La discrizione dell'uccellare col roccolo/Discrizione

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DISCRIZIONE.


FF
Rà le molte maniere ritrovate dal genio d’uccellare la più usata in Bergomo è quella del Roccolo, esercitata con tale vogliosa cura, che non solo ne monti, e piano del Contado si è distesa, mà ne Borghi, e sobborghi, ed entro la Città stessa vedonsi Roccoli piantati a passatempo come necessario a nostri abitatori per godere l’amenità dell’Autunno, e per divertire l’ozio Villereccio. Era tempo, in cui a Massaj de poderi s’imponeva da Padroni l’incarico di stare pronti, ed avveduti a discacciare co’ spaurachj dalle vigne gli Tordi, che loro infettavano l’uve, come si legge nelle antiche scritture coloniche, ed ora è fatto impegno di sollazzo l’invitargli con arte insidiosa per farne preda. Sono stati in questa parte poco accorti gli nostri Antichi, che non seppero approfittarsi di tale diletto, ed insieme utilità, come hanno fatto gli più moderni Avoli, che s’applicarono a questa piacevole invenzione, quale non và disgiunta dall’onestà, dal gusto, dall’iconomia. Circa cento cinquant’anni si contano, che in Bergomo si rinvenne questa foggia d’uccellare, mà resta incognito il di lei primo Autore. Pure cred’io, che, essendo facile [p. 6 modifica]l’aggiugnere al primo ritrovamento delle cose qualch’altra forma più adatta per renderle a perfezione compiute, si sia applicato l’ingegno de Bergomaschi a comporre sù qualche più antica informe idea questa maniera d’uccellagione, ch’ora largamente è praticata ne nostri contorni, mentre quì non s’innalza colle, poggio, monte, che non sia coronato da Roccoli di quà, di là, di sù, di giù acconciamente, e vagamente disposti.

Non saprei dire, se la denominazione del Roccolo sia ricavata ò dalla parola Roccia, che significa un erta, e scoscesa rupe, per essere anch’egli per lo più situato in monti selvosi, ed erti colli; ò dalla parola Rocchio, con cui si chiama un pezzo di qualsivoglia materia, ch’abbia la figura cilindrica, attesoche il Roccolo è pure figurato in forma rotonda; ò dalla parola Rocco, che propriamente significa il bastione Vescovile, che è ritorto in cima, come anche il Roccolo si gira in doppio cerchio; ò dalla parola Rocco, qual è una delle figure, con cui si giuoca a scacchi, detto così, perche à guisa di torricella stà sù la frontiera dello scacchiere, serbata la proporzione del Roccolo, che s’erge sù la costiera de monti, e sù la fronte delle campagne. Mà a mio credere il Roccolo si nomina tale dalla parola Rocca in significazione di luogo forte in eminenza collocato, a cui si rassomiglia il Roccolo e per l’altezza del sito, e per la disposizione della figura, mentre rassembra nella sua [p. 7 modifica]frondosa palificata un circuito di Fortezza da la sua eminente vedetta guardato, dove l’Uccellatore stà come in sentinella spiando gl’augelli, che vi s’avvicinano, e donde contro loro scaglia alcuni legnetti per abbassargli, e cacciargli nella rete; come dirò nella seguenza.

