivo, aspettando forse, per uscire, ch’ella spegnesse il lume e si coricasse.

Ella spense il lume ma non si coricò.

Seduta presso l’uscio si stringeva una con l’altra le sue dure mani di serva, ancora umide della risciacquatura delle stoviglie, calcando i pollici uno sull’altro per farsi forza; ma di momento in momento la sua inquietudine cresceva, vinceva la sua ostinazione a sperare che il figlio s’acquetasse, che, come un tempo, si mettesse a leggere o andasse a dormire. Per qualche minuto, infatti, i passi furtivi del giovane prete cessarono: si sentiva solo, di fuori, il rumore del vento accompagnato dal mormorio degli alberi del ciglione dietro la piccola parrocchia: un vento non troppo forte ma incessante e monotono che pareva fasciasse la casa con un grande nastro stridente, sempre più stretto, e tentasse sradicarla dalle sue fondamenta e tirarla giù.

5 aprile

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     Sulla pietosa morte di Giulia Cappelletti e Romeo Montecchi    di Filippo Scolari (1824)

L’avvenimento compassionevole di Giulietta e Romeo è siffattamente conosciuto in Italia e fuori, che giugnendo in Verona li forestieri ne indagano con tanta sollecitudine da poter affermare, che il modesto sepolcro delle loro sventure non è riverito meno delli monumenti superbi della romana grandezza. Egli fu anzi mestieri guarentirlo al pari di questi, onde serbarlo all’affetto dei posteri, ai quali lo si rapiva dai molti che, staccandone le particelle, amavano legarle in oro e formarne anelli amorosi.

Non sono pochi per altro coloro i quali tengono che questa generale e perenne tenerezza del nostro cuore verso quegli infelici amanti si debba credere assai più nutrita dal prestigio delli romanzi, e delle opere di poesia e di pittura, le quali ne usurparono l’argomento; che non dalla certezza di un caso, il quale avrebbe dovuto appartenere alla santità dell’istoria.

O consultino in fatti gli annali, o ne cerchino le reliquie, o ne leggano le novelle, essi non vi trovano che implicanze da non poter sciogliere, e per essi tutto aiuta la tenera fiducia che nasce in cuore di ognuno alla visita di quella tomba, che i fieri casi di Giulietta e di Romeo sieno, come scrive il Carli, una favoletta coronata dalla fantasia degli scrittori.

12 aprile

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     Lo zuavo    di Anonimo (1865)

Verso il tramonto d’un bel giorno di settembre del 1846, in un villaggio della Fiandra francese, in una piccola riunione di amici che attento prestavano l’orecchio, Francesco, giunto appena dalla città, vestito ancora della sua divisa, abbellito dalla stella del coraggio, incominciò così a ragionare al suo uditorio, di quella terra d’Africa, illustrata da tanti fatti d’armi.

Onde conservare alla narrazione tutta la sua naturalezza, lascierò parlare Francesco lo Zuavo:

«La coscrizione mi colpì nel 1839, sett’anni or sono. Sul bel principio dovetti fare trentatre tappe, da Bavay ad Aix in Provenza, poichè si è in questa città ch’io dovea raggiungere il mio battaglione allora in Algeria. Traversai la Francia dall’una all’altra estremità. Imparai facilmente l’esercizio delle armi, e tre mesi dopo sbarcai in Algeri. L’aspetto della metropoli dell’Algeria è veramente fatto per abbagliare un povero campagnuolo, abituato alla vista delle monotone pianure del nostro nebbioso paese. Questa città, dalle bianche case disposte a guisa d’anfiteatro sulle spiaggie del mare, è circondata da una lunga giogaia d’altissimi monti; poi, altri monti di colore azzurro più discosti, formano la cornice di questo quadro magnifico e sublime. [...]»

19 aprile

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     Il perdono    di Antonietta Pozzolini (1864)

Il giorno di S. Giovanni del 1859 sarà sempre un giorno memorabile nei fasti i più gloriosi della storia d’Italia. La battaglia di Solferino e di S. Martino, che decise della liberazione della Lombardia, che fece acquistar tanto vanto agli Italiani, che più d’ogni altra manifestò il diritto che ha questo popolo a divenir nazione, fu in quel giorno combattuta e vinta dagli alleati su gli Austriaci. Erano tre eserciti che stavano a fronte, era una giornata di sangue, una giornata da lungo tempo attesa, sospirata!..... La notte colla sua oscurità copriva quelle vaste estensioni di terreno, sparse di sangue e di cadaveri. Quanti valorosi caddero nel cimento terribile; quante famiglie attesero ansiosi, trepidanti i loro cari, e più non li rividero! La terra, per cui si erano battuti, la quale aveva bevuto il loro sangue li copriva per sempre, mentre le loro anime volavano a Dio martiri e preconizzatrici del futuro completo riscatto!

