I principii scientifici del divisionismo/VIII

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CAPITOLO VIII




La luminosità.



I
n generale, dipingendo, si interpreta assai meglio la struttura organica dell’effetto luminoso quando la copia si limita ad un solo oggetto. Sia che l’artista possa concentrare tutta la sua attenzione su di un soggetto spoglio delle difficoltà speciali del raggruppamento delle linee, della giustezza di un numero maggiore di piani, dello stabilire un’armonia cromatica soddisfacente fra la maggior varietà di colori, che trascina seco il figurare molte cose, è un fatto costante però, che nella produzione di uno stesso artista, quando l’assunto oggettivo è limitato, si vede mantenuto più rigorosamente il principio di stabilire un punto di massima luce e un degradare verso le parti più lontane con progressione mai interrotta, ad ogni prominenza accordando un maggior risalto di lume ed un’ombra corrispondente, ad ogni tono cercando di appropriare un colore ed un grado di chiaroscuro che non interrompa il convergere regolare di tutte le luci al punto stabilito come centro di massimo effetto. [p. 164 modifica]La relativa tranquillità di spirito che importa un còmpito più limitato contribuisce senza dubbio a mantenere desta l’attività visiva: questo, ma più il poter dominare senza sforzo dell'occhio tutto il proprio soggetto in uno sguardo solo e cogliere meglio l’effetto d'insieme, sono le cause che spiegano questa fedeltà, questa intelligenza maggiore della distribuzione della luce, che pur tuttavia non ha altro modo di propagarsi così su di una superficie perfettamente piana e di un sol colore come sull'alto rilievo più complicato e variamente tinto, in un paesaggio come su di una folla di persone.

Nella superficie piana di una sola tinta, illuminata non da una sorgente luminosa ristretta, che in qualche modo spiegherebbe delle parti più visibili e delle parti più oscure, ma da raggi paralleli come sono quelli del sole, e tutti della stessa intensità luminosa, l’effetto rispetto al nostro occhio sarà sempre quello di mostrare un punto più vibrato che regolarmente decresce all'intorno sino, se la superficie è di grande estensione, a perdersi nell'oscurità ; perché il nostro occhio, da questa superficie, non può ricevere che un raggio solo corrispondente alla più breve distanza fra l'occhio e la superficie illuminata. E questo raggio sarà più intenso quanto più si avvicinerà alla perpendicolare condotta dall'occhio alla superficie guardata, ed in opposizione al raggio meno visibile che sarà quello maggiormente inclinato o proveniente dal punto più lontano.

Sostituendo, alla superficie piana, dei corpi di tutto rilievo e diversamente colorati, ognuno di questi si mostrerà con le condizioni particolari del rispettivo rilievo e colore, ma evidentemente colla stessa imprescindibile legge che il più visibile sarà quello compreso nei raggi più brevi, ricevuti dall'occhio, degradando la visibilità degli altri corpi proporzionatamente alla loro distanza. [p. 165 modifica]

Che tutte le accidentalità immaginabili di forma e di colore che può portare una moltitudine di oggetti differenti, comunque disposti nello spazio, non modifichino menomamente le leggi della propagazione della luce e il modo di percepire le distanze, si prova riducendosi in una stanza buia, e aprendo uno spiraglio che dia agio alla luce di penetrarvi. Per debole che sia il raggio introdotto ed ampio l'ambiente così rischiarato , passato il momento di abbagliamento che cagiona ogni improvviso passaggio dalla oscurità alla luce potremmo verificare, su di una gradazione proporzionata alla potenza del raggio di luce infiltratosi, che tutte le modalità proprie del diffondersi dei raggi luminosi si manifestano al nostro occhio. Qui una superficie levigata ci invierà il più vivo riflesso della luce bianca incidente, là nei pendagli di vetro della lampada si intravvederà qualche iridescenza. Il soffitto chiaro, sul sommo delle pareti, sembrerà irradiare una tenue nebbia di pulviscoli grigi, e le ombre brevi o perdentisi nella semioscurità degli angoli più lontani, se non ci renderanno nettamente visibile la forma di tutti gli oggetti, però non mancheranno di accentuarsi dappertutto dove la luce darà di cozzo in un rilievo.

Seguendo, o la forma degli spazi rischiarati, o quella delle ombre, noi verremo sempre ricondotti alla direzione del lume origine di tali effetti; né, per quanto possa essere bizzarra la natura degli oggetti raccolti nella stanza, né per quanto informe il pertugio d'accesso del raggio luminoso, potremo ritrovare che luci incidenti, o riflesse, o rifratte, spazî illuminati od oscuri, contrasti od armonie di tinte non ci spieghino la loro dipendenza dalla entità della sorgente luminosa e dalla forma e dal colore degli oggetti che essa illumina.

Per alterare questi normali effetti di riflessi e di ombre, [p. 166 modifica]di colori e di luce, valendoci degli stessi comuni oggetti che la stanza in esame può rinchiudere, noi spenderemo invano qualunque fatica, giacché, per quanto potessimo cambiar di posto al mobiglio, accatastarlo e anche capo- volgerlo, non giungeremmo a forzare la potenza della luce penetrabile dall'aperto spiraglio, né impedire che gli effetti nuovi derivati dallo sconvolgimento portato alla disposizione primitiva della stanza, non ci conducano ancora a riconoscere le cause d'ogni singolo effetto, cioè una luce più vibrante sugli oggetti più in rilievo; dei riflessi dove una superficie può determinarne per la sua inclinazione, o pel suo colore sugli altri oggetti prossimi; delle ombre dove manchi la possibilità alla luce di penetrare.

Vorremmo persuaderci meglio della verità delle osservazioni fatte, ricorrendo al partito di aprire un largo adito alla luce spalancando la finestra? Ma ancora le nuove modalità insorte riceveranno la loro logica esplicazione dalla intensità e dal colore della nuova luce irrompente, perché anche questa non potrà [manifestarsi se non che secondo le stesse leggi.

