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Come bello e ridente si presenta ai nostri sguardi l’avvenire, quando nella dolce casa paterna, circondati dalle più tenere cure della famiglia, immaginiamo colla vivace fantasia una vita di continui godimenti, dei quali non sappiamo ideare la fine! E la rimembranza di quegli anni sì belli ci accompagna poi sempre col volgere del tempo, e siccome cara visione, consola il cuore oppresso e sconfortato dalle triste vicende del mondo.

Quanto invece dolorosa e muta di ogni gioja trascorre quella beata età giovanile, allorchè privi delle più care affezioni della terra, costretti talvolta a vivere sotto un tetto non nostro, non troviamo un animo gentile che comprenda e compianga i nostri affanni, non una mano pietosa che asciughi le lacrime premule da profondo dolore!

E tale sventura era toccata a Cecilia, giovanetta di circa 18 anni, a cui natura, mentre avea concessa indole affettuosa e sensibile e ornato il volto di delicata bellezza, avea però negate le ineffabili dolcezze dei damestici affetti. Ella era costretta a vivere in una famiglia di contadini a dieci miglia di distanza da Firenze. Tolta da fanciulletta all’Ospizio degl’Innocenti, ella aveva passata la prima età in un’altra famiglia di coloni nel Casentino; poi colpita da una grave malattia era stata riportata dal capoccia della famiglia nel pio ricovero, dove a poco a poco aveva riacquistato la perduta salute. Ora da sei mesi ella si [p. 2 modifica]ritrovava con questa nuova famiglia, composta del vecchio capo di casa, di nome Sebastiano, della massaia, del loro figliuolo ammogliato e di due ragazzetti. In questa casa ell’era estranea. Quantunque per la sua condotta esemplare fosse amata, pur tuttavia sentiva di non appartenere ad alcuno; non uno di quei pensieri affettuosi, che tanto consolano i mesti, era per lei; invano ella cercava quella familiare dimestichezza, quell’espansione del cuore, a cui si sarebbe tanto volentieri abbandonata, se avesse saputo d’esserne corrisposta. Ahimè! fra tal gente rozza e priva d’ogni senso gentile, ella sola anima privilegiata ed infelice!

Correva il caldo mese di Luglio. In quello forse più che in altro mese dell’anno i contadini sono affaticati pei campi a fine di mietere il grano. La mattina, appena sorta l’alba la Cecilia, come sempre, balzava in piedi, e raccolte alla meglio sul capo le bionde trecce, e indossate le povere vesticciole, seguiva gli altri al troppo per lei penoso lavoro. Chinata sotto la sferza del sole, sentiva ardersi le guance da insopportabile calore, larghe stille di sudore le cadevano dalla fronte, sembrava impossibile ch’ella potesse resistere a così dura fatica. E dopo una giornata così trascorsa, spossata, la sera faceva ritorno a casa. Ahi! che non le carezze di una madre affettuosa, non le amorevoli parole di un padre, non la schietta e vivace gioja di una sorella vi ritrovava. Unico conforto allora le era all’amarezza, dalla quale sentivasi ricolmo il cuore, presa la mezzina per andare ad attinger l’acqua ad una fonte poco distante, di assidersi su di una pietra a quella vicina, e nascosta la faccia tra le mani dar libero sfogo alle lacrime irrompenti. Talvolta anche, levando al Cielo il volto bagnato di pianto, e mirando le stelle che grado a grado si disvelavano al suo sguardo nell’ampia [p. 3 modifica]vòlta celeste, o la natura assorta nella profonda quiete dell’imminente notte, sentiva scendersi nell’anima un senso di melanconica e rassegnata tristezza, la quale mentre poneva la calma nel suo cuore, sollevava la mente sua a pensieri di pace indefinita, di gioje non periture e più belle, alla soave certezza di un premio eterno ai presenti dolori. E sollevata da questi pensieri ella si alzava, e ripresa la mezzina coll’acqua, ritornava sollecita a casa, acciò non essere per il soverchio indugio, sgridata. Era appunto una di queste sere, in cui ella si era abbandonata alla piena dei suoi pensieri, allorchè si sentì riscossa da una voce dolce e malinconica che le diceva: Cecilia, sempre così trista, e perchè? — Che cosa tanto vi affligge? — Ella si volse, coperto il volto di rossore, e riconobbe Pietro, il figliuolo di un ricco contadino vicino alla casa sua, il quale ritornando la sera dal lavoro, l’aveva scorta qualche volta, senza che ella se ne fosse avvista, in quella posizione di profondo accuoramento, ed era rimasto sempre estatico a contemplarla, senza però mai azzardarsi di dirle una sola parola. — Non ho nulla Pietro, nulla — , rispose la fanciulla, e si accostò alla fonte per riprender la brocca già piena. Ma egli balzando di un salto, la prevenne, sollevò la mezzina da terra e porgendola a lei, soggiunse: — Oh! mi dispiace tanto, Cecilia, di vedervi così seria! Credete proprio che mi fate male! — Ella sentì una lacrima cocente cadersi sulla mano, e a forza celando un’interna e subita commozione, rapida si allontanò. Pietro la seguì collo sguardo mestamente affettuoso. L’auretta della sera, che mollemente aleggiava d’intorno, accolse in uno due sospiri che nell’istante istesso uscirono da due cuori, e sulle sue ali leggerissime li trasportò fino al trono d’Iddio!