26 aprile

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     Senso    di Camillo Boito (1883)

 
Il prete aveva i gomiti poggiati sul davanzale; stava immobile, con lo sguardo fisso. Era la prima volta in dieci anni che vedeva dalla canonica del villaggio (il più alto villaggio del Trentino) la tempesta sotto i suoi piedi, intanto che il sole, un sole pallido, quasi intimorito, brillava sulle case del paesello e sulle cime delle montagne circostanti. Il giovine prete, a intervalli, tossiva. Il suo collo scoperto era candido e magro; la sua bella faccia affilata in quel momento sembrava impassibile. Eppure, studiando bene i lineamenti del volto, si avrebbe potuto indovinare il di dentro: tra le narici e gli angoli delle labbra pallide nascevano due solchi dritti; la fronte alta ed aperta aveva una ruga profonda, che contrastava con la espressione dolce, quasi infantile degli occhi d’un colore celeste d’oltremare, simile a quello dell’acqua nel Lago di Garda. L’arteria del collo batteva forte; le mani delicate si stringevano febbrilmente; i capelli biondi, cacciati indietro dal vento, coprivano la chierica.

3 maggio

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     Strada ferrata da Venezia a Milano    di Autori vari (1837)

L’immensa utilità delle strade di ferro, sia per l’interesse dei capitalisti che ne imprendono l’esecuzione, come pel vantaggio dell’industria e del commercio de’ territorii che percorrono, non è più un quesito.

I sorprendenti successi delle prime strade di ferro erette in Inghilterra destarono a buon diritto la generale attenzione. Gli Stati Uniti, la Francia, l’Alemagna, l’Austria, il Belgio e la Russia vollero prendervi parte e ne ottennero i più soddisfacenti risultati.

Animati da questi esempi, alcuni dei principali negozianti di Venezia e di Milano, si riunirono onde fondare una società per la costruzione di una strada ferrata da Venezia a Milano, e Sua Maestà Imperiale e Reale Ferdinando I con Sovrano Rescritto del giorno 25 febbraio a. c. si è graziosamente degnata di autorizzarne la formazione.

L’utilità e la importanza di questa grande impresa si rivela facilmente ad ognuno che si faccia a scorrere coll’occhio la carta geografica del Lombardo-Veneto.

10 maggio

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     Album Paulista    di Laurindo Ribeiro (1911)

LIMEIRA
 
 

Il proprietario

(Veduta della Fattoria)

Andrea Rosolin, dimora in Brasile da 23 anni, ed è proprietario di 64 ettari di terra e 28 mila piante di caffè. Coltiva anche grani. La sua rendita annuale è di circa L. 23 mila



17 maggio

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     La vergine di Usda    di Callindo di Apertisnata (1844)

Era il trenta di aprile; un sospiroso
Bacio di calda lacrima bagnato
Rigemeva l’addio sul niveo collo
Della vergine di Usda. - Giovinetta
Dal terzo lustro non ancora escita,
Tra le rose cresciuta del giardino
E più fresca di quelle, all’amor fatta
Amata riamò nella innocenza
Di castissimi voti. - Ispana donna
La concepì di un mercator di Francia,
Egli primiero gli operosi giorni
Concluse. [...]

24 maggio

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     Saggio sulla felicità    di Francesco Deciani (1809)

Travagliava il Sole nella scorsa estate con sue fiamme moleste gli uomini, e gli animali, e languir faceva sui loro steli chinate l’erbette molli, ed i fiori, quand’io togliendomi alle noje cittadinesche mi consigliai d’andarne tutto solo a soggiornare un’amena villetta, quinci non lontana, lieta di vaghe circostanti colline, di zampillanti ruscelli, e di opache ombre ospitali. Non so s’io v’andassi indotto piuttosto dalla speranza di trovare colà meno cocenti gli ardori, o spinto dalla grave inquietudine, che l’animo mio sì forte agitava, che me a me stesso rendeva insopportabile. La luce della verità non avea per anco rischiarato il mio intelletto, nè il fuoco della virtù aveva ancora purgata la mia anima. Io correva all’impazzata in traccia della felicità, ma non altramenti il faceva del peregrino, che ignaro del verace sentiero, che lo conduca alla meta del suo viaggio, mova per opposta parte i suoi passi, e quindi tanto più da quella si slontani, quanto più di aggiungervi si affretti.

31 maggio

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     Ritratto dell'uomo onesto    di Anonimo (1780)

Rendi a DIO ciò che l’Uomo
Deve rendere a Lui.
Pria di tentar l’imprese
Matura i pensier tui.
Non farti mai Compagno,
Che delle oneste Genti.
E non insuperbire
De’ tuoi rari talenti.
Presta l’orecchio attento
A ciò che ti vien detto;
E non far pompa mai
D’ingegno, ò d’intelletto.

7 giugno

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     Il patrizio e l'artista    di Antonietta Pozzolini (1864)

Oppresso da domestiche sventure, travagliato nella salute il conte S... aveva spatriato da Milano, città per lui di troppe triste rimembranze, ed aveva stabilita la sua dimora in Firenze. Quivi adoperava le molte sue ricchezze per la morte del suo unico figliuolo divenutegli omai superflue, in opere di vera beneficienza. Il suo cuore generoso non trovava conforto se non asciugando una lacrima, rendendo la pace e la tranquillità ad un’infelice famiglia; e le benedizioni di tanti ritornati per lui alle speranze e alle gioje della vita erano la più bella ricompensa e la più dolce soddisfazione alla sua instancabile carità. Dalla parte posteriore del suo vasto palazzo, che dava su di un giardino, fra le case che sorgevano dirimpetto, v’era il modesto studio di un giovane artista. Declinava a sera uno dei più bei giorni di Maggio. Solo, immobile innanzi a una tela appena sbozzata sta l’artista, collo sguardo fisso, raggiante di letizia, colla bocca sorridente. Il suo cuore batte di un palpito nuovo, accelerato; la sua mente è come assorta in un’estasi dolcissima, una commozione crescente tutto l’invade, egli vagheggia quel divino archetipo che lenta riprodur sulla tela.