Sia dunque che del giuoco delle luci e delle ombre si voglia tenere calcolo principale o si anteponga qualsiasi altro interesse che la pura illusione del senso visivo, non potendosi disgiungere dalla pittura un qualche effetto basato sui colori e le luci e le ombre, ammessi questi, la necessità che colori, luci ed ombre siano conformi a natura, viene ad imporsi.

E ciò è ben diverso da un incerto lumeggiare che non suggerisca neppure l’idea di una illuminazione destra o sinistra, o di fronte, o da tergo degli oggetti figurati sul dipinto, sottomessa quindi al capriccio del pittore, quanto se fosse mosso dalla pretesa di fare originale piuttosto che vero, nell’un caso e nell'altro cadendosi nel non senso, in [p. 167 modifica]ordine a leggi impreteribili, come quelle della propagazione della luce; perché il mettere luci a caso, ombre non proporzionate ai rilievi, riflessi sconcordanti colla potenza del lume che li cagiona, valga quanto facendo ad arbitrio colle norme prospettiche divergere dove le linee devono concorrere, deformare elissi in circoli e rettangoli in quadrati, o in anatomia disossare articolazioni ed inventare muscoli nuovi.

Per conseguenza anche il decorativo in effetti di luce non può essere inteso se non come risultato di una più ricca composizione di linee o di una più ricercata direzione della luce che illumina il soggetto del quadro, importando al conseguimento dell'effetto luminoso, prima di ogni altro riguardo, la scrupolosa esattezza nella distribuzione delle luci e delle ombre, il rispetto assoluto al principio che non havvi spiraglio entro il quale possa farsi strada il più sottile raggio senza che questo vi si infiltri e propaghi, che non vi è raggio luminoso che non degradi d’intensità allontanandosi dalla sua sorgente, o comunque giunga all'occhio percorrendo una via più lunga, con una ragione fissa, che se per le esigenze dell’arte non occorre sia precisata aritmeticamente o geometricamente , tuttavia deve presentarsi nel dipinto colla stessa apparenza di norma inflessibile.

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L'effetto d'insieme delle luci di una scena ne costituisce la luminosità, e l'imitazione proporzionale di tutti questi rapporti di luci, eseguita dal pittore, dovrebbe dare per risultato una luminosità al dipinto proporzionale a quella delia scena imitata dal vero. Ma questo effetto non si vede spesso nelle pitture, neanche nelle meglio condotte, giacché, per quanto si è detto, le sostanze coloranti se non ostaco[p. 168 modifica]lano il raggiungimento di un certo proporzionale rapporto fra i toni del dipinto e quelli naturali, non hanno vibrazione sufficente per rendere il senso di luce che dovrebbe corrispondere alla riduzione di colori fatta dal pittore; mentre d'altra parte è infinito l'abuso che si fa della qualifica di luminosi a dipinti che non destano altra impressione che quella dei colori materiali impiegati per dipingerli o che peri mezzi tecnici usati inducono all’impressione opposta del nero.

Si deve ancora notare che l'applicazione della parola luminosità alle ricerche dei rapporti delle luci e delle ombre, che comunemente dicevasi chiaroscuro, è tutt'affatto moderna, ond'è quanto mai necessario dissipare, in argomento, tutte le possibili incertezze, per procedere con cognizione di causa verso i mezzi tecnici meglio atti ad interpretare pittoricamente questa sensazione luminosa, diventata il principale obbiettivo della pittura moderna.

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Pittoricamente per luminoso s'intende quel colore che desta l’idea della luce più che il colore effettivamente dotato della proprietà di riflettere molta luce bianca.

È necessario distinguere queste due qualità, che implicano idee e sensazioni affatto differenti.

I bianchi di piombo e di zinco, la calce e il bianco della carta, tutte infine le materie bianche d’uso nella pittura, dalle quali l'artista trae col concorso delle altre sostanze coloranti, e sopratutto per forza dei rapporti, l'illusione degli effetti luminosi e colorati del vero, non sono per sé rappresentanti della sensazione luminosa, sebbene le sostanze bianche siano quelle che fra i colori hanno il potere di riflettere maggiore quantità di luce, nè si possa mettere in [p. 169 modifica]dubbio che la luce riflessa dalle sostanze bianche sulle quali si imperniano gli effetti luminosi della pittura, non sia di natura analoga a quella della luce solare, poiché analizzata col prisma presenti integralmente la stessa composizione dello spettro solare, salvo, e ciò è troppo ovvio, la intensità dei colori rifratti.

La sensazione luminosa, vale a dire lo speciale eccita- mento retinico destato in noi da una data luce vera, può essere riprodotto con maggiore analogia da colori che in fatto emettono minor quantità di luce bianca dell’ ossido di piombo, 0 della calce, o della carta bianca, purché l’arte venga con mezzi acconci ad aggiungere questo senso di vibrazione di cui si mostrano prive le materie coloranti, concludendosi che tanto nelle sostanze bianche, che in quelle colorate, per raggiungere l’imitazione del vero, occorre sempre un artificio per poterle dotare di questa caratteristica apparenza, altrimenti, impiegandole quali sono, resta alle cose imitate dal pittore l'aspetto morto della materia d'origine, quel senso cioè di biacca, di cinabro, di terre gialle, o rosse, o verdi, di violetti e azzurri, che è il peggior senso che da un dipinto possa scaturire; il richiamo cioè al mezzo dell’arte e non alla immateriale essenza delle luci e dei colori che rivestono tutti gli oggetti esistenti.

