I principii scientifici del divisionismo/VI

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V VII
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CAPITOLO VI




Variazioni delle luci. — Riflessi ed ombre.


L
e leggi dalle quali dipendono le cause generatrici ea di colore che si sono riassunte considerano ciascun fenomeno e ciascun corpo preso ad esempio dimostrativo, indipendentemente da ogni circostanza attorniante. Ma in natura per quanto si potesse tentare di isolare un corpo non vi si riescirebbe mai in modo che il colore risultante non si mostrasse influenzato dalla luce del luogo dove avviene l'osservazione e dal punto stesso scelto dall'osservatore per vedere.

La molteplicità degli effetti introdotti da queste condizioni che più imperano sopra i più comuni oggetti del vero quasi sempre situati in maniera da presentare una somma di luci o di colori intraducibili con una sola tinta fatta dall’impasto di materie coloranti, è pure governata da leggi fisse per le quali la intelligenza degli effetti e la interpretazione pittorica di tali effetti riesce facilitata.

Fra le cause che complicano l'apparenza delle luci e dei [p. 106 modifica]colori, la distanza occupa il primo posto, modificandosi gli effetti d’intensità della luce su qualsiasi superficie, in ragione inversa del quadrato della distanza della sorgente luminosa, oltre le condizioni speciali portate dall’inclinazione dei raggi illuminanti e l'inclinazione propria della superfice illuminata.

Negli oggetti del vero, sempre diversissimi di colore, la diminuzione d’intensità luminosa secondo tale legge non si saprebbe probabilmente mai accertare o riconoscere, pure risultando il fatto obbiettivo della minore luminosità dei corpi situati più lontano dalla sorgente di luce e dal nostro occhio. Anche l’aria che si interpone fra tutte le cose che possiamo scorgere, non perfettamente trasparente per la infinità di corpuscoli che tiene sospesa in sé e dai quali ritrae una luminosità ed una colorazione propria, modifica l’idea che possiamo concepire di una regolare diminuzione di luce secondo l’enunciata legge, che si riscontrerebbe più facilmente in un vastissimo edificio a simmetrici scomparti, uniformemente tinto di bianco.

Le luci colorate sono di una più difficile valutazione di grado d’intensità perché esse eccitano in maniera diversa, cioè secondo il colore, la sensibilità dell'occhio. A questo riguardo si sono istituite molte esperienze coi fotomettri, o misuratori delle intensità luminose, ottenendosi sempre questo risultato: che quando due aree sulle quali sono proiettate le luci che si vogliono paragonare sembrano egualmente illuminate, scostandole del doppio o del triplo dalle rispettive sorgenti di luce, per cui secondo il decrescere proporzionale della intensità luminosa ad un quarto o ad un nono dovrebbe mantenersi l’eguaglianza d'intensità nelle due aree in esame, questa scompare, dimostrandosi così che il giudizio dell'occhio era erroneo.

Il fisico Porchinje dedusse da consimili prove che le [p. 107 modifica]intensità luminose di due sorgenti diversamente colorate non sono commensurabili, per modo che non sarebbe possibile mai stabilire quando un rosso abbia una luminosità pari ad un giallo, e così fra tutti gli altri colori. Questo fatto approssimativamente si può verificare prendendo due lastre di vetro, ad esempio una verde e l’altra azzurra, che guardandole per trasparenza contro luce si giudichino di eguale intensità. Provando con questi vetri a leggere un foglio scritto o stampato si vedrà subito che se con l’uno è possibile leggere riescirà difficile od impossibile farlo coll’altro.

Tuttavia la distanza, nel campo delle luci medie, favorisce un apprezzamento più esatto anche delle intensità simili di colori differenti perché se ciò non fosse non riescirebbe mai il pittore a mantenere lo stesso piano ad oggetti variamente colorati; ma è evidente, per quanto si è detto, che queste difficoltà di valutazione del grado di luminosità di colori differenti, ha un'importanza notevole e spiega perché tante volte la fotografia di un dipinto, che è traduzione dei colori in grado di chiaro-scuro, sconvolga i piani che nel dipinto parevano giusti, e ciò senza colpa del processo fotografico, ma solo perché sia facile attribuire a due colori diversi questo stesso grado di luce che effettivamente non hanno.

Dove è nullo l’effetto della distanza è soltanto nell'impressione di splendore provocato sulla nostra retina ogni qualvolta sulla unità della superficie retinica concorra certa quantità di luce. Lo splendore è indipendente quindi dal potere illuminante proprio delle sorgenti luminose e ci può essere dato dalla levigatezza di qualunque corpo, purché i raggi riflessi oltrepassino quella media potenza di percezione differenziale che il sistema nervoso ci concede.

Tale sensazione sfuggendo di sua natura ad ogni ragguaglio si adatta ad ogni piano possibile nello spazio. E [p. 108 modifica]uno splendore ci sembrerà vicino se annesso ad alcun oggetto che per altri indizii ci pare vicino, o ci sembrerà lontanissimo se attorno ad esso manca un'indicazione per assegnargli un punto preciso di distanza. La ragione fisiologica dell'effetto sta nel fatto che se anche l'estensione occupata nella retina dell'immagine splendente è piccolissima, però sulla unità di superficie toccata, la quantità di luce è sempre in eccesso. Sperimentalmente chi ha viaggiato di notte a piedi sa degli inganni di certi lumi che fanno sperare di un prossimo ricovero e non si raggiungono mai, tanta è la distanza reale a cui sono posti.

Così la fiamma di un lume, oppure un riflesso metallico, che figurassero su di un dipinto in maniera abbastanza viva da condurre a sensazione di splendore, non sarebbero elementi di aiuto al rilievo.

Ma un aiuto singolare per risolvere i rapporti di intensità luminose che nel dipinto sono base dell’effetto di rilievo è offerto dall’aria, la quale attenuando, per la sua intromissione fra tutti gli oggetti, l'eccitazione retinica, il campo delle percezioni differenziali si estende, compensandosi così per l'artista gli ostacoli gravi che porta all’imitazione del vero l'intensità specifica delle luci naturali.

Leonardo da Vinci estimatore del rilievo nella pittura più che delle grazie del colore, tratteggia nella maniera più vivida i salienti effetti della interposizione atmosferica: « Chiaro si vede essere un’aria grossa più che l’altra, la quale confina con la terra piana, e quanto più si leva in alto, più è sottile e trasparente. Le cose elevate e grandi, che fiano da te lontane, la lor bassezza poco fia veduta, perché la vedi per una linea che passa fra l’aria più grossa continuata. La sommità di detta altezza si prova essere veduta per una linea, la quale, benchè dal canto dell'occhio tuo si causi nell'aria grossa, nondimeno terminando nella somma altezza [p. 109 modifica]della cosa vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non fa la sua bassezza: per questa ragione questa linea quanto più s'allontana da te di punto in punto, sempre muta in qualità di sottile in più sottile aria. Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa che di colle in colle sempre l’altezze siano più chiare che le bassezze; e quanto le farai più lontane l’un dall'altra, fa le altezze più chiare, e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la varietà della forma e colore »1.

