La vergine di Usda
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LA VERGINE DI USDA
RACCONTO
DI
Callindo di Aspertisnata
FIRENZE
DALLA TIP. DI GIO. MAZZONI
1844.
LA VERGINE D’USDA
Era il trenta di aprile; un sospiroso
Bacio di calda lacrima bagnato
Rigemeva l’addio sul niveo collo
Della vergine di Usda. - Giovinetta
5Dal terzo lustro non ancora escita,
Tra le rose cresciuta del giardino
E più fresca di quelle, all’amor fatta
Amata riamò nella innocenza
Di castissimi voti. - Ispana donna
10La concepì di un mercator di Francia,
Egli primiero gli operosi giorni
Concluse. Nel severo vedovaggio
Ferma la donna quanto cor s’avea,
Tutto lo mise nell’amor materno:
15Per lei gli anni biondissimi d’Ersilia
Fur di vangelo circonfusi, ond’ebbe
Pieni incrementi il religioso istinto.
La tredicesima primavera appena
Ad infiorar la pubertà venia,
20Quando al germoglio suo la veneranda
Appo la soglia del futuro eterno
Questa parlò novissima parola:
Abbiti a madre tua Maria del Cielo...
E scioglieva il gran volo in tanto nome.
25Orba d’ambo i parenti Ersilia, duri
Menava giorni sotto la tutela
Del vecchio zio Yakub, che non divisa
La redità reggea, la fea più vasta:
Ei mercante nell’anima, sloggiata
30Ogni credenza, dell’Odrisio cencio
Disonestava la cristiana fronte.
Di Tlemecene insignoriti i Franchi.
Franco qual’era rivelossi, estese
La ritessuta dei commerci rete
35Onde sovente alle Algerine terre
Trafficator destrissimo venia.
A poco a poco in amistà con molti
Si strinse, e prima col valente Ubaldo;
Figlio di Cirna, spada illustre, e core
40Maggior di ogni periglio - Un Corso amico
È una fortezza armata, invïolato
Santüario di fè. Yakub un giorno
Che carco d’oro ad Usda sua movea
Vïator seco si traeva Ubaldo;
45E sì di tal si gratulò ventura
Che ospite il presentava alla nipote.
Il giovin Corso che del sol d’Italia
S’avea la fiamma nelle vene, i grandi
Occhi posando sul viso d’Ersilia
50Ritrarli non potea, nè li ritrasse
Che tutti pieni del celeste influvio;
Quella testa di vergine nei sommi
Dell’ardente Cirneo midolli s’era
Effigïata come in marmo salda:
55Figlio di guerra, ovunque il piè volgesse,
L’immaginazïon ape indefessa
Non si partiva dall’amato fiore:
Egli amava d’amor; la lontananza
L’assettava vie più della fanciulla.
60Quindi Usda spesso il rivedea le piene
D’estasi e di speranza aure nel grembo
Spirar dei suoi giardini. E il giorno venne
Ch’ei di più lunghi congedi allegrato
Poteo, rimossi del mistero i veli,
65Dalle adorate labbra udir quel verbo
Che sì mirabilmente l’uom trasmuta
Che il fa miglior degli universi vulghi.
Era dolce a veder siffatto amore
Dalle delizie del sentirsi santo
70Alle delizie trasvolar future:
Nessuna nube di sospetto; il Corso
Assunto intero nell’amore, veglia
Incolpabile ogni atto, ogni parola
Quanto è più largo l’ospital costume;
75E poi beltà pudica è per se stessa
Lume divino che i pensieri inciela.
Il raggio che cadea puro, sereno
Dalla virginea fronte era potente
Come ignea lingua sul capo discesa
80D’Ubaldo, che in amando la fanciulla
Imparava la vita, il cielo, Iddio.