Questa distinzione fra l'effetto prodotto sul nostro occhio dalle sostanze coloranti per sè, in confronto del senso di mobilità che anima i colori del vero, fu avvertito presto nell’arte, ed è noto quanta parte dell'attività degli antichi pittori, consci della debole intensità luminosa delle sostanze coloranti, fosse dedicata alla scelta e preparazione dei colori che si volevano impiegare per l'arte. Anzi i più antichi trattati della pittura, mostrano come dominasse la convinzione che non si potesse ricavare dalle materie coloranti altri effetti oltre quelli risultanti dal loro stato di purezza, [p. 170 modifica]onde Teofilo monaco, quanto il Cennini e l’Armenino, mai finiscono dal raccomandare la massima attenzione nel scegliere e preparare i colori, non tanto in vista della durabilità del «dipinto nel lontano avvenire, che per la minore bellezza e splendore che avrebbero procacciato subito alle opere.

Anche nella intelligenza volgare dell’arte di dipingere, l’idea delle difficoltà inerenti alla pittura per causa dei colori è sentita così universalmente, che in tutti la vista dei colori smaglianti dei fiori, e dei più meravigliosi dei tramonti e delle aurore, desta immediato il pensiero della fortuna che sarebbe per il pittore possederne di simili sulla propria tavolozza, rivelandosi anche per tale via il punto più debole della imitazione pittorica, perché l’idea di tale favorevole sussidio non soccorrerebbe così presto allo spirito di tutti, se la pittura non dimostrasse la sua massima deficienza di potere imitativo nella intensità luminosa.

Ma se la luminosità, nei limiti di un colore, implica una intensità cospicua, e sul significato della parola, in questo caso, non vi è dubbio per alcuno, quando si tratta di un complesso di luci può essere ancora quello di indicarne l'intensa vibrazione; ma fra gli artisti, per luminosità generalmente s'intende il rapporto fra le luci di tutta una scena fortemente rischiarata e, parlandosi del dipinto, la illusione o senso di luce così difficile da ottenersi senza cadere nell'eccesso di scuri, c negli stridori dei bianchi.

Così una figura vigorosamente lumeggiata dai raggi meridiani, vista davvicino abbastanza perché i suoi contorni, non ostanti le chiazze lucenti dei maggiori risalti, stacchino in iscuro sul fondo soleggiato, non potrebbe essere detta luminosa che impropriamente, giacché il senso che si sprigiona da simile effetto sia dominato dalla potenza delle ombre; ma se una distanza sufficiente sarà interposta fra [p. 171 modifica]noi e la stessa figura, che attenui la crudezza delle ombre e ci lasci scorgere l'azione dei riflessi del suolo e dell'atmosfera attorniante, per i quali la figura anziché staccarsi dall'ambiente irradiato dal sole, vi si compenetri mostrandosi a sua volta atta per trasmettere agli oggetti vicini alcunché della luce che l’avvolge, allora indubbiamente diremo che tale figura ci appare luminosa; nessuna idea di oscurità potendoci essere suggerita da una immagine che in sé non accoglie oscurità di sorta.

In modo ancora più spiccato si scorge l'insieme delle luci quando l'osservazione sul vero è fatta per mezzo di un traguardo che raccolga l'occhio soltanto sullo spazio che interessa di esaminare.

Il vano di una finestra, serve benissimo all'uopo. Tutti gli oggetti che si vedono al di fuori, non si presentano più così distinti per un colore proprio, quali apparirebbero esaminandoli uno per uno stando all'aperto, ma ciascun oggetto perde del proprio colore singolare come se fosse immerso in una leggera nebbia composta della luce che illumina la scena e di un po' del colore di tutti gli oggetti che la riempiono.

Né il rilievo d'ogni oggetto e la distinzione di ogni singolo colore, soffre di tale unità di effetto, che anzi l'occhio se ne compiace e in quella acuisce il suo potere di percezione , così facilmente offeso, dal tritume di colori disparati, Il grado di intensità luminosa, quale rispetto all'oscurità di una stanza, apparisce nel vano di una finestra aperta sulla campagna in una giornata di sole, o in altre circostanze di lumi artificiali e naturali che possono determinare vibrazioni singolarmente intense di luce, non ha niente di comune col grado di luce degli ambienti chiusi normalmente rischiarati: ma l'unità dell'effetto luminoso si mantiene anche senza un'illuminazione intensa, ed è questo [p. 172 modifica]il significato intimo della luminosità, poiché essa domini in qualsiasi ambiente, dove l'occhio possa distinguere alcun oggetto e, ciò che torna lo stesso, dove un raggio di luce possa farsi strada; ivi le modalità degli effetti alterandosi, soltanto per il grado minore di visibilità, ma non per una propagazione diversa della luce.

In quella stanza stessa dalla quale osservando la scena dal vano della finestra, ci viene spontanea l’idea della luminosità per l'intensa luce che ci colpisce e ne lascia scorgere il modo di agire sulle cose circostanti, cioè quella effusione della luce dominante, quel riverberarsi d'ogni oggetto sull'altro, quella armonia, onde le parti si legano all’assieme e l'occhio intuisce di dove proviene il lume, e il perché d'ogni ombra, e della diversità dei piani, è pure nella stanza stessa tanto più oscura, dove ogni oggetto sembra isolato, e parla più per sè stesso che pei suoi rapporti colle cose che lo circondano; dove l'occhio non trova requie trascinato a destra e sinistra, -in su, in giù, da luci che sembrano vibrare egualmente, da ombre che si direbbero tutte della stessa forza, senza che un riflesso dalle pareti, dal suolo, dal soffitto, venga a stabilire alcuna unità di effetto, la luminosità riprende il suo dominio e si manifesta integralmente, pur di metterci in condizione analoga a quella per cui si poteva godere della luminosità dell'aperto, essendo questa raccolta come in un traguardo dal vano della finestra, per il quale precludendosi all'occhio ogni altra impressione, raccogliendosi ogni parte sotto un angolo visuale opportuno per il giudizio dell'insieme dell'effetto dei colori e delle luci, ci era dato di scorgerne il suo essenziale carattere.