E nel cap. LXIX l'esattezza dell’analisi evoca tutta la solenne grandiosità delle pianure soleggiate: « Perché questa aria è grossa presso la terra, e quanto più si leva, più s'assottiglia, quando il sole è per levante, riguarderai verso ponente, partecipante di mezzodì e tramontana e vedrai quell'aria grossa ricevere più lume dal sole che la sottile, perché i raggi trovano più resistenza. E se il cielo alla vista tua terminerà con la bassa pianura, quella parte ultima del cielo fia veduta per quell'aria più grossa e più bianca, la quale corromperà la verità del colore che si vedrà per suo mezzo, e parrà il cielo più bianco che sopra te, perché la linea visuale passa per meno quantità d’aria corrotta di grossi umori. E se risguarderai in verso levante, l'aria ti parrà più oscura, quanto più s'abbassa, perché in dett'aria bassa i raggi luminosi meno passano. »

Per le stesse ragioni senza dubbio si vede un effetto opposto se qualche fumo o vapore acqueo viene ad intorbidire l’aria di un luogo chiuso, che allora la sospensione nell’aria ambiente di tante particole è minore in basso e quivi si distinguono meglio gli oggetti, mentre che in alto le riflessioni di luce d'ogni particola stessa vengono a [p. 110 modifica]distendere come un velo biancastro davanti ogni oggetto, pel quale velo si perde la nitidezza d'ogni contorno e più di quelli lontani; ma questi effetti, quantunque in un grado minore, si producono inevitabilmente dappertutto dove esiste l’aria, sempre piena di pulviscoli in sospensione, i quali pur non essendo visibili partitamente non mancano di agire, e si scorge poi quando il pittore per una troppo uniforme nitidezza di rappresentazione ci rivela che non è stato ossequente a tutte quelle condizioni che regolano le apparenze delle cose in natura.

Lo sconvolgimento portato in un dipinto dal dovere procedere troppo tardi ad un aumento di luce o di oscurità in alcuna sua parte è cosa che solo gli artisti possono misurare al giusto valore, sapendo essi come sia facile perdere l’unità di chiaroscuro e come sia già una conseguenza inevitabile della ripetizione medesima dello stesso colore una deviazione dall'effetto primitivo, che per quanto parziale possa essere influisce su tutta la distribuzione dell'effetto luminoso del soggetto.

Ma bene spesso l'artista si trova di fronte ad alterazioni improvvise dei rapporti di luce e colore della propria opera, che non sono dipendenti dalla fedeltà della sua copia dal vero, ma sono dovuti alle variazioni della luce incombente sul dipinto.

Non vi è pittore che abbia fatto studî del vero all'aria aperta anche in tempo nuvoloso od in circostanze da non essere disturbato dal cambiamento di direzione del sole, che non abbia dovuto stabilire una specie d'orario di lavoro, per le grandi variazioni di colore che nelle diverse ore del giorno si succedono sugli stessi oggetti.

Nei luoghi chiusi non sono meno notevoli questi cambiamenti per chi ha l'abitudine di un lavoro prolungato, riverberandosi sempre all’interno lo stato della luce esterna, [p. 111 modifica]influenzata, al mattino e al tramonto dalla colorazione rossastra della luce del sole e nelle altre ore della giornata dalla maggior o minor intensità che la luce acquista verso il meriggio, per non dire di tutti gli altri stadî che attraversa secondo le stagioni ed il tempo.

Sotto l'influenza di una luce rossa, si hanno queste differenze d’aspetto nei colori della tavolozza, corrispondenti naturalmente a quelle che si producono sugli stessi colori applicati al dipinto.

Il bianco diventa rosso
L'arancio

"

rosso o scarlatto
Il giallo di cromo

"

aranciato
Il verde giallastro

"

giallo e giallo rosso
Il verde

"

giallo biancastro
L’azzurro verde

"

grigio
L’oltremare

"

purpureo e violetto
Il violetto

"

rosso purpureo
Il nero

"

rosso scuro

Analogamente avviene se la luce dominante una scena dell’aperto o del chiuso, sotto la quale opera il pittore, sarà prevalentemente azzurrognola o fredda. Sotto l'influenza della luce azzurra i colori della tavolozza subiscono queste alterazioni:

Il bianco diventa azzurro
il rosso

"

violaceo
L'aranciato

"

verdastro
Il giallo

"

verde
Il verde

"

azzurro
L'azzurro

"

più intenso
Il violetto

"

più azzurro
Il rosso porpora

"

più violaceo

Senza partitamente fare un quadro per le modificazioni che ogni luce colorata introduce sui colori della tavolozza, dai due esempi dati si desume facilmente che le luci [p. 112 modifica]colorate agiscono come se un vero miscuglio del colore della luce influente fosse fatto con ciascheduna sostanza colorante.

L'influenza della luce, sotto la quale si osservano i colori, è anche tale da cambiare i rapporti di chiaroscuro stabiliti dal pittore nel proprio dipinto, pel solo grado di luminosità sempre per essere diversi dai colori reali. Così i raggi a durata di vibrazioni lunghe, quelli cioè compresi fra il rosso ed “il giallo verde dello spettro, sotto una luce più intensa, aumentano di chiarezza in modo affatto analogo ai raggi a vibrazioni più corte, come quelli compresi fra il giallo verde ed il violetto. Ma nel dipinto, se un azzurro ed un rosso alla luce diurna, sembrano egual- mente chiari, cioè la loro visibilità è tale che copiandoli in chiaroscuro, bisognerebbe interpretarli con un egual grado di grigio, aumentando la luce che li colpisce, l’ azzurro sembrerebbe più nero, mentre diminuendo la luce sarebbe il rosso a parere più scuro dell’azzurro.

Ciò si spiega per la maggior quantità di raggi azzurri e violetti (i colori più assorbiti dai corpi rossi e gialli) che dominano nella luce bianca, onde avviene precisamente il contrario dell’effetto prodotto dalla luce delle lampade del gas, o del fuoco, le quali, abbondando di raggi rossi e gialli (i raggi più assorbiti dai corpi più azzurri e violetti), fanno sì che di notte alle luci artificiali di lampade, candele, gas, o del fuoco, le tinte azzurre o violette sembrino nere, le azzurre si facciano verdi, i gialli ed i rossi volgano all’aranciato.