Tale una voluttà di virtù vera
S’era messa nel cor di tanto amante,
Che se il miravi alla fanciulla accanto,
85Uno detto l’avresti de’ bennati
Che della santa idea sereni e santi
Sanzio creava sull’eterne tele,
Generazion che d’assai vince quante
Passeggiano sul dosso della terra.
90Così volgeano i giorni tutti belli
Di castissima gioia; ma le notti
Faceansi sospirose; scompagnate
Le due metà cercavansi; la forza
Onnipotente che in un sol volere
95Li avea congiunti, richiamava entrambi
A complemento in una carne sola.
Ad affrettar perfezïom cotanta
Ogni cura il Cirneo volgea; quand’ecco
Di sacra rabbia lunghissime muglia
100Da Tafilet a Salè discorrendo,
Da Tetuan a Mogador, all’armi
Fan correr subitani Arabi e Mori.
Era il feroce Emiro che fugato
Dalla di stragi ripasciuta Tafna,
105Fez assettava di cristiano sangue.
Quindi ospitar le Maroccane terre
Più non potean un guerrier franco: ai suoi
Riede vessilli Ubaldo come quegli
Che lacrima nell’anima, ma vuole
110L’amor ch’egli ama, d’ogni menda puro.
Intanto il rumor cresce; nel tumulto
Che al torto consigliar apre la via,
S’affollano i Santoni, isterilite
Chimere della Mecca, e van giurando
115D’Abdelcadero nella mente vivo
Trasfondersi lo spirto del Profeta;
Onde per valli e monti la ribalda
Plebe ad insolentir usa pur sempre
Si leva a furia, naufragato il senno
120Nel sermonare della guerra santa.
Infingimento, potestà bastarda!
Abd-er-Rhaman si tace; il reo silenzio
Il dipinge quant’è: sopra i regali
Velluti vede lunga lunga in piedi
125Lurida un’Ombra che la man gelata
Gli caccia nei capelli, e sulle tempie
Quella crollando va che il tradimento
Vi locava corona; e fia che cada.
Un popol v’ha che al nulla suo tornata
130La nimistà delle sentenze stolte,
Risurge antico; pauroso ai pravi
L’angel di veritate il chiama; ei l’oda
Il segua, è tempo; nell’Atlantiche onde
Farà lavacro dei bilustri errori.
135E certo è santa impresa tanto gregge
Di svergognati d’ogni lume scevri,
D’onta pasciuti e macerati d’odio
A sapïenza dirizzar civile
Nella giustizia del sentir fraterno.
140Fatto è cadaver l’Islamismo, pute,
Si decompone, e tempo è che cristiana
Europa lo sotterri. La vetusta
Riprendi scimitarra, o Spagna, e chiusa
Nel grande usbergo della fede, mevi
145Per l’alta via delle vittorie, strappa
L’orgoglio de’ turbanti, al vento sperdi
La sultana caligine che insozza
Tutto un paese e alle tribù smarrite
Fanal di civiltà mostra la croce.
150Imprendi eccelse cose, e dove insurga
Di popoli e di re trafficatrice
Diplomatica volpe loïcando
Nella ragion delle pigrizie furbe,
Ambo chiudi le orecchie, nudo il ferro.
155Lo spergiuro è per tutto, è Giuda istesso
Primate-nato del prometter alto.
Sidi-Moammèd nella nequizia vecchio
Del nativo elemento, oggi composti
A devota amistade atti e parole
160Serra la man d’Abdelcadero, e plaude;
Diman, sbandati i battaglieri, al collo
Gitteragli il capestro; indi quant’altri
Intemerato serrator di destre,
Sen riederà del popolo tradito
165Più densamente a intenebrar la notte;
Ed alti avrassi protettori; il vuole
Somiglianza d’ingegni. Ora gli giova
Blandir l’Emiro. Il genitor sovrano
Si locherà quando che sia pupillo
170Sotto il senno di Londra. In laberinti
Lunghi or s’avvolga la parola vota:
Su qual poi faccia prenderan gli eventi
S’impronterà la maschera pel viso
D’Abder Rhaman; intanto il figlio i brandi
175Sopra l’altar del fanatismo affila.
