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Fabbisogno: neologismo inelegante usatissimo nel linguaggio amministrativo per indicare la somma necessaria, il danaro occorrente per soddisfare a determinati impegni, provenienti da spese cui devesi provvedere in un periodo di gestione.

Fabbrica dell’appetito (la): locuzione nostra popolare ed arguta per indicare il bisogno fisiologico della fame, mangiare. Es. Lavorare per la fabbrica dell’appetito.

Fabbriceria: o consiglio di Fabbrica, è il corpo degli amministratori delle rendite o proventi di varia natura di spettanza di una gran Chiesa o Convento, e per le spese del culto e pel vantaggio della chiesa stessa. Fabbriciere è detto il consigliere della fabbricerìa.

Faber est suae quisque fortunae: ognuno è artefice della propria fortuna, motto latino attribuito ad Appio Claudio il Cieco su la fedo di Sallustio in De republica ordinanda, I, 1.

Facanápa: nome di maschera plebea, di origino veronese, venuta assai dopo le sue nobili consorelle del ’500. Naso da pappagallo, occhiali verdi come Tartaglia, cappello a larghe falde, cravatta rossa, giubbone bianco a gran falda. Sua sapienza: «Scarpa larga e goto pion, e tor el mondo come el vion».

Faccia: trovo sovente questa locuzione neologica su la faccia degli avvenimenti per dire in presenza, al cospetto. Ricorda la locuzione francese A la face de = en présence de. Ma anche senza essere puristi e per quanto sia sincero l’intento di accoglierci con equo animo voci e locuzioni straniere, il vero è che certi costrutti offendono il gusto ed il sentimento.

Faccia ipocratica: V. 'Hipocratica'.

Faciamus experimentum in anima vili: V. In corpore vili.

Faciente funzione: V. Funzionare.

Facit indignatio versus: Giovenale, Sat. I, 79: lo sdegno ha creato il verso. Mirabile e sintetica espressione che spiega il perchè molte anime nobili attesero alla missione delle lettere e della poesia.

Facoglione o faminchione: termine molto volgare e dialettale di alcune regioni dell’Italia, e significa, assai efficacemente, imbroglione, che cerca cioè di far con frode minchione altrui, traendo vantaggio della buona fede e della onestà del prossimo. Ma si intende di piccole e misere frodi.

Facoltizzare: per concedere, permettere è chiamato dal Rigutini verbo «sconcissimo». Certo è voce coniata nell’aere non puro degli uffici, e così dicasi dell’abusiva parola facoltizzazione, in vece di licenza, assenso, permesso, facoltà, concessione, beneplacito etc. Si osservi come il popolo eviti l’uso di questo parole antiestetiche e barocche.

Facoltizzazione: V. Facoltizzare.

Facoltativo: detto di legge o diritto in arbitrio di uno, è voce nuova «che non può rifiutarsi» così il Rigutini. Es. Treno facoltativo. Certo però ha sapore di voce non popolare, ma curialesca e nel linguaggio letterario il buon gusto avverte di preferire le locuzioni: in potere, in facoltà, ad arbitrio etc. [p. 202 modifica]

Façon: speso di lavorazione e trasformazione della materia prima nell’industria specialmente del vestire: sarte, modiste. In italiano fattura. In francese la façon d’un habit, la fattura di un vestito. Sans façon, alla buona. V. questa locuzione.

Façon: per moda, uso, è frequente (V. Fashion), specie quale eufemismo per nascondere la parola falso, come è prova questo annunzio: «Colliers con carré façon Lontra guarnito Lepre Chinchillas foderato in seta». Che lingua è cotesta? domanderà il lettore. Lingua italiana dei cataloghi del commercio italiano.

Fac-simile: dal latino facere = fare e simile = cosa simile. Dicesi di imitazione copia esatta, impressa o incisa, di un breve scritto, o di un pezzo di scrittura, di una firma di alcuno, e specialmente di riputato scrittore. Dicesi anche con più largo senso di cosa o di persona simile. Fac-simile è anche in francese. La forma più italiana fassimile non sembra molto attechire.

Factotum: parola foggiata «barbaramente», nota il Tommaseo, da due vocì latine fac = fa e totum = tutto. Dicesi comunemente di chi in qualche azienda ha o si è arrogato il diritto di fare e disfare. Factotum è pure nei dizionari francesi = Sorte d’intendant qui a la confiance d’un maître de maison. Le caractére du factotum est de se donner une importance qu’il ne peut avoir natturellement. Non è improbabile che la priorità di questa parola sgarbata sia della Francia.

Faetòn: neologismo tolto dal francese Phaéton, per indicare una specie di vettura signorile, a due ruote, leggera e scoperta. Il nome è un accorciativo di Fetonte, cioè vettura simile a quella nella quale è figurato il mitologico Iddio nel condurre i cavalli del Sole.

Fai: imperativo seconda persona del verbo fare, V. Dai.

Faible: (lat. flebilis) è aggettivo sostantivato che risponde alla nostra parola debole, debolezza cioè penchant, tendresse particulière et souvent injuste — dans l’argot des bourgeois, così definisce il diz. De la Langue Verte di A. Delvan.

Faida: voce storica, di etimologia tedesca che indicò il diritto di vendetta privata presso i Longobardi (V. Muratori, Diss. I, 311; Antiq. Ital. I, pag. 282).

Faiences: vedasi mala sorte! Le terre smaltate, piatti, coppe, vasi, a vaghi disegni e perfette tinte, gloria italiana che dall’evo medio va progredendo sino a tutto il ’500 e che più specialmente eccelse nelle fabbriche di Faenza (Umbria, Marche, Romagna), portano generalmente il loro nome in francese e questo in Italia e da italiani ai quali la voce straniera sembra più garbata della nostrana faentine. Il nome francese si formò in Francia dove la fabbrica delle faentine fu istituita, conservando però il nome della città italiana.

Faille: stoffa di seta pesante, a grossa trama: questa parola francese è volgarizzata talora in faglia.

Fainéant: voce francese di non raro uso nelle terre subalpine e v’è l’esatto corrispondente in italiano: fanullone (pigraccio, svogliataccio). Anzi di sinonimi ve ne ha di molti e così di frasi: dal «dolce far niente» di classica e italica memoria, ad una viva espressione che udii in Romagna, e fu così: in un bel giorno d’agosto nel rigoglio esuberante della campagna incolta, vidi lungo una siepe di marruche sdraiati nella polvere, una schiera di giovani contadini, donne, ragazzi ravvolti in cenci: corpi sani ed atletici. Pure v’era dell’abbacinato nelle loro pupille. Chiesi che avessero e non risposero. Rinnovai la domanda: allora uno finalmente rispose con un sorriso ebete: «Abbiamo il mal della volpe!» cioè, non abbiamo voglia di far nulla.

Faire bonne mine a mauvais jeu: locuzione francese che si ode frequente, a cui rispondono in parte le nostre: «far di necessità virtù, mangiar amaro e sputar dolce» etc.: ma questo, come molti altri motti francesi, sembra aver sapore di più fine eleganza.

Faire minette: locuzione del gergo francese. V. Appendice.

Faire vite: è proprio il far presto italiano, eppure vedi esempio: «Bisognava, come al passo della Cattolica, faire vite: se no Napoleone non avrebbe avuto modo [p. 203 modifica]di far osservare il principio del non intervento di cui Cavour si serviva con così fortunata audacia». Cito la locuzione francese non perchè sia usata comunemente, ma come saggio della incuria nostra nello scrivere la nostra lingua a comprova di ciò che altre volte fu detto: cioè che la frase straniera sembra esercitare lo strano fascino di cosa più. viva e animatrice, almeno ne’ nostri scrittori comuni.

Fair trade: ingl. libero commercio o libero scambio.

Faiseuse d’ange: neologismo del gergo francese por dire una levatrice pratica negli aborti. La locuzione lugubramente umoristica (fabbricatrice d’angioletti) proviene dalla comune credenza che i pargoletti, morti nel parto, siano di già angioli. La levatrice che esercita tale reo mestiere, aumenta dunque gli ospiti innocenti del Paradiso. Dicesi anche di donne che assumendo l’ufficio di allattare e allevare bambini, procurano loro la morte in modo che abbia parvenza di cosa naturale, consenzienti le madri. Tale delittuosa opera ha la sua prima radice nel mutato costume, per cui la prole, secondo modernità, è impedimento al benessere ed al piacere. La antica gentilezza ed umanità italica rifugge da tale costume. Parigi e Londra pur tuttavia fanno scuola anche nel Bel Paese.

Falaise: voce francese che vuol dire scogliera a perpendicolo sul mare, senza spiaggia. Falaise proviene dall’antico francese falise, faloise, nel basso latino falesia, dall’antico tedesco felisa = roccia.

Falanstero: specie di vastissimo convento, por comunità, non religiose, ma sociali, ideato e nominato da Carlo Fourier, socialista di Besançon (n. 1722, m. 1837). Dal francese phalanstère, da phalange = falange.

Falbalà: V. Falpalà.

Falcìdia: voce usata per tara, sottrazione, defalco. Falcidia è termine legale ed antico e trae origine dal nome di un tribuno romano della gente Falcìdia, il cui personaggio più noto ebbe nomo Caio e visse al tempo di Cicerone. Costui stabilì una legge che sottraeva il quarto dei legati a favore dell’erede, quando questi legati superassero i tre quarti dell’asse ereditario: legge detta Falcìdia. Questo il senso storico della parola, il senso moderno è quello detto sopra. Il Rigutini giustamente osserva che essendo accolto nel linguaggio legale e degli uffici il vocabolo falcidia = tara, nulla vieta di far buon viso al verbo falcidiare = diminuire, ridurre. Certo questo verbo non è usato nel buon linguaggio letterario e agli indotti porge, e non a torto, la brutta imagine della falce che taglia, non di C. Falcidio.

Falcidiare: per diminuire, ridurre. V. Falcidia.

Faldistorio: termine liturgico: specie di sedia pieghevole usata da vescovi e gran prelati nelle loro funzioni. Basso latino faldistorium, dall’antico alto tedesco faldistol.

Falpalà o Falbalà: striscia di stoffa pieghettata per ornamento di gonne, tende, etc. La voce nostra è balza o balzana. Falbalà è voce francese di etimologia incerta: il Genin la trae da falda, ma non è probabile, più probabile dall’inglese furbelow = fodera o guarnizione in basso.

Falstaff: personaggio grottesco di due drammi dello Shakspeare, divenuto popolare in Italia dopo che G. Verdi ne fece soggetto di una sua ultima opera. Certa foggia di colletto, alto e rovesciato, con cui si abbiglia questo personaggio, diventò di moda fra gli eleganti in questi anni e si dice alla Falstaff.

Fama crescit eundo: corruzione dell’emistichio di Vergilio, Aen IV, 175, fama... vires... acquirit eundo, la fama acquista vigore con l’espandersi. Dicesi anche fama volat e non di rado con senso satirico.

Fambros: V. Fambroise.

Famedio: voce foggiata dal latino che vuol significare la casa della fama: nome, dato ad una parte del cimitero monumentale di Milano, edificato su lo scorcio del secolo passato. «La sepoltura dei cittadini nell’esercizio delle prime dignità e magistrature, nella carriera militare, nelle cariche civili e nel coltivare lo scienze e le arti» doveva trovar luogo nella chiesa del Foppone convertita in Pantheon Italiano (Decreto del Principe Eugenio, Vicerè d’Italia). Del resto a Milano germogliano assai bene parole di conio arbitrario [p. 204 modifica]corno tecnomasio, orfeonica, calzaturificio, intertazionale, etc.

Famigliare: per familiare nella moderna ortografia è ritenuta forma meno buona.

Fanaticus error: pazzia, e dicesi talora della ostinata pazzia che alcuni, non essendo veri poeti, hanno di poetare: «che se l’infelice è davvero invasato dal fanaticus error dei versi, se per congenito cretinismo la sua animalità si è ostinata a quel noioso giuoco di pazienza che è l’accasellare un dato numero di parole in un dato spazio di linea...» Carducci, Levia Gravia. Fanaticus error leggesi in Orazio de Arte Poetica, 454, ove si accenna a codesta manìa del poetare, male antico come ognuno vede.

Fanatismo: V. Fanatizzare.

Fanatizzare: neologismo tolto dal francese fanatiser, che a sua volta proviene dal latino fanaticus (da fanum = tempio) «inspirato da una divinità, estatico, farnetico, spiritato, ossesso». Ora, così in queste come in molte parole, la lingua italiana non ha la forza estensiva ed iperbolica della francese, che a questa voce, oltre all’antico senso, dà anche quello di esaltare, eccitare, promuovere all’ammirazione e all’applauso inconsulto ed eccessivo. Lo stesso dicasi per la voce fanatismo che in buon italiano ha solo senso di esaltazione religiosa. La Crusca accoglie il nuovo senso di fanatico e fanatismo, non del verbo.

Fandango: aria e ballo spagnuolo a tre tempi, elegante e voluttuoso, ma meno vivace del bolero. Si balla in coppia al suono della chitarra e delle nacchere, con le quali e col tacco i danzatori si eccitano e segnano il tempo. Voce accolta nelle varie lingue.

Fané: letteralmente appassito, dal verbo faner (antico francese fener = convertire in fieno, da foenum, latino). Es. «La tal signora è un po’ fanée», invece che dire sfiorita, sbattuta, sciupata nel volto, appassita, pallida. Così mirabilmente A. Manzoni descrive la monaca di Monza: «Il suo aspetto, che poteva dimostrare venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e direi quasi scomposta». Chi legge, sostituisca a queste parole la voce fanée e sentirà la voce straniera stridere, come caustica, distruggendo l’armonica composizione della frase, nella quale armonia consiste il segreto fascino di ogni particolare linguaggio.

Fanfaronata: V. Fanfarone.

Fanfarone: (fr. fanfaron), spaccone, smargiasso. Fanfaron in francese dicesi nel suo primo e proprio senso di chi, volendo giostrare, entrava in lizza con pifferi e trombe: radice fanfare = fanfara. Dicesi anche fanfaronata (fr. fanfaronade = rodomontade). Sono due voci tolte dal francese e comunissimo fra noi.

Fango che sale: locuzione del Carducci nel sonetto XXXIII in Rime Nuove, Dietro un ritratto:

               sopra il fango che sale or non mi resta
               che gittare il mio sdegno in vane carte
               e dal palco mortale un dì la testa.

I quali versi hanno la lor chiosa manifesta in questa nota che il Carducci appose alla nobile polemica Per la pira del general Garibaldi: «Oh, quando gli eroi non contano nulla e li gnomi possono tutto, e la retorica caccia a pedate di periodi epilettici la epopea, e una nazione non sa altro fare che del chiasso per un giorno due, oh allora

               che importa vivere,
               che giova amar?»