14 giugno

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     Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan    di Autori vari (Antichità), traduzione dal cinese di Carlo Puini (1872)

LA MOGLIE DEL BACCELLIERE

Racconto e dico come nel distretto di Kuei-ceu-tao, territorio di Ceng-fan-fu, c’era una volta un Sieu-zai, o vogliam dir baccelliere, chiamato Ting Yuo-ciung, il quale usava spesso recarsi a studiare nella libreria del convento di Ngan-fu; ove con un certo bonzo, o frate buddista, per nome Sing-hui, aveva stretta tal dimestichezza, che da mattina a sera con esso amichevolmente si intratteneva.

Ora avvenne un giorno, che questo Sing-hui andossene alla casa di Yuo-ciung per pigliar consiglio con lui intorno a certo affare: ma il caso volle che il baccelliere, per sue bisogne, ne fosse uscito allora allora. Sua moglie Teng-sci, che aveva sempre udito ripetere dal marito, com’egli molto si tenesse obbligato all’amico suo Sing-hui, perchè nel tempo ch’ei passava al convento fra i libri e gli studi, questi lo regalava di cibo e buon vino, credè far l’obbligo suo andandogli incontro con liete accoglienze ed invitandolo a refocillarsi d’un po’ di riso. Ma come il bonzo ebbe vista la donna, che bella era di persona, di portamento leggiadro, gentile e còlta nel favellare, ne fu subito preso in cuor suo perdutamente.

21 giugno

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     I Robinson Italiani    di Emilio Salgari (1897)

 
— Al fuoco!...

— Ohe!... Piccolo Tonno!... Sogni o sei sveglio!...

— Al fuoco!...

— Ma tu hai bevuto, furfante!...

— No! Vedo del fumo!

— Con quest’oscurità!... Il ragazzo è diventato pazzo. —

Una voce che aveva l’accento strascicante dei nostri uomini del mezzodì echeggiò furiosamente sulla tolda della nave:

— La gran scialuppa fugge!... San Gennaro mandi a picco quei pesci-cani del malanno!...

— Chi a picco? — tuonò una voce a prua.

— Fuggono!... Eccoli laggiù che arrancano! Il diavolo faccia la festa a quelle canaglie!

— Ed il fuoco è scoppiato a bordo! —

28 giugno

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     Novella d'un piovano vicino a Firenze    di Marabottino Manetti (XV secolo)

Perchè sono cierto, magnifico Lorenzo di Piero de Medici, la umanità tua essere inclinevole a porgiere li orechi al parlare di qualunque a te benivole, et nelli loro ragionamenti grandemente dilettarti; io non avendo da ragionare teco cosa alcuna di grande a te degnia, mi proposi di sforzarmi quanto a me fussi possibile con qualche piacievole facietia dilettare el gieneroso tuo animo. Onde fra l’altre m’occorse una novella d’uno nostro ciptadino e prete di stirpe nobile, che io udii recitare da messere Agniolo dalla Stufa notabile cavaliere, in presenza del presente Duca di Calavria e di molti altri baroni; la quale lui diceva avere udita racontare dal S. Gismondo di Rimino; affermando lui averla intesa da Tommaso Alderotti uno de’ capi e guidatori di quella. Il perchè, avenga che la materia sia infima e bassa, niente dimeno considerato da quali notabili recitatori e di quanta degnità sia stata raconta e gratamente udita, non mi stimai essere fuori del proposito mio alla tua magnificenza dare di tale materia qualche notitia, stimando che colla tua solita benignità da te almeno ascoltata o letta sarà. Et con tale fidanza alla discrizione di quella vengo.

5 luglio

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     Le confessioni di un ottuagenario    di Ippolito Nievo (1867)

 
CAPITOLO PRIMO

Ovvero breve introduzione sui motivi di queste mie Confessioni, sul famoso castello di Fratta dove passai la mia infanzia, sulla cucina del prelodato castello, non che sui padroni, sui servitori, sugli ospiti e sui gatti, che lo abitavano verso il 1780. — Prima invasione di personaggi; interrotta qua e là da molte savie considerazioni sulla Repubblica Veneta, sugli ordinamenti civili e militari d’allora, e sul significato che si dava in Italia alla parola patria allo scadere del secolo scorso.

Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’Evangelista Luca; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.

Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l’hanno fatta, così mi venne in mente, che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati.