Scialacquator di teste, oltre i confini
A torme i figli del Korano versa
Feroci sì che se li guati, e sai
Fatto l’uomo ad immagine di Dio,
180T’è forza dir che non si scolpa Europa
Se imbestiar così lascia umano seme.
Al trentesimo sole sorridea
Il mese delle rose; il salutava
Coi lampi della spada Abdelcadero
185E impetuoso agli usati reddia
Tornei di sangue; ma da Lalla-Maghrnia
Mosse tonando la Ragion di Francia;
E gli argomenti delle ferree gole
Novo infuser consiglio alle lunate
190Orde che vagabonde urtando, urlando
Volser le terga; nè il fuggir fu lungo,
Gl’inseguenti sostar sulla frontiera;
Che forse piacque al condottier prudente
Serbarsi attori per più late scene.
195Se quei che per durar lontano in Francia
S’è fatto bronzo sopra una colonna,
Era nel campo, pochi soli volti,
E Fez e Mequinez, udito avrièno
Le vecchie rimbombar moschee dell’inno
200Che la vittoria del maggior soldato
In tutta Europa ricantava, quasi
Intercalare all’epopea del brando.
Al fragore de’ bronzi spaventata
La vergin d’Usda, il suo guerrier diletto
205Alla Donna de’ Cieli accomandava.
Sudante, polveroso un messo arriva....
Una lettera, Ersilia!... Era un immenso
Tesoro quello scritto, era salute:
A quei d’Ubaldo son commisti i giorni
210Della fanciulla; dai perigli sciolto
Il suo fedele, tutto è vita, ei vive.
I vostri di profumo inni sciogliete
O fiorenti famiglie del giardino,
Rosata-guancia a voi ritorna Ersilia,
215Di rinata gajezza sfavillando
A carezzarvi torna, e mentre il caro
Nome che le profuma il cor, v’insegna,
Voi felici imparate il suo sorriso.
Scherzosa come l’alba della vita
220L’agile mano dolcemente insena,
La lettera ne trae, lieve la posa
Sul calice d’un giglio e le sorride
Con quello sguardo che una madre posa
Sopra fanciullo che adagiava in cuna;
225Quindi quasi gelosa, della mano
Riapre i gigli che non han rivali,
E lo scrìtto ripreso, sel ribacia,
E lo spiegando, una goccia del core
Le irrora gli occhi; largitor d’ebrezze
230Amore ha fatto di quel foglio un cielo.
Corsa una settimana era di sogni
Eterei piena e di sorrise idee,
Care primizie di futura gioja,
Quando avversari si levar rumori
235Che le sottili di chimera penne
Di soglia in soglia ivan battendo, l’uno
Sommessamente mormorava, nembi
Addensarsi di sangue, l’altro pace
Asseverava buccinando i patti.
240Decimoquinto dell’ardente Giugno
Sorgeva il giorno; El-Ghenaui di gemme
Fiammeggiante e di porpora il ventoso
Cervello gonfia di speranza stolta,
E oltre il confine si conduce dove
245Orator di Bugialdo, eletto senno
Bedò l’aspetta sotto sacra tenda.
Mentre Francia e Marocco a parlamento
Si stan sogghigni inacerbando e ciancie;
In sen di breve cella in Usda strette
250Tre passïoni tengono consulta,
Amore, la Speranza e la Paura.
La suprema dicean mente rivale
Gli araldi; ed ecco a un tratto dalle fosche
D’El-Ghenaui falangi il foco irrompe;
255Il senza fede Beduin ruina
Sui Franchi colti di stupor, e quali
Incontra primi, nella polve intomba.
Il rombo de’ moschetti ode il supremo
Condottier de’ Francesi, e alle nefande
260Irato frodi, sul destriero balza.