Locuzione che solo al Carducci e a pochi altri elettissimi è lecita!

Fanfreluche: apriamo un dizionario francese: accanto a questa parola troviamo detto che essa deriva dall’italiano fanfaluca. Eppure ecco usata la parola francese: «Quei piccoli nonnulla, quelle fanfreluches sociali che costituiscono la civetteria e la distrazione muliebre, non turbano l’attenzione, la serietà che occorrono, mettiamo, per le missioni del medico e del patrocinatore?» Questo citare voci francesi, usate, forse, per incidenza per incuria, potrà sembrare deliberato proposito; ma non è senza significato in quest’opera, come altra volta fu detto. (Fanfaluca it. è dal gr. [testo greco] = bolla d’aria, nel basso latino famfaluca).

Fantasia: corsa e giuoco degli Arabi e popoli d’Oriente in occasioni di gioia o [p. 205 modifica]per fare onore altrui: lanciano i cavalli e ritornano con grida e spari de’ lunghi fucili. Il nome pare di origino italiana, fantasia, e i rapporti di un tempo fra l’Italia e l’Oriente, l’essere la lingua nostra stata comune e parlata in terra di Levante, spiega come probabile tale etimologia. Fantasia in tale senso è nei dizionari francesi: non nei diz. italiani. Abito fantasia, stoffe fantasia, cioè che hanno tinte e disegni vivaci. I diz. registrano tale locuzione col segna caso di, ma i sarti lo sopprimono senza riguardo, ancorchè in francese si dica une robe de fantaisie, un objet de fantaisie.

Farad: nome che, in omaggio al grande fisico inglese Faraday (1791-1867) venne dato all’unità pratica di capacità elettrostatica: è la capacità di un condensatore che viene caricato alla differenza di potenziale di un volta mediante la quantità di elettricità di un coulomb.

Faradizzazione: da Faraday fisico inglese: fr. faradisation: metodo di cura medica, consistente nell’applicazione delle correnti indotte o faradiche, quali, ad es., dai consueti rocchetti di Ruhmkorff.

Far andare: invece di far cuocere, detto delle vivande e del modo con cui si ammaniscono, è brutta maniera dialettale lombarda, penetrata nel linguaggio dall’uso.

Farandole: nome di un ballo provenzale, vivo e chiassoso, che può eseguirsi in gran numero di danzatori, alternati uomini e donne. Tradotto in farandola.

Faraona: appellativo di una specie di gallina, proveniente dall’Egitto: numida Meleagris.

Faraone: giuoco d’azzardo simile alla bassetta. Si punta su le dieci carte e chi tiene banco spilla le carte: una è favorevole al banco, l’altra ai puntatori. Francese, pharaon.

Far cappello o far cuffia: term. mar. che significa il capovolgersi della nave per effetto del vento.

Far carte false per alcuno: modo familiare nostro che vuol diro fare le cose più rischiose o pericolose pur di gradire ad alcuno. È noto che l’essere scoperto nel fare le carte false non è talora senza pericolo.

Farcino: V. Morva.

Fard: fr. belletto. Cfr. l’antica voce italiana farda: ambedue paiono derivate da una parola tedesca da cui farbe = colore. Così fardée, in un certo linguaggio, pare più dicevole che imbellettata.

Far da comparsa: comparse nel linguaggio teatrale sono dette quelle persone che compaiono sul palcoscenico senza parlare ma servono solo al decoro ed al compimento della azione scenica, onde far da comparsa in alcun ritrovo o assemblea, vale come far una parte poco dignitosa in quanto che si serve d’ornamento altrui senza potervi avere alcun valore, parte, preponderanza. Comparsa chiamano i legali quei libelli o scritte in difesa o in sostegno di una data causa civile che si presentano al giudice, ondo la locuzione fare una o più comparse.

Far da cuscinetto: familiarmente e spesso, ironicamente detto di persona che si frappone e si presta ad attutire urti o contrasti tra individui o partiti.

Far danno: è locuzione dialettale assai efficace, detta di vasi, botti, recipienti in genere che non sono stagnati o son fessi sì che il liquido ne gema.

Far della camorra o far la camorra: (V. Camorra) dicesi per frodare, ingannare, imbrogliare, accordarsi con arte di frode a danno di alcuno; per la qual cosa non si richiede di essere camorristi di professione. Dicesi talora anche di innocui scherzi.

Far due parti in commedia: dicesi di chi o per insipienza, o per viltà, o per utile sostiene due opposti partiti, dà ragiono a chi prima dava torto e viceversa.

Fare acqua: V. Acqua.

Fare a farsela: locuzione nostra elittica che vale fare a gara a chi può soverchiarsi nei detti e nei fatti.

Fare a mosca cieca: locazione nostra che vale procedere a tentoni negli affari come avviene nel giuoco de’ bambini detto a mosca cieca.

Fare appello: faccio appello al vostro buon cuore, al vostro giudizio, etc., è frase comune. V. Appello. Nei dizionari italiani troviamo questo voci, mi rivolgo, mi racocmando al suo buon cuore, mi rimetto [p. 206 modifica]al suo giudizio, etc. Ma anche qui è notevole la tendenza di lasciar nell’incuria i sinonimi nostri il cui uso richiede un certo studio e discernimento, e adoperare invece la frase unica, più facile e meglio acconcia in una specie di linguaggio meccanico.

               Il giovinetto si rivolse a’ prieghi
               e disse: «Cavalier, per lo tuo Dio,
               non esser sì crudel che tu mi nieghi
               ch’io sepelisca il corpo del re mio».
                                   Ariosto, Furioso, XIX, 11.

Fare il becco all’oca: V. Ecco fatto, etc.

Fare il giuoco di uno: operare in modo da aiutare l’opera di un altro, facilitargli la via, specie dicesi parlando di opere subdole. Locuzione tolta dal giuoco in quattro in cui il compagno deve cercar di conoscere le carte del compagno per poterlo aiutare, fare il suo giuoco.

Fare il passetto: nel gergo dei giocatori a tresette ed a calabresella (terzilio) così si dice quando il giocatore, avendo un tre e supponendo che l’avversario abbia un due accompagnato da carta dello stesso seme, passa una carta bassa per far così l’ultima mano. Avanzare altrui con astuzia o frode.

Fare i suoi passi: far le pratiche, usar le cure, adoperarsi per ottener qualche cosa o per far valere i propri diritti e le proprie ragioni.

Fare una figura barbina: locuzione nostra familiare che vuol dire fare una figura, misera, infelice, ridicola.

Fare una punta: locuzione tolta dal francese e d’uso nel linguaggio militare per spingersi, avanzare sino ad un dato punto: usasi anche in altro senso, come fare una punta in un argomento, per toccare.

Fare un bacio: brutta forma dialettale lombarda più frequente che il verbo baciare, dare un bacio, passata scorrettamente nella lingua, almeno in queste regioni.

Farewell!: in inglese addio! e letteralmente bene da lungi. Es. «Ultimo Nansen dalla scaletta già staccata dal parapetto, saltò agile nella lancia gridando l’ultimo Farewell!» Si tratta di una di quelle parole, dette rarissime volte e, nell’esempio citato, con intenzione di riprodurre il vero suono della persona, ma pur tuttavia rientra nel numero di quelle voci straniere che sono usate come se avessero più acuto senso che le nostrane. V. Adieu!

Far fagotto: modo familiare, comune sì al dialetto lombardo (fa su el fagott) che al toscano, e vuol dire partirsi, andarsene, ma si intende di persona costretta dalle circostanze e alla svelta o per suo meglio. Yale anche morire.

Far fiasco: modo familiare che significa non riuscire e vi si contiene lieve senso di scherno. La spiegazione di tale locuzione sarebbe questa: Domenico Biancolelli, celebre arlecchino bolognese del secolo XVII, costumava comparire su la scena con un lungo e lepido monologo che variava ogni sera su di un dato oggetto che recava in mano; ora cioè una parrucca, ora una lettera, ora un cavastivali e simili. Una volta venne fuori con un fiasco, ma o fosse il monologo meno arguto del solito o non fosse l’attore in vena, il publico non rise come di consueto. Allora il Biancolelli si rivolge al fiasco, dicendo: «È colpa tua se questa sera sono una bestia!» e se lo gettò dietro le spalle. Da quella sera quando ad un attore toccava una simile sorte, si diceva: È il fiasco di Arlecchino! — poi semplicemente un fiasco, indi far fiasco. Tolgo questa spiegazione da G. Bianchini, op. cit. Dicesi anche fiasco con forza esclamativa. La locuzione far fiasco la trovo anche registrata nel supplemento del Littré, faire fiasco e ne è data una seconda spiegazione, tolta dall’arte de’ nostri vetrai; nè è ignota alla lingua tedesca, Fiasko machen = far fiasco. Ecco il caso di una locuzione che può vantarsi di non aver fatto fiasco.

Far flanella: V. Flanella in Appendice.

Far fuoco e fiamme: modo familiare nostro usato in Romagna e credo anche in Toscana — grande è l’affinità dei due idioma — per indicare l’adoperarsi iracondo, aperto, ostinato di taluno per ottenere un dato fine ovvero opporsi che alcuna cosa avvenga.

Farina lattea: fr. farine lactée, nome [p. 207 modifica]commerciale dato ad un alimento per bambini che si prepara (o si dovrebbe preparare) mescolando latte condensato con zucchero e con farina di cereali, trattati precedentemente in modo da renderli più facilmente assimilabili.

Faringite: infiammazione della mucosa della faringe, cioè di quella cavità a forma di imbuto che è situata dietro la cavità della bocca e che si restringe per continuarsi con l’esofago.

Far la bocca brincia: modo volgare nostro che significa quell’incurvamento in giù e quel tremito che fanno le labbra, specie dei bimbi, nell’atto del piangere.

Farla cascar dall’alto: modo elittico nostro che vale esporre alcuna cosa, in modo che appaia di maggior importanza che essa non sia di fatto. Dicesi anche di concessioni fatte con arte in modo che chi concede sembra aver largito maggior favore e vinto maggior difficoltà che non sia realmente. Arte non rara in chi vuol farsi valere o far apprezzare e ricordare alcun favore o beneficio.

Far la civetta: locuzione nostra familiare, detta delle donne che, per vanità o capriccio più che per amore, si studiano con le loro lusinghe e moine di sedurre, acchiappare i merli, nel modo stesso che la civetta chiama al paretaio gli uccelli.

Far la festa ad uno: locuzione nostra volgare e familiare che vale uccidere, e anche giustiziare. Al qual proposito il Salvini (Ann. Tan. Buon., p. 573) annota: «far la festa a uno, perchè quando si fa giustizia, è come si facesse una festa ’l popolo viene come a una solennità». Ma è spiegazione che poco mi persuade.

Farla franca: familiarmente vuol dire non essere colto in flagrante, riuscire in impresa di astuzia o di frode.

Far la frittata: locuzione familiare nostra che significa conciare malamente alcuna cosa, sbagliare, guastare, mal riuscire.

Far la piazza: nel linguaggio dei viaggiatori di commercio significa sfruttare la piazza, cioè recarsi presso i vari clienti che sono in una data città, sollecitando, procacciando affari e commissioni.

Far l’asino: dicesi molto volgarmente e con intendimento di ridicolo di chi comincia a spasimare, ammirare, seguire alcuna donna.

Far la spia: curiosa locuzione popolare nostra, indice del costume e della storia! Nelle Marche e nella Romagna, forse anche altrove, il rispondere all’Autorità giudiziaria ciò che essa ha diritto di chiedere intorno ad un dato fatto al cittadino, e che il cittadino cui soccorra senso civile ha dovere di palesare affinchè la giustizia abbia il suo corso, si chiama dal basso popolo semplicemente far la spia!

Far la vita: nel dialetto milanese equivale a far la bella vita, del gaudente; e detto poi delle donne di male affare, significa esercitare il mestiere della lor mala vita.

Far le cose en grand seigneur: da gran signore, alla grande, cioè magnificamente, senza badare a spese e si dice, di solito, parlando di feste, ricevimenti, disimpegno di uffici ospitali. Il modo italiano vale il francese, ma dirlo alla francese pare più signorile. Solito caso!

Far l’indiano, far le orecchie del mercante e toscanamente fare il nesci, far lo gnorri: sono locuzioni che valgono fingere di non sapere o capire o ricordare cosa che si sa etc. Es. «Che fa il nesci Eccellenza?» Giusti, S. Ambrogio. «Questo per corrispondere alla celia... rispose: eh, io fo l’orecchio del mercante» P. Sposi, Capo IV. «Era costui uno sgherro d’Egidio; era stato, facendo l’indiano, su la porta del padrone per veder quando Lucia usciva dal monastero» P. Sposi, Cap. XX.

Far l’occhio di triglia o l’occhio di pesce morto: espressione nostra che significa guardare in modo languido, amoroso, seduttore, mostrando il bianco dogli occhi senza direttamente fissare. Si dice quando si vuol beffare il guardo amoroso e muto che spesso usano le donne.

Farm: voce inglese che significa podere, fattoria, piantagione, onde farmer, fattore, fittaiuolo.

Far mangiar la polvere: chi è più veloce corridore fa mangiar polvere a chi viene dietro, onde familiarmente la frase vale passare avanti, tener la testa, avanzare vincendo. [p. 208 modifica]

Far marrone: caratteristica locuzione volgare lombarda, usata quando nel fare qualche marachella o tessere qualche frode, si viene scoperti.

Far navette: V. Navette.

Farne più di Bertoldo: locuzione elittica popolare che vale la seguente.

Farne più di Carlo in Francia: modo nostro popolare che il volgo, dalle gesta di Carlo Magno, ritorce ad imprese meno eroiche, specialmente di libertinaggio e di male e ingannevoli arti. Talvolta a Carlo udii sostituire Garibaldi.

Far nomi: per nominare; far della musica per suonare e cantare; farsi un dovere, un onore per recarsi a dovere ad onore; far caldo, far freddo per è caldo, è freddo; a far tempo da per incominciando da, sono dal Rigutini notati per francesismi: ma se anche si vogliono ritenere tali l’uso lungo e continuo li assolverebbe.

Far parlare: interrogare uno con arte affinchè riveli ciò che sa. Dicesi anche far cantare.

Far ridere i polli: modo nostrano e dicesi di argomenti, di parole destituite di ogni valore; tali che fanno ridere.