Che che sia l’origine del nome, il Roccolo si pianta sù le costiere, ò frontiere de colli, e monti, ed in altri elevati siti, da quali si vegga da lontano la venuta degl’augelli, non in luogo però tant’alto, che sia troppo bersagliato da venti, che turbano l’uccellagione, e sconvolgono le reti, che dalla loro violenza restano talvolta lacerate, ed in più brani appiccate a gli rami de gl’alberi penzoli avanzi, e trofei dispersi della loro insolenza. Sebbene però nelle pianure non è frequente l’altezza d’un sito confacente alla convenienza del Roccolo, non per questo s’esclude, che non si debba, e possa piantare ancora in basse campagne, perche il più delle volte gl’augelli si ritirano dal monte al piano; ed è avvenuto spesse siate, che si fece più presa d’uccellame nel piano, che sù ’l monte conforme la stagione, ed il passaggio loro, ed anche per ragione dell’esca. Onde si conchiude che il Roccolo si può formare tanto sù poggi, e monti, quanto in pianura, dovendosi solo avvertire, che gli Roccoli del piano debbono essere piantati entro a le vigne, ò nelle boscaglie, perche gli Tordi in campagna rasa, ed aperta non posano con tanta franchezza, come [p. 8 modifica]laddove s’inselvano gl’alberi, e le vigne, perche amano questi la spessitudine delle piante, dove più facilmente calano, e vi s’imboscano, E perche poi vi sono de Tordi, ed altri augelli più scaltriti, e schivi, che giuocano alla lontana dal cerchio del Roccolo, si fiancheggia il medesimo con le Passate ò per lungo, ò per traverso, quali estese in ale sù la foggia stessa del Roccolo a doppia spalliera d’Alberi dirittamente piantati arrestino in passando il loro volo, quando cauti pensano di scansare l’insidia. Si chiamano Passate, perche imprigionano gl’augelli passeggieri, e quelli, che van circolando al difuori per pascersi, ò quasi che fussino avvertiti dell’interiore inganno. Le Passate però di maggiore profitto sono quelle, che stanno distese sù la sella de monti, che è quella culla concava, che formano nel mezzo le cime opposte de monti medesimi, per cui gl’augelli già stanchi dall’alto volo s’aprono al loro passaggio il varco.

Posto tal sito, si pianta il Roccolo in figura rotonda, ò più che mezzo lunare d’arbuscelli frondosi verdeggianti doppiamente circolari, cioè di quercia, ed altra sorta, l’uno dall’altro due, ò trè, ò quattro braccia disgiunto, sicchè il cerchio esteriore delle piante sia più largo dell’altro cerchio, che interiormente sù ’l medesimo ordine a dirimpetto, e col numero stesso delle piante corrisponda all’esteriore, mà con più ristretta circonferenza per ragione dello spazio di due passi andanti di distanza frà l’uno, e l’altro circolo, [p. 9 modifica]affinche detto spazio frà loro abbia capacità d’accogliere entro a se una scala portatile, di cui si serve l’Uccellatore per arrivare alla sommità della rete, e riscuoterne dalla medesima gli presi augelli. Queste piante con tal circuito regolare doppiamente disposte, e cresciute all’altezza d’otto e più braccia si curvano nelle loro cime, quali scambievolmente piegate al disopra, ed insieme avvinte formino in guisa di travi frondosi una verde coperta sopra la vacuità frapposta d’ambi i cerchj, la quale coperta in lingua nostra chiamasi Cigalerio. Gli rami puoi di quelle piante s’attorcigliano, e s’attraversano per fianco, co’ quali s’abbraccia una pianta coll’altra del loro proprio cerchio esteriore ò interiore, che sia, e così vicendevolmente legati, ed attorti insieme rendano bensì tutta fronzuta respettivamente l’una e l’altra spalliera de’ cerchj, acciocche la ragna, che pende dall’alto affissa a rampini di ferro fitti nel cigalerio frà lo spazio dell’uno, ed altro circolo non sia dagl’augelli veduta, e frà la loro verdura s’asconda. Non debbono però gli rami essere tanto folti, e spessi, che non abbiano l’intervallo frà loro almen d’un braccio, e più, affineche gli uccelli, che si poggiano nel Roccolo sbarratati, e sborriti, ò come diciamo noi, sborrati, abbiano frà quella intrecciatura de rami aperto l’adito alla ragna, all’incontro della quale sono dallo sborratore impetuosamente cacciati. Lo sborratore in lingua nostra è un legnetto, che ha la [p. 10 modifica]sigiura in tutto d’un pivolo di scala alla lunghezza d’un braccio, e taluno si fà alato in una delle estremità con penne di gufo, e con vinchi di vinalba in giro ritorti, con cui scagliato dall’alto della vedetta sopra gl’augelli ò poggiati nel tondo del Roccolo, ò in atto di poggiarvisi, l’Uccellatore gli abbassa, e gli caccia a ratto volo nella rete.