Vedi furia di fanti e di cavalli,
Vanno, corrono, volano. Sparito
E l’intervallo; saldi oppongon petti
Al fragoroso scontro; quindi un cenno
265A manca, a destra li ripida ratti;
Ed esce fuor dal centro la rotante
Artiglieria che la ruente sferra
Mitraglia, lo spavento e l’esterminio.
D’Abdelcadero il procelloso spirto
270Che alto aleggiava sulle maure teste,
Infra nembi di fumo dileguossi:
Allor degli Spakis lo struggitore
Si disfrena uragano, ed alle terga
Rimugghia de’ fuggenti; primo vedi
275Vïolento uccisor Turco-Francese
Il fatato Iussuff, petto di bronzo,
A fronte fere, a destra tronca e a manca,
E caduti e cadenti orrenda strada
Al riquadrupedante impeto lascia.
280Vedi dal campo fino alla frontiera
Una distesa furia di macello,
Fiumana turbinosa di cavalli,
Che tronchi schiaccia ed isfracella teschi.
Oh! veramente figlio d’odio è l’uomo;
285Qui sangue a rivi; la si versa pianto!
Tace il cannon; dai piè della battaglia
La sollevata al cielo in giù ricade
Polve de’ campi sugli sfigurati
Cadaveri; figliuole della notte
290Sui rotti teschi a carolar sen vanno
Le volubili larve; dal deserto
D’Angad esciti voratori augelli
A larghe torme sopra l’ali tese
Oltre l’Isly varcando, col funèbre
295Propagato ulular rompono i vasti
Silenzi delle tenebre. Infelice
Chi veglia in tanto lutto! è febbre immane.
Una vergine veglia; da profonde
Ripercossa tristezze altro non vede
300Che le agonie del campo, e si sommerge
Nel fitto bujo del pensar doglioso.
Il troppo immaginar torna in gran male!
Quando in mente di femmina s’aggruppa
Il sepolcral di Fantasime sciame,
305Despota assorbe tutte forze interne.
E fa quelli ch’ei lacrima infortuni
Amari più dell’universo male.
Ogn’immagine allor, ogni pensiero
Sangue trasuda; nulla vuolsi aïta:
310Di quanti il Cielo deputava spirti
Raddrizzatori di prostrate menti,
Al travagliato che l’amor sospinge
Nei ciechi gorghi di nefaste idee
Niuno soccorre, nè il potrebbe mai.
315Di vapor grave alla metà del corso
Giunta è la notte, ai feriti la strema;
Tremenda notte alla fanciulla amante!
Nelle amorose viscere profonda
Le geme una sventura: niun messaggio
320Dopo la pugna.... è silenzio di morte.
Miserrima! in presenza a tanto lutto
Più addentro il core sulle tormentate
Piaghe divampa l’adorata imago!
Cuor che pure una volta coll’insonne
325Del dolor notte abbia lottato, sente
Su qual calvario la fanciulla ascende.
Tutto un giorno era corso, ed una notte
Tutta di pianto: Stenebrando appena
La via dell’etra, lacrimoso anch’esso
330Il matutin crepuscolo venia
Come colui che col pallor del volto
Quello pur dice che si tace il labbro.
Dal pavimento ove giacea, risurge
La fanciulla, odoroso apre di cedro
335Uno scrigno, e la lettera ne tragge
Onde alliettossi il cominciar di Giugno.
Ahi! quando amore di sua man la preme,
L’imaginazïon volta a sventura
È un ferreo cerchio che d’interne punte
340Tutt’aspro, del cervel serra i midolli,
E ad ogni moto più si stringe! - Gronda
Lacrime ovunque Ersilia il guardo posi:
Sotto gli occhi ha la lettera, col dosso
Della man lì tergendo, ogni parola
345Rilegge or presta, or sillabando quasi;
Ma la linea percorsa che dicea:
„ Se a provocarne il Maroccan ritorna,
„ Varcherem la frontiera; ed io con questa
„ Sete di rivederti, oltre i confini
350„ Mi spingerò tra’ primi; allora in Usda
„ I miei sudori tergerai tu stessa.„
Un subito singhiozzo, un funerale
Oimè le scoppia dal profondo petto:
Ubaldo è là, che primo innanzi mosse,
355E là caduto... e là... ferito geme...