Farsi le parti del leone: fare per sè con ingiustizia, frode, violenza, in una divisione di cose, la parte maggiore; allusione alla nota favola (Fedro, I, 5) del leone che essendo andato a caccia con l’agnello, con la vacca e con la capretta e fatta preda di un bel cervo, si tolse tutte le parti per il motivo che egli si chiamava il leone: nominor quoniam leo.

Far tappezzeria: motto volgare ed efficace di probabile provenienza francese, faire tapisserie. Dicesi, nelle feste, di quelle dame le quali per la poco loro avvenenza o per altra cagione non sono mai invitate al ballo dai danzatori, onde convenendo loro sedere, sembrano far da ornamento da tappezzeria alla sala, e più generalmente di chi assiste ad una cerimonia senza prendervi parte. In dialetto di Romagna intesi dire nel primo senso far la calza, e altri modi realistici che è inutile riferire.

Far un buco nell’acqua: non riuscire in alcuna intrapresa.

Far un viaggio e due servizi: con la stessa operazione condurre a termine due negozi: locuzione toscana e di altre regioni.

Far veder la luna nel pozzo: contar frottole, vender lucciole per lanterne e simili. Rammentisi per confronto la nota favola della volpe, del lupo e della luna che entro il pozzo pareva un gran cacio.

               .....Un soir il aperçut
          La lune au fond d’un puits: l’orbiculaire image
          Lui parut un ampie fromage.


Far vela: locuzione tolta dal linguaggio marinaresco per partire, ma dicesi con speciale significato.

Far vendetta: familiarmente dicesi per vendere alla disperata. Frase lombarda che deve trarre origine dal bisticcio e dall’assonanza delle parole vendita e vendetta.

Far vigilia: mangiar di magro.

Far west: il lontano occidente, americanismo trasportato nell’inglese. Nel tempo passato l’immensa estensione di territorio all’ovest del fiume Mississipì era conosciuta con questo nome. Questa regione è ancora chiamata l’Ovest, ma la locomotiva l’ha privata del suo speciale appellativo. Era anche chiamata «il selvaggio occidente», ma anche questo nome ora ha perduto del suo valore.

Fasciame: ter. mar., rivestimento esterno od interno di tavole o lamiere inchiodate alle ossature dei bastimenti.

Fase: gr. phàsis propriamente, l’aspetto dei pianeti: ma seguendo l’uso estensivo dei francesi, si usa la parola fase per vicenda, mutazione, periodo. Es.: «Le fasi di un affare, di una questione».

Fashion: parola inglese (pron. fäs’sion) la quale etimologicamente risponde alla voce francese façon, press’a poco usata nello stesso senso, all’italiano fazione, dal verbo latino facere, fare. Essa è anche recentemente introdotta in Francia e ricorre altresì presso di noi. Vuol dire moda: cioè il prevalere di una data forma e di un dato stile, mutevoli nella comune pratica dei costumi, e specie degli abiti e degli ornamenti, al che si attiene la gente mondana. Men dress their children’s minds as they do their bodies, in the prevailing fashion. [Si abbigliano i cervelli dei ragazzi come le persone, cioè [p. 209 modifica]secondo la moda in voga] Spencer, Educazione, Cap. I. Fashion indica altresì il complesso della gente mondana, magistra elegantiarum. Ad es. La fashion parisienne. In città la fashion preferisce recarsi al Municipio di sera [E. Nevers, Galateo della borghesia, pag. 102]. Derivato è fashionable = alla moda, elegante.

Fashionable: V. Fashion.

Fastidio: per svenimento, sincope, sfinimento è da molti ripreso come improprio e idiotismo lombardo (vegnì fastidi). Il Petrocchi nel suo diz. italo-fiorentino non registra tale senso e giustamente, il che non toglie che il vocabolo sia, in tale uso, comune anche fuori di Lombardia.

Fata viam invenient: i fati troveranno la via (cioè le cose si compiranno per loro forza) Vergilio, Aen., III, 395.

Fatto: la locuzione mettere al fatto per informare, è dai puristi ritenuta non buona.

Fattrice: voce del linguaggio zootecnico e dell’industria dell’allevamento del bestiame, quasi per significare la materialità fisiologica del fare, cui madre e genitrice disdirebbero come voci proprie dell’uomo. Voce dello Sport.

Fattura: in napoletano vale maleficio, malia, stregoneria. Cfr. fattucchiera. Latino factura, sortilegium, maleficium.

Faubourg: parlando di Parigi sembra doveroso por noi nominare le sue vie francesamente: dicesi dunque faubourg e non borgo o sobborgo, come pur si chiamano molte strade in Italia che pur non sono borghi propriamente, come via Borgo Nuovo a Milano, Borgo S. Stefano a Bologna. In origine erano in fatti vie fuori del borgo e il nome rimase anche quando la via fu compresa nella città. Per l’etimologia, o da faux-bourg o da for-foris, francese hors (bourg).

Fault: sbaglio o più esattamente, trattandosi di giuoco, fallo. Ma nel giuoco italico antico della Pallacorda (V. Lawn-Tennis) si costuma dalla gente mondana usare i termini inglesi, e perciò si dice fault al battitore che lancia la palla fuori dal campo. V. Baddeley: Il lawn-tennis. Manuale Hoepli.

Fausse couohe: falso parto o aborto. Eppure la perifrasi francese sembra più gentile e cauta a pronunciarsi da una dama che non la voce italiana.

Fausse maigre: dicesi francesamente in certo linguaggio, di quella donna, che, essendo di ossatura fine, abbia più tosto l’elegante apparenza della magrezza che la vera magrezza. Questa falsa magrezza è ritenuta pregio di beltà: infatti il pannicolo adiposo, ove non ecceda, piace nella donna come la musculatura nell’uomo.

Faute de mieux: fr. in mancanza di meglio.

Fauteuil: in francese vuol dire poltrona. Ma una persona di vita mondana anteporrà dire: «Ho preso un fauteuil per questa sera alla Scala» e non una poltrona o una poltroncina. La parola fauteuil proviene dal basso latino faldistorium, che a sua volta è di origine tedesca.

Fauve: è in francese ciò che in italiano dicesi fulvo, colore rossiccio ardente. Ma oramai i colori delle stoffe nel linguaggio delle mode sono espressi in francese.

Faux-col: letteralmente in fr. falso collo cioè colletto.

Faux-ménage: locuzione inconvertibile in italiano: falsa famiglia? famiglia posticcia? Evvia! la voce vi sarebbe, cioè concubinaggio: ma anche in tal caso questa nostra lingua plebea nel nomo inchiude un senso di biasimo. Invece il faux-ménage non implica nulla e serve assai bene per indicare la convivenza in due, come fossero marito e moglie, senza gli impacci e le conseguenze delle leggi che regolano il matrimonio. V. Collage e Demi monde in principio.

Fave dei morti: e altrove ossa dei morti, specie di piccoli dolci fatti con pasta di mandorle in forma di favo che costumano nell’occasione della festa dei Morti.

Favete linguis.....: letteralmente favorite con le lingue, cioè tacete: locuzione di Orazio (Ode I, lib. III).

Favo: (lat. favus) in medicina significa una dermatite parassitaria, caratterizzata da tumefazione forte che, maturando, si palesa in foggia di cellule o favi: devesi a un fungo parassitario dell’uomo e degli [p. 210 modifica]animali, l’achorion Schœnleinii. Più comunemente e detto antrace benigno o foruncolosi per distinguerlo dall’antrace maligno o carbonchio.

Favoriti: dal francese favori; è per tal modo chiamata quella pelurie o barba che alcuni si lascian crescere dall’orecchio al mento. In italiano fedine. A proposito di favoriti ricordo che in un ritrovo in villa, un dotto straniero non ignaro della lingua italiana, avendo trovato in un romanzo del Farina la locuzione accarezzandosi i favoriti, non la comprendea. I dizionari alla parola favorito-a, dando mal senso erotico si pensava che qualche sconcia locuzione volgare rispondesse alla detta frase. Ne richiese prudentemente, avendo prima cura che le signore fossero lontane.

Favoritismo: dal francese favoritisme, che indicò l’abitudine da parte dei principi di affidare la direzione delle cose publiche ad un favorito; poi parzialità, protezione.

Fazenda: voce spagnuola con cui si designano le grandi tenute agricole del Brasile.

Febbre gialla: malattia infettiva endemica ed epidemica, originaria del golfo del Messico: caratterizzata da febbre con speciale decorso, vomiti biliosi e sanguigni, itterizia forte, onde il nome, e fenomeni nervosi per cui è impedito il moto delle membra. Dicesi anche vomito nero.

Febbricitante: che ha febbre: dicesi anche per traslato in senso morale di chi è in istato di ansia e di tormentosa aspettazione.

Febbrile: nelle locuzioni attività, lavoro febbrile, etc., è comune voce, ma certo forma una metafora poco esatta, giacchè nello stato febbrile l’attività non è possibile. Ma forse per quest’aggettivo si vuol significare quell’eccesso di forza, quella specie di febbre (lat. ferveo = ardo) morale che arde o agita chi è preso da alcuna operosa passione. Se tale estensione di senso è tolta dal francese ovvero di formazione spontanea, non è facile decidere; e ciò si può dire di molti francesismi, data l’affinità di lingua e di pensiero tra le due nazioni.

Federalismo: quella scuola politica la quale movendo dalle ragioni dell’etnografìa, dalla storia, dall’economia, etc., intende fondare l’unità mercè la federazione delle varie parti di una nazione. Massimo sostenitore di questa teoria in Italia, per quel che riguarda la storia contemporanea, fu C. Cattaneo.

Feeders: in inglese = alimentatori, e nell’industria elettrica così si dice per indicare i cavi principali di una rete di distribuzione di corrente elettrica.

Feerie: dicesi per indicare uno spettacolo, specie teatrale, che paia quasi opera di fata. Feerie è l’arte della fata (feé, dal lat. fatum, da fari, che dice, predice). In italiano sarebbe incanto, fantasmagoria, che risalgono press’a poco allo stesso concetto etimologico della parola francese.

Felce maschia: Polypodium fllix mas L., è una felce che si trova sparsa dovunque, il cui rizoma si adopera in medicina come potente vermifugo.

Feld-maresciallo: maresciallo di campo. In Austria, Germania, Inghilterra grado supremo della gerarchia militare.

Felicitare: nel senso di congratularsi, rallegrarsi è tolto dal francese fèliciter = complimenter sur un bonheur, un avantage, un succes. Felicitare in buon italiano vale render felice. Il Petrocchi spiega felicitare nel senso di portare auguri di felicità, e così felicitazione per congratulazione, mi rallegro.

Felino: attributo di squisitissimi salami, da Felino, borgo nel comune di Parma.

Felix culpa: (quae talem ac tantum meruit habere redemptorem). Oh, colpa fortunata (del peccato originale) che meritò di avere un così grande Salvatore (Cristo)! Sant’Agostino.

Felix qui potuit rerum cognoscere causas: felice chi potè conoscere la cagione delle cose! così con una specie di divino anelito nei suoni scrisse Vergilio nelle Georgiche., II, 490. Sentenza tanto vera come è vera la sentenza contraria della Bibbia, «chi aggiunge conoscenza, aggiunge dolore».

Fellah: in arabo, contadino.

Felùca: barca a due alberi latini e polaccone, propria della penisola sorrentina: [p. 211 modifica]voce di origine araba. Il cappello militare a due punte è detto felùca per simiglianza alla barca?

Felze: parola del dialetto veneziano per indicare quella specie di tenda che adorna lo gondole. Felze pare essersi formata dal medio alto tedesco vilz, tedesco moderno filz = feltro, forse perchè tale in origine la copertura della gondola.

Femme de chambre: cameriera.

Femmes savantes: V. Bau bleu in fine.

Femminismo: fr. féminisme, neologismo astratto che vale ad indicare il complesso delle teorie e delle azioni che tendono a stabilire l’eguaglianza giuridica, sociale ed intellettuale della donna rispetto all’uomo. Alcuni anzi ne sostengono la superiorità in senso assoluto; ed a quelli che presentano i fatti reali e le considerazioni basate su la fisiologia, rispondono essere o, meglio, parere la donna inferiore per effetto di atavismo, di mancata evoluzione e per secolare tirannia del maschio. Femminista: il sostenitore di tale opinione. La forza vera di queste nuove teorie non è tanto in sè quanto nel carattere di rivendicazione di un diritto reale o presunto: la qual cosa in fondo è il carattere dei movimenti e dei perturbamenti della società contemporanea.

Femminista: V. femminismo: dal fr. féministe.

Fenacetina: combinazione dell’etere etilico col paramidofenolo: è una sostanza usata da qualche tempo come antipiretico. Ha l’aspetto di polvere bianca, cristallina, inodora, insipida.

Fenesta ca lucive e mo non luce! primo e felice verso di un’antica, nota e bellissima canzone romantica napoletana, che si ripete quasi con valore d’intercalare, por indicare un bene che non è più. V. ciò che ne scrisse il Di Giacomo in Celebrità napoletane, Trani, 1896.

Feniani: lett. in antico irlandese, guerrieri. Partito politico che nella seconda metà del secolo scorso inteso a liberare l’Irlanda dalla soggezione dell’Inghilterra.

Fenomeno e fenomenale: dicesi propriamente di ogni apparizione naturale (gr. fainomai = appaio): nel senso di cosa fuor del comune: «un ragazzo fenomenale; un naso fenomenale» etc. risente della maniera familiare francese tout ce qui est rare et nouveau, surprenant, étonnant, detto anche per piacevolezza, conforme all’indole iperbolica di quell’idioma. Ma oramai tale senso è sancito dall’uso presso di noi, e da gran tempo.

Fenomeno riflesso: V. Riflesso.

Fermare: per chiudere è francesismo, il quale genera altresì anfibologia giacchè fermar la porta in italiano vuol dire per noi puntellarla, assicurarla. Ma non mi pare che questo francesismo sia molto dell’uso e qui è riportato solo perchè il Fanfani ed il Viani a lungo ne discutono e così altri puristi.

Fermo: sequestro di contrabbando.

Fernet: nome di un noto liquore stomatico, specialità dei fratelli Branca di Milano. Dell’origine del nome nulla mi riuscì di scoprire, anzi interrogandone quei mercanti, la mia curiosità filologica nei loro volti si rifletteva non so se come ozio stravaganza di letterato. Fra i liquori di questo genere va ricordato, come eccellente, il Vlahov.

Ferro: piccola ancora: V. 'Grappino'.

Ferri (ai): per graticola, V. Griglia.

Ferro et igni: lat. con la spada e col fuoco.

Ferrovia: voce notata come non buona dai puristi per il difetto della lingua italiana di foggiare una parola con varie parole, come fa il tedesco e l’inglese che in tal caso dicono, eisenbahn, railway. Chi volesse potrebbe usare la parola ferrata (strada ferrata), che è anche nel popolo.