La larghezza poi d’entrambi questi cerchj si può formare più, e meno spaziosa nella loro circonferenza più, e meno capace a tenore del genio, e dell’idea, ed a conformità del sito. L’ordinario circuito però è di quaranta in cinquanta, o sessanta cavezzi, ciascuno de quali porta la misura di cinque braccia. Si nota pure, che per la semplice uccellagione de piccoli uccelli è più adatto quel Roccolo, che è di minore circuito, e di piante più raro; e per l’uccellagione semplice de Tordi è più adatto quello, che è più largo di circonferenza, e d’alberi più denso, e frondoso; e per l’uccellagione poi de gl’augelli grossi, e piccoli insieme debbe essere il Roccolo, che si chiama bastardo, di mezzana figura piantato, il cui tondo non sia nè con troppa rarità, nè con troppa spessitudine di piante, e fronde; avvertendo, che un Roccolo per Tordi sia solo dilatato tanto, che lo sborratore gettato arrivi compiutamente ad ogni parte del cerchio.

Nello spazzo di detto cerchio, ò sia nel ventre del Tondo, detto l’imboscatura, si piantano alquanti arbuscelli di [p. 11 modifica]varia sorta per ordine retto, l’uno dall’altro distante trè passi ò più, ò meno conforme l’idea del Roccolo, che si vuol formare più, e meno denso, con un regolato filare loro per lungo, e per traverso disposto. Tali arbuscelli debbono nel mezzo del Roccolo sormontare alquanto l’altezza del cerchio, mà declinando poi per ogni intorno a poco a poco vadino ad abbassarsi tanto, che il cerchio medesimo altrettanto a loro soprasti. Gli arbuscelli, che entro vi s’allignano, sono di Quercia, di Carpine, di Frassino, d’Olmo, qualch’altro di Vite selvatica, e di Ginepro, e di Spinalba, ò sia pruno bianco, che frutta rosse coccole simili a piccoli rotondi coralli, ed a queste piante s’avviticchia qualche ramuscello d’Ellera misto con qualche piantone di sanguine per fare maggior credenza a gl’uccelli, perocche gli Tordi spezialmente affidati si posano sù tali pianticelle, dalle quali pigliano l’esca, che gli alletta a venire all’insidia. Alcuni di questi arbuscelli si curvano ne rami loro, entro a quali inarcati in guisa di frondosa piccola volta si collocano le gabbie de gl’augelli cantori di quà, e di là disposte, ed appese per invitare gli passeggieri col canto loro. Nel centro poi del Roccolo, che appunto è il mezzo del cerchio, si piegano alcuni arbuscelli, e co’ loro rami inarcati s’intreccia un padiglioncino frondoso in figura quadrata, ò rotonda alto circa trè braccia da terra, entro a cui si pone la Civetta, ò l’Assiuolo uccello simile a lei [p. 12 modifica]di poche penne cornuto, e vi si colloca sopra il mazzero, qual è un bastone sottile pannocchiuto, ed alto poco più d’un braccio lavorato al tornio con un piumacciuolo in cima, ed appuntato di ferro in fondo per ficcarlo nel solajo del padiglioncino medesimo, ed intorno a lui si sottopongono le gabbie de Tordi in numero di quattro ò più, ò meno, affineche questi chioccino in vendendosi sottomessi al giullare notturno uccello, quale volando a giuoco, e facendo capolino, e saltellando sù, e giù dal mazzero fà, che gli Tordi paurosi chioccino, ed invitino gl’altri di passata alle reti. E perche talvolta avviene, che la Civetta non si muove stando a chiocchio come sonnachiosa, e co’ le penne arricciate coccoloni entro a se stessa acquattata, un lungo spago, detto da noi filagna, e da Toschi lunga, s’attacca al geto, ò sia brachetta, che la tiene avvinta, quale tirato alla sommità della vedetta, dove l’Uccellatore dall’alto stà guatando gl’augelli passeggieri, vien mosso, e per consenso risvegliata, e scossa la Civetta medesima, che allargando le ale in atto d’aggrapparsi co’ gl’artiglj al piumacciuolo del mazzero impaura col suo movimento i Tordi, onde poi chiocciano, e fanno a gl’altri l’invitamento. Quì si debbe annotare, che gli Tordi chiocciatori prima si devono sperimentare, se sanno bene la parte loro, e s’adoprano quelli, che sono di fresco presi, perocche gl’avvezzi a la paura, e gli stanchi non chiocciano, [p. 13 modifica]come comporta il bisogno, ed in casoche ammutolischino, altri se ne sustituiscono non accostumati alla Civetta, perche incontrando il di lei primo sguardo paurosi chiamano co’ le lor chiocce voci gl’altri all’insidioso spettacolo.