E là... riverso il capo nella polve...
Non ha chi lo soccorra; - E come allora
I gemiti ne udisse, all’imminente
Bisogno ella si leva, a nome il chiama,
360E con quella stringente ansia che nullo
Si pate indugio, a modo di delira
Fuor di casa si gitta, le romite
D’Usda che dorme tortuose vie
Traversa; è il core che la spinge, corre,
365Rapida corre, e le par lento il piede.
Dalla cittade dilungata alquanto
Scorge nembi di polve, e veder parle
Armata gente. A manca surge un colle
Parte petroso, dirupato, parte
370D’antiqui arbusti nereggiante; a quello
La vigil forza del pudor la spinge.
Ahi! troppo presta la diurna spia
Agli occhi ladri la pavida scopre
Colomba che correva ad inselvarse.
375Corseggiatori di tribù mal ferme,
Divisi d’ogni disciplina, vive
Satire delle genti, i Kabaïli
Han visto la fanciulla; un si dispicca,
Sulle orme ratte corre un’altro, e il terzo
380Che ha fermo in cor di farsi primo, vola;
Quattro il seguon compagni; ecco altri ancora;
Vince l’esempio omai; nelle comuni
Voglie guazzanti, balzan diece insieme;
Quindi gli sgherri, onde le sue puntella
385Oltracotanze, un possente scatena
E d’oro assai guiderdonarli giura
Ove quantunqe estremo, ei giunga primo.
Di stupri gavazzare e sgozzamenti,
Vergine lacrimanda, ecco le gare
390Di questi inesorati che del colle
Inondano ogni lato. Re del mondo,
Massimo Padre, e tu conceder puoi
Delle universe la più santa cosa
Ad esecrandi d’ogni tabe sozzi?
395E dove andare le tutele eccelse
Di che sì larga è la promessa? dove
Le tue falangi? e dove quella forza
Onde innanzi a Daniello disarmata
Si prostrava la fame de’ Leoni?
400Quel purissimo olezzo d’innocenza
Dunque in brev’ora si vedrà commisto
Al brutale vapor d’immondi fiati?...
La vergin fugge, invano fugge; dove
S’asconderà? chi la protegge? il sole
405Si leva, e dritto mena i Kabaïli
A farsi strame de’ più casti gigli.
Orrendo a dirsi! il sole occhio del cielo
Splende lucerna ai passi del delitto;
La bestemmia mi rugge sulle labbra,
410Torciam lo sguardo dall’atroce scena...
No.... Se, remoti gli angeli de’ nembi,
Il ciel consente rimirar la danza
Di mostri che ritemprano nel sangue
La stanca di libidini ferocia,
415Osiam noi pure ritener lo sguardo
Sulla collina di cotanto strazio.
La vergine inseguita al sommo è giunta
Del colle, anelan gl’inseguenti a tergo,
Non ha più scampo, uno l’è sopra già
420E con bramito osceno le nodose
Mani prolunga... Ma che veggo, un lampo?...
È baleno d’acciaro; la fanciulla
Vibra retro la destra, e in petto all’empio
Che apria le braccia, uno stilletto figge,
425E in pari tempo, di Maria nel nome
Che rapida invocò, chiesto rifugio,
Si slancia giù dalla pendice; in piedi
Quasi fossero alati lungo tratto
Ruinava diritta; il ricrescente
430Impeto vinse, e rotolar fu vista
Finchè sterpi e virgulti cespugliati
Argin le fero: là distesa giacque
In sembianza d’un Angelo dormente.