Ferroviere: neologismo recente. Il Melzi registra «soldato del genio, incaricato in tempo di guerra del servizio delle ferrovie». Oggi ferroviere dicesi comprensivamente di tutti gli addetti allo ferrovie, conduttori, macchinisti, fochisti, etc. Così dicasi della parola nuova tramvìere.

Ferro zincato o galvanizzato: è il ferro, lamina o filo, ricoperto da sottilissimo strato di zinco che lo preserva dalla ruggine. Serve a molteplici usi, come tettoie, reti per difesa, fili telegrafici, tubi, etc.

Fert: motto della casa di Savoia, che [p. 212 modifica]significherebbe: fortitudo eius Rhodum tenuit. Si allude ad una spedizione in Oriente di Amedeo V, conte di Savoia, il quale col suo valore conservò Rodi a quei cavalieri. Mal sicuro però è il motto. V. Fumagalli, Chi l’ha detto?, op. cit.

Ferruminatore: cannello col quale si avviva e si dirige la fiamma per saldare a fuoco e per fonder metalli.

Ferry-boot: voce inglese usata frequentemente, che significa alla lettera nave da traghetto, cioè chiatta, espressamente fabbricata, con doppia elica a prua ed a poppa, per trasportare carri, carrozze del treno, mercanzie, passeggeri tra rive vicine. Ferry-boat è da alcuni tradotto per pontone, ma questa è la parola francese ponton.

Fervet opus: ferve il lavoro. Emistichio di Vergilio (Georgiche, IV, 169) ove si descrive il lavoro delle api: fervet opus redolentque thymo fragrantia mella.

Fesa: è voce milanese che vuol dire spicchio. Così chiamasi il taglio del culaccio nel vitello, la polpa.

Fesserìa: V. Fesso.

Fessìpede: detto dei bovini, suini, ovini che hanno l’unghia divisa. La parola italiana è bisulco. Fessipede non è parola ch’io trovi in alcun lessico: è quindi ragionevole supporre che sia voce di formazione abusiva per effetto della dimenticanza della parola buona: caso più che frequente.

Fesso: (dal part. del verbo latino findere = spaccare, onde fesso = spaccato) termine napoletano che significa stupido, sciocco, di buona fede e peggio. La voce fesserìa per dabbenaggine, sciocchezza, sbaglio, etc. è nota ed usata oltre i confini di quel dialetto. Sono due voci elastiche che i napoletani sanno usare con infinita varietà di sensi e di cui vanno giustamente gloriosi.

Festa danzante: brutta e impropria locuzione invece di ballo, la quale non è tolta dal francese come molti credono. In francese dicesi bal; bensì è foggiata a somiglianza di soirée, mattinée dansante.

Festa degli alberi: V. Arbor’s day.

Festaiuolo: che si compiace, si diletta delle feste.

Feste farina e forca: i tre f di cui, al tempo de’ Borboni, fu detto abbisognare la plebe napoletana: motto che ricorda con più turpe cinismo di arte di governo il panem et circenses de’ Romani (Giovenale, Sat., X, 81).

Festìna lente: motto della sapienza latina e significa affrettati adagio. In Svetonio, ragionando di Augusto, cap. 25, è riferito come quell’imperatore nihil minus in perfecto duce, quam festinationem temeritatemque convenire arbitrabatur, e però spesso diceva in greco (che era la lingua mondana di allora) [testo greco], a cui aggiungeva: sat celeriter fieri, quidquid fiat satis bene. Probabilmente il festina lente è traduzione di [testo greco]. «Va adagio perchè ho fretta», come dicevano i Gesuiti. Del resto l’antica sentenza non è che l’arguto riflesso di un fatto psicologico che tutti avranno avvertito: quando la calma e la presenza della ragione non presiedono ad un dato lavoro, occorre maggior tempo, v’ha enorme spreco di forza nervosa, nè l’opera riesce bene.

Festival: vocabolo pressochè universale, usato anche in inglese e in tedesco: dicesi di festa musicale con danza, all’aria aperta e gran concorso di gente: di carattere popolare. Il Fanfani propone musicone(?!) Festival in francese era prima aggettivo; lat. festivalis.

Fetente: che ha fetore: termine fieramente ingiurioso e spregiativo nel dialetto napoletano.

Feticcio: voce portoghese, fetiço (lat. factura? V. Fattura) e significa propriamente l’idolo orrido e maliardo dei negri dell’Africa: prima forma ed espressione del sentimento religioso. Questa voce passò di recente, in tale senso, presso ogni linguaggio. Usasi anche per indicare l’oggetto di un culto fanatico, cieco senza riguardo ai vizi ed ai difetti: onde feticismo tale specie di adorazione e feticista l’adoratore.

Feticismo: nei casi di psicopatia sessuale chiamano così i medici-alienisti (Lombroso, Binet) la persona, o parte della persona, o l’oggetto che appartiene alla persona, il quale eccita le morbose sensibilità del senso. [p. 213 modifica]

Feticista: V. Feticcio.

Fettuccine: diminutivo del diminutivo di fetta (dal lat. vitta = nastro?). Così chiamasi a Roma una ben nota specie di pasta in forma di tagliatelle fatta in casa con farina ed uova, che si condisce con sugo di carne, di pomodoro e cacio piccante di capra. Classica minestra italiana. Corrisponde press’a poco alle squisite tagliatelle bolognesi, se non che queste sono alquanto diversamente condite.

Feuilleton: questa parola francese, diminutivo di feuillet = foglio, non ha attecchito, come in tedesco, nella lingua italiana per significare lo scritto di vario argomento letterario o critico o il romanzo che è in fondo al giornale. Da noi vale la parola appendice (lat. appendix = aggiunta) cui fu dato questo nuovo senso. Ciò non vuol dire che qualche volta non ricorra la voce francese feuilleton. Ad ogni modo se non il nome, la cosa è di provenienza francese. Le prime appendici (ricordo le francesi perchè più direttamente influirono su noi) datano dalla fine del secolo XVIII, J. L. Geoffroy iniziò nei Débats l’appendice drammatica; A. Adam fu uno dei più celebri redattori di appendici musicali, etc. Ma le più popolari fra le appendici sono quelle de’ romanzi e sono pure le più recenti. Fra i più celebri scrittori d’appendice ricordiamo A. Dumas il vecchio, Eugenio Sue, Ponson du Terrail, Emilio Zola, etc. giacchè in Francia non è disdicevole per uno scrittore valente saggiare il giudizio del publico con l’appendice. Non che in Francia non si stampino delle goffe assurdità nelle appendici de’ giornali, ma sono assurdità loro, scritte nella loro lingua e riflettenti, sia pure in modo esagerato, la vita multiforme della loro capitale; e quel che è più, quelle loro romantiche costruzioni fondate sull’inverosimile, sono sorgente di lucro e di rinomanza in un dato genere letterario. I più solidi compratori siamo noi italiani, dove la mutua azione corruttrice della lingua, del buon gusto, del buon senso tra publico e giornale è degna di essere ancora una volta notata, ancorchè qui non sia il luogo. Un giornale italiano non stamperà di solito se non appendici forastiere. Un mio nobile amico che fu sincero e fine scrittore (pace, o Emilio De Marchi), diceva che l’ingegno italiano non potendosi esercitare in sì fatta forma di letteratura facile e amena, doveva per forza riuscire inferiore agli stranieri, e ciò non per sua colpa.

Fez: nomo del noto berretto rosso, con nappa nera, e forma di breve ditale, che è nazionale dei turchi e dei levantini, anche quando vestano all’europea. Così è detto dalla città di Fez nel Marocco, ma penso che dette calotte si fabbrichino non solo quivi, ma anche in Italia, onde è grande esportazione. Diconsi anche Tarbouch.

Fiacre: voce da assai tempo tradotta in fiacchere = vettura da piazza; e il Fanfani, che la, riprova, intitolò un suo racconto il Fiaccheraio. Oh, Padre Zappata!... Per chi desiderasse saperlo, l’origine del vocabolo è questa: un certo Sauvage, verso il 1640, stabilì le prime vetture a nolo in via S. Martino in Parigi, in una gran casa detta l’Albergo di San Fiacre, dall’imagine del santo che vi pendeva. Dall’albergo il nome passò alle vetture. E per chi dubitasse, sappia che esiste realmente un Fiacrius, eremita francese, il quale ottenne così ignota rinomanza. V. Acta Sanctorum, VI, 598, Parigi, Vit. Palmé. La parola fiacre è viva tuttora e si usa in vece di altre voci regionali: cioè a Milano brum, caleche se è vettura scoperta, a Napoli carrozzella, a Roma botte, e, se non basta, vi è anche cittadina!

Fiamma: per fuoco d’amore è bella e illustre voce nostra antica.

          L’innamorata donna iva col cielo
          le suo fiamme sfogando ad una ad una.
                                             (Tasso, Ger. Lib. VI, 103)

Talvolta però si suole dare questo nome a quelle tipiche forme di simpatia o di passione amorosa che alimenta la fantasia giovanile, specie nè’ collegi e tra persone dello stesso sesso. Non contiene senso turpe. E l’amore in istato di nebulosa nella prima giovinezza. Fiamma, la persona stessa per cui si nutre passione.

Fiamma: in marina vuol significare una lunghissima striscia a foggia di bandiera. [p. 214 modifica]dai colori nazionali, che si alza all’albero maestro delle navi da guerra.

Fiappo: floscio, cascante: voce dei dialetti dell’alta Italia, fiap. Pare di origine tedesca.

Fiasco: (V. Far fiasco) risponde in forma familiare e talora con intenzione di scherno alla parola riprovata, insuccesso.

Fiat justìtia, pereat mundus: si faccia la giustizia anche se il mondo abbia a perire: motto di concisione latina e di senso austeramente biblico: è attribuito all’Imperatore Ferdinando I (1559-1564). NB. Se è per questo stia ognuno certo che il mondo non perirà!

Fiat lux: sia fatta la luce! «Disse il Signore: sia fatta la luce. E la luce fu fatta». Genesi, cap. I, 3.

Fibròma: tumore formato soltanto dal tessuto fibroso.

Fìbula: voce latina (fìbula., contrazione di figìbula, da figo = figgere, inchiodare) usata in più elevato linguaggio, specie della archeologia, in vece di fibbia, fermaglio.

Ficcanaso: voce familiare, spesso usata in forza di sostantivo; e dicesi di chi vuol ingerirsi, inframmettersi nelle faccende altrui e che non lo riguardano.

Ficelle: fr. cordicella, e avendo in mente i fili che sostengono i burattini (marionnettes), ficelle, al plurale, è voce spesso usata per indicare il meccanismo, il ripiego non più segreto, anzi troppo palese per imperizia artistica, per cui avviene una data azione e il suo scioglimento: il che in arte è grave difetto. Ficelles = les procédès epuisés et les conventions classiques nel gergo degli scrittori, così il diz. de la Langue Verte di Alfredo Delvan.

Fiche de consolation: fiche è il gettone o piastra di avorio che si usa nel giuoco delle carte e tien le veci del danaro. Fiche de consolation dicono i francesi con locuzione familiare (e noi ripetiamo) per indicare risarcimento, compenso a qualche danno sofferto: dédommagement d’une perte, adoucissement à quelque disgrâce.

Ficher: ficcare, e nel linguaggio familiare francese se ficher de quelq’un = beffarsi, ridersi, gabbarsi. In questo senso il verbo francese è talora usato presso di noi. Es. «quando io ho mangiato e bevuto, je m’en fiche». Il popolo nostro dice in tal caso, me ne infischio, me ne frego. Ma questi e diversi altri modi nostri sembrano alla gente elegante soverchiamente rozzi e plebei, laddove il modo francese - caso già osservato - sembra contenere alcun mondano decoro.

Fichi secchi: cose di poco valore, senza succo, senza fibra nè umore. Voce talora usata nel gergo dei letterati parlando di opere, poesie, etc. a cui manca la scintilla geniale, creatrice.

Fichu: scialletto di forma triangolare, di velo, di trine, di merletto che posa su le spalle e si incrocia largo sul petto; di moda, originariamente, nel sec. XVIII. (Fichu à la Marie Antoinette) e in uso tuttora. Scialletto o Punta col nome della stoffa di cui esso è fatto, sono le voci più usate italianamente in luogo del fichu francese. «Fichu è un derivato da ficher, gettare a dosso negligentemente? È probabile» così lo Scheler.

Fidarsi: nel dialetto napoletano questo verbo, specialmente nella locuzione non mi fido, acquista tutta una gradazione di significati: non ho voglia, non ho genio, non mi arrischio, non ardisco, non ho cuore, non me la sento, non sono da tanto, ho soggezione, non ci riesco, sto poco bene, son fiacco, mi sento male, non posso.

Fidibus: nel gergo francese vuol dire allumette de papier, pezzetti di carta per accendere, e tale voce non ci è ignota. La spiegazione che è data da G. Delesalle (Dictionnaire Argot-Français, Parigi, Ollendorff) è la seguente: «De fidelibus, nom que l’on donnait aux étudiants allemands, ceux-ci allumant leurs pipes avec ces tubes de papier, formés le plus souvent des feuillets où étaient les discours à eux adressés par le professeurs».

Fido: s. m. credito commerciale.

Fidus Achates: con tal nome Vergilio nell’Eneide chiama il fido compagno di Enea, Acato (Fidus quae tela gerebat Achates, lib. I, 188). Spesso così si dice in tuono satirico per indicare il compagno inseparabile di alcuno. [p. 215 modifica]

Fiero: spesso questo aggettivo è usato alla maniera francese, fier: = content de, qui tire vanité de... Es. «io sono fiero di voi». È modo ripreso dai puristi.

Figaro: personaggio di commedia astuto, spregiudicato, intrigante, creato dal Beaumarchais nel Barbiere di Siviglia, di professione barbiere, e fatto celebre dalla musica del Rossini. Da esso si intitola uno dei più mondani ed eleganti giornali di Francia, diffusissimo anche all’estero. Dicesi anche scherzosamente figaro per barbiere, sì in Francia che presso di noi.

Figaro o Figarette: giacchettina alla spagnuola, con o senza maniche, senza bottoniera, attillata e corta sino alla vita sì che traspaiono tra esso e la gonna gli sbuffi o la cinta della camicetta. Se ne fanno di elegantissimi con rabeschi e gale e sono di gran voga. Nel volubile linguaggio della moda dicesi anche bolero.

Figlio d’arte: comico nato da comico.