Oltre un certo limite però, l'aumento di intensità luminosa, conduce tutti i colori al biancastro, e l'occhio abbagliato perde la facoltà di distinguere le gradazioni, come oltre una certa diminuzione di luce, tutti i colori si confondono e diventano neri.

Questi due effetti non hanno alcun interesse diretto pel [p. 113 modifica]pittore, poiché i mezzi limitatissimi di cui dispone, non gli permettono di oltrepassare né il bianco di cui si serve per le maggiori chiarezze, né il nero che gli vale per le massime oscurità, sebbene ambedue questi estremi, non corrispondano né alle luci più intense, né alle sensazioni più oscure che gli sono offerte dal vero. Però il fenomeno della perdita di colore, tanto per aumento di intensità luminosa che per diminuzione di questa, oltre un certo limite non è meno notevole per sé, e degno dell’ attenzione dell’artista, inquantochè, conoscendo le proprietà tutte delle luci e dei colori reali, sia stimolato sempre più a difendersi da quei collocamenti che non sono consentiti dal rapporto esistente fra le proprietà della luce e il materiale che soltanto entro certi confini può dare l'illusione della realtà.

Dal fatto che l'intensità luminosa conduce alla perdita dell'intensità colorante, tutti i colori, essendo soverchiamente illuminati da luce bianca, apparendo biancastri, come analogamente succede delle sostanze coloranti mescolandole con soverchia quantità di bianco, il pittore deduce i pericoli anziché i vantaggi di sottomettere il proprio dipinto ad una luce eccessiva. Ciò oltre all'ingenerare stanchezza nel riguardante non può che nuocere all'effetto del dipinto stesso, perché il vantaggio della maggiore visibilità non compensa mai la perdita d’intensità colorante subita dai colori in causa della stessa maggior luce che i colori vengono a riflettere.

Il supposto di raddoppiare con simile artîfizio l'aspetto luminoso del proprio dipinto quanto il supposto di potere, aggiungendo bianco alle tinte, giungere a raddoppiarne l'intensità visiva, fu dimostrato da Fechner dipendente da tale aumento di luce, da sconsigliare a mai sempre di ricorrere a simili mezzi, poiché l'impressione che sentiamo dalla luce non è proporzionata esattamente alla quantità della luce esterna che ci colpisce. Vale a dire, che un [p. 114 modifica]quadro più illuminato, sarà certamente un po' più visibile di altro tenuto in luce più quieta, ma perché supposto l’effetto luminoso di due gradi, questo possa venire raddoppiato, non bastano già quattro gradi, ma ne abbisognano otto, il che dà un'idea della vanità di simili sforzi e spiega anche il nessun interesse, che prendiamo per molti dipinti che sono di colori troppo chiari, o altri che si è creduto di rendere più interessanti collocandoli sotto la miglior luce di una esposizione, mentre ciò che veramente esige il dipinto è una luce che ripeta la condizione di effetto, che servi a distribuirne l'armonia di tutte le parti.

Fra gli effetti della variazione della luce che possono maggiormente alterare l'aspetto di un dipinto, si devono ancora annoverare quelli dipendenti dalla proprietà che hanno certi colori di parere più vicini all'osservatore, di quello che effettivamente non siano, mentre altri per contrario sembrano più lontani.

Questa proprietà per la quale alcuni si dicono salienti, è massima nel rosso, mentre la opposta dei colori detti rientranti è massima nell’azzurro. Tra questi due estremi stanno l'aranciato ed il giallo, meno salienti del rosso, ed il verde e l’azzurro, meno rientranti del violetto; rapporto come si vede relativo, perché ognuno degli intermedi può apparire a proprietà inverse, rispetto il suo estremo, come succede allorché posto l’aranciato accosto al rosso, quello si deve dire rientrante riguardo a questo, come il verde diventa saliente se è in prossimità dell’azzurro. La quantità di luce congiunta a tali colori, ne modifica pure questa proprietà rispettiva, forse per l'abitudine di vedere illuminate le cose sporgenti, ed oscure quelle rientranti, cosicché nel bilanciamento del rilievo di un dipinto, il grado d’intensità luminosa di un colore, può servire a compensarne la tendenza rientrante, come l'ombra può temperare quelle salienti; ma se la luce [p. 115 modifica]cui il dipinto è esposto si viene modificando, certo è che le proprietà rispettive delle tinte comprese fra il giallo ed il rosso e fra il verde ed il violetto avranno di nuovo il sopravvento.

Ove occorra non compromettere un effetto d'insieme che si ritenga raggiunto, e nello stesso tempo dare un rilievo maggiore ad un colore, o spingere addietro alcun altro, si può ancora ricorrere al partito di aumentare il corpo o la trasparenza del colore che si vuole modificare, giacché i colori a corpo siano più salienti che non i colori trasparenti. E ciò dipende dalla quantità più grande di luce bianca che i colori solidi riflettono, onde, a parità di tinta, la porzione dello stesso colore eseguita con sostanza colorante coprente, riesce come rialzata sulla parte più trasparente.

Questo però sempre fra colori dello stesso genere, perché sugli azzurri, ad esempio, per quanto solidi, i rossi anche più trasparenti, sembreranno sempre più salienti e così su dei rossi e gialli, per quanto trasparenti, gli azzurri non potranno che dare l’idea di essere più lontani.

Nella scelta dei colori formanti l'insieme del quadro la dimenticanza di queste proprietà generali dei colori può bastare a rendere estremamente difficile il giusto effetto del rilievo, o tenerlo in bilico così debolmente che la più piccola alterazione prodotta nei colori dall'azione del tempo, basti a sconcertarlo, ritornando sui colori il dominio delle loro proprietà naturali che l’arte aveva per un momento invertite. Non è raro, specialmente nelle pitture a fresco invecchiate, trovare dei vasti panneggi azzurri che, altera. tisi, sembrano avere aperto un vuoto nel corpo della composizione, come se in quello spazio mancasse il muro e si vedesse per una finestra il cielo lontano; mentre in altri casi l'alterazione in senso saliente, particolarmente sui cieli, [p. 116 modifica]produce pesanti quinte, e tanto prominenti, da togliere ogni illusione di spazio, senza che in fatto l’ alterazione avvenuta per grado di chiaroscuro sia tale da produrre per sé, tanto disordine nei piani del dipinto.

L'intensità della luce riflessa dal dipinto dipende necessariamente dalla intensità della sorgente luminosa, ossia dalla quantità di luce ricevuta dalla superficie riflettente su di ogni suo punto, ma ancora dalla inclinazione secondo la quale tale luce è inviata sulla superficie.

