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la luminosità 183

grossolani di quelli abituali, e non potranno essere che peggiori di quanti si possiedono già nella tavolozza.

Se le intensità vere delle sorgenti luminose sono così infinitamente superiori a quelle offerte dalle sostanze coloranti di cui si serve il pittore, sarebbe erroneo però il dedurne che l’arte avrebbe un grande vantaggio potendo disporre di colori che pareggiassero simili intensità, poiché esse hanno il sommo inconveniente di affaticare l'occhio che le fissa in modo da ridurlo incapace di percepire le differenze di luci che in tali intensità possono essere comprese, e ciò tanto per le grandi chiarezze che per le grandi oscurità. Alla luce diurna, p. es., possiamo appena percepire la fiamma di una candela, ma non l'aumento che essa necessariamente deve portare sopra un oggetto vicino, come al chiaro di luna perdiamo la nozione di tanti riflessi che pure sono inviati dalle parti illuminate.

Invece la sensibilità del nostro occhio posto in una condizione di luce da non essere affaticato né per l'eccesso dell'intensità dei raggi luminosi che produce l’abbarbagliamento, né per eccesso d’oscurità che tolga la percezione distinta d'ogni colore, è grandissima.

Nello spettro solare, secondo Aubert, le tinte distingui- bili non sono inferiori a mille, e, come riflette N. Rood, se noi possiamo sempre distinguere queste tinte, anche quando se ne accresca o diminuisca l'intensità, limitandosi a 100 variazioni leggere, le tinte percepibili diventano centomila, su ciascuna delle quali l'aggiunta di quantità di luce bianca essendo sempre possibile, entro i limiti della sensibilità dell'occhio che ne rileva, come dimostrò Aubert, anche una parte su 360, il numero delle gradazioni sale in modo da spiegare abbastanza come coi mezzi limitati della pittura, colle sostanze coloranti così lontane dalla intensità luminosa delle luci del vero, sia dato però di sta-