Figlio della serva: locuzione milanese (el fiœu de la serva) detta anche in italiano, che vuol significare esser tenuto in nessun conto, essere immeritamente negletto e maltrattato.

Figliuol prodigo: dalla sublime parabola dell’evangelo (S. Luca, XV), è tolta questa locuzione per indicare, talvolta in maniera faceta, persona sviata (la pecorella che ritorna all’ovile).

Figurante: fr. figurant, voce riprovata essendovi la nostra equivalente, comparsa.

Figurare: nel senso di comparire è affine al francese figurer = briller, se faire remarquer par son luxe, par sa depense, etc. «Più gallica ancora, nota il Rigutini, è nel senso di esistere, essere registrato, apparire. Es. «Il mio nome non figura nella lista». Certo è che sono modi dell’uso, e penso che pur gli studiosi faticherebbero ad evitarli.

Filare: indica nel linguaggio marinaresco l’andare più o meno veloce delle navi. Es. «Filavamo dieci nodi all’ora».| Filare = lasciar scorrere piano una gòmena una catena: filar per mano. | Fila! ordine di comando marinaresco. | Filare è altresì termine volgare che significa vagheggiare, amoreggiare, quasi tesserci il filo. Il dialetto bolognese ha la parola filarino, por amoroso, vagheggino. | Filare il perfetto amore, un amore sentimentale, e si dice per celia: ricorda il modo francese: filer le parfait amour. | Filare dicesi del vino che si è guastato, cioè che fila nella maniera in che suole filar l’olio, e così pure si dice in francese. | Filare volgarmente dicesi per andarsene, fila = vattene! e deve essere modo di origine francese, filer = s’en aller, se retirer.

Filatelica nome e agg. o Filatelia: neologismo che significa un’arte ed una industria recente, dovuta alla passione, o mania che si voglia chiamare, di raccogliere in albi i francobolli, giudicare del valore e rarità loro. I francobolli sono invenzione inglese, dovuta a Sir Rowland Hill: furono usati per la prima volta in Inghilterra nel 1840. In francese v’è philatélie, philatélique, philatéliste, parole foggiate dal greco. I francobolli rarissimi raggiungono somme inverosimili. Un bollo dell’isola Mauritius, del 1847, fu venduto per L. 75000. Almeno così leggo.

Filiale: nel linguaggio commerciale le Case madri generano le Case figlie o filiali: più proprio succursale.

Filibustiere: vocabolo di formazione germanica, ma che in italiano probabilmente si formò dal francese flibustier. In inglese è freebooter, in tedesco freibeuter, composto cioè di frei = libero e beuter = che fa bottino, dunque libero corsaro, libero predatore, saccomanno: nome storico dato ad avventurieri di varie nazioni che nei secoli XVII e XVIII arditamente predavano i mari delle Indie orientali a danno della Spagna. G. Garibaldi fu onorato di questo nome nello storico anno 1860.

Filière: fr., trafila.

Filisteo: V. Philister.

Fillossera: (phylloxera) nome di un nuovo pidocchio delle radici delle viti: piccolissimo insetto come tutti gli altri pidocchi consimili, ma di esiziale effetto su la più nobile delle pianto: derivato fillosserato, filosserico, anti-filosserico. Codesto insetto è di provenienza americana e venne importato dal Laliman di Bordeaux verso il ’66, il quale introdusse molto di queste viti americane. In Italia [p. 216 modifica]fu scoperto la prima volta a Valmadrera presso Lecco nel 1879. Il nome all’insetto fu dato da Planchon, philloxera vastatrix, benchè da noi, più che su le foglie, si appalesi su le radici. Per la malignità di questo insetto, dicesi talora fillossera in senso traslato per indicare persona o cosa che reca lenta e irreparabile distruzione e ruina.

Film: voce inglese che vuol dire pellicola, membrana, ed è usata nel linguaggio fotografico: serve di sopporto alla sostanza sensibile invece del vetro e della carta.

Filo e filìa: voci greche, usate in molte composizioni di voci, specialmente scientifiche ([testo greco] = amico, propenso, amante, ecc.).

Filo d’Arianna: guida, bussola, bandolo per trovar l’uscita o la via in questione intricata; sciogliere un intreccio astruso: dal noto filo che Arianna diede a Teseo per uscire dal Labirinto.

Filogènesi: studio della lenta evoluzione del mondo animale e vegetale sino dalle origini.

Filter-presse: con questa parola straniera è presso di noi chiamato un filtro a celle multiple nelle quali il liquido viene spremuto o aspirato. Voce usata nelle industrie chimiche. I francesi dicono filtre-presse: noi, sempre in omaggio alla libertà del dire e dello scrivere come più talenta, in ambedue i modi.

Finanza: per indicare le entrate o i redditi dello Stato è voce francese, finance, sin dal ’500 (Guicciardini, Stor., I, 13: «Preposto all’amministrazione delle entrate regie, che in Francia dicono le finanze») introdotta in Italia, e della quale nessun purista oserebbe dir male. Ma l’aggettivo finanziario è accolto invece soltanto perchè necessario: «voce non bella, ma ce n’è delle più brutte» scrive il Tommaseo, «e lo stesso dicasi del suo avverbio» aggiunge il Rigutini. Io qui aggiungerò finanziere, che dicesi tanto della guardia di finanza come di colui che è esperto nell’amministrazione delle finanze, financier = celui qui manie les deniers de l’Etat. Nel linguaggio poi dell’arte culinaria francese, dicesi à la financière, e noi ripetiamo alla finanziera, di certe salse speciali e di certi speciali processi di cucinatura delle vivande.

Finanziera (alla): V. Finanza.

Finanziere: V. Finanza.

Finca: ciascuna delle colonne o colonnine verticali ed orizzontali in cui nei publici uffici si suole dividere un foglio. Voce riprovata dai puristi, speciale dell’Alta Italia e che «pronunciata in tutto il resto della Penisola, desta le risa» (?) Rigutini.

Fin de siede: motto fortunato, fine di secolo, il quale spesso fu usato a modo di aggettivo e a cui il rapido sopraggiungere del secolo XX tolse ragione di essere. Tutto ciò che era anormale, paradossale, nuovo, audace, eccentrico, grottesco, etc. e semplicemente fuor del comune, Parigi denominò vivacemente fin de siecle, cioè speciale segno della fine di quel secolo che vide così gran mutamento e rinnovamento in tutto: una moglie, una scommessa, un viaggio, un abito, un matrimonio, un astuccio fin de siecle. Noi accogliemmo la voce e il senso con quella supina tendenza scimmiottesca che è peggiore di ogni peggior barbarismo. Il motto vuolsi far derivare dal titolo di una commedia Fin de siecle, dei sigg. Micard e De Touvenot, rappresentata al Château-d’Eau il 17 aprile 1888.

Fine fleur: il fior fiore, V. Creme. Uno dei molti modi francesi per significare il ceto elegante e mondano.

Fines herbes: questa parola francese si può trovare scritta nelle liste dei nostri alberghi in modo così sbagliato e stravagante da non conoscersi più, e così dicasi di molti altri termini culinari. Per fines herbes intendono i francesi alcune verdure, che vendonsi a mazzetti, come cipolline, porri, pimpinella etc. che si tritano e danno aroma alle vivande. Es. Omelette aux fines herbes. In un buon libro di culinaria francese trovo la seguente serie di erbe buone: ciboule, ciboulette, cive, civette, pimprenelle, roquette, estragon, cerfeuil etc: in italiano erbucce.

Finire: nella locuzione comunissima finire per, ricorda il modo equivalente francese. Italianamente dicesi: finire con. Es. Finì col cedere. [p. 217 modifica]

Finish: voce inglese, che certo deve essere di rigore tecnico visto che fine o chiusa non la sostituiscono. Così leggo: Di magnifico effetto riuscì il finisch Paper.

Finis coronat opus: la fine corona il lavoro, motto latino, ripetuto in buono e cattivo senso per indicare lo stretto rapporto che è tra causa ed effetto, principio e fine.

Finocchio: «volg. spreg. pederasta», così il Petrocchi. Ecco uno dei non pochi casi in cui le voci speciali del gergo fiorentino sono notate dal lessicografo toscano come voce italiana. Giustamente G. Rigutini, benchè toscano, non registra tale senso nel suo diz. della Lingua Parlata, nè la Crusca nè il Novo Dizionario, diretto dal Broglio, hanno tale senso, nè il Tommaseo nè altri. Io credo che si possa assai bene riconoscere al linguaggio fiorentino l’ufficio di regolatore della lingua italiana senza il bisogno di rivendere come merce buona tutti i rifiuti del mercato di Firenze. O se pur così piace, fate avvertito chi legge del valore e dell’estensione d’uso della parola.

Fiocca (la): nel dialetto lombardo, efficacissimo per neve; detto specialmente della nove quando cade; dal verbo letterario fioccare. V. Appendice.

Fiocca: per simiglianza della neve dicesi delle chiare d’uova montate.

Fiomba: voce lombarda per paravento.

Fiordo: V. Fjord.

Fiorentina: chiamano in Romagna ed in Bologna la bistecca alla fiorentina, la quale non altro è che una braciuola col suo osso, grossa come un dito, tagliata nella lombata. [Deve essere cotta naturale a fuoco vivo su la gratella affinchè tagliandola getti sugo sul piatto. Non deve essere salata prima perchè il fuoco la risecchisce, e se la condite con olio od altro avanti di cuocerla, saprà di moccolaia e sarà nauseante]. Chi usa voci straniere, dico in tal caso entre-côte.

Fioretta o fiori del vino: è una malattia del vino che consiste in uno strato bianco alla superficie, prodotto da un fungo microscopico che vive a spese del vino o ne fa diminuire la fragranza e l’alcole.

Fiori bianchi: o leucorrèa (dal greco leucòs = bianco e reo = scorro) scolo mucoso o purolento vaginale dovuto all’aumento patologico delle secrezioni normali dell’apparato genitale della donna. Fleurs blanches è altresì in lingua francese, nella qual lingua fleurs (lat. flores) o flueurs (= flussi, lat. flùere = scorrere) significano i mestrui detti fiori dal color rosso. Erroneamente da alcuni lessicografi si pensò che fleurs sia una corruzione di flueurs, ma il Bescherelle altrimenti opina e ne dà questa spiegazione veramente cavalleresca: on appelle ainsi les menstrues ou régles des femmes, qui par une métapkhore ingénieuse et assex, juste, ont été comparées aux fleurs des végétaux qui annoncent des fruits. Che fleurs non sia etimologicamente = flueurs, lo prova il basso latino flores, fiori, in questo senso.

Firmano: nome dato agli editti ed ai decreti del Sultano o de’ suoi ministri: dal persiano fermàn = ordine: voce accolta ne’ dizionari delle varie lingue.

Fiscale (avvocato): si usa ora, più comunemente e quasi unicamente per indicare l’avvocato che sostiene l’accusa presso i Tribunali militari.

Fisciù: V. Fichu.

Fisico: per significare l’esteriore di una persona, la figura, la complessione, il temperamento, ricorda la maniera francese: Cet homme a un trés-beau physique. Physique du rôle, V. a questa parola. Dicesi anche familiarmente fisico per forza fisica.

Fisiocratico: fr. physiocratique, termine storico e filosofico (dal gr. fisis = natura e kràtos = forza) dato ai seguaci di una scuola di economisti e di filosofi di cui il capo fu il Quesnay nel sec. XVIII, i quali consideravano, la natura e specialmente l’agricoltura, come sorgente di ogni ricchezza. G. B. Say fu primo ad usare nel 1829 tale parola per indicare i più notevoli seguaci di questa scuola. Il nomo, più comunemente usato al plurale, è fisiocrati.

Fissaggio: fr. fixage, termine del linguaggio dei fotografi, e significa la seguente operazione: quando la lastra fotografica è sviluppata, è necessario immergerla in un bagno di iposolfito sodico per sciogliere il salo d’argento che non sentì l’azione della luce (bagno di fissaggio). [p. 218 modifica]

Fissare: per fermare. Es. fissare un colore, un oggetto; fissare un punto, un principio, per fermare (E là dove io fermai codesto punto, Dante, Purg.); fissare per determinare, accordarsi, stabilire, es. «abbiamo fissato di trovarci al caffè»; fissare nella comune locuzione, fissare il domicilio; fissare per prendere, accapparrare, es. «ho fissato due posti al teatro»; fissarsi per incaponirsi, intestarsi, es. «quando s’è fissato un’idea non c’è modo di smuoverlo», sono modi che i puristi annotano come tolti dal francese fixer, che appunto è usato in simili vari costrutti. Ma, giustamente osserva il Rigutini «questi usi oggi comunissimi e sostenuti anche da esempi di scrittori, non possono non accettarsi comprese anche il fissare una persona o una cosa per guardarla fissamente».

Fissativo: che serve a fissare, dal fr. fixatif: liquido che si spruzza sui disegni a pastello per conservare i colori.

Fittavolo: voce del dialetto lombardo che indica l’affittuario, cioè colui che conduce i fondi altrui in affitto per un dato canone: il che è costume nelle tenute di Lombardia. La voce toscana è fittaiuolo.

Fìttile: di terra cotta'., d’argilla, lat. fictilis da fingo: = foggio, formo, riduco.

Five o’ clock: o compiutamente five o’ clock thea, cioè il tè delle cinque, costumanza signorile inglese di prendere questa bevanda a quell’ora, ed è occasione di ritrovo e di gentili conversari. Il clima nordico e la necessità de’ molti pasti fa quivi naturale tale uso: presso di noi ha piuttosto carattere imitativo. Notisi a questo proposito come l’aristocrazia, o del danaro del blasone, riveste certi caratteri tipicamente internazionali. Onde si può osservare che l’internazionalismo non è per intero un’invenzione di Carlo Marx.

Fjord: voce scandinava, fatta italiana in fiordo, più comunemente al plurale: sono profonde e strette spaccature del litorale, mercè le quali il mare penetra nel continente. I principali di essi si trovano in Norvegia e in Groelandia: si presentano in generale come golfi con numerosissime diramazioni così da rendere sette od otto volte maggiore lo sviluppo del litorale.

Flacon: V. Flacone.

Flacone: anche questo è il caso non raro di parola di origine latina, trasportata in Italia nella forma francese: almeno così è, se buona, come pare, è la etimologia di flacon dal latino vasculum = vasetto, che nell’Evo medio passò in tutte le lingue d’Europa: presso di noi divenne fiasco e fiala, presso i francesi flacon. E dai francesi noi la togliemmo per indicare quella bottiglietta di vetro o di porcellana, col tappo della stessa materia a smeriglio, fatta per medicinali o profumi. E anche per questa parola la forma francese ha senso di eleganza e finezza. Noi potremmo usare la voce fiala^ vero è che nel linguaggio commerciale e tecnico non sarebbe intesa: dim. flaconcino. Flacon aspersoir: è la fiala con la peretta di gomma per ispruzzare, quindi, spruzzatoio.