Nelle stanze illuminate da una sola finestra si vede l’importanza che ha l'inclinazione dei raggi nel determinare l'intensità della luce riflessa dalle pareti, osservando la differenza notevole di luce che passa fra i punti più vicini alla finestra e gli angoli più lontani, secondo la direzione dei raggi sempre più degradanti, sino a parere immersi nell'oscurità, senza che alcun’ombra portata vi cada sopra.

Provenga la diminuzione o l'aumento dell'intensità di luce che colpisce un colore da inclinazione maggiore o minore di raggi, o da affievolita o cresciuta energia della sorgente luminosa, gli effetti saranno identici; il risultato essendo sempre un cambiamento sensibile di effetto del colore proporzionalmente alla luce che riflette,

Quindi, non solo è da osservarsi che la luce, sotto la quale si osserva il dipinto, sia eguale a quella nella quale il dipinto fu eseguito, ma l'esposizione del quadro a tale luce si combini anche per il grado di inclinazione col quale detta luce va a colpirlo.


I Riflessi.


Le luci e le ombre non basterebbero da sole a completare la visione delle forme dei corpi e particolarmente il rilievo; non risultando, nella maggioranza dei casi, per, le [p. 117 modifica]sole ombre ed i lumi, che forme angolari e recise come se i corpi non avessero superficie comprese fra le linee di contorno.

Il risalto delle curve e delle mille inflessioni prodotte alla superficie dei corpi dalle sinuosità e sporgenze che la luce: diretta non può toccare, si rivela al nostro occhio pel concorso dei riflessi luminosi che i corpi rischiarati reciprocamente si inviano, proporzionalmente alle intensità delle luci dirette da cui prendono origine; e per tale modo l'occhio nostro acquista nozioni di quelle parti che l'ombra, per sé stessa, renderebbe invisibile. Ed anzi non essendovi in natura corpi che estinguano completamente tutta la luce che può investirli, le superficie opache come le trasparenti, i corpi solidi come i liquidi e gli aeriformi rimandano per ogni direzione parte di quei raggi partecipi del loro colore, onde gli oggetti raccolti in uno stesso ambiente, influenzandosi reciprocamente perdono alcunché del loro colore assoluto e si rivestono di quella indefinita armonia che l’arte ha per suo principale oggetto.

Infatti nessuna delle più elucubrate combinazioni cromatiche così dette armoniche, nelle quali si prescrive che l’azzurro non si accompagni al violetto e il giallo sfugga questo e quell'altro verde, vale l'accozzo dei fiori e dell’erbe di un angolo di campo seminato dal vento come il rigattiere butta il suo ciarpame sul marciapiede delle fiere o lo accatasta nell'angolo della sua bottega. Ed è piuttosto l’inveterata abitudine del pittoresco di convenzione, che ci rende gradite o meno certe combinazioni di colori che si presentano in natura, dove il giuoco delle luci governa in modo costantemente armonico tutti gli effetti, non per la successione di questa o di quella tinta, ma per il mirabile vicendevole legame prodotto dai riflessi su tutte le cose avvolte in uno stesso momento luminoso. [p. 118 modifica]

I riflessi hanno dunque un'importanza cospicua nelle apparenze del vero e nell’imitazione pittorica, e soggiacciono, come tutti i fenomeni naturali a leggi fisse che l'artista non potrebbe alterare a capriccio, senza alterare l'economia degli effetti delle luci e delle ombre fra le quali i riflessi si svolgono, assumendo anche talvolta importanza primaria come interviene, allorché il pittore prende partito da un riflesso per svolgere un dato soggetto.

Soltanto che le gradazioni di tinte risultanti dall’incrociarsi degli infiniti raggi respinti dagli oggetti innumerevoli che compongono le scene dell'aperto, come quelli raccolti nel più povero ambiente chiuso, sono così vaghe ed incerte, subiscono ad ogni momento tali cambiamenti, per il variare della posizione del sole, del tempo e dei luoghi, che si direbbe impossibile ordinarle dietro alcuna regola costante o dei punti fissi d'origine da cui farle dipartire.

Eppure nessuna graduazione di colore ripete dal caso il suo effetto. Il piccolo tratto di cielo azzurro che appena si scorge fra l’accavallarsi delle nubi è sempre dovuto alla luce bianca riflessa dai pulviscoli atmosferici trasparenti sul nero dello spazio infinito nel quale la terra è sospesa, che si colora in azzurro per quella legge dei mezzi torbidi che si è veduto volgere in azzurro ogni bianco trasparente sul nero, come il dorato di quelle piccole nubi perdute nell’immensità della bruma che offusca l’ orizzonte quando il sole sta per scomparire, è pur sempre proveniente dal colore rossastro che per la stessa legge, detta anche opalescenza, le gocciole d'acqua che formano le nubi ed i vapori atmosferici, lasciano vedere osservate contro la sorgente luminosa.

Si potrebbe non finire più cogli esempi, senza che, per quanto delle cause producenti i colori naturali sia noto il congegno, non rimanga incerta la percezione all'occhio delle [p. 119 modifica]tinte composte e non accada assai spesso di non sapere a quale causa attribuirne la comparsa sul vero e mancare così il sussidio più valido per l’interpretazione pittorica.

Tuttavia la legge della colorazione dei riflessi non è in fondo che quella istessa che impera sulle mescolanze delle luci semplici, ed è piuttosto il ricordo di tali leggi che non assiste il pittore, quando è tutto compreso dallo spettacolo del vero, che non forse la difficoltà in sé medesima di decifrare gli effetti promiscui dei riflessi, quando nella scena abbracciata dallo sguardo si comprendono le cagioni dei riflessi stessi.

Leonardo da Vinci trattò della « riverberazione » e definì parecchie proprietà di queste luci causate « dai corpi di chiara qualità, di piana e semidensa superficie, li quali percossi dal lume, quello a similitudine del balzo della palla ripercuote nel primo obbietto » (Cap. LXXV).

E dimostrò: che i riflessi non hanno luogo dalla parte dei corpi volti a corpi ombrosi:

che tanto più i riflessi sono partecipanti della cosa dove si generano quanto è più pulita la superficie che li genera:

che la visibilità dei riflessi è maggiore nei corpi oscuri, minima se il corpo riflettente distacca su di una superficie chiara:

che la parte più chiara dei riflessi, è quella che riceve il lume fra angoli uguali:

che i riflessi duplicati e triplicati, annientano la forza dell’ombre interposte ai riflessi:

che nella carne che ha la sua luce da altra carne, i riflessi sono più rossi che in nessuna altra parte.