Nello stesso modo dunque che un colore può apparire luminoso senza essere bianco, così una scena potrà condurre al senso di luminosità, senza che la luce dominante debba necessariamente essere molto intensa, sempre per [p. 173 modifica]la ragione detta che, per il pittore, la luminosità non è il grado della luce, ma il modo di essere distribuita.

L'intensità della luce, la diversità del colore dei corpi che illumina, distinguerà un ambiente dall’altro, e per ciò una scena del vero, potrà essere più chiara o più scura di un’altra; ma entro lo stesso ambiente, chiaro od oscuro che sia, l'effetto dei lumi e delle ombre si manterrà in rapporto tale che non sarà mai impedito di potervi rintracciare i caratteri della luminosità.

Il principio enunciato di una distanza sufficiente per riescire ad un giusto criterio dell’effetto luminoso complessivo di una scena e più ancora della opportunità di potere studiare l’ambiente che si vuole imitare, da un punto di osservazione favorevole per compararne tutte le luci, si direbbe invadere il campo dei mezzi dell’arte e sconfinare dalla cerchia d'indagini che lo studio delle tecniche pittoriche delimitano per lo stesso loro nome. Ma l’invasione è più apparente che reale, inquantoché se il procedimento intellettuale che si giudica condurre all'arte, inchiude una condizione di fatto che si estende sino sui mezzi tecnici, quali sono i colori, coll’impedirne cioè la percezione esatta sul vero e quindi la scelta corrispondente sulla tavolozza, evidentemente questa condizione di fatto agisce come se si trattasse di una pratica erronea nella scelta o manipolazione di una sostanza colorante e del modo più conveniente di applicarla sul dipinto.

E tale, rispetto alla possibilità di giudicare l’effetto della luminosità e tradurla coi colori, è, per le conseguenze che ne derivano, l’inveterata convinzione che il modo migliore di copiare il vero sia di collocarsi sotto la stessa luce che illumina il modello, quando pure non avvenga, per cagione di comodità del lavoro, di occupare il posto più illuminato ed avere quindi sulla tela maggior luce che non sul mo[p. 174 modifica]dello, ed una luce tutta diversa da quella che sarà poi la normale sotto la quale il dipinto verrà giudicato.

Simile sfavorevole situazione è la principale causa, che mentre ogni ambiente si individua per effetti luminosi differentissimi non si riesca troppo spesso che ad un'indeterminatezza desolante di colore locale, perché appunto l'osservare qualsiasi oggetto in vicinanza lo privi di ogni carattere dipendente dalla luminosità ambiente, per non lasciarlo vedere che per quello che è in sé: le stoffe, gli arredi, come se si osservassero nel campionario del fabbricante, le persone come se una stessa mano le avesse ridotte tutte dello stesso colore prima di posare pei quadri.

Inoltre, ed è questa una conseguenza diretta del risalto che prende il colore locale, ogni ambiente luminoso osservato da un punto convenevole di distanza e raccolto in un traguardo viene a mostrarsi privo di quei neri dei quali tanto si abusa nella pittura. E ciò è tanto vero, che generalmente se un pittore copia, stando in una stanza, il paesaggio che vede fuori dalla finestra avendo per punto di confronto la parete tutta scura che circonda il vano della finestra stessa, farà un'immagine assai più luminosa che non otterrebbe portandosi al di fuori per riprodurre la stessa scena, anche se rimanesse addossato a quel muro nel quale si apre la finestra.

Ponendo vicini i due dipinti ottenuti con questa apparentemente piccola diversità di situazione, sembreranno fatti in due momenti luminosi affatto differenti, tanto, nel dipinto copiato stando fuori, si vedranno esagerati gli scuri, specialmente sui primi piani per mancanza di un tono preciso di riferimento, quale infine è l’ufficio del traguardo.

Un'altra obbiezione potrebbe ancora essere fatta a questa richiesta di una distanza molto maggiore di quella occorrente per stabilire i rapporti di dimensione degli oggetti [p. 175 modifica]che si vogliono copiare, affine di giudicare della loro luminosità complessiva, ed è quella che non si potessero dipingere oggetti grandi al naturale come è consuetudine in arte perché da una certa distanza aumenta l'impicciolimento prospettico. Ma la grandezza che il pittore preferisce dare ai suoi quadri, purché gli oggetti in esso figurati mantengano fra di loro le proporzioni che hanno nel vero, non è di alcun impedimento all’illusione di verità del dipinto, né obbliga l'osservatore a stare in vicinanza della tela per goderne l’effetto. È una questione questa che riguarda chi deve col- locare il dipinto perché se ne abbia l'impressione migliore.

Quando il dipinto è limitato da una cornice, nota giustamente Bruke, non si può supporre che le cose rappresentatevi vi siano figurate più avanti, perché la cornice desta sempre l'idea che gli oggetti vi si vedano come fuori da una finestra. In casi simili, allorché particolarmente le figure sono eseguite più grandi del naturale, è dunque, perché si vuol dare realmente l’impressione del colossale o perché si sa dapprima che il quadro sarà collocato a tale distanza dallo spettatore, che questi sarà disposto a sott'intendere questa distanza ed a prendere le dimensioni colossali per dimensioni naturali.

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Comune ad ogni grado di luminosità, perché distinzione tipica dell'energia raggiante, è il senso di vibrazione, per il quale i corpi che sono tocchi dalla luce, sembrano animarsi quasi fosse in loro stessi la forza che desta la visione, forza della quale sono pure partecipi le sostanze coloranti, finché sono illuminate nelle condizioni comuni degli altri oggetti del vero, ma che nell'impiego pittorico perdono, perdendo altresì la proprietà di trasfonderne il [p. 176 modifica]senso, quando il loro impiego è condizionato ai mezzi tecnici dell’impasto e della velatura.