Flagranti (in): modo avverbiale latino, usato dai legali, a cui risponde il modo popolare sul fatto. Veramente è usato anche nel linguaggio familiare e comune riferendosi non a delitti ma a comuni mancanze. In flagranti delicto: letteralmente vuol dire, nel delitto quando ancora arde ed avvampa, che non si è raffreddato, da flagrare latino =: ardere. Dicono i legali altresì flagranza del delitto, delitto flagrants, che sono pur modi francesi, la flagrance du délit, flagrant délit.

Flagranza: V. Flagranti.

Flair: fr. fiuto, buon naso. Es. «molti hanno lodato il mio flair giornalistico». Una delle tante voci francesi usate per vizio.

Flan: pasticcio o meglio, torta di crema, uova, farina e simili ingredienti: si fa anche di verdure e di legumi e di carni passate e cotte in istampo e a bagnomaria. La voce è francese ed è una contrazione dell’antico flaon, che gli è appunto l’italiano fiadone, dal basso latino flado. (Antico alto tedesco flado - focaccia). Simili torte sono chiamate fiadoncelli nella citata opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Pio V. Altro esempio di parole italiche, morte!

Flangia: nel linguaggio de’ meccanici [p. 219 modifica]così è chiamato il doppio disco che si salda avvita por ottenere la congiunzione di due tubi metallici. Voce derivata dall’inglese to flauge. Se ne fa anche il verbo flangiare. In francese bride, collet.

Flanella (far): V. Appendice.

Flaneur: colui che ozia, osservando e curiosando. Onde, probabilmente, la locuzione volgare e ben nota far flanella.

Flatteur: fr. adulatore, lusingare: e così flatté = lusingato, participio del verbo flatter, preferito talora alle voci nostre, specie nel linguaggio mondano.

Flatulenza: lat. flatus = soffio; nel linguaggio de’ medici significa una produzione di gas gastro-intestinale che genera gonfiezze più o meno grandi dello stomaco e dell’intestino e s’accompagna ad emissioni di gas per la bocca e talora per l’apertura opposita: ventosità.

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo: (Verg. Aen, VII, 312), se non potrò piegare gli Dei del cielo, muoverò quelli dell’inferno. Ricorrerò al Diavolo se Dio non mi aiuta.

Flint: voce inglese reg. anche nei diz. francesi e vuol dir selce. È una specie di cristallo che ha grande potere rinfrangente e serve a fare le lenti acromatiche dei microscopi e degli obbiettivi.

Flirt: parola inglese entrata nelle varie lingue d’Europa per significare con nuovo nome una cosa antica in sè ma nuova come costume. Flirt significa l’amoreggiare, ma più per arte e desiderio di piacere che per amore; senza cioè dichiararsi apertamente. Indica il dilettantismo della e con la passione: ed è forma nuova di vizio elegante in quanto è lecito ed adonestato dal costumo, cioè: scherzar col fuoco senza bruciare. Civettare, frascheggiare son voci press’a poco corrispondenti. Ma una dama si offenderà del verbo civettare, e non troverà nulla a ridire del verbo flirtare. Così una sposa troverà svago innocente il flirtare, e, redarguita, potrà sempre dire che è un onesto flirt il suo. O divina retorica eterna, e noi inorridiamo al Cicisbeismo del secolo XVIII! Ma prescindendo da, vane querimonie filosofiche, notiamo conica tale verbo in francese fu accolto con le voci flirt, flirter, flirtation e flirtage. In italiano si è foggiato il verbo flirtare che, del resto, non mi pare abbia forza di attecchire di molto. La etimologia di questa voce flirt non è delle più certe: o dall’anglo-sassone fleurdjan = motteggiare, o dal ted. flirren = barbagliare, o da to flirt = al francese fleureter, conter fleurettes, cioè dire paroline dolci, far complimenti.

Flirtare: V. Flirt.

Flocco: vela triangolare che si adatta davanti al bastimento fra l’albero di trinchetto ed il bompresso, il quale è l’albero che sporge da prua quasi orizzontale. Dicesi anche fiocco.

Floreale: aggiunto delle foglie che nascono presso del fiore: agg. da Flora, dea dei fiori: ad es. «festa floreale». Tale il senso della parola floreale in nostra lingua. Ma come attributo di un nuovo stile è parola di importazione inglese. Stile floreale o Liberty (vedi questa voce) Aestetich style vogliono dire press’a poco nell’interpretazione popolare la stessa cosa: cioè significano una forma nuova (?) di stile, di provenienza inglese, il cui principale apostolo fu G. Ruskin, oggi ampiamente diffuso e noto in Italia. Esso è applicato specialmente alle stoffe, ai mobili, agli oggetti dell’uso, alle decorazioni, alle pitture parietali. Il fondamento di questa arte, detta anche stile del nuovo secolo (oh, iperbole eterna!) ha per fondamento ed ispirazione le forme vegetali e specialmente il fiore stilizzato nell’armonia delle tinte e delle fogge, secondo la genialità dell’artefice.

Flottante: goffa versione fonica del francese flottant = fluttuante, oscillante, detto di debiti o di capitali di una amministrazione, i quali per loro natura, come cambiali, mutui, etc., sono incerti, soggetti cioè ad aumento o diminuzione. Questo barbarismo flottante che i lessici della corrotta italianità appuntano, è scaduto dall’uso: più comune la traduzione fluttuante.

Flou: fr., dal lat. fluidus: voce usata dai fotografi o talora dai pittori per indicare il contorno sfumato, incerto delle linee. Intendesi in pittura come difetto. [p. 220 modifica]

Fobìa: dal greco fobos = spavento, terrore. Neologismo scientifico, usato più spesso in composizione di altre voci determinanti l’indole della paura, come fotofobia, claustrofobia, sitofobia, tafofobia, etc., per significare una incoercibile repulsione e terrore per qualche cosa; si sottointende sempre in questa avversione qualcosa di patologico cioè di alterazione della perfetta salute.

Focone: da fuoco, il pertugio per cui si dava fuoco nelle vecchie armi e nel cannone. Nel linguaggio marinaresco indica quella specie di focolare che è nelle barche e serve da cucina.

Foglia di carciofo: V. Politica della, etc.

Foglianti: fr. feuillants, nome storico dei componenti un circolo politico di opinioni temperate al tempo della grande rivoluzione francese, così detti perchè tenevano le loro adunanze in una abbazia di monaci cistercensi, riformati, di tale nome. Notre-Dame de Feuillans, abbazia presso Tolosa, nel 1575 casa madre dei Cistercensi; in latino Beata Maria fuliensis, fulium dieta a nemore cognomine, Littré.

Foglio di via: così è detto un documento col quale l’Autorità di Publica Sicurezza sorveglia ed indirizza per motivi d’ordine publico un individuo ad un’altra Autorità, obbligandolo a determinato itinerario. V’è anche il foglio di via di favore per chi deve rimpatriare.

Fognare: usano i grammatici, come più prezioso vocabolo, questo verbo fognare invece di elidere, intendendo delle lettere che si tralasciano talora nelle parole. La notarono come non buona parola, il Tommaseo e «puzzolente» il Fanfani. È registrata tuttavia dalla Nuova Crusca e ne’ vecchi dizionari. Fognare indica far fogne, derivare acqua. Fognare dicesi delle misure che il venditore dà piene in apparenza, ma con molto vuoto nell’interno. Es. «Quale il quartuccio le bruciate fogna» (Malmantile). Per similitudine così si disse delle lettere, ma non è certo bella voce.

Föhn: nome di vento speciale ed accidentale delle Alpi (Svizzera), spira da Sud a Nord ed è vento molesto, arido e caldo insieme: scioglie le nevi ed aumenta anormalmente la temperatura. Specie di scirocco.

Foie d’oie gras: fegato d’oca grassa, peculiarità della cucina francese che noi francesemente denominiamo, e consiste nel fegato tumefatto delle povere oche, artificialmente ingrassate. Se ne fanno manicaretti e pasticci: Pâté de foies gras.

Foiòlo: in milanese foiœu, in italiano centopelle, cioè il terzo scompartimento dello stomaco dei ruminanti. «La trippa delle bestie vaccine che si dà a’ gatti», così il Petrocchi, toscano, alla parola centopelle, e notisi che in Toscana la trippa uguaglia in onore i fagiuoli: ma come appare dalla citata definizione, si vede che sino al centopelle colà non si arriva, ma dassi a’ gatti e cani. I milanesi invece ne sono ghiottissimi, e ne fanno umidi eccellenti, onorati senza distinzioni sociali, al pari della classica busecca.

Folâtre: in fr. è diminutivo di fol, quindi pazzerello, sventato, stordito: ma folátre sembra a un certo ceto di gente termine più elegante, più gentile; sembra quasi racchiudere nello sfumato suono una specie di benevolo compatimento per la graziosa spensieratezza giovanile e signorile.

Folk-lore: parola inglese che significa erudizione, studio del popolo. Con tale voce si indica quel ramo della letteratura che tratta della peculiarità di un dato popolo: tradizioni, proverbi, leggende, poesia, usi, linguaggio, costumi, etc. o più sinteticamente, l’inventario e il confronto di quanto sopra vive nel tempo moderno dei costumi e dell’anima del tempo passato. La parola è anche in francese folkore, voce dunque universale. Essa fu coniata da W. I. Thoms (1846) da folk e lore.

Follaiuòlo: vocabolo effìmero, creato a Milano, poichè un giornalista, P. Valera, publicò un opuscoletto rosso settimanale, intitolato La Folla, il quale nel nome dice la cosa. (1900).

Follia (alla): per pazzamente, appassionatamente, ferventemente, perdutamente, senza misura, dicesi spesso, ed è versione del modo iperbolico francese á [p. 221 modifica]la folie, specie in unione col verbo amare. Boccaccio, Nov. II, g. VI: «Senza misura della reina s’innamorò». Volendo conservare materialmente la locuzione, più corretto sarebbe: sino alla follia.

Follia morale: V. Pazzia morale.

Folpo: così, mercè contrazione e corruzione popolare, a Venezia e su le rive occidentali dell’Adriatico, chiamansi i polipi, specie di pesci (celenterati attinozoi) dal corpo a sacco e con tentacoli; che, cotti, acquistavano un color rosso perso: cibo popolare, rozzo e saporito.

Foncé: part. del verbo francese foncer, dal latino fundus = fondo: è usatissimo come aggettivo de’ colori, in luogo delle voci nostre, scuro, cupo.

Fondamenta: fem. pl., nome dato da antico, tuttora rimasto a quelle vie di Venezia che corrono lungo un canale.

Fondant: così sono chiamati alla francese certi notissimi dolci assai fini, di composizione simile ai confetti, se non che le sostanze che li compongono sono molli e la loro proprietà consiste nello sciogliersi da se, fondendosi (da ciò il nome) al calore della bocca.

Fondeur: fonditore, ma nelle officine è spesso dell’uso la voce francese.

Fondiaria: V. Fondo.

Fondi di capanne: nel linguaggio degli archeologi così si chiamano certe cavità nel terreno, sparse di carboni spenti, selci lavorate, ossami ed altri avanzi di antichissima umana industria: vennero riconosciuti come fondi o pavimenti di rozze capanne edificate dall’uomo nelle antichissime età. Così li nominò G. Chierici di Reggio Emilia; e i francesi facendo nelle loro terre la stessa scoperta usarono la, stessa frase: fond de cahane.

Fondi segreti: le sommo stanziate nei bilanci dello Stato per quei servizi che non debbono nè possono essere di publica ragione; chè, se così fosse, sarebbero nulli. La voce acquistò cattivo senso per il mal uso che ne fecero i ministri (compera di coscienze, di stampa, elezioni, sussidi agli amici, etc). V. Fondo dei rettili.

Fondo: più spesso al plurale per valori, assegnamento, stanziamento, etc., è vocabolo ripreso dai puristi perchè tale significato derivò dalla lingua francese. Lo stesso dicasi della locuzione Fondi publici (fr. fonds publics) per indicare tutti i valori dello Stato e specialmente i titoli che rappresentano il capitale del debito publico. Da fonds lat. fundus = podere, fondo, i francesi hanno formato l’aggettivo foncier che noi traducemmo in fondiario, onde i nuovi modi: Proprietà fondiaria, Tassa fondiaria, La Fondiaria, etc. che più italianamente si direbbe Proprietà territoriale, Tassa prediale come tuttora nobilmente dice il popolo in molte parti d’Italia.

Fondo: «(fr. á fond), usasi per con impeto, vivamente, gagliardamente, profondamente, addentro, appieno, perfettamente, appuntino. Talora meglio sostituire un aggettivo, onde per carica a fondo (charge á fond) diremo carica impetuosa, viva, gagliarda; per guerra a fondo (guerre à fond), guerra accanita, sanguinosa, guerra fino allo sterminio. Volendo attenersi materialmente alla locuzione, meglio: sino al fondo». Così il sig. Allan, op. cit. Ma oramai il modo è entrato nel torrente della lingua viva.

Fondo dei rettili: locuzione creata da Bismarck in un suo discorso e usata nel gergo politico e giornalistico per indicare i fondi segreti nel loro peggior senso. Cfr. del resto la voce del gergo francese, Reptile: journaliste, payè sur les fonds du gouvernement (prussien). Il lance son venin comme la vipère.

Fondo perduto: dar danaro per una publica impresa a fondo perduto oppure acquistare o sottoscrivere azioni a fondo perduto, significa dare, acquistare o sottoscrivere senza pretesa di ricupero del capitale sborsato, o, a dir meglio, senza pretendere che chi ha ricevuto il danaro si obblighi alla restituzione del capitale.

Fondùa: specie di frittata piemontese, fatta con speciale formaggio dolce e tartufi. La parola fondua è trascrizione letterale del francese fondue (rad. fondre-latino fundere) = entremets au fromage et aux oeufs brouillés.

Fonografo: dal greco fonos = suono e grafo = scrivo, che scrive il suono, nome dato dal geniale elettricista americano [p. 222 modifica]Edison ad un suo istrumento che riceve l’impronta di una serie di suoni musicali o di voci o rumori, e può riprodurli. Il fonografo ha creato una nuova industria per cantanti e fabbricatori e forma la delizia del publico, che molto si diletta nel sentire riprodotte meccanicamente arie e motivi noti, per nulla offeso da quel non so che di nasale che è anche nei migliori apparecchi.