Per prendere poi Tordini, Fringuelli nostrali, e montani, ed altri uccelli di tal sorta si legano i zimbelli ò sù ’l suolo all’aperta del Roccolo, ò pure sopra il ripostiglio verdeggiante della Civetta, quando il Roccolo sia bastardo, cioè per prendere uccelli grossi, e piccoli, s’appiana in alto distesa una tavola ricoperta di verde erbetta, in cui gli zimbelli della medesima spezie sono avvinti da un cappio appiccato a quella funicella, che chiamata Filagna s’allunga, e corrisponde alla mano del Uccellatore, che da la vedetta di quand’in quando agitandola, e sollevandola alla lontana veduta de gl’augelli, che vengono, fà svolazzare gli zimbelli medesimi per allettar quelli ad istanziare entro al Roccolo. E perche certi augelli, ed anche i Tordi volontieri talvolta si posano sù rami secchi, L’Uccellatore, per dar loro anche tale allettamento, innalbera sopra il verde delle piante alquanti rami brucati, ò secchi di Pesco, di Noce, di Fico, di Ciregio, e dispone questi in trè, ò quattro siti distanti entro al Roccolo.

La vedetta chiamata Frascato, e in lingua nostra Tabbiotto, ò Tabbia, è situata nella parte superiore del Roccolo sù l’orlo del cerchio, quale per essere alle [p. 14 modifica]volte mezzolunare, resta da lei perfettamente unito. S’innalza questa come una capanna col pavimento di asse, e s’inarca a volta a guisa d’una trabacca stivata di verdeggiante fogliame, e sormonta tutta la circonferenza del Roccolo sottoposto, donde l’uccellatore s’affaccia per un largo spiraglio, detto la visiera, e d’avvicino, e da lontano nascosamente riguarda, e domina per ogni parte il circuito del Roccolo intero. Questa è rivolta per l’ordinario a Levante, ed a mezzo dì, e talvolta anche a monte, se da questa parte provengono gl’augelli di passata. E chiusa per tutti i lati da fronde, fuorche una fenestrella detta la sborratora, aperta nel mezzo del lato esteriore, può dire a fronte del Roccolo sopra il Capo dell’Uccellatore, ed ammannita a lui, per l’apertura della quale egli scaglia dall’alto, ed in alto gli sborratori sopra gl’uccelli poggiati, ò in atto di poggiarsi, come dirsi, nel tondo del Roccolo per sbarrattarli, e farli incappati nella rete. Il getto poi d’un solo sborratore non è valevole a fare tal pieno effetto, quando il gruzzo de gl’uccelli fusse numeroso, e disperso per le piante del Roccolo, onde l’Uccellatore debbe replicarlo con due, o più di quà di là gettati insieme facendo strepito col calpestio de piedi, e co’ lo spetezzare, e trullare a raddoppiati sonori fiati fattosi co’ la bocca petardo. Da tale romore sbigottiti gl’augelli s’abbassano, e con fuga precipitosa nelle tese maglie s’impigliano. Quì s’aggiunga, che la [p. 15 modifica]vedetta per lo più si fà sorgere innalberata sopra, ed all’intorno d’una casetta fabbricata ò di pietra, ò di grossa asse tutta ricoperta di frondosi rami coll’acqua in vicinanza, nella quale casetta si tengono in serbo gl’augelli cantori, e l’esca loro, e le gabbie, ed altri arnesi necessarj all’uccellagione, acciocche ammaniti sieno in ogni incontro.