La ricerca della sensazione luminosa non ha tuttavia per iscopo un perfezionamento nella preparazione dei colori dei quali si serve il pittore.

Se così fosse, i pastelli e la tempera, che, rispetto alla pittura a fresco e ad olio, rappresentano una differenza di tonalità abbastanza rilevante, si potrebbero dire più luminosi dei dipinti ad olio e degli affreschi, mentre ciò non è, artisticamente, finché l’arte, colla ‘quale il vero è interpretato, si mantiene eguale negli uni e negli altri; per la ovvia ragione che i pregi d'arte non consistono, né provengono dalle qualità proprie dei materiali impiegati, ma dai rapporti che stabilisce l’artista fra i colori di cui si vale. In questo senso i vetri colorati, visti per trasparenza, superano di gran lunga qualunque effetto della pittura propriamente detta, senza che perciò le ragioni dell’arte militino in favore della scelta dei vetri colorati piuttosto che delle comuni sostanze coloranti, per la riproduzione del vero.

Anzi, la costituzione del nostro occhio è tale che oltre una media luminosità dei dipinti, cui soddisfa pienamente l'intensità luminosa comune dei colori in uso nella pittura, al piacere della contemplazione dell’opera d’arte contenuta in questi mezzi, subentra il senso di fatica dell'occhio, quanto dire la sostituzione del dolore a quella del piacere.

La frequenza colla quale si vedono nei dipinti moderni, stridori di biacche ed altri colori chiarissimi, accatastati coll’evidente intenzione di abbagliare l'occhio a guisa delle vere sorgenti luminose, oppure esagerare nella estensione di ombre nere, sempre allo scopo di acuire delle sensazioni che sono fuori della portata dei mezzi pittorici, di- mostra che non è per tali vie che può essere raggiunta la luminosità in argomento. [p. 177 modifica]Helmholtz, nell’« Ottica e la pittura », ci dà un'idea della vanità di ogni tentativo per raggiungere il vero nei rapporti assoluti, qualitativi e quantitativi, di intensità luminosa.

« Permettetemi, dice il. grande scienziato, di scegliere un esempio eloquente. In una galleria non è impossibile di trovare un quadro rappresentante il deserto, con una carovana di Beduini, avviluppati di vestiti bianchi, e di negri dalla pelle nera che si avanzano attraverso la luce ardente del sole, a fianco di altro quadro figurante un chiaro di luna azzurreggiante, ove quest’astro si riflette nell'acqua e si vedono nell'oscurità gruppi d'alberi e di figure. E si sa, per esperienza, che i due quadri, se sono ben fatti, possono veramente presentarci questi oggetti con una fedeltà sorprendente; e tuttavia lo stesso bianco, soltanto un poco modificato, avrà servito a dipingere le stesse parti più chiare, e lo stesso nero, le più scure, nei due quadri. Ambidue partecipano sulla stessa parete della stessa luce, e le parti più chiare, come le più scure, si mostrano, quanto al grado di chiarezza, di una differenza poco sensibile.

« Ora qual è nella realtà il rapporto fra le luci qui rap- presentate? La proporzione fra la luce del sole e quella del chiaro di luna fu misurata da Vollaston, che ne fece il ragguaglio, comparandole a fiamme in rapporto identico, ed ha trovato che la luce del sole è 800.000 volte più intensa di quella del più bel chiaro di luna.

« Qualsiasi corpo opaco, illuminato da qualsiasi sorgente di luce, non può, nelle migliori condizioni possibili, riflettere più della luce che riceve. Ma, secondo le osservazioni di Lambert, i corpi, compresi pure i più bianchi, non possono rinviare che circa i due terzi della luce ricevuta. Il raggi del sole che partono simultaneamente da quest'astro il cui diametro è di poco inferiore a 200.000 miglia, sono, quando arrivano a noi, già uniformemente ripartiti su di [p. 178 modifica]una superficie sferica di un diametro di 36 milioni di metri, e la loro densità è qui 40.000 volte minore che al momento della dipartita dal sole; e questo numero di Lambert ci permette di concludere, che pure la superficie più bianca colpita dai raggi perpendicolari del sole, ha una luminosità 100.000 volte minore di quella del disco del sole. Ma la luna è un corpo grigio la cui luce media non si eleva che circa un quinto di quella del bianco più puro.

« E se, dal canto suo, la luna rischiara sulla terra il corpo più bianco, questo è 100 mila volte meno luminoso della luna stessa; per conseguenza il disco del sole è 80 milioni di volte più chiaro che tal corpo bianco illuminato dalla luna piena.

« Ora i quadri che si trovano in una galleria non sono rischiarati dalla luce diretta del sole, ma soltanto dalla luce riflessa dal cielo e dalle nubi. Io non conosco le misure dirette dell'intensità della luce che regna ordinariamente nell’interno d'una galleria di quadri, ma tuttavia, dei fatti ben cogniti ci permettono di giungere ad una valutazione approssimativa. Quando la luce che viene dall'alto è intensissima, e che le nubi sono splendenti, il maggior bianco di un quadro potrà avere un ventesimo della chiarezza del bianco illuminato direttamente dai sole e più spesso questo non sarà che un quarantesimo e meno ancora.

« È per ciò che il pittore del deserto, anche se rinunzia a riprodurre il disco del sole, che d'altronde riesce sempre imperfettamente, sarà obbligato di rappresentare i vestiti vivamente illuminati dei suoi Beduini, con un bianco, che nel caso più favorevole, possiederà circa un ventesimo della luce che esiste nella realtà. Se si potesse trasportare questo bianco nel deserto, senza cambiarne la luce, esso apparirebbe, vicino al bianco di laggiù, come un grigio scuro bassissimo. In fatti, ho trovato in una esperienza, che il [p. 179 modifica]nero fumo illuminato dal sole, aveva ancora la metà di chiarezza del bianco in ombra nella parte rischiarata di una stanza.