Infine che tutti i colori riflessi sono di minor luminosità che il lume retto, tale essendo il rapporto fra la luce retta e il riflesso che è fra il corpo riflettente ed il riflesso. Intravvide pure Leonardo che « quando li obbietti vicini [p. 120 modifica]infra loro e minuti saranno veduti in lunga distanza, in modo che si perda la notizia delle loro figure, allora si causa un misto delle loro specie, il quale parteciperà più di quel colore, del quale fia vestita la maggior somma delli detti obbietti »2, accenno evidente alle addizioni di luci, ma intelligibile solo adesso che sulle addizioni delle luci si è potuto, grazie alla scienza, avere un'idea precisa, dalla quale è scaturito il processo tecnico per tradurle pittoricamente.

Alle regole generali dei riflessi fanno eccezione i metalli, non riflettendo essi come gli altri corpi colorati due sorta di luci, l'una bianca tutta superficiale, e l’altra profonda dovuta all’ assorbimento. La luce rinviata dai metalli, è tutta superficiale, ed apparisce tanto più intensa quanto minore è l'angolo d'incidenza; non giunge però totalmente al. l'aspetto di bianchezza che ha la luce riflessa da tutti i corpi bianchi se non quando il raggio incidente si avvicini alla inclinazione di circa 180 gradi.

Il colore dei metalli può essere aumentato considerevolmente dalle ripetute riflessioni del metallo su se stesso, come si vede osservando l’interno di un vaso dorato e pulimentato. Il rame, nelle stesse condizioni raggiunge una intensità che allo spettroscopio sembra quasi monocromatica; e questa proprietà dei, metalli bruniti, si utilizza nella decorazione applicando, ora il metallo su superficie concave che ne aumentano il colore, ora su superficie convesse che lo rendono più pallido. Né il particolare splendore metallico si perde completamente quando la superficie è resa opaca, per cui la luce sulle irregolari cavità e prominenze della superficie di riflessione, si diffonde in tutti i sensi, ed è stato soltanto per i processi galvanoplastici che si è potuto [p. 121 modifica]dare a certi metalli l’opacità comune degli altri corpi, sino a ridurre l'argento bianco come un foglio di carta. Modificata in tal guisa l'estrema superficie metallica, i riflessi ritornano sotto le leggi comuni di un affievolimento tanto più grande, quanto aumenta il numero delle superficie poste in direzione conveniente per ripercuotere un istesso raggio di luce.


Le Ombre.


L'ombra è cagionata dalla densità dei corpi, per la quale alcune parti della superficie dei corpi stessi o di quelli d’appoggio o posti in vicinanza, vengono private più o meno di luce.

ista dal punto della sorgente luminosa, l'ombra non è che l’immagine stessa del corpo che la proietta, ed il suo tracciato sul quadro, considerando gli effetti luminosi come un semplice chiaroscuro, segue le leggi speciali, note sotto il nome di teoria delle ombre, alla quale, sia detto incidentalmente, non sarebbe stata fuori di posto la definizione di teoria per la determinazione del contorno delle ombre, giacché in tali opere non si faccia mai parola del colore dell'ombra. Ma nel significato pittorico l'ombra si compenetra così intimamente colla giustezza, la varietà, la disposizione armonica e soprattutto coll’effetto di verità del dipinto che l’importanza dei suoi contorni scompare di fronte alia difficoltà immensa che essa presenta alla sua interpretazione coi colori, non guidata che dal puro istinto imitativo, soccorso che può talvolta condurre a buona riuscita, ma che non può dare quella sicurezza che si esige tanto dalla ragione quanto dall'arte.

La determinazione grafica dell'ombra si compendia in due casi: quello in cui la forma dell'ombra viene delimitata [p. 122 modifica]dalla sorgente luminosa considerata come un punto unico ed è la più semplice, perché non dà luogo che ad una immagine dovuta alle tangenti condotte dal punto luminoso ai margini del corpo proiettante e alla superficie che riceve l'ombra (fig. 56); e quello nel quale la sorgente luminosa ha una estensione qualsiasi.

Fig. 56.

E questo è il caso più comune che importa, oltre l’ombra propriamente detta, la penombra od effetto dovuto soltanto ai punti più esterni del lume. Infatti posto che sia la sfera S la sorgente di luce di qualche estensione, si conducano le due tangenti A B e CD (fig. 57) che corrispondono allo spazio interamente privo di luce.


Fig. 57.

Ma per la estensione propria del corpo luminoso S gli stessi punti A e C per le tangenti rispettive A D F e C B E descriveranno uno spazio non interamente illuminato, né interamente oscuro, che dicesi penombra. [p. 123 modifica]

Ciò vale quanto dire che quando la sorgente luminosa ha un'estensione troppo grande per poter essere considerata come un punto, non si fa che suddividerne la superficie totale in tante parti piccolissime, che si possono riguardare come tanti punti luminosi funzionanti a sé e, secondo questi, costruire le ombre rispettive colla solita norma delle tangenti ai punti estremi del corpo ostacolante la luce e sino al piano od i diversi piani che ricevono l’ombra portata. Si ottiene in tal modo oltre l'ombra propriamente detta anche la penombra, compagna pressoché inevitabile di tutti gli effetti d'ombra e particolarmente di quelli prodotti dal sole, questo non essendo un solo punto luminoso, ma una superficie circolare che pure nella sua apparente piccolezza, dovuta alla lontananza, ha un'estensione sufficiente perché i raggi partiti dalle estremità dei diametri possano penetrare entro l'ombra e determinarvi la penombra.

Ma se le complicazioni delle ombre sia nelle loro linee di contorno, per quanti casi possa presentare la distribuzione degli oggetti e la direzione della luce, che nel rapporto dell'intensità del chiaroscuro, si possono dire già risolte dai varî metodi teorici e pratici conosciuti, dal lato dell’interpretazione del loro colore, il problema che ogni ombra presenta s'innalza sempre irto di termini imprecisi e foriero di una soluzione insoddisfacente.

Perché la colorazione delle ombre non è mera eliminazione d’ogni colore, ma anzi pel concorso del colore proprio della sorgente luminosa, del colore proprio del corpo che riceve l'ombra, dei riflessi atmosferici e quelli dei corpi circostanti, l'ombra è uno dei soggetti più difficili da interpretarsi dal pittore, dei meno adatti a definirsi per via di teoriche dimostrazioni, infine l'elemento d'illusione ottica dal cui equilibrio colla parte illuminata degli oggetti, nasce il rilievo e la perfezione dell'immagine pittorica. [p. 124 modifica]

Non è privo di significato il riscontrare in quasi tutti gli autori moderni, che trattarono degli effetti luminosi dal punto di vista scientifico e dell’arte, un silenzio assoluto o quasi su questo importantissimo e inseparabile effetto della propagazione della luce, non potendosi concepire alcun corpo illuminato in condizione di non inviare ombra alcuna, o riunione di corpi, senza che l'uno sull'altro, oltre l'influenza dei riflessi e del contrasto dei colori, non eserciti sottrazione di luce per fatto di ombre che nel concerto di tali riflessi e tali contrasti di colore devono pure contribuire di quanto l'estensione dell’ombre può superare, od essere minore delle parti illuminate.