12 luglio

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     Le odi    di Quinto Orazio Flacco (I secolo a.C.), traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)

 

Mecena, o d’atavi regj progenie,
     Mio buon presidio, mio fregio amabile,
     V’è chi sul plaustro la polve olimpica
     Ama raccogliere: schivando il termine

Con ruote fervide, la palma merita
     Ch’ai Numi innalzalo del mondo principi.
     Gode un, se mobile turba quirinia
     All’onor triplice lui cerca estollere;

Un, se nel proprio granajo accogliere
     Può quanto trebbiasi nell’aje libiche.
     Chi i campi patrj col sarchio fendere
     Si piace, d’attali tesori smuovere

26 luglio

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     Vita di Cecilia De' Vecchi nata Carrara-Beroa    di Angelo Maria Lucchetti (1803)

Cecilia de’ Vecchi figlia di Ottavio Carrara-Baroa, e di Caterina Tomini-Foresti nacque in Bergamo il giorno 28. Gennajo 1779. e fu battezzata nella Chiesa del SS.mo Salvatore. Ambedue i genitori furono di Casato illustre e cospicuo, come ognun sa, e più ancora commendevole per un carattere di cristiana pietà che ne fece un inalterabile spirito, ed un concetto universale. Iddio libero dispositore delle sue benedizioni la prevenne in maniera colla sua grazia che fece precedere in lei e fiori e frutti di belle virtù alla stessa primavera dell’umana vita, cioè al primo possesso della ragione. Questi son tanto più belli, quanto più rari, ed indicanti il bel giardino che quell’anima fortunata doveva essere un giorno: e direi anche tanto più sensibili quanto che veduta la breve durata de’ suoi giorni preziosi, si scorge da questi che Dio ha voluto anticipare in lei le sue meraviglie, perchè si verificasse, che consumata in breve compiè molte giornate.

2 agosto

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     Lettera del P. D. Roberto Gaeta al signor abate D. Paolo Frisi    di Roberto Gaeta (1783)

Signore, voi ben sapete, che avendo io per tre anni avute lezioni private di Matematica dal celebre P. Fontana Professore nell’Università di Pavia, mi trovai in obbligo di dare al Pubblico ed alla mia Religione non equivoco segno, che sotto un tanto uomo non si potea che profittare; e che a questo principal fine tradussi dall’idioma Inglese quella Parte delle Opere di Abramo Moivre, che riguarda l’applicazione della Dottrina degli Azzardi alle Annualità, ai Vitalizj, alle Tontine, alla Probabilità della Vita, e alla Misura della Mortalità, che l’arricchii di Note ed Aggiunte, e che dopo averla consecrata al gran Mecenate delle lettere e di sempre gloriosa memoria a Sua Eccellenza Carlo Conte e Signore di Firmian, la presi per argomento di pubblica Esercitazione Matematica nell’Aula della Regia Università coll’intervento di tutti quegl’illustri Professori il giorno 30. Maggio 1776.

9 agosto

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     Novella di Giovanni Cavedone    di Anonimo (XV secolo)

Giovanni Cavedone è innamorato di madonna Elisa de gli Onesti, e Agnolo fornaio credendolo servire, della sua propria donna galeotto diviene.

E’ non è guari di tempo passato, che essendo io in Pisa all’albergo del Cappello dove si ritrovonno più e più mercatanti di vari paesi, come tutto giorno veggiamo negli alberghi avvenire; e avendo tutti lietamente cenato, ed essendo d’inverno tutti ad uno grande fuoco a sedere, disse l’uno di questi mercatanti, che per li savi si teneva che il tempo era la più cara cosa che fosse, e che quello perdendo mai racquistare non si poteva: e però, acciò che quella particella della notte che vegghiare intendevano utilemente si spendesse, dove a gli altri piacesse, a lui parrebbe che si dovesse per alcuni di loro novellare delle cose preterite, e narrare de’ casi fortuiti già a molti addivenuti. Fu da tutti molto commendato il detto di quello, e così più e più bellissime novelle vi si raccontarono; infra quali una ve ne fu che sopra tutte le altre piacendomi, acciò che per li tempi futuri raccontata da molti fosse, m’è piaciuto di scriverla, come appresso udirete.

16 agosto

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     Novella di Bonaccorso di Lapo    di Anonimo (XV secolo)

Novella di Bonaccorso di Lapo Giovanni, cognominato Bonaccorso dai modi, e di messer Giovanni arcidiacono.

E' non è ancora gran tempo passato, che nella nostra città di Firenze fu una buona e grande compagnia di mercatanti ricchi uomini, de' quali, come maggiore e più ricco, ne fu fatto capo uno che si chiamava Andrea di Signino Baldisserri, e in lui diceva il nome della compagnia, cioè Andrea di Signino e compagni, come che lui poco o niente v'attendesse; ma attendeva ad uccellare, a cacciare e ad altri suoi piaceri. Appresso a lui era nella detta compagnia uno che chiamato era Bonaccorso di Lapo Giovanni, uomo grande e bello di corpo, costumato e di bella apparenza e di laudabili maniere, savio e pratico, non solamente nella sua arte, ma generalmente in tutte le cose, tanto che gran parte delle questioni e terrestri e marine ed eziandio fuori di mercatanzie, o forti o ardue che si fossero, per le mani gli veniano, e molte altre che erano nelle mani d’altri.