« Sul quadro del chiaro di luna si sarebbe obbligati, per rappresentare il disco della luna e la sua immagine nell'acqua, d'impiegare, con una lieve modificazione, lo stesso bianco che ha servito a dipingere il mantello dei Beduini, quantunque la vera luna possieda solamente un quinto di detta chiarezza, e che la sua immagine nell’acqua ne abbia ancora molto meno. D'altra parte, delle superfice di marmo o delle vesti bianche illuminate dalla luna, quando pure l'artista loro desse una tinta grigia intensa, sarebbero sempre, sopra un dipinto, da dieci a venti volte più chiare che esse non lo fossero, in realtà, in un chiaro di luna.

« E ancora, il nero più intenso, che l’artista possa impiegare, se è rischiarato dalla luce diurna, ‘sarebbe appena abbastanza scuro per rappresentare la vera luce d'un oggetto bianco illuminato dalla luna. Perché anche il nero più scuro, il nero fumo, il velluto nero, fortemente illuminati, appariscono grigi come si verifica con svantaggio nelle esperienze d’ottica quando si vuole smorzare della luce superflua. La chiarezza di una superficie di nero fumo, esaminata da me, aveva press'a poco l'1/100 della chiarezza di una carta bianca. I colori più chiari del pittore sono, in generale, cento volte circa più chiari che le ombre più intense che può ottenere »1.

Da tutto ciò si direbbe risultare una inanità dei mezzi pittorici alla imitazione degli effetti naturali, se l'adattamento del nostro occhio, a percepire sotto una certa luce le più insensibili gradazioni di tinte, non favorisse la possibilità [p. 180 modifica]della traduzione dei rapporti fra i colori del vero in una scala accessibile ai colori in possesso dell'artista, proporzione che il pittore può imitare fedelmente e l'osservatore pienamente godere, quando si mantengano, come si è detto, i limiti di illuminazione del dipinto entro i termini consentiti dalle condizioni fisiologiche della vista.

Quindi, allorché, pel fine dell’imitazione del vero coi mezzi disponibili al pittore, si pone sul terreno la questione dell'intensità luminosa, bisogna riportarsi alla intensità di luce accessibile alle sostanze coloranti più chiare, delle quali il bianco è indubbiamente quello che, riflettendo maggior quantità di luce indecomposta, può coadiuvare l’artista nella imitazione degli effetti più intensi di luce, in unione al contrapposto somministrato dagli altri colori più oscuri che hanno nel nero il rappresentante migliore della privazione di ogni luce.

Rood, stabilito come 100 il potere luminoso della carta bianca e valendosi dei dischi giranti, offre queste proporzioni:

Bianco della carta 100
Cinabro inglese 25,7
Giallo cromo chiaro 80,3
Verde smeraldo chiaro 48,6
Blu di cobalto 35
Oltremare 7

non molto discordi dalle risultanze trovate dal Bellotti nel suo specchio delle luminosità di alcuni colori della tavolozza, che sono2:


Giallo cadmio 78
Cinabro verde giallo 25,7
Arancio cromo 54
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Cenere verde 52
Vermiglione chiaro 29
Cenere azzurra 28
Carmino 23
Porpora (anilina) 21
Lacca cremisi 18
Violetto (anilina) 16

Che sia vano l’aspettarsi dalla preparazione raffinata delle sostanze coloranti un aumento di luminosità maggiore di quella che esse presentano nei tipi oggi somministrati dalla buona industria, sognando sostanze coloranti così intense da superare quanto si è mai veduto sinora, si viene dimostrando facilmente, anche dal semplice considerare che questi colori dovrebbero inevitabilmente fare capo ad un bianco proporzionato, perché fosse realmente sentito il vantaggio di tale aumento di luminosità, essendo troppo ovvio che se a dei colori luminosi si dovesse mescolare il bianco comune, che si gode ora, cadrebbe l'utile aspettato, giacché i colori puri, quali il rosso, l'aranciato, il giallo, il verde, l'azzurro ed il violetto, siano dei meno visibili in natura e nelle cose che sono soggetto usuale di copia del pittore.

Una ricerca razionale di perfezionamento delle sostanze coloranti, astrazione fatta dalla proprietà di maggiore resistenza alle azioni del tempo, si dovrebbe iniziare dunque dal bianco, il quale non può essere tale, anzitutto, se non a patto di essere una materia compatta, trasparente, riducibile a superficie priva di rilievi e cavità, troppo comprendendosi che le molte ombre, prodotte in una superficie scabrosa, toglierebbero la possibilità della bianchezza. Ma oltre un certo limite, il bianco troppo finamente costituito darebbe una superficie levigata come quella dei vetri, e non si potrebbe guardarlo per la grande riflessione di luce che verrebbe per tale levigatezza; onde si sarebbe poi costretti o ad esporre i dipinti ad una luce radente che distrugge[p. 182 modifica]rebbe il vantaggio conquistato, o si dovrebbe ricorrere a qualche artificio per renderlo opaco, tornandosi quindi alle stesse condizioni del bianco già in uso.

In quanto agli altri colori, rosso, aranciato, giallo, verde, azzurro e violetto, perché possano servire all'uso pittorico, prestandosi cioè ad essere mescolati col bianco ed ogni altro colore più chiaro, sinché ognuno di essi possa ritornare dominante, occorre il massimo grado di saturazione, vale a dire, occorre che la materia sia di tale potenza colorante, che ridotta casualmente più chiara da certa introduzione di bianco possa, con aggiunta conveniente, ritornare di colore molto saturo.

