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la luminosità 169

dubbio che la luce riflessa dalle sostanze bianche sulle quali si imperniano gli effetti luminosi della pittura, non sia di natura analoga a quella della luce solare, poiché analizzata col prisma presenti integralmente la stessa composizione dello spettro solare, salvo, e ciò è troppo ovvio, la intensità dei colori rifratti.

La sensazione luminosa, vale a dire lo speciale eccita- mento retinico destato in noi da una data luce vera, può essere riprodotto con maggiore analogia da colori che in fatto emettono minor quantità di luce bianca dell’ ossido di piombo, 0 della calce, o della carta bianca, purché l’arte venga con mezzi acconci ad aggiungere questo senso di vibrazione di cui si mostrano prive le materie coloranti, concludendosi che tanto nelle sostanze bianche, che in quelle colorate, per raggiungere l’imitazione del vero, occorre sempre un artificio per poterle dotare di questa caratteristica apparenza, altrimenti, impiegandole quali sono, resta alle cose imitate dal pittore l'aspetto morto della materia d'origine, quel senso cioè di biacca, di cinabro, di terre gialle, o rosse, o verdi, di violetti e azzurri, che è il peggior senso che da un dipinto possa scaturire; il richiamo cioè al mezzo dell’arte e non alla immateriale essenza delle luci e dei colori che rivestono tutti gli oggetti esistenti.

Questa distinzione fra l'effetto prodotto sul nostro occhio dalle sostanze coloranti per sè, in confronto del senso di mobilità che anima i colori del vero, fu avvertito presto nell’arte, ed è noto quanta parte dell'attività degli antichi pittori, consci della debole intensità luminosa delle sostanze coloranti, fosse dedicata alla scelta e preparazione dei colori che si volevano impiegare per l'arte. Anzi i più antichi trattati della pittura, mostrano come dominasse la convinzione che non si potesse ricavare dalle materie coloranti altri effetti oltre quelli risultanti dal loro stato di purezza,