Trè sorte di ragna si tessono; l’una a minutissime maglie adatta solo per prendere augelli piccoli, detta Uccellina; l’altra chiamata Tordaja di maglie più spaziose per prender Tordi, ed uccelli della loro grossezza; la terza chiamata Bastarda, in cui s’insaccano gli uccelli grossi, e di mezzana grossezza sfatta a maglie più, e meno larghe; e ciascuna di queste si tinge di colore nericcio prima di porla in opera, perche bianca impaurirebbe gli uccelli. Conforme è il Roccolo si adopra la ragna; se il Roccolo è fatto solo per pigliar Tordi, s’adopra la Tordaja; se soio per l’uccellagione de piccoli uccelli, si tende l’Uccellina; per prenderne poi d’ogni sorta e usata la Bastarda. Le maglie sono quelle vacuità, che formano i sacchi della rete. L’armadura consiste in due reti a maglie grandi, nel mezzo delle quali si mette il panno de la ragna, acciò sia sostenuto. Gli filetti sono quella funicella, in cui sta infilzata la rete. Le colonnette sono que’ fili grossi addoppiati ritorti, che s’attaccano alla funicella distanti l’una dall’altra quasi un braccio per tenere la rete appesa, ed [p. 16 modifica]assodata. Stirata dunque la rete, ed in alto appesa ad una funicella con anella non di ferro, perche s’arruginiscono all’umida distemperanza dell’aria, mà di liscio corno, si distende rasente la terra conficcata con ramponi di legno, ò pure con certe doghe, ò palanche incastrate agevolmente, e fitte con un chiodo entro al pedale di ciascheduna delle piante del cerchio esteriore a guisa d’un saliscendo, che sazzola è detto da noi, lungo sì, che stesso arrivi all’estremità della rete, i filetti della quale s’impernano entro ad una tacca al di sotto nell’estremità del saliscendo scavata, qual saliscendo seguendo il moto della rete s’alza, quando si raggrinza la rete all’insù pe ’l tempo piovoso, e scende, quando rimessa si rallenta, essendo tempo sereno. Di più si carica la sottocorda della rete con contrapesi di pietra, ò di mattone appiccati a lei per tenerla terragna, e ferma via più contro l’impeto de venti, acciò dalle piogge non resti troppo raggrinzata. Le maglie debbono essere agili, e preste nel trascorrere, quando v’incappa l’augello, mentre avviene, che ò per le aride foglie cadute da gl’alberi, ò portate dal vento s’ingarbugljno; ò per l’umidità delle rugiade, nebbie, e piogge lentamente scorrano ad impigliare l’augello, onde egli cozzando la rete tantosto retrogradendo il volo si scalappia. A ciò fare è vopo primamente estrarne le soglie, ed acconciamente appannare la rete, che vale a dire tirar su le maglie spannate, e farne i sacchi, il [p. 17 modifica]che si fà con un filo addoppiato, e verso la sommità tripartito, in nostra lingua chiamato pedoca, perche s’assomiglia al piede dell’Oca; indi sfioccare i detti sacchi leggiermente con una liscia verghetta, cioè fare, che stiano elevati, e sospesi, acciò agevolmente si arrendino per insaccare la presa.

