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la luminosità 173

la ragione detta che, per il pittore, la luminosità non è il grado della luce, ma il modo di essere distribuita.

L'intensità della luce, la diversità del colore dei corpi che illumina, distinguerà un ambiente dall’altro, e per ciò una scena del vero, potrà essere più chiara o più scura di un’altra; ma entro lo stesso ambiente, chiaro od oscuro che sia, l'effetto dei lumi e delle ombre si manterrà in rapporto tale che non sarà mai impedito di potervi rintracciare i caratteri della luminosità.

Il principio enunciato di una distanza sufficiente per riescire ad un giusto criterio dell’effetto luminoso complessivo di una scena e più ancora della opportunità di potere studiare l’ambiente che si vuole imitare, da un punto di osservazione favorevole per compararne tutte le luci, si direbbe invadere il campo dei mezzi dell’arte e sconfinare dalla cerchia d'indagini che lo studio delle tecniche pittoriche delimitano per lo stesso loro nome. Ma l’invasione è più apparente che reale, inquantoché se il procedimento intellettuale che si giudica condurre all'arte, inchiude una condizione di fatto che si estende sino sui mezzi tecnici, quali sono i colori, coll’impedirne cioè la percezione esatta sul vero e quindi la scelta corrispondente sulla tavolozza, evidentemente questa condizione di fatto agisce come se si trattasse di una pratica erronea nella scelta o manipolazione di una sostanza colorante e del modo più conveniente di applicarla sul dipinto.

E tale, rispetto alla possibilità di giudicare l’effetto della luminosità e tradurla coi colori, è, per le conseguenze che ne derivano, l’inveterata convinzione che il modo migliore di copiare il vero sia di collocarsi sotto la stessa luce che illumina il modello, quando pure non avvenga, per cagione di comodità del lavoro, di occupare il posto più illuminato ed avere quindi sulla tela maggior luce che non sul mo-