Nella mancanza di concetti precisi sulle leggi generali del colore delle ombre che pur devono dominarle, sembrando troppo strano che la privazione della luce debba soggiacere all’interpretazione arbitraria dell'artista, mentre tanta ressa di cautele gli si impongono appena che osi tradurre il più insignificante espandersi di un raggio luminoso, apparisce fuori di luogo e cattivo in sé il consiglio di ricorrere alle interpretazioni già fatte dai maestri dell’arte, poiché fuori dell’imitazione formale, la scelta isolata di un accordo di luci ed ombre per quanto ricavata su modelli insigni per giustezza di rapporti cromatici, ma in effetti e in tendenze oggettive lontane come possono essere quelle della modernità da quelle dei secoli passati, non possa che riescir ancora più discordante ed impropria di quella qualunque armonia che il più meschino pittore sappia ritrarre da una insistente considerazione del vero e del proprio soggetto.

L'effetto dell'ombra o privazione di luce si manifesta in due modi distinti. O per una interruzione di luce più o meno estesa, prodotta su di un corpo illuminato da altro corpo interposto, o dalla diminuzione della luce sotto la quale si osservano gli oggetti. [p. 125 modifica]

Questa seconda manifestazione dell’alterarsi dei colori per lo scomparire della luce se abbraccia il concetto più semplice che l’idea di ombra ci desta, è ben lontano però dal racchiudere la somma degli aspetti risultanti dalle ombre circoscritte su campi illuminati e perciò gli argomenti si separano, come sono distinti i risultati offerti da un'ombra parziale, in contrasto con un campo illuminato, da quelli di una diminuita intensità della luce, che per noi si osservano, essendo avvolti nella stessa luce diminuita e conseguentemente inetti a suggerire qualsiasi idea di raffronto.

Come di tutte le ricerche riguardanti la luce, gli scienziati separano i fenomeni presentati dalle esperienze sui co- lori dello spettro, da quelli offerti sulle sostanze coloranti.

Colla diminuzione d'intensità di luce, lo spegnersi cioè della visibilità dei corpi, come succede nello scomparire del sole, si osserva nello spettro che lo spazio giallo si restringe, l’oltremare svanisce, ed è sostituito dal violetto. Abbassando ancora la luce, lo spettro si riduce al rosso, al verde ed al violetto, per non offrire che un rosso bruno ed un verde pallido e in ultimo un grigio indistinto al posto del verde, man mano che la mancanza di luce raggiunge il limite massimo della scomparsa di ogni senso di luce e di colore.

Se si tiene conto che nel procedimento inverso di aumento della intensità luminosa dei colori dello spettro, il rosso volge verso l'aranciato ed il giallo, ed il violetto tende all'azzurro, come l'azzurro tende al verde e al verde giallo; cioè i colori dell’estremità opposte dello spettro, sembrano incamminarsi verso il centro, nella diminuzione della luce si muovono in senso affatto contrario.

Nelle sostanze coloranti, come appare dal seguente quadro risultante dalle accurate osservazioni di Rood sui dischi [p. 126 modifica]giranti, le alterazioni prodotte da diminuite intensità della luce, seguono questo andamento:

Nome del colore

Effetto della diminuzione della luce

Cinabro Più rosso
Minio Più rosso
Aranciato Bruno
Giallo di cromo o gomma-gutta Verde oliva
Giallo verdastro Più verde
Verde giallastro Verde più scuro
Verde Più azzurrognolo
Verde smeraldo Più verde
Blu di Prussia
Blu di Cobalto
Azzurro oltremare Più violetto
Violetto Violetto scuro
Porpora Più violetto
Carminio

Secondo Bruke il colore dell'ombra naturale o portata, dipende da tre cause: il colore del corpo, il colore della luce che giunge anche sulla parte coperta d'ombra, il contrasto prodotto dal colore dominante.

Ed egli conforta il suo asserto in questo modo:

« Ecco l’esempio più semplice per mostrare chiaramente l'influenza di questi tre elementi. Prendiamo della carta più bianca che sia possibile, accendiamo una bugia o una lampada in pieno giorno e collochiamo una matita perpendicolarmente alla carta; questa avrà due ombre, l’una proveniente dal giorno, l’altra dalla bugia. L'ombra prodotta da quest’ultima, sarà azzurra, la prima sarà brunastra.

« Qui il colore locale è il bianco, il suo unico effetto è di rendere l'ombra più chiara che non lo sarebbe su « di un fondo più scuro. La luce dominante è un miscuglio della luce diurna e della luce della bugia. Sull'ombra corrispondente alla luce diurna proviene anche [p. 127 modifica]un po' della luce della candela, essa contiene relativamente più rosso e più giallo della luce dominante, e siccome nello stesso tempo l’ombra è più oscura del fondo, essa sembra brunastra, perché con una intensità luminosa decrescente, l’aranciato passa al bruno. Questo bruno produce qui un'impressione nitidissima in causa del contrasto colla luce dominante, che contiene più azzurro. Al contrario, l'ombra della luce artificiale è rischiarata dalla luce del cielo che contiene più azzurro della luce dominante ritenuta bianca, e per contrasto, ella sembra dunque decisamente azzurra. Se si prende della carta colorata invece della carta bianca, la differenza di colorazione delle due ombre è ancora sensibile, ma entra in giuoco un nuovo elemento; ciò che io ho detto il colore locale.

« Con un'illuminazione semplice, non doppia, la luce che rischiara l’ombra è riflessa ed è diversamente colorata, secondo il colore del corpo dal quale è riflessa. Se questi corpi sono pure figurati nel quadro, essi agiscono naturalmente nello stesso modo sul colore del riflesso. Ma si può altresì supporli fuori dal campo del quadro e da ciò viene la libertà importantissima lasciata all'artista per la colorazione delle ombre e il cui dominio è stato sopratutto esteso per le ombre delle carni, così difficile da trattare. Si sa che a questo riguardo il pittore deve lasciarsi guidare dal suo sentimento e dal suo istinto a tal punto che la colorazione e la tecnica delle ombre e dei riflessi sulle carni, sono tenute per uno dei caratteri più salienti e dei più incontestabili dell’autorità dei maestri3».

Gli esempi esposti dal Bruke sono troppo sommari, per corrispondere alle premesse moltitudini di casi nei quali [p. 128 modifica]riesce difficile penetrare la tendenza del colore delle ombre, ma l’indicare però al predominio del complementare al colore dominante che circonda l'ombra, costituisce già una guida più sicura che non il brancolare fra un nero e l’altro della tavolozza, alla mercé della ventura.