Rispetto a gl’augelli si debbe riflettere, che siccome nel Roccolo si prende ogni sorta di volatj, eccetto che gli Acquatici, e Campestri, come l’Allodola, la Quaglia, ed altri simili, così e vopo averne nel Roccolo de cantori d’ogni sorta. Vuò dire Fringuelli nostrali, e montani, Pajarane, Pionzi, Raperini, Calderugi, Fanelli, Gardellini, Frosoni, ed altri detti Uccelli del becco grosso. Altri pure sono chiamati del becco sottile, come Tordi, Tordini, Merli, Tordele, da noi dette Dressi, Fischiere, e cantano nel lor linguaggio ne Roccoli. Gli Beccafichi poi, e gl’altri augelli Sepajuoli con varj nomi di Codirossi, Pettirossi, Capinere, Mattelle, Cingallegre, in nostra lingua Parisole, Beccamore, Usignuoli, Aletti, ed altri, il nome de quali è vario secondo il linguaggio de paesi, e diversità delle nazioni, non s’adoprano per cantori, mà più tosto per Zimbelli. Sebbene Capinere, Usignuoli, Cingallegre, che si nutriscono col pastello, e con la Tignuola, qualche volta ne Roccoli s’espongano al canto. Gl’augelli del becco grosso si pascono di miglio, panico, e seme di lino, quale misto si porge a [p. 18 modifica]Fringuelli veggenti, ed accecati, a quali pure si danno alcuni briccioli del tuorlo, ò sia rosso del Uovo sodo misto col zucchero per riscaldarli al canto, prendendo essi spirito, e lena da tal esca, e facendo forte petto per continuarlo. Il cibo de Tordi è composto di farina stacciata di rossa saggina, detta dal volgo melgone, cotta in forno, e spruzzata di vino, ò di latte, od impastata col brodo di carne, ò col brodo fatto col burro, e mista con bacche di Ginepro, e coccole di Pruno, ed uvizzoli di Lambrusca, ed anche di vite dimestica. Si debbe distinguere l’esca de Tordi. Altri sono i Cantori ò veggenti, od abbacinati, che si serbano d’anno in anno, e questi si nutricano co’ la suddetta farina impastricciata col brodo, e di rado col vino, e col latte, perche il vino troppo gli riscalda, e col tempo bruggia loro le viscere, ed il latte ò troppo gl’ingrassa, ò riesce loro troppo lubricativo, e gli fà sqaqquerare; il brodo poi con perfetto nutrimento gli mantiene durevoli. Altri sono i Zirlatori, ò Zippatori, che in tempo d’uccellare presi s’ingabbiano, ed a questi si presta la farina intrisa leggiermente di vino ò co’ gl’uvizzoli premuti, ed entro sprizzati, onde ne ricevono vigore, e buona lena. Le Tordele, Merli, Fischiere, Tordini allo stesso modo si pascono. Gli Tordini spezie di Tordo più piccolo, mà di più squisito sapore, sono forieri del freddo, e s’invitano col zimbello, a distinzione de Tordi, zimbello [p. 19 modifica]legato in eminente mostra ad una lieva di bacchetta frà due altre piegate in arco, sù le quali volando alternamente rimbalza, si prendono per lo più a volo co’ lo sborratore abbassati in atto di appoggiarsi. Gli Beccafichi poi, ed altri uccelli Sepajuoli hanno l’esca ignota, perciò non durano ne’ serbatoj. Li Fringuelli nidiaci del Luglio, e dell’Agosto, che s’allevano, riescono buoni cantori, se campano; e s’accecano un anno per l’altro, come si fà pure co’ gl’altri uccelli, cioè Tordi, Merli, ed altri più piccoli del becco grosso. Tutti si pongono in muda nel mese di Maggio, e la mudazione loro si compie in fine d’Agosto. Il Cuculo, che nel Settembre s’ingrassa segate le stoppie da campi, ed il Guaime, che fien corto si chiama, da prati, e di carne assai dilicata, e di passata talvolta co’ le reti si piglia. Le Beccasse pure, e Pernici, e Cotornici nelle Passate passaggiere s’arrestano.