Questa saturazione però non può essere congiunta a molta intensità luminosa, perché l’una qualità è in opposizione coll’altra, sapendosi che la saturazione non può essere contenuta che entro un piccolissimo limite, bastando qualunque quantità di luce bianca introdotta in un colore saturo a togliergli l'intensità colorante e dargli anche una tendenza verso altro colore. Onde avviene, anche pei colori intensi, quello che accade pel bianco, cioè che raggiunto nella loro preparazione certo stadio molecolare, bisogna che la preparazione si fermi perché, se la superficie coperta di questo colore sarà poco levigata, darà luogo a grande riflessione di luce bianca a scapito dell'intensità colorante, ed essendo troppo .ruvida, volgerà al senso di nero, che è pur sempre contrario a quello di colore intenso.

Ora, dovendosi i colori distendere su superficie piane, e, perché siano visibili, esporli ad una illuminazione sufficiente, se i colori non avranno la normale compattezza molecolare faranno specchio per la quantità di riflessi inviati all'occhio del riguardante e sembreranno neri nelle altre parti, come fanno i metalli pulimentati; ovvero saranno più [p. 183 modifica]grossolani di quelli abituali, e non potranno essere che peggiori di quanti si possiedono già nella tavolozza.

Se le intensità vere delle sorgenti luminose sono così infinitamente superiori a quelle offerte dalle sostanze coloranti di cui si serve il pittore, sarebbe erroneo però il dedurne che l’arte avrebbe un grande vantaggio potendo disporre di colori che pareggiassero simili intensità, poiché esse hanno il sommo inconveniente di affaticare l'occhio che le fissa in modo da ridurlo incapace di percepire le differenze di luci che in tali intensità possono essere comprese, e ciò tanto per le grandi chiarezze che per le grandi oscurità. Alla luce diurna, p. es., possiamo appena percepire la fiamma di una candela, ma non l'aumento che essa necessariamente deve portare sopra un oggetto vicino, come al chiaro di luna perdiamo la nozione di tanti riflessi che pure sono inviati dalle parti illuminate.

Invece la sensibilità del nostro occhio posto in una condizione di luce da non essere affaticato né per l'eccesso dell'intensità dei raggi luminosi che produce l’abbarbagliamento, né per eccesso d’oscurità che tolga la percezione distinta d'ogni colore, è grandissima.

Nello spettro solare, secondo Aubert, le tinte distingui- bili non sono inferiori a mille, e, come riflette N. Rood, se noi possiamo sempre distinguere queste tinte, anche quando se ne accresca o diminuisca l'intensità, limitandosi a 100 variazioni leggere, le tinte percepibili diventano centomila, su ciascuna delle quali l'aggiunta di quantità di luce bianca essendo sempre possibile, entro i limiti della sensibilità dell'occhio che ne rileva, come dimostrò Aubert, anche una parte su 360, il numero delle gradazioni sale in modo da spiegare abbastanza come coi mezzi limitati della pittura, colle sostanze coloranti così lontane dalla intensità luminosa delle luci del vero, sia dato però di sta[p. 184 modifica]bilire proporzionalmente qualunque rapporto di tinta, e produrre l’illusione di verità che l’arte del dipingere è in grado di raggiungere, mercé l'adattamento dell'occhio alle minime percezioni differenziali dei colori e del chiaroscuro.

Tale adattamento corrisponde alla facoltà di dilatarsi e restringersi, già descritta dell'iride, che modificando il diametro della pupilla, prepara e mantiene alla retina la percezione di tutte quelle intensità di luce cui diventerebbe presto inadatta se i repentini passaggi dal chiaro all'oscuro la colpissero sempre all’improvviso.

Alcuni vorrebbero dipendente tale facoltà anche dal colore dell'iride, lasciando così supporre che gli occhi scuri siano dotati di un potere di accomodamento più forte che gli occhi chiari. Ma, osserva il prof. Guaita3: « Dato anche che il diverso grado di pigmentazione dell'occhio, abbia influenza per l'adattamento all'ambiente luminoso, non ha relazione colla percezione differenziale della minima intensità luminosa, la quale si fa per gli elementi sensibili della retina », percezione differenziale, che, in media luce, l'occhio esercita sino a discernere le minime gradazioni dei dipinti; d'onde l'impressione di verità che ci viene comunicata dalle pitture per quanto lontane dalla forza luminosa del vero.

Ma da questa facoltà di adattamento dell'occhio alla percezione di infiniti rapporti di differenti intensità luminose, quali sono quelle che si possono produrre coi colori della tavolozza, si sono ritratte delle deduzioni abbastanza erronee in fatto di proporzionalità di impressioni, attribuendo cioè alle sostanze coloranti delle proprietà che sono ben lontane dal dimostrare. [p. 185 modifica]

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È in fatto, che a condurre l'occhio nostro e l'intelligenza nostra a idee di somiglianza fra cose prodotte dall'arte con quelle del vero, non sono assolutamente necessarie identiche grandezze, nè identiche intensità di colori, bastando proporzionalità di rapporti per modo, che, se per ipotesi, fra una luce ed un’ombra naturali sarà la proporzione 100 a 50, ogni qualvolta, con della luce ed ombra pure naturali, potremo ricostruire una simile proporzione, ad esempio, quella di 50 a 25, avremo tale analogia di effetto da provare una sensazione analoga tanto contemplando l’uno rapporto che l’altro.

Ma nel dipinto, con quali mezzi si procede alla determinazione delle entità luce ed ombra che devono servire a surrogarle? Che a riprodurre coll’arte della pittura la luce e l'ombra si adoperi il bianco ed il nero è troppo noto perché lo si debba dire, né si saprebbe a quale altro materiale ricorrere, perché nel bianco e nel nero è quell’analogia di senso colla luce e l’oscurità, che nessun'altra materia colorata presenta in modo così evidente, ma non è qui il nerbo della questione, perché non è detto che se il bianco ed il nero si accostano dippiù al senso della luce e dell'oscurità debba discenderne la conclusione che, posto il bianco ed il nero in vicinanza nel rapporto che abbiamo supposto di dieci a cinque, debba pure scaturirne la sensazione che ci produce una luce con un'ombra reale in somigliante proporzione, giacché al bianco, sostanza colorante, manca principalmente il requisito di darci la sensazione di luce che è indipendente da idea di bianchezza, per converso intimamente legata a qualsiasi bianco conveniente per l'arte.