Fontina: (Piemonte, Novalesa) qualità di formaggio dolce, in grandi forme.

Foot-ball: noi adoperiamo comunemente questa denominazione inglese per indicare un antichissimo giuoco italiano che si chiamava Giuoco del Calcio. Pietro di Lorenzo Bini nel 1687 publicò in Firenze un trattato dal titolo, Memorie del Calcio fiorentino. Era giuoco usatissimo e nobilissimo. Ho inoltre trovato nell’Ambrosiana un Codice, C. 35 Sup. del sec. XV, così intitolato: «Qui comincia la palla al calcio di Giovanni Frescobaldi, e i primi versi sono:

                    Volendo seguitare il mio disegno
               quasi ismarrito avea la fantasia
               e la memoria e l’intelletto e lo ingegno.

Durante la Signoria de’ Medici furono giocati dei Calci riccamente preparati, ed è fra tutti rimasto celebre quello del 19 Aprile 1584 allorchè venne in Firenze il Principe Gonzaga di Mantova con la sua consorte Donna Eleonora di Toscana. Fra i più illustri calcianti si ricordano: Lorenzo duca d’Urbino, Alessandro duca di Firenze, Cosimo I granduca di Toscana, Lorenzo e Francesco figli del granduca Ferdinando I, Enrico principe di Condè, Giulio de’ Medici, che fu poi Clemente XII, Alessandro de’ Medici, che fu Leone XI, e Maffeo Barberini, che fu Urbano VIII. Come questo giuoco italiano — di cui gli entusiasti ammiratori potrebbero cercare le origini più remote sino in Omero ove si rappresenta la reginella Nausicae che giuoca alla palla presso la riva del mare — sia venuto obliandosi presso di noi, dall’America sia passato in Inghilterra, di qui in Europa, dove col Tennis (Pallacorda) gareggia di popolarità, non è qui il caso di ricordare. Qui ricorderemo soltanto come nella patria del Calcio e della Pallacorda si giochino ambedue i detti giuochi con denominazioni inglesi ed i maestri insegnino in inglese, e i vecchi nomi italiani siano obliati. Dicono gli intenditori che il nuovo foot-ball non corrisponde all’antico e perciò i nuovi nomi hanno giusta ragione di essere. Distinguono il rugby e l’association, due modi di giocare ai calcio, questo più costumato e civile, l’altro fiero e violento nella gara di vietare l’accesso al pallone. Misurasi il campo a yards, i giocatori si chiamano foot-ballers, la prima fila dicesi dei forwards, goal la porta per cui gli uni sforzansi di far passare la palla, gli altri di respingerla. Le pene sono dette penality, il guardiano della porta è detto gool-keeper, il giudice del campo referer, il calcio è pronunciato kick, gli alfieri sono detti forwards, bar l’asta trasversale della porta, full-backs i difensori della porta o terzini e così via. Pensando che questi giuochi geniali di gagliardia sono giocati da giovani e i giovani sono per la più parte scolari, non sarebbe consigliabile che ad evitare cotesto abuso di voci straniere intervenisse l’autorevole voce di un ministro della P. I V.......? Ma via, non diciamo ingenuità fuor di luogo e notiamo senz’altra chiosa il fatto. I Francesi oltre che con la voce inglese, lo denominano con voce propria, ballon au pied. Per chi ama le povere contraddizioni umane, ecco un bel saggio: un giornale, dalla immensa diffusione, stampa: «Scesero prima in campo le prime squadre del Milan Club e del Genoa Club, ottenendo punti pari. Scendono quindi in campo le due seconde squadre, e vincono i milanesi con tre goals contro uno. Questo giuoco va facendosi sempre più diffuso a Milano, così da diventar persino popolare, malgrado si voglia mantenere un nome barbaramente esotico, ad onta della sua origine prettamente e schiettamente italiana». NB. Pochi giornali superano questo per copia di voci straniere.

Foot-baller: giocatore al Calcio. V. Foot-ball.

Foot-fault: fallo di piede, così si dice nel giuoco della Pallacorda (V. Tennis) quando il battitore non sta con i piedi [p. 223 modifica]nella posizione regolamentare: ossia con la punta del piede sinistro su la riga di base.

Forcaiuolo: da forca: voce probabilmente di breve vita, divenuta popolare dopo i moti nelle città italiane del 1898. Questa terribile parola vorrebbe indicare al pubblico disprezzo coloro fra gli italiani che si suppongono avere fede solo nella sentenza ricorrente nel Congresso dei Birri di G. Giusti:

          Questa è la massima spedita e vera,
          galera e boia, boia e galera,

cioè che reputano la forca il più efficace istrumento di governare i popoli. Mera e innocua calunnia! Nel fatto forcaiuolo vuol indicare il monarchico borghese conservatore, che viene rimorchiato dal partito progressista, che senza molto contribuirvi per iniziativa individuale, vagheggerebbe in astratto un governo forte, risoluto che non si lasciasse dominare dalla folla e dalla piazza. Forcaiuoli sono altresì coloro che non si sentono tratti ad amoreggiare con le teorie socialiste nè subiscono le affascinanti seduzioni della popolarità ottenuta con l’accarezzare le moltitudini. Le persone fatte bersaglio a così fiera parola, la hanno accolta con sufficiente disinvoltura: oggi ha perduto molto dell’antica virulenza. La lepida parola ha partorito anche le altre: ultra-forcaiuolo, forcaiolissimo, forcaiolismo, etc. Creatore della parola fu il giornalista Bertelli (Vamba): fu onorata da M. R. Imbriani, apostrofando in Parlamento gli avversari di parte moderata. (V. Avventure di un forcaiuolo di Luca Beltrami).


Forche Caudine: storicamente sono le famose strette di Arpaia a settentrione di Nola, dove i Romani (321 a. C.) vinti dai Sanniti, furono fatti passare sotto il giogo: dicesi per traslato di strettoia morale, luogo arduo per cui si è costretti passare.

Forchetta: la frase: colazione alla forchetta e talora à la fourchette, è tolta dal francese ed oramai è comune e da assai tempo. Parliare in punta di forchetta, V. Parlare, etc.

Fòrcipe: (lat. forceps = tenaglia) nomo dato ad istrumenti ostetrici in forma di cucchiai foggiati di tenaglia, destinati a prendere il feto ed estrarlo nei parti lenti o difficili.

Foreign Office: così è chiamato in Inghilterra quel dicastero che noi diciamo degli Esteri. Nel giornalismo nostro si trascrive di solito la parola inglese quale è.

Foresto: voce dialettale veneta per forestiero.

For ever! è locuzione inglese, registrata anche in francese e penetrata anche fra noi: Per sempre! eternamente! La Sua forza sta nell’essere, specie nelle lotte politiche, motto di fedeltà e devozione per un dato personaggio, al cui nome il motto si accompagna.

Forfait (a): nel linguaggio commerciale è voce comunissima: vendere e comperare a forfait, trattare a forfait, (Cottimo non è forfait; questo è aleatorio, quello no). In italiano si dice a rischio e pericolo. Vero è che nell’uso prevale il modo francese. L’etimologia che ne dà il Littré è fort-fait = qui a été fait fort de.... s’engager a.... Altra spiegazione etimologica che trovo nello Scheler è forfait = á prix fait: questo for = prix è il forum = mercato, che nel medio evo significava pretium rerum venalium.

Forfeit: pena, ammenda: così con voce inglese chiamasi nel linguaggio delle corse, la penalità pei cavalli inscritti e poi ritiratisi dalla corsa. Questa parola forfeit ha altra etimologia che forfait, francese, = cottimo; bensì risponde all’altra parola francese, uguale di suono ma diversa di senso, forfait, che vuol dire delitto, dal basso latino forisfactum, fatto fuor della legge, nell’antica lingua nostra forfatto = misfatto.

Forge, forger e forgeur: i due primi vocaboli tradotti in forgia e forgiare per fucina e fucinare ed usatissimi nel linguaggio de’ meccanici. Fucina è la parola buona e deriva da focus (non da officina in latino officicina = opificino) ed è il luogo dove si fondono e splasmano i metalli.

               O s’egli stanchi gli altri a muta a muta
          in Mongibello alia fucina negra
          gridando: Buon Vulcano, aiuta, aiuta!


Forgia e forgiare: V. Forge.

Forgone: dal francese fourgon = espèce de charrette couverte á quatre roues, dont [p. 224 modifica]on se sert dans les armées: uno dunque dei tanti termini militari francesi, passati nella lingua italiana al tempo de’ Francesi. Oggi significa qualunque carro chiuso per trasporto di mercanzie: diminutivo forgoncino. Brutto neologismo, ancorchè necessario e dell’uso.

Formalizzarsi: «meravigliarsi di cose che ci appaiono poco belle», così il Petrocchi, e proviene dal francese se formaliser = s’offenser d’une action, d’un propos mal interprété; trouver á redire; se piquer. Del resto non è solo il Petrocchi a registrare tale verbo; il quale benchè usato, non è nè del linguaggio del popolo nè della lingua letteraria. Scandalizzarsi è il verbo nostro buono in tale senso benchè altri potrebbe osservare che formalizzarsi indica la cosa stessa ma in minor grado.

Formicolio: (da formica) senso transitorio e particolare di torpore che si prova talvolta in alcun arto, specie dopo di essere stati a lungo fermi, simile al passaggio di una schiera di formiche sui tegumenti.

Forno: nel gergo teatrale far forno significa rappresentare a teatro vuoto.

Forsan et haec olim meminisse juvabit: forse un tempo gioverà ricordare queste cose! Verg., Eneide, I, 2 o 3. Emistichio glorioso perchè pronunciato da Eleonora Pimentel, eroina e martire della Republica partenopea.

Fortes fortuna adiuvat: la fortuna aiuta i forti, Terenzio, Phormio, atto I, 4, 20; proverbio anche allora antico, come attesta Cicerone nelle Tusculane, II, 4, 11, e di cui più nota è la variante Audaces fortuna iuvat, che leggesi in Vergilio, (Aen.^ X, 284) mutato però l’audaces in audentes, a cui il popolo aggiunse timidosque repellit, e respinge i pusilli.

Fortiter in re, suaviter in modo: energicamente nella sostanza, soavemente nei modi, motto della Compagnia di Gesù, che ha sua origine nelle parole del generale dell’ordine, Claudio Acquaviva, il quale nell’opera Industriae ad curandos animae morbos, Venezia, 1606, dice: fortes in fine assequendo et suaves in modo assequendi simus. Cfr. Bibbia, Il libro della Sapienza, VIII, 1: attingi ergo a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter. Fortiter et suaviter è altresì motto gentilizio.

Fortunale: fortuna o tempesta di mare. Il Petrocchi pone a torto questa voce viva nella lingua fuori d’uso.

Forza irresistibile: V. Impulsivo.

Forza maggiore: ogni forza alla quale non si può resistere nè in diritto nè in fatto, tale cioè che l’umana industria non può prevenirla nè rimuoverla. Provenga dalla natura o dall’uomo, essa vieta ogni ricorso pei danni subiti, fr. force majeure.

Foschìa: term. mar. astratto di fosco: atmosfera caliginosa, calìgo come dice una cara voce veneta.

Fosforo: familiarmente per cervello, forza di cervello. Es. Aver del fosforo, consumare del fosforo.

Fotofobìa: neol. del linguaggio medico: gr. fos = luce e fobos = paura, avversione alla luce. È un sintomo proprio di varie affezioni nervose e sopratutto delle infiammazioni dell’occhio.

Fototerapìa: dal gr. fos = luce e therapèia = cura (fr. photothérapie): voce medica che indica uno speciale sistema di cura mercè l’azione dei raggi luminosi.

Fottere: V. Appendice.

Fotta: nei dialetti dell’Italia centrale è parola volgare e plebea, usata in questi vari sensi: fallo, sbaglio, es. «fare una fotta»: fanfaluca, favola, es. «queste sono fotte»: stizza, rabbia, es. «aver le fotte».

Fouet: frusta; eppure molti usano la voce francese o ne fanno un fuetto o fuetta. Piemontese, foêt.

Foulard: nome francese dato ad un tessuto leggerissimo di seta o di seta e cotone, originario dalle Indie. Se ne fanno fazzoletti, cravatte, abiti. Da noi questa parola è comunemente usata per indicare eziandio il fazzoletto di seta per il sudore; da fouler, schiacciare.

Four in hand (stage): letteral. in inglese: quattro in mano; vettura a foggia di berlina tratta da quattro cavalli accoppiati e le cui briglie sono tenute da un sol guidatore. Tale anglicismo è registrato in francese solo nei diz. d’Argot. [p. 225 modifica]

Fox: ingl. volpe. Usasi talora per significare il nostro volpino (canis-vulpis), nota, specie di piccolo cane, dal muso sottile, le orecchie dritte, la coda bella e pelosa, simile cioè alla volpe. Ma chi parla elegantemente dice fox, il popolo volpino. Es. «I bei trabaccoli dell’Adriatico col loro volpino fedele che fa la guardia e annusa il vento del mare!».

Foyer: letteralmente il focolare e, come termine architettonico, in francese indica quella sala, annessa ad un edificio ove si conviene per riscaldarsi e conversare durante l’inverno: dicesi specialmente de’ teatri e in tal senso noi l’adoperiamo, dove ci soccorrerebbe la buona parola ridotto: chiamano inoltre a Milano foyer o carpette quei gran tappeti che si pongono davanti ai divani, mentre in francese foyer indica la pietra del pavimento davanti al focolare.

Frac: questa parola cui è lecito scrivere con la più ampia libertà, procede a noi dal francese frac. Il Littré la trae dal tedesco moderno Frack, usato in Germania dalla metà del secolo XVIII. Questo Frack, secondo i più, insieme alla cosa sarebbe venuto dall’inglese frock. Quale del resto ne sia la vera origine, certo è che questo abito caratteristico della borghesia è cosa propria del secolo XIX: pareggia il gentiluomo ed il cameriere. In italiano è variamente denominato: giubba lunga, giubba falda, marsina, abito a coda di rondine, sì che fra tanta ricchezza la voce frac è la più usata. In Inghilterra, patria oramai delle eleganze maschili, l’abito da cerimonia è detto evening coat. Anche in Francia codesto frac è poco usato: dicesi habit noir.

Fracco: voce volgare (fràcch) dei dialetti dell’Italia superiore e centrale, fatta in tal modo italiana ed usata specie nella locuzione, dare un fracco di botte. Da fracà = fraccare, lat. frangere, rompere.

Frailty, thy name is woman! : fragilità, il tuo nome è donna (Shakespeare, Amleto 1, 2).