23 agosto

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     Del coraggio nelle malattie    di Giuseppe Pasta (1792)

Non v’ha chi visiti infermi, e non raccomandi il coraggio. Il coraggio è il primo e l’ultimo complimento che si faccia loro. Questo ricordo, o fausto augurio, nasce da un sentimento di zelo naturale verso i pazienti. Il vero coraggio è l’arte di saper soffrire, nè ad un ammalato si può desiderar di meglio. Fu sempre dagli uomini inteso il valore di sì fatto buon desiderio: il perchè sotto il velo d’una sola parola, passata quasi a proverbio, hanno ritenuto sempre il costume di esprimere cotal desiderio a chi è in travaglio. Ma ad onta di ciò nessuno, s’io non erro, ha preso in esame il vantaggio di questo sentimento, nè indicato gli ostacoli che gli si oppongono, nè insegnato i modi di procurarlo. A ma certo è paruto argomento degno d’un Medico e ci ho posto mano con quell’ardire che è proprio d’un’intima persuasione, ma con quel dubbio insieme di non ben riuscirvi, che vivo ognora e presente mi tenne la mia insufficienza.

30 agosto

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     Delle cinque piaghe della Santa Chiesa    di Antonio Rosmini (1848)

 
1. Trovandomi in una villa del Padovano, io posi mano a scrivere questo libro, a sfogo dell’animo mio addolorato; e fors’anco a conforto altrui.

Esitai prima di farlo; perciocchè meco medesimo mi proponea la questione: «Sta egli bene, che un uomo senza giurisdizione componga un trattato sui mali della santa Chiesa? O non ha egli forse alcuna cosa di temerario a pur occuparne il pensiero, non che a scriverne, quando ogni sollecitudine della Chiesa di Dio appartiene di diritto a’ Pastori della medesima? E il rilevarne le piaghe non è forse un mancare di rispetto agli stessi Pastori, quasichè essi o non conoscessero tali piaghe, o non ponessero loro rimedio?»

A questa questione io mi rispondevo, che il meditare sui mali della Chiesa, anche a un laico non potea essere riprovevole, ove a ciò fare sia mosso dal vivo zelo del bene di essa, e della gloria di Dio; e parevami, esaminando me stesso, per quanto uomo si può assicurare di sè, che non d’altro fonte procedessero tutte le mie meditazioni.

6 settembre

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     Discorso intorno ad Archimede    di Domenico Scinà (1823)

La fama di Archimede suona così chiara presso di tutti, che scriverne l’elogio si potrebbe forse reputare un’opera inutile e superflua. I matematici d’ogni età pieni di venerazione han ricordato il nome di lui, e lui hanno mostrato come uno di que’ pochi, che vaghi del sapere e speculando nelle scienze sono là giunti dove può umano intelletto. Se da’ geometri ci rivolgiamo agli storici, e in generale a tutti gli eruditi, troviamo, che alla venerazione di quelli si è aggiunta l’ammirazione di questi. Hanno essi tra le invenzioni di Archimede quelle riferito, che colpiscono i sensi, quali son le meccaniche, e queste lodando e talvolta esagerando gli han decretato il primo posto d’onore tra gli scienziati. La voce pubblica in fine magnificando, come suole, il giudizio de’ sapienti si è sparsa per tutta la terra, ed Archimede va ognora gridando qual genio soprumano e divino. Chi potrà dopo ciò lui inalzar colle lodi, se il solo suo nome risveglia la pubblica venerazione e tien luogo di qualsivoglia elogio? Ogni lode sarebbe inferiore alla sua fama, e in vece di accrescere sminuir ne potrebbe la gloria.

13 settembre

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     L'Euclide deve essere bandito dalle scuole classiche    di Rinaldo Marcucci Ricciarelli (1871)

Prima di esporre il mio parere riguardo alla Geometria di Euclide, credo opportuno prendere ad esame le più logiche e forti opposizioni che sonosi fatte a quest’opera, nel suo essere sublime, avuto riguardo all’epoca ond’ebbe origine, da uomini profondi conoscitori non solo delle matematiche dottrine, ma eziandio della tanto interessante parte didascalica, tra i quali mi è grato comprendere l’illustre professore signor Sebastiano Purgotti, che ha consacrato tre opuscoli contro la Geometria di Euclide.

La più forte opposizione che egli fa è sulla definizione 5.ª del libro V.°; e a buon diritto, perchè su questa definizione poggiano tutti o quasi tutti i teoremi compresi in questo libro; e vari di quelli del libro seguente, che nel loro insieme formano tutta la vasta teoria delle proporzioni, che è il midollo delle matematiche discipline.

Io, meditando su quella, detta da Euclide definizione, e su quanto contro di questa vi ha scritto il chiarissimo professore Purgotti, diceva fra me e me: Se dessa è falsa, per falsi debbono ritenersi i numerosi teoremi che su di essa poggiano: [...]