L’Uccellatore per fine debbe avere buon occhio, acuto orecchio, mano pronta, lingua muta, piede fermo, ed alle volte sollecito, e spacciato, paziente speranza, non soverchia avidità. La soverchia avidità di prendere un augello fà talvolta, che ne sbarraglj uno grosso stuolo, che d’avvicino se ’n viene. La mano lenta allo sborratore, ed alla lunga de zimbelli, e della Coccoveggia fà, che talvolta non sia in tempo di raggiugnere una torma d’augelli, che abbassati rasendo il Roccolo altrove [p. 20 modifica]passano liberi, e franchi. Il tedio impaziente sa, che per avventura si perda l’occasione di grossa presa d’uccelli, che capitano fuor di tempo, e di speranza. Il cicalare, ridere, romoreggiare ne Roccoli è lo stesso, che sbandire gl’augelli, che per ogni leggiero romore s’allontanano, essendo l’attenzione, ed il silenzio la prima regola dell’uccellagione. Il non udire a tempo l’izzirlare de Tordi, detto in lingua nostra zippare, ò di ferma, ò di passata, ed il canoro vario bisbiglio degl’altri augelli, che travalicano a volo, è mancanza, che non di rado toglie la preda. Il trattenersi a lungo, e fuori di proposito frà le piante del Roccolo, e il non durarla nell’aguato entro al frascato spiando intorno intorno, fà, che sopraggiunta una folata d’uccelli all’improviso, l’Uccellatore non sia opportuno a farla abbassare co’ lo sborratore, onde se ne vada con franchigia esente dalle insidie. È pur necessaria la prestezza nel riscuotere dalle maglie gli primi uccelli, che vi s’allacciano per farli chiocciare, ò zimbellare, come anche per ischiacciare il capo a qualch’altro, che strida, e si dibatta nella rete, acciò non impauri quelli, che s’aggirano intorno alla frodolenta boscaglia. Debbe pure l’Uccellatore esser pratico d’imitare col suono del zufolo il canto del Tordo in Primavera, come anche con altri zufoletti accordarsi al canto delle Tordine, uccelli, che in guisa del Tordo hanno le [p. 21 modifica]penne sù ’l collo, e petto gocciolate. Alcuni de nostri Uccellatori col fischio della bocca consonano al canto naturale di tutti gl’augelli cantori.

Assestate quelle cose, cioè piantato con tal ordine il Roccolo, ed in Settembre potato ne suoi virgulti, e rimessiticci rasi, e pareggiati dentro, e fuori, distese a fianchi le Passate, stirata, e ben fermata la rete, appannate con diligenza le maglie, collocata la Civetta entro alla sua occulta frasconaja con i chiocciatori a lei sottomessi in gabbie rotonde composte di gretole, che sono i vimini, co’ quali sono tessute; disposte, ed appese le altre de Tordi cantanti, e zippatori alle pianticelle dell’interiore boschetto, tolto ogni spauracchio, e sbarrate le viottole per impedire il trapasso delle Mandre, che pasturando intorno alle volte foracchiano, e sbrandellano le reti, l’Uccellatore avanti l’aurora, ò al primo albore salito all’alta vedetta col suono del zufolo risvegliando i Tordi, indi scuotendo la Civetta per fare, che gl’ingabbiati chioccino accompagnati dal zirlo, zippo detto da noi, de gl’altri Tordi cantori, dà principio all’uccellagione di quella giornata. Quando poi sparge il Sole i luminosi suoi raggi egli espone, ed appicca alli arbuscelli interiori del Roccolo l’altre gabbie de Fringuelli, e d’altri uccelli in bella, e vaga mischia ordinate, quali alternano la loro armonia, perche avanti la levata del Sole aspersi di rugiada [p. 22 modifica]perderebbono il canto; indi mette in mostra gli Zimbelli, e gli fà svolazzare, e così và continuando l’uccellagione sino al mezzo giorno, quale succede con varia fortuna a tenore del passaggio di più, ò meno uccelli, e della stagione più, ò meno opportuna, e da altri avvenimenti diversi da mè ommessi, per non allungarmi soverchiamente in questo racconto. Dico solo per fine, che quanto e penoso il piacere di trarre al Roccolo gl’augelli per prenderli, è altresì pena gradevole il cavargli da le maglie, mentre vi sono alle volte talmente impigliati, che resta in forse, se sia maggiore la briga in farli prigionieri, ò nell’estrarli dall’impiglio della prigione. Quest’è certo esser costuma de gl’Uccellatori, per mantenere in riputazione il loro Roccolo, e perizia, di millantare sempre maggiore la presa, ed al contrario di lagnarsi della scarsità minore del vero, per togliersi dal convenevole impegno di farne a i loro amici una grata parte. Per tanto il miglior Roccolo sembra al mio credere quello della Mensa, in cui li gode il frutto de gl’altrui stenti, vegghie impazienze, affanni, rancori conditi da una dilettazione, quale io mai hò saputo gustare, come non sò, s’io l’abbia appieno saputa discrivere.