Framboise: lampone, voce francese entrata con metatesi nel dialetto lombardo, fambros: specie di rovo (rubus idaeus), spontaneo in montagna, coltivato nei giardini per i suoi noti frutti aciduli e profumati del color del rubino.

Frammassone o massone: parola oramai conquistata dall’uso, ma avvertasi che è la brutta versione fonetica di franc-maçon = libero muratore, così chiamati perchè gli attrezzi dell’arte muraria sono i simboli di questa Società segreta, diffusa e potente in tutto il mondo. Io credo che l’uso di frammassone sia provenuto perchè da esso si potè fare frammassoneria, mentre da libero muratore bisognava far la fatica di creare l’astratto, che non preesisteva come già franc-maçonnerie. La voce Libera Muratorìa è poco usata. La massoneria moderna rappresentò il principio liberale della coscienza e del governo: si identificò spesso col principio nazionale come fu per noi in Italia nel periodo del Risorgimento: si oppose alle tirannie teocratiche e di casta: fu in altri termini vitale e benefica quando valido era il principio opposto. Oggi pur sussiste prosperosissima, ma è deviata dal primo principio e spesso si palesa come coalizione di interessi e di mutuo soccorso tra i fratelli, cui stringe segreto e potente vincolo.

Franca (lingua) : specie di dialetto formato di provenzale, italiano, spagnuolo, greco, arabo che parlasi su gli scali di Levante, formatosi probabilmente al tempo delle crociate e dei commerci con le città marinare d’Italia.

Franchi: nome generico che i Turchi e gli Orientali danno agli Europei ed agli Occidentali, qualunque sia la loro nazionalità. Questa denominazione data dal tempo delle Crociate, manifestamente per la preponderanza che quel popolo ebbe nella nobile antica gesta. Anche il Tasso chiama Franchi i Crociati.

Franc-tireur: libero cacciatore, voce francese tolta probabilmente dal tedesco frei-schütz; e dallo terre oltre Reno tolta fu pure per i francesi anche l’istituzione, cioè di milizie volontarie esercitate nel bersaglio ma non comprese noi quadri militari e nella così dotta landwehr (milizia territoriale). I Franchi Tiratori furono instituiti in Francia, nella terra dei Vosgi, per difendere con guerra di imboscate e [p. 226 modifica]di improvvise fazioni la Francia quando questa fu invasa, cioè nel 1792 prima, indi nel 1815 e infine nel 1870 contro i Prussiani.

Frangente: term. mar. V. Rompente.

Franklin: nota specie di caminetto o stufa alla Franklin (dal nome dell’inventore, il celebre Beniamino Franklin di Boston, 1706-1790) costruita con larghi tambelloni di cotto in maniera che il fumo ridiscenda e scaldi prima di sfuggire per il cammino. Per chi ama vedere la fiamma questa foggia di stufe a legna è ancora delle più igieniche e semplici. Scrivesi anche franclin, franclino e si pronuncia anche francolino tutto con quella libertà quam petimus damusque vicissim, in Italia.

Frappa: per lembo, frastaglio, non è voce morta, come nota il Petrocchi, ma viva nei dialetti. Per l’etim. V. Frappé.

Frappé: participio del verbo frapper colpire, ed è sovente detto delle bevande come Champagne frappé, quasi colpito dal gelo. Per l’etim. di frapper., cfr. le parole nostre frappare e frappa, viva tuttora nel dialetto per frangia, lembo di stoffa: pare dal basso tedesco flappen, ingl. flap, battere (tagliare): noi potremmo dire in gelo.

Frapper l’imagination: anche questa frase francese non è infrequente: noi possiamo dire: «impressiona, colpisce, ferisce la fantasia, etc.». Ma il nodo della questione è sempre questo: la frase ha la sua forza in quel suo immutabile suggello formale ripetuto sempre.

Fratasso e fratassare: voci lombarde dell’arte muraria (fratàzz e fratazzà) spianare la malta gettata, con lo spianatoio.

Frase fatta: così si chiamano, talora con lieve senso di spregio, alcune locuzioni, di carattere sentenzioso per la più parte, le quali si ripetono e si sono ripetute tante volte che più all’orecchio ed all’animo non inducono commozione e persuasione. Dicesi, anche obbiettando, frase fatta quando ad arte si vuol togliere forza alle espressioni del discorso di alcuno.

Fratelli Siamesi: così fu denominato quel mostro umano (xifopagio) formato da due individui distinti, ma uniti insieme da saldature ossee e membranacee. I fratelli Siamesi morirono nel 1874. Radica e Dodica nate nel 1889, sorelle indiane, operate, cioè divise in Parigi nel 1902, formarono un altro di sì fatti celebri mostri. Dicesi fratelli Siamesi facetamente per indicare due persone fra di loro strettamente congiunte.

Fraternizzare: neologismo tolto dal francese fraterniser. In italiano affratellarsi.

Fräulein: voce tedesca la quale, come miss inglese, vuol dire signorina. Così chiamasi di solito l’istitutrice delle nobili o ricche giovinette se ella è di origine tedesca.

Freatiche: appellativo che i tecnici danno alle acque che naturalmente sgorgano dal sottosuolo. La parola deriva dal greco frear, che significa pozzo.

Freccia del Parto: i Parti, popolo di origine Scita, dimorante a mezzodì del mar Caspio, erano famosi arcieri e cavalieri; e una loro tattica nella guerra consisteva nel fuggire davanti al nemico per indi assalirlo con gran numero di frecce, onde la locuzione che suona come colpo ultimo, dato a tradimento.

Fregare: nel senso di accoccarla, farla ad uno, il Petrocchi registra questa voce fra le antiche e disusate. Vero è che è voce vivissima, se non che dialettale. Es. «Se la morte non ci frega! Tu credi di fregarmi, ma ti frego io!» La forma riflessiva fregarsene poi è comunissima, specie nei dialetti meridionali per significare ciò che i francesi esprimono col verbo se ficher: voce intraducibile, a cui non va disgiunto talora dispetto, villania e disdegno.

Fregna: V. Appendice.

Freisa: vino del Piemonte (Torino, Chieri, Moncalieri) alquanto ruvido e ricco di tannino; di lenta maturazione. Ben preparato e fermentato senza graspi, è più fine, e poichè invecchiando migliora, così giunge all’onore della bottiglia come il Barolo, al quale allora per delicatezza e profumo assomiglia.

Frei-schütz: V. Franc-tireur.

Frenastenico: neol. scientifico, derivato dal greco; significa senza forza di mente, cioè gli idioti, i cretini, etc. [p. 227 modifica]

Frenello: term. mar. dim. di freno (cfr. frènulo nel linguaggio anatomico) indica quell’apparecchio a paranchi di cavo o di catene per manovrare il timone.

Freniatria: voce medica, (dal greco fren = mente, spirito, e iatreia: = cura, medicina) che indica la cura delle malattie montali.

Frenocomio: ospedale per le malattie mentali (dal greco fren = mente e komeion = ospedale), termine dai medici preferito come più proprio che manicomio.

Frenòsi: gr. fren = mente; e il suffisso osi, indicante affezione cronica: sinonimo di psicosi. Vocabolo proposto dal Verga per indicare le diverse forme di pazzia croniche.

Frènulo: lett. piccolo freno, latinismo adoperato in anatomia per indicare una piega membranosa che serve come di freno: frenulo della lingua, delle labbra etc., comunemente filetto.

Frequentazione: in francese c’è fréquentation, dal latino frequentano: i dizionari italiani finora hanno soltanto frequenza e non frequentazione, voce abusiva d’influsso francese.

Fresa: voce usata dai meccanici. Indica una macchina la eguale mette in azione più scalpelli ed è di forma circolare: questa macchina, rotando, agisce o come pialla o come tornio. Fresa, è propriamente lo scalpello che si adatta alla ruota, fresatrice, la intera macchina, fresare e fresatura l’atto di tale operazione. È utensile principe nella lavorazione di macchine e strumenti meccanici. La voce è brutta sì che spiace, chi il direbbe? ai meccanici stessi. Fresa deriva dal francese fraiser = percer du métal ou du bois á l’aide de l’instrument appelé fraide. Fraiser, dal lat. fresus (frendere | rompere).

Frescante: detto di pittore che dipinge a fresco.

Freschi o fresco: chiamasi da’ Veneziani l’unione di molto gondole, battelli e barchette elegantemente addobbate, che concorrono pel Canal Grande e vanno avanti indietro come le carrozze in un corso; ed è una specie di spettacolo che si fa in onoro di principi o in occasiono di qualche festa.

Fresco: in marina si chiama il vento ben teso, ma non ancor forte, ondo i verbi affrescare e rinfrescare quando il vento comincia a soffiare con maggior forza.

Fricandeau: pezzo di vitello lardellato e disossato. Deriva da fricasser che vuol dire friggere in padella (casse, antica voce francese uguale a poéle, padella).

Frignare: il piangere uggioso del bambino.

Frinire: il cantare della cicala: verbo registrato dal Gherardini, op. cit.; il Petrocchi lo pone a torto fra le voci fuori dell’uso.

Frisch, fromm, fröhlich, frei: fresco, pio, ilare, libero; i famosi quattro effe; motto della «scuola patriotta de’ tedeschissimi», nella prima metà del secolo XIX, contro cui A. Heine satireggiò specialmente con l’orso immortale dell’Atta Troll. Oggi è rimasto motto di società ginnastiche germaniche.

Frisè: fr. arricciato. V. Frisore.

Frisore: dal francese friseur, parrucchiere, barbiere. «Ma è voce che oggi, almeno in Toscana, si vergognano di adoperarla gli stessi parrucchieri». Così il Rigutini. Vero è che la vergogna fu tanta che vi hanno sostituito, nelle scritte dei negozi, l’altra parola francese coiffeur; la quale di per se porge o sembra porgere idea di più eleganza e finezza che non la voce nostra. Solito caso! Usata pure è la voce fr. frisé, part. del verbo friser, per arricciato, detto della barba e dei capelli.

Fritz: diminutivo del nome tedesco Friedrich (ricco di pace) Federigo e oggi Federico.

Fröbeliano: aggiunto di metodo, scuola, giardino, da Federico Fröbel (1782-1852) di Oberweissbach il quale ideò cotesto metodo pedagogico che consiste nell’istruire i bambini dilettandoli con giuochi conformi all’età.

Froldo: voce dell’idraulica padana: la tratta di argine costantemente lambita od erosa dalla corrente.

Frondeur: dal fr. fronde, anticamente fonde, dal latino funda = la fionda, istrumento od arma per iscagliar sassi e non ignoto ai moderni, specie agli scolaretti ed agli uccelli dei giardini publici. Ma non si tratta di ciò. Fronde è il nome del partito che insorse in Francia contro [p. 228 modifica]Mazzarino al tempo della minorità di Luigi XIV (1648-1652). L’origine della parola si vuole sia stata questa: v’era in Parigi il mal vezzo che i ragazzi avevano di battersi con la fionda in Parigi, sui bastioni e pei fossati; ora discutendo in Parlamento, avvenne che un consigliere dicesse che egli fronderait a sua volta l’opinione dell’avversario che era favorevole alla Corte, cioè a Mazzarino, alludendo così al detto giuoco della fionda. La voce piacque: frondeurs furon poi detti quelli che erano contro la Corte e fronde il partito. La voce è viva tuttavia in francese e serve ad indicare l’abitudine alla critica ed alla censura, l’opposizione sistematica, specie in cose di politica e di amministrazione, che si vale dell’ingigantire gli errori necessari e naturali degli avversari, dello scherno, della superiorità scettica e saputa. La voce è usata anche presso dì noi, e l’ho intesa tradotta nel linguaggio familiare in frondista.

Frondista: V. Frondeur.

Frontindietro: noto comando militare che ordina il volgersi rapido, risoluto, concorde di un drappello o compagnia di soldati. Dicesi per celia e beffa, e nel linguaggio molto familiare, per indicare l’azione di chi recede dal primo proposito per alcuna prudente cagione.

Frontista: il proprietario di case o di terreni di fronte a strade, fiumi, passaggi.

Frotteur: celui qui frotte les parquets; lustratore.

Fruges consùmer nati: nati a consumare le biade., detto stupendamente degli uomini che passano la vita senza valore. (Orazio, Epistole, I, 2, 27).

Frusta letteraria: giornale di fiera critica letteraria, edito da G. Baretti, sotto il pseudonimo di Aristarco Scannabue, a Venezia prima indi nel 1765 ad Ancona con la falsa data di Trento. Il titolo felice ha acquistato un certo valore antonomastico ed estensivo, e perciò qui è notato.

Frutticultura: quella parte della scienza agricola che tratta razionalmente della coltivazione dei frutti.

Fruttidoro: fr. fructidor, il 12° mese nel calendario della Republica Francese, dal 18 agosto al 16 di settembre: il mese che porge i frutti. Certo un senso di estetica naturale presiedette alla formazione di questi nuovi nomi dei mesi: oggi memoria storica.

Ftìriasì: lat. phthiriasis, da [testo greco] = pidocchio, sin. Malattia pediculare, da pediculus = pidocchio. Con questo nome si designa quello stato morboso determinato da un gran numero di pidocchi su la superficie cutanea delle bestie, (non escluso l’uomo).

Fuchsia: (dedicata al botanico bavarese Leon. Fuchs) è un genere di piante che conta parecchie specie, ciascuna con numerose varietà, quasi tutte coi fiori pendenti e bellissimi, piccoli o grandi, semplici doppii, frequentemente a due colori, per es. il calice rosso e la corolla violetto scuro, oppure il calice rosso e la corolla bianca. | Le Fuchsie non sono erbe ma frutici che si coltivano diffusamente in vasi su le finestre. I loro fiori si chiamavano in Istria, e ancora talvolta si chiamano dalle donne e dai ragazzi, lacrime d’Italia, alludendosi alla schiavitù delle terre italiane. Le fuchsie sono piante però originarie in buona parte del Chili e del Messico ed appartengono alle famiglie delle Onagrariacee.

Fuero: (dal latino forum = tribunale) voce spagnuola che significa legge, statuto, privilegio di una città o di una regione. Voce storica.

Fugato: agg. da fuga, termine musicale che significa un componimento a due, a tre, a quattro ed anche a un numero maggiore di voci, nel quale l’una voce insegue l’altra ripetendo ciò che fu precedentemente cantato. Una delle poche voci italiane del linguaggio musicale che mi sorprende veder resistere e vivere nei dizionari stranieri.

Fugit..... irreparabile tempus: (Verg., Georg., III, 284): fugge l’irreparabile tempo: la forma intera è: fugit interea, fugit irreparabile tempus.

Fu il vincer sempre mai laudabil cosa. Vincasi per fortuna