20 settembre

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     I masnadieri fratelli    di Aleksandr Sergeevič Puškin (1822), traduzione dal russo di Emilio Teza (1862)

 

Non di corvi uno stormo in sulle putri
Ossa s’accoglie; ma nell’atra notte
Sulle sponde del Volga una feroce
Gente s’accoglie: il volto e le favelle
Varia e le schiatte; a squallida capanna
Tolta o alle celle o a un carcere; a vietati
Guadagni intenta: e in tutti i cuori un solo
Desio si annida, non aver più legge
Nè imperio in terra. — Qui trasse il fuggiasco
Dal Donne battagliero: ed il Giudeo
Colle negre sue ciocche; delle steppe
Selvaggia prole, vedi là il difforme
Baschiro ed il Calmucco; [...]

27 settembre

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     Nuovo discorso proemiale letto nell'Accademia di Filosofia Italica    di Terenzio Mamiani (1851)

 
Non è contrario alla vostra modestia nè al basso concetto che aver volete di voi medesimi l’affermare, o accademici, che molto eminente ed anzi maggiore di tutte nell’ordine degli studi è la dignità dell’ufficio al quale la terza volta qui ritornate. Parve a Platone di profferire la lode massima dell’Amore facendol chiamare per bocca della saggia Diotima un grande e celeste demone al quale spetta continuamente d’interpretare e accostare le cose umane agli Dei e le divine agli uomini. Ma che altro adempie o cura sollecitamente d’adempiere la filosofia salvo che d’innalzare i fatti fugaci, i naturali accidenti ed ogni minuto particolare alla eterna luce delle idee; e viceversa, attingere di continuo da quei profondi splendori alcun raggio sereno di verità che illustri le arti e le pratiche umane e le purghi d’errore e la fecondità ne moltiplichi? Cotale è l’ufficio nostro elettissimo; e a fine d’esercitarlo utilmente e con ispontanea congiunzione e concordia d’intellettuali forze, in quest’accademia ci congreghiamo.

4 ottobre

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     Elias Portolu    di Grazia Deledda (1928)

 
Giorni lieti s’avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro. Agli ultimi di aprile doveva ritornare il figlio Elias, che scontava una condanna in un penitenziario del continente; poi doveva sposarsi Pietro, il maggiore dei tre giovani Portolu.

Si preparava una specie di festa: la casa era intonacata di fresco, il vino ed il pane pronti; pareva che Elias dovesse ritornare dagli studi, ed era con un certo orgoglio che i parenti, finita la sua disgrazia, lo aspettavano.

Finalmente arrivò il giorno tanto atteso, specialmente da zia Annedda, la madre, una donnina placida, bianca, un po’ sorda, che amava Elias sopra tutti i suoi figliuoli. Pietro, che faceva il contadino, Mattia e zio Berte, il padre, che erano pastori di pecore, ritornarono di campagna.

I due giovanotti si rassomigliavano assai; bassotti, robusti, barbuti, col volto bronzino e con lunghi capelli neri. Anche zio Berte Portolu, la vecchia volpe, come lo chiamavano, era di piccola statura, con una capigliatura nera e intricata che gli calava fin sugli occhi rossi malati, e sulle orecchie andava a confondersi con la lunga barba nera non meno intricata.

11 ottobre

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     Che cosa è l'arte?    di Lev Tolstoj (1897), traduzione dal russo di Anonimo (1904)

 
Prendete in mano un giornale qualunque; ci troverete senza fallo una o due colonne dedicate al teatro e alla musica. Due volte su tre ci troverete pure la rassegna di qualche esposizione d’arte, la descrizione di qualche quadro, di qualche statua, e per giunta l’analisi dei romanzi, dei racconti, dei versi usciti di fresco. Il vostro giornale, con uno zelo ammirevole e con gran copia di particolari, vi esporrà come questa o quest’altra attrice abbia sostenuto la sua parte in una determinata produzione; e così potrete comprendere di botto anche il valore del lavoro, sia dramma, sia commedia od opera, e l’importanza dell’esecuzione. Sarete informati a dovere anche dei concerti; saprete quali pezzi certi artisti abbiano sonati o cantati, e in che modo. D’altro lato in tutte le grandi città siete sicuri di trovare, se non due o tre, almeno una esposizione di quadri, che coi loro meriti e coi loro difetti offrono ai critici d’arte argomento di studi minuziosi.

18 ottobre

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  Alcippo

 

Come in ampia Cittate
Amor forte saetti,
Per leggiadra beltate
Di grave piaga i petti;
E come forte d’un bel guardo a i rai
Altrui l’anima accenda;
E come lacci ei tenda
A farne servi, pienamente il sai,
S’altri in Cittate il seppe,
O gentil Pier Giuseppe.

Per certo Amor t’accese;
Ned’io l’affermo in vano; [...]