N. Rood, che non abbandona mai il rapporto dei fenomini ottici coll’ arte, pare inconscio dell'importanza speciale che l'ombra ha nella pittura ed in sé, oltre la mera causalità di una diminuzione di luce o di piccolo intervallo di uno stesso colore.

L'imitazione delle ombre, la giustezza, meglio è detto, delle ombre, costituisce la difficoltà massima dell'arte di dipingere persino nella copia dal dipinto, che ad un occhio esercitato mostra quasi sempre la composizione delle tinte. Il gran posto che l'ombra occupa nelle difficoltà pittoriche, e l'avere già, per la sua costruzione grafica e la distribuzione del chiaroscuro, dato luogo a delle regole speciali, dimostrano come più che una accidentalità secondaria, l'ombra possa per se stessa assurgere a soggetto pittorico, mentre invariabilmente integra la rappresentazione di ogni momento luminoso del vero. Né questa difficoltà, che solo i grandi coloristi possono affrontare, avrebbe senso ove ne apparisse trascurabile la legge naturale che ne informa l'apparenza, e meno ancora che insistesse la scienza a spiegare ed approfondire per conto dell'artista ciò che questi capisce più facilmente colle sole doti dell’intuito.

L'ombra fu già definita da Leonardo come porzione di tenebra, perché giustamente in ogni ombra separata da ogni contrasto si verifica un senso analogo agli effetti della mancanza di luce e di colore, ma le ombre ricevute da superficie che, oltre il risultare soltanto in parte prive di luce, si congiungono anche a corpi adiacenti totalmente illuminati, non riguardano il decrescere generale della luce per diminuita [p. 129 modifica]intensità, ma tutt'all'opposto, prendono carattere dalla presenza di una luce vibrata, per certo tratto, contrastata da qualche oggetto, che pure ostacolando parzialmente la propagazione normale dei raggi inviati dalla sorgente luminosa, tuttavia non può fare sì che anche nell'ombra non si risenta la presenza e gli effetti che, per riflessione, vi porta il concorso degli altri oggetti prossimi o lontani illuminati.

Onde ragionevolmente osserva il Calvi4 « come Leonardo da Vinci benché col suo occhio penetrasse spessissimo nei segreti più reconditi della natura, non però dalle osservaioni dedusse il suo sistema delle ombre, ma piuttosto dal raziocinio, che, quando non ha fondamento sopra certe basi ed inconcusse non è più che un'ipotesi. Anzi Leonardo stesso mostrò nelle sue osservazioni che non era pienamente contento della presentata teoria allorché suggerì di far portare l'ombra di un dito sulla parte già dipinta in lume di quell'oggetto di cui devesi dipingere la parte in ombra, per avere un mezzo di confronto nel colorire questa seconda, affinché non riesca o troppo rosseggiante o troppo tendente al giallo. E contraddisse poi la stessa teoria coll'osservazione che fece delle ombre rosseggianti nei corpi verdi, ed altrove »5.

Se si osserva l'ombra proiettata da un corpo sporgente su di una parete giallognola, sulla quale non influisca che la luce del sole, l'ombra si isola in una macchia più oscura, ‘circondata completamente dal giallo luminoso del muro, [p. 130 modifica]tale macchia apparirà violacea, piuttosto che di un giallo verde od aranciato, come si mostrerebbe il giallo di tale muro se la luce del giorno venisse man mano a scomparire in modo uniforme e cogli effetti normali del tramonto.

Vi è quindi una differenza immensa fra l'ombra circoscritta dal colore stesso del corpo illuminato e il colore che tale corpo assumerebbe, essendo tutto privo di luce, né ciò è solo pel caso particolare del giallo, come è ovvio supporre, ma per qualunque colore, per cui l’ombre condotte dietro tale principio sarebbero false. Le condizioni dell'ombra propriamente detta, non sono né quelle della privazione generica della luce, né meno ancora si raggiungerebbe l’effetto naturale di colore su colore che Rood definisce col nome di piccolo intervallo, l'ombra non potendo essere un aumento del tono illuminato, se non in circostanze troppo artificiose per stabilire norma alcuna. Il giallo su giallo, il rosso su rosso, l'azzurro su azzurro e via dicendo, non producono l'idea di colore naturale, ma impartono il carattere speciale del dipinto monocromato, che non è certamente la copia né più fedele né più interessante del vero.

Tutti gli oggetti immersi in un'ombra, non potendo essere illuminati dai lato dell'ostacolo che li priva di luce, se si rendono visibili ciò non può avvenire che pei riflessi che provengono dai corpi circostanti e più influenti. Così l’effetto si mostra in senso contrario a quello della luce prima, e il colore di questi corpi in ombra verrà accumulando su di sè nuove cause di modificazioni al proprio colore e a quello dell'ombra avvolgente, ma sempre subordinatamente al contrasto della luce viva e diretta causa dell'ombra principale, onde ancora si vede come il contrasto, «immancabile dovunque si affacciano all'occhio due immagini di intensità luminosa molto diversa, risulta ancora il coefficiente più importante dell'ombra. [p. 131 modifica]

La colorazione propria delle ombre nei tramonti e nelle aurore presenta le apparenze più decise e che includono la spiegazione generale delle cause che presiedono a questo particolare fenomeno luminoso.

Nel tramonto i raggi del sole attraversando uno strato d'atmosfera molto più denso che non quando il sole è alto, giacché all'atmosfera si mescolino i vapori terrestri, dominano i colori gialli, aranciati, purpurei e violacei, man mano che l’astro maggiore si abbassa. Se in questo momento su di una superficie bianca, che sarà tinta complessivamente dai raggi colorati del sole e quindi apparisce o gialla od aranciata o violacea, con un qualche corpo opaco si intercetti la luce solare, si proietterà uno spazio ombroso nel quale non penetrerà altra luce che quella della parte superiore del cielo azzurreggiante, e l'ombra, seguendo il variare della luce del sole, si mostrerà dapprima di un azzurro leggero, poi più intenso, e in fine verdeggiante in modo assai sensibile.

Nelle aurore il fenomeno deve naturalmente riescire inverso perché dal purpureo si venga man mano volgendo all’aranciato ed al giallo la luce del sole che si innalza; quindi la stessa ombra sulla stessa superficie bianca si mostrerà dapprima di un azzurro verde per volgere all’azzurro schietto, e finire al grigio azzurrastro o leggermente violaceo, proprio delle ombre dei corpi illuminati dalla piena luce del giorno.