Infelloniti nel bestial volere
435Non si ristanno i Kabaïli, a gara
Chi di qua, chi di là giù per obliqui
Volgon sentieri: i più potenti intesi
A riguardare sostan alto, han fatto
Comando che il bel corpo sulla retta
440Si tragga; ed arrotando osceni notti,
Sogghignan’atri; son carboni accesi
Gli occhi, la fiamma dello sguardo spinta
Sulle beltà prostrate. Oh quanta grazia
T’è l’esser fuori del sentire uscita,
445Vergine pura, tu non odi almeno
L’avvicendato schiamazzar di gerghi
Forse inventati dall’inferno spirto
A disquojar gli adulteri commesso!
Tale un enorme dall’enfiate gole
450D’inneggiata lussaria esciva scroscio,
Ch’empito avrebbe di vergogna il viso
Anco al mercante che vascelli manda
Traboccamento d’egoismo immane
Perchè niun osi disbestiar Marocco
455Ma quale su per balzi e per dirupi
Nova gente s’arrampica? vien dessa
Le orrende ad ingrossar onde dell’orgia?
Non sia chi ’l creda finchè un angel resta
Negli eserciti eterni... Udite grido
460Che han messo i Kabaïli: i Franchi! i Franchi!
Bugialdo a soggettarsi Usda movendo
Avea spediti bersaglieri eletti
Onde le alture, i boschi, le ascosaglie
D’ogni aguato sgombrar; il prode Ubaldo
465Con duecento esplorando allor venia
Il colle più vicino alla cittade.
Di bisbiglio, di fuga, di tumulto
Si rimesce la vetta, sparpagliati
Gittansi giù dalla petrosa costa
470I Kabaïli; per deserte piagge
Si riversano e fuggono lontani
Ove natura ha faccia d’egoista.
Sopra una rupe torreggiante asceso,
Cogli occhi Ubaldo iaterrogava i tetti
475D’Usda, cercando la magion diletta;
E nella foga del sentire, questi
D’inceso spirto formulava errori;
Un Cherubino scenderebbe invano
Se qui visibilmente anco m’aprisse
480I celesti palagi; il cielo mio
È il nido santo della mia fanciulla.
Mentre di pronti entusiasmi vinto
Empìa di baci ove il pensier posava
E sclamava sommesso: Angelo mio...
485Ecco un Angelo morto, Capitano,
Grida un sargente che veniva terso
Il muto corpo portando d’Ersilia,
E lievemente resupina in terra
La deponeva e delle mani croce
490Le fea sul petto e mormorava preci
S’argomentando sepolcrarla dove
Più fresca è l’erba e più benigna l’ombra.
Il Capitan che fissi gli occhi in Usda
Coll’acume dell’anima vagheggia
495Piene di vita le bellezze sante,
Tre volte e quattro addomandato, alfine
Si tragge innanzi! a rimirar che fosse...
Tale un singulto al gran nome di Dio
Commisto rompe dal seno d’Ubaldo
500Che mette il pianto de’ più fermi in core;
Giammai lamento di precordi umani
Si profonda gemè questa parola:
Oh Dio!!! tutto un volume mal potrebbe
Quello ritrar che si chiudeva in tanto
505Accento di dolor... Pur ora Ubaldo
Sì di felicità ricco vedea
Dentro da se rotar le stelle e i soli
Che permutato non avria co’ cieli:
Volge la faccia, ed ogni bene è spento.
510Quand’ei raccor potè l’alito, ai suoi
Ordinò raggiugnesser l’antiguardo
Che dal colle dicean scorger non lungi:
Quindi confusi singhiozzava e rotti
Consigli ad un suo fido; il qual com’era
515Del core amico nei secreti assunto
Pieno di prevedenze ad Usda mosse.