E tanto è vero ciò che la sensazione luminosa ci pro[p. 186 modifica]viene da qualunque colore, dai colori stessi della decomposizione della luce solare, nei quali è giuocoforza ammettere che luce bianca non vi può essere contenuta se essi sono semplici e se luce bianca non può essere se non composta.

Dunque, se il pittore determinando un rapporto fra del bianco e del nero, p. es. 50 parti di bianco e 25 di nero in peso 0 volume, stabilisce effettivamente un numero proporzionale al numero rappresentato dal rapporto 100: 50 di una luce con un'ombra, non stabilisce però un equivalente di impressione, come d'altronde è ben noto; e per ottenere questa impressione gli sarà d'uopo compensare il difetto qualitativo colla quantità di uno dei componenti, il nero, accostandone al bianco una quantità tale che per un eccitamento particolare del nostro occhio, eccitamento che si dice contrasto, il bianco verrà assumendo il carattere cercato di luce; non ci importa adesso stabilire la quantità impiegata di nero, ma sicuramente in una proporzione che non sarà più quella che dapprincipio si sarebbe ritenuto sufficente, partendo da quella consuetudine nel linguaggio comune e nell'arte di additare il bianco come rappresentante della luce, ed il nero come rappresentante dell'ombra.

In altri termini si può dire che insistendo il pittore a ricavare la sensazione luminosa dal contrasto del bianco col nero egli riesce non più ad una proporzionalità numerica, ma ad un rapporto puramente oggettivo sul quale deve fatalmente gravare l'eccesso di nero impiegato.

Infatti Heimholtz stesso riconosce come, nel caso più facile di imitazione pittorica, quello dell'ambiente chiuso e di piccola profondità, le risorse delle luminosità proprie delle materie coloranti rende press'a poco il colore degli oggetti copiati in simile oscurità, ma che però nelle parti ombreggiate esse sono ancora più scure del naturale. Ma è appunto [p. 187 modifica]di questo nero che da ogni lato invade l’impiego dei colori della tavolozza che il pittore tenta liberarsi, né la legge di adattamento dell’occhio, per quanto ridotta e svisata dalle concessioni più ampie, potrebbe risolvere il problema.

Da queste premesse si ricava, in modo esplicito, come un equivoco di grande conseguenza possa derivare dal confondere il bianco ed il senso di bianchezza che l’uso del bianco per sé solo necessariamente importa, dalla luce e dal senso di luminosità che dalla luce reale si effonde, e come, anzitutto, perché mancando un mezzo d'arte che rappresenti per sé la sensazione luce, che il bianco troppo lontanamente ricorda, occorra che l'artista sappia come giungere ad ottenere dai suoi colori, il bianco compreso, questa sensazione distintiva della luce senza la quale gli oggetti dipinti scapiteranno di effetto illusorio di cose vere di quanto nel dipinto mancherà la sensazione luminosa e sarà vivo invece quello della speciale materia costituente ogni sostanza colorante impiegata, perché il vero ovviamente non è fatto di cobalto, di verde inglese, di cinabro, di oltremare e via dicendo, ma ogni colore reale si manifesti come una luminosa ed incorporea vibrazione.

Consegue da tale proprietà insita colla natura stessa della luce, formata da solo movimento, che nel vero l’impressione luminosa non è dipendente da contrasti di tenebre, ma anzi dalla maggior estensione dello spazio occupato da luci chiare, come avviene all'aperto, l'intensità luminosa della scena cresce, e luminoso per eccellenza dicesi di un cielo non offuscato dal più tenue vapore o segnato dalla più piccola nube.

Altro quindi è l'effetto prodotto da certo spazio immune da ogni sensazione di oscurità ed altra quello che proviene da uno spazio consimile di luce, ma nel quale si rileva la presenza di uno scuro più o meno esteso, per quanto si [p. 188 modifica]voglia spiegare, che tale scuro è indispensabile per produrre il senso di luce che viene dallo spazio chiaro.

Tenuto pure il debito calcolo della scala proporzionale più bassa nella quale opera il pittore per condizione forzata della debole intensità luminosa dei colori della tavolozza in confronto delle luci vere, l'artificio dell’esagerare i toni circondanti il bianco e, in genere, tutti i chiari o, comunque, introdurre tonalità oscure che non figurano in certi aspetti luminosi del vero, non poteva non imprimere all'insieme dell’opera intesa a cogliere la sensazione luminosa un carattere generale diverso dal vero.

Mancando a tale artificio il potere di rendere luminosi i toni per sé stessi, ogni chiaro richiedendo una più vasta ombra per vibrare, anche il sussidio di un'attenzione assidua nel non precipitare a sbalzi di tono in tono, ma economizzare le più delicate gradazioni nel passaggio dal chiaro all'oscuro, doveva venire meno contro la inettitudine delle materie coloranti a rendere un senso quasi sempre incompatibile con la loro materiale struttura. E la caduta in un nero contraddicente all’obbietto propostosi dal pittore era condizione fatale del mezzo stesso finché, per logico coordinamento di criteri e di esperienze, non si giunse a ricavare delle proprietà dei colori complementari e dal fenomeno fisiologico dei contrasti un adattamento meccanico del colore dal quale la sensazione luce viene, soggettivamente, destata.



  1. H. Helmholtz, op. cit., pag. 187 e seg.
  2. G. Bellotti, Luce e coiori. Milano 1886, H. Hoepli, pag. 93.
  3. L. Guatra, op. cit., pag. 116.