Questi contrasti appartengono al genere dei fenomeni soggettivi dell'occhio, perché se si osserva qualunque ombra con un tubo annerito internamente e di diametro tale che non vi si possa scorgere nessun colore attorniante l'ombra, questa rimane immutabile qualunque sia il cambiamento che avviene nella luce che la determina, provandosi così che la presenza dei colori complementari nelle ombre avviene soltanto nella nostra retina. [p. 132 modifica]

Nella citata Norma per dipingere le ombre, letta dal Calvi al Congresso degli scienziati tenutosi in Firenze l’anno 1841, l'erudito milanese, precorrendo le idee promulgate da Helmholtz, Rood e Bruke sul legame di molte scoperte dell'ottica coll’arte del dipingere e giungendo anche per proprie osservazioni a dimostrare l'influenza del colore complementario nella colorazione delle ombre, fece questo riassunto delle principali proposizioni teoriche applicabili ai casi pratici:

1° Nell'’ombra cadente sui corpi bianchi o scolorati per la loro tinta, o per qualunque altra ragione ottica veduti, realmente od apparentemente, presso i corpi illuminati, il colore complementario o conseguente, si trova per intero o quasi per intero; mentre che nell'ombra cadente sopra i corpi colorati fa sentire la propria presenza, ma non si mostra così semplice ed evidente; poiché si compone, si varia, e talora si distrugge ben anche in qualche parte colla mischianza del colore locale e dell'ombra. E sempre maggiormente si mostra dove la luce sia pura ed i raggi diretti o riflessi dal sole, non siano tali da alterare il colore locale.

2° In tutti i casi non-solo si deve avere riguardo all'influenza dei riflessi lontani, e più dei vicini, ma ben anco alla trasparenza che si trova sì nei panni, che negli sfondi delle pieghe, come ancora in alcuni luoghi delle carni, e per cagione della quale vien prodotto un effetto contrario, che a chi meno osservasse, parrebbe smentire la legge del colore complementario.

3° Essendo alcuni colori per loro medesimi più splendenti, ed altri meno, come i colori composti dell’ azzurro che si avvicina nell'essenza alle misture del bianco col nero; qualora i primi, per effetto della conseguenza, devono mostrarsi o uniti col nero dell'ombra, o col colore locale del secondo genere, essi ciò fanno assai meno evidentemente, e non senza degenerare, di modo che si vedrà assai [p. 133 modifica]meglio l'azzurro nelle ombre del ranciato, che il ranciato nelle ombre dell’azzurro, ed il violetto nell'ombra del giallo, che il giallo nell'ombra del violetto.

4° In quei corpi ed in relazione a quei corpi, il cui colore in lume sarà più puro, vivace e misto solo col bianco, senza mistura di nero, il colore conseguente si mostrerà con maggior forza; e di mano in mano che i colori andranno scemando nelle parti illuminate minore diverrà anche la forza del colore conseguente nelle loro ombre.

5° Il colore complementario mostrasi più evidentemente quanto più il luogo, dove ciò accade, è prossimo al colore che lo produce. Esso colore poi, semplice o composto, non appare in ogni luogo ombroso e colla stessa evidenza fuor che nelle superficie molto estese, e circondate da un sol colore. Nel caso che la superficie sia molto estesa, non tutta cadrà sotto l’azione del color naturale, né presenterà in ogni luogo il color conseguente; ma sia che l’aureola del detto color naturale non arrivi che ad una modica distanza intorno al colore producente stesso, sia che abbia luogo una seconda reazione di colore, ad una certa distanza del color naturale ritornasi a trovare il color locale sebbene aumentato di tono per la missione del nero dell'ombra, che, secondo le ripetute teorie, ivi avviene.

6° Nel caso poi che l'ombra non sia avvicinata da un sol colore, essa non sentirà già una sola influenza, ma avrà tante variazioni, quanti saranno i colori che l’ avvicineranno o che all'occhio dell'osservatore sembreranno avvicinare, fatta astrazione dalle distanze prospettiche, l'ombra stessa6.

Un'interpretazione delle ombre che diparte da principî tanto differenti, come furono quelli che informarono le nozioni sulla natura delle ombre presso gli antichi pittori [p. 134 modifica]non poteva non lasciare traccia sensibile sulle opere, quale è appunto l'invasione di nero che si nota nelle parti in ombra dei dipinti antichi.

La necessità nella quale fu il pittore antico di forzare il contrasto del bianco col nero per poter imitare il senso di vibrazione comune ad ogni effetto luminoso, richiedeva che pure le ombre aumentassero di estensione ed intensità in proporzione relativa all'impiego di scuri introdotti nelle parti più chiare del dipinto; né data tale costituzione delle luci dipinte sarebbe stato possibile fare altrimenti anche se il pittore antico avesse potuto usufruire delia cognizione perfetta dei colori complementari. In ogni modo però l'adozione del nero sistematicamente preso per risolvere le ombre, non conduce a senso di verità, ma di convenzionale processo, come non poteva a meno di essere praticato e di risultare allorché imperando il concetto che ogni ombra non fosse che mera scomparsa di colore su cui altra influenza non si esercitasse che quella dei riflessi, doveva necessariamente accadere, ed infatti riscontriamo meglio sui dipinti di quegli antichi maestri che più si prefissero di singolarizzare l'effetto luminoso e .che ci impressionano invece per un eccesso di nero, non perché il tempo abbia alterati tutti i colori riducendoli neri, ma perché effettivamente mancassero i criteri per l’interpretazione delle ombre, quasi impossibili a valutarsi giustamente ad occhio, per quanto raffinato sia il senso visivo dell'artista, onde l'artista tanto più si vedeva trascinato a sciogliere il suo problema cromatico col ricorrere al nero, che lo aiutava l'esempio altrui e la conferma in quei precetti teorici che non sì saprebbe veramente dire a che fossero nell'arte e si avvalorassero del gran nome di chi li aveva dettati, se poi al caso pratico si fosse agito in contraddizione.

  1. Leonarpo da vinci, Tratfato della Pittura. Milano, 1804, capitolo LXVIII.
  2. Leonarno Da Vinci, Trattato della Pittura, tratto da un codice della Biblioteca Vaticana. Roma, 1817. Libro II.
  3. E. Bruxe, Principes Scientifiques des Beaux-Arts. Paris, Félix Alcan, 1891, pag. 107.
  4. G. Calvi, Della norma che per dipingere le ombre, deve dedursi dalle osservazioni fisiche, ecc. Milano, 1842, pag. 10.
  5. Conviene però notare come Leonardo promettesse un'opera sulle mistioni dei colori, opera che avrebbe certamente dissipati molti dubbi sull'argomento, che non è svolto a sufficienza dalla natura frammentaria del trattato, evidentemente incompleta nella parte che riguarda la luce ed i colori.
  6. G. CaLvi, Op. cit., pag. 73 e seg.