25 ottobre

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     La discrizione dell'uccellare col roccolo    di Giovanni Battista Angelini (1724)

Frà le molte maniere ritrovate dal genio d’uccellare la più usata in Bergomo è quella del Roccolo, esercitata con tale vogliosa cura, che non solo ne monti, e piano del Contado si è distesa, mà ne Borghi, e sobborghi, ed entro la Città stessa vedonsi Roccoli piantati a passatempo come necessario a nostri abitatori per godere l’amenità dell’Autunno, e per divertire l’ozio Villereccio. Era tempo, in cui a Massaj de poderi s’imponeva da Padroni l’incarico di stare pronti, ed avveduti a discacciare co’ spaurachj dalle vigne gli Tordi, che loro infettavano l’uve, come si legge nelle antiche scritture coloniche, ed ora è fatto impegno di sollazzo l’invitargli con arte insidiosa per farne preda. Sono stati in questa parte poco accorti gli nostri Antichi, che non seppero approfittarsi di tale diletto, ed insieme utilità, come hanno fatto gli più moderni Avoli, che s’applicarono a questa piacevole invenzione, quale non và disgiunta dall’onestà, dal gusto, dall’iconomia. Circa cento cinquant’anni si contano, che in Bergomo si rinvenne questa foggia d’uccellare, mà resta incognito il di lei primo Autore.

1 novembre

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     Pei monumenti storici del Friuli    di Jacopo Pirona (1833)

Un anno trascorse dappoichè questo onorando Consesso, tutore per istituto e maestro di civiltà, arrise all’idea di vendicare dalle tenebre e dalla oblivione le Memorie di questa Patria, degna pur tanto di onore e di rinomanza. Oggi è dover nostro di rendervi conto, o Accademici, in quale maniera cotesta idea, dal vostro patrocinio rinfrancata, siasi venuta sviluppando, per convertirsi a poco a poco in una realtà. E questo conto tanto più volenterosi noi vi rendiamo, quanto meglio siamo persuasi dover essere tutta mercè vostra, se si affretti quel giorno, in cui la luce dell’antica gloria rischiari questa povera terra, la quale chiede a noi tutti un tributo di amore, come quella che racchiude le ossa de’ nostri padri, ed aspetta le nostre. Ed in prima dobbiamo confessarvi, la nobile idea che a voi proponevamo, e che voi generosi accoglievate, non essere un nostro particolare concepimento; ma essere un sentimento dell’età adulta, alla quale il civile consorzio è pervenuto, un bisogno svelato agli uomini dalla condizione dei tempi, un grido della ragione, sentito da tutti que’ popoli che sanno di avere una Patria.

8 novembre

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     Risultati delle osservazioni della nuova stella    di Giuseppe Piazzi (1801)

 
Già da nove anni travagliando io a verificare le posizioni delle Stelle, che si trovano raccolte ne’ varj Cataloghi degli Astronomi, la sera del 1 Gennajo dell’anno corrente, tra molte altre, cercai la 87ª del Catalogo delle Stelle Zodiacali dell’Ab. la Caille. Vidi per tanto, che era essa preceduta da un’altra, che secondo il mio costume volli osservare ancora, tanto maggiormente, che non impediva l’osservazione principale. La sua luce era un poco debole, e del colore di Giove, ma simile a molte altre, che generalmente vengono collocate nell’ottava classe rispetto alla loro grandezza. Non mi nacque quindi alcun dubbio sulla di lei natura. La sera dei due replicai le mie osservazioni, ed avendo ritrovato, che non corrispondeva nè il tempo, nè la distanza dal Zenit, dubitai sulle prime di qualche errore nell’osservazione precedente: concepii in seguito non leggiero sospetto, che forse esser potesse un nuovo Astro.

15 novembre

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     Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel    di Richard Adams Locke (1836), traduzione dal francese di Anonimo (1836)

 
È noto, che il signor Arago divertiva, or sono quattro mesi, la dotta Accademia, di cui è membro, sul proposito della pretesa scoperta fattasi nel mondo lunare dal celebre John Herschel, inviato al Capo di Buona Speranza nel 1834. ad osservare il transito di Mercurio sul disco del Sole.

I giornali americani avevano di fatti discorso di bizzarri animali, di monti d’amatista, e di smeraldo, d’uccelli, e di fiori visti dal celebre Astronomo inglese nel satellite della terra, col mezzo di una nuova scoperta telescopica. A tali rivelazioni alludeva il signor Arago; e que’ rumori presentati in sommaria guisa parevano siffattamente inverosimili, che lasciavano libero il corso agli ironici dubbi dell’illustre nostro concittadino.

Ora la quistione non è più la stessa. Le relazioni circostanziate de’ giornali americani furono, non ha guari, tradotte, ed in un libretto di 50 pagine offrono de’ dettagli sì bene ordinati, che d’uopo è riconoscere, che i fatti straordinari narrati in quel libretto hanno pur tutta quella consistenza, che la verità, od il più abile artifizio ponno sol dare ad un racconto.

22 novembre

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     Ricerche critiche intorno alle medaglie di Costantino Magno    di Celestino Cavedoni (1858)

 
Il più antico monumento epigrafico pubblico, che finor si conosca, insignito del sacrosanto monogramma   frapposto alle greche lettere A ed Ω, si è quello di Sitten dell’Elvezia, dedicato nel 377 sotto Graziano [...]; ma nelle monete Imperiali quell’adorato segno Cristiano comparisce di già un 40 e più anni prima sotto Costantino Magno, il quale, a detto di S. Ambrogio (Orat. de obitu Theodos. n. 40), quod primus Imperatorum credidit, et post se hereditatem Fidei principibus dereliquit, magni meriti locum reperit. A parere dell’Eckhel (t. viii p. 89) ex nummis pertinax Constantini in vetera sacra odium, et adversum Christiana adfectus probari non potest. Ma il sommo numografo a questo luogo parmi precipitasse il suo giudizio non ponendo tutta la diligenza nel rintracciare tutti quanti i segni di Cristianesimo, che ricorrono nelle monete di Costantino e de’ suoi figliuoli, e non facendo la debita distinzione degli anni del di lui impero, e de’ riguardi che quel saggio Principe aver doveva alle circostanze de’ tempi [...]