A se dinnanzi i suoi compagni tolti,
Sì desolatamente genuflesso
Guatando al Ciel, le braccia aprì, che forse
520Lassù si pianse: e della vita stanca
Gli ultimi raggi nel desio raccolti
Di riveder quanto perdea tesoro,
Ubaldo lascia ricader lo sguardo
Sull’adorato viso che da quella
525Di pallor riposato santitate
Nove dicea bellezze, le infinite
Forse dicea, le rivelava al core.
A quel protratto riguardar, il pianto
S’impietria, ricadeva la palpebra
530Sull’occhio invetrïato, si serrava
Il petto; quasi dissoluti i nervi,
La testa declinò presso la fronte
Della giacente, e così chino stette
Sotto il dolor che l’inchiodava in terra.
535L’estreme intanto adoperava forze
A vincer l’erta, grosso il cor, Iakubbe,
Mentre coll’ala nera dell’angoscia
Rimestava delle ossa in una tomba.
Da presso lo seguìa gente gravata
540Della funerea bara; indi gli amici
In su spingendo un frangionato d’oro
Medicator, ed ultimo venìa
Uno di quei che sacerdoti, il duro
Seguon vagare delle schiere, e in core
545Addentrata la croce, ai pianti umani
Scopron la faccia del dolor divino.
Non lungi dalla cresta era del colle
La dolorosa compagnìa, quand’ecco
Dal profondo silenzio de’ giacenti
550Lene lene un sospiro esce siccome
Flebil sussurro di fanciul che in sogno
Ribacia il riso de’ materni baci;
Succede a quello un sospirar più lungo,
Quindi un mover di braccia lento lento.
555Febbroso Ubaldo, trasognar si crede,
Rapidissimamente il cor gli batte,
Leva il viso di terra... e il viso scontra
Della fanciulla che mal certa aprendo
Gli occhi, a seder si dirizzava: Ersilia!
560Oh! oh Ubaldo!... e le due bocche tosto
Si maritaro strettamente, entrambe
Avide risuggendo etereo dolce.
A quel baciarse, sacerdote il cielo,
Le anime s’ammogliavan sulle labbra,
565Sentiansi immense, e per entro alla piena
Credean natar de’ matrimoni eterni.
Non eran due, non l’uomo, non la donna
Eran parventi; da quel gruppo santo
Esciva intera dei destini umani
570L’idea primaja, il cantico d’amore!
Che momento fu quello! intelligenza
Non v’ha che tanto si misuri cielo!
Tra le parole precordiali, emersa
Grondava miele una certezza: il serto
575Onde la vergin pura s’inghirlanda
Nessun fiore perduto avea sul colle.
Plenitudin suprema! a tanto amore
Tutte fragranze avea serbato Iddio.
A quella del bel nodo meraviglia
580Yacub, gli amici sbarran le palpèbre
Nè agli occhi propri creder sanno ancora;
Ma il medico che ratto afferma o nega,
Viste di molta vita ire e reddire
Rapide vampe sui congiunti visi,
585Si fece innanzi, il salutevol grido
Forte iterando. Si riscosse Ubaldo,
In piedi si levò con tale un viso
Illuminato d’anima qual forse
Era Adamo quel giorno quando intera
590Della femmina prima innanzi agli occhi,
La rugiadosa nudità gli apparve.
Trasfigurato dall’amore Ubaldo
Volto agli amici e al Sacerdote: quivi
Mi dava Iddio la mia fanciulla, l’uomo
595Ciò che il ciel congiungea, non discompagni
E sì dicendo per la man si prese
La fidanzata tutta sua. — Chi vide
Quel pallore di vergine tremante
Fiorire a un tratto di pudiche rose,
600Ha la più santa poesia nel core.
Teneramente umidi gli occhi, al Cielo
Supplicando li spinse il sacerdote,
Ambo levò le palme; e quando al petto
La man tornò benedicente, questa
605S’udì sul colle risuonar parola:
Amore integro nell’amore ignudo —
Era la voce che non erra mai.
f i n e