29 novembre

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     Cala Farina    di Faustino Maltese (1873)

In Sicilia, anche quel del Cantastorie è un mestiere, col quale, specie i ciechi, trovan modo, quantunque assai sottilmente, a reggere la vita.

Tra il corredo dei loro racconti, oltre quelli del Meschin Guerrino, dei Reali di Francia, dei Beati Paoli, v’ha pure quel di Cala Farina; che, sebbene svisato dalla tradizione, e dalle lascivie della imaginazione, ricorda un tratto di storia Siciliana, e le simpatie del nostro popolo per Maniace, capitano Greco mandato dalla Corte di Costantinopoli a scacciare i Saraceni, non per liberare la Sicilia e prosperarla; ma per averne il dominio e tornare a cavarne tanto grano, quanto un tempo da tutta Italia.

La credenza degl’incanti e dei tesori nascosti è radicatissima nelle persone di bassa mano, e solo può togliersi con l’istruzione. E come questo racconto accenna ad immensi tesori incantati, così è tra noi generalmente ascoltato con grande attenzione.

6 dicembre

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     Idillii spezzati    di Antonio Fogazzaro (1902)

 
Io tengo a Oria, sulle rive del lago di Lugano, una piccola villa battuta dalle onde a piede di un monte vestito di ulivi, di viti ed anche di allori, che nessun poeta, prima di me, è andato a cercare.

È un ameno e tranquillo angolo del mondo, caro ai sognatori e agli artisti. Quando sono a Oria passo gran parte della giornata sul lago, solo nel mio canotto, vestito come un barcaiuolo, con qualche libro e i miei arnesi da pesca. Quest’abitudine mi procurò, molti anni sono, la più romanzesca avventura della mia vita.

Approdai una mattina col canotto a una spiaggia fra due scogli in faccia a Lugano, dove c’è adesso la trattoria del Cavallino. Allora il luogo era del tutto selvaggio e deserto. Vi ha fra i due scogli un piccolo valloncello ombroso che conduce a una sottile argentea cascatella. Avevo pescato lungo le rive sassose del monte Caprino e rotta la mia pesca senza pigliare un pesciolino.

13 dicembre

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     Tesoro letterario di Ercolano, ossia, la reale officina dei papiri ercolanesi    di Giacomo Castrucci (1858)

Che la Reale Officina de Papiri Ercolanesi sia la più antica, ed unica Biblioteca del Mondo tutto, campata dal naufragio della Barbarie, e dall’edacità del Tempo, non è a dubitarne. Sovrani, Dotti di ogni classe e considerazione ammirano le venerande reliquie della Letteratura antica, diseppellite in Ercolano, che nel 79 dell’Era Volgare venne ricoperta dalle ignee lave del Vesuvio. Questi preziosi giojelli della Corona del Re N. S. non da tutti possono osservarsi, perchè non tutti possono viaggiare. Quindi si reclamava la Paleografia dei volumi di Ercolano, ed a tale sentito bisogno divisai pubblicare questo Tesoro letterario di Ercolano, ossia la Reale Officina de’ Papiri Ercolanesi, la quale di molto lustro venne accresciuta per le cure non abbastanza lodale di S. E. il Principe di Bisignano D. Pietrantonio Sanseverino Maggiordomo Maggiore, Sopraintendente generale di Casa Reale, e sue dipendenze, fra le quali ha non ultimo luogo l’Officina anzidetta. Credei fin dal 1852 poterla indicare con brevi ricordi per la gloria del piissimo nostro Re FERDINANDO II. (D.G.) e del nome napoletano.

20 dicembre

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     L'edera    di Grazia Deledda (1920)

 
Era un sabato sera, la vigilia della festa di San Basilio, patrono del paese di Barunèi. In lontananza risuonavano confusi rumori; qualche scoppio di razzo, un rullo di tamburo, grida di fanciulli; ma nella straducola in pendio, selciata di grossi ciottoli, ancora illuminata dal crepuscolo roseo, s’udiva soltanto la voce nasale di don Simone Decherchi. — Intanto il fanciullo è scomparso, - diceva il vecchio nobile, che stava seduto davanti alla porta della sua casa e discuteva con un altro vecchio, ziu Cosimu Damianu, suocero d’un nipote di don Simone. — Chi l’ha veduto? Dov’è andato? Nessuno lo sa. La gente dubita che l’abbia ucciso il padre... E tutto questo perchè non c’è più timor di Dio, più onestà... Ai miei tempi la gente non osava neppure figurarsi che un padre potesse uccidere il figlio...

27 dicembre

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     Cenere    di Grazia Deledda (1929)

 
Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull'orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s’avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po’ obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliege. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava striscie di scarlatto e nastri, coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d’asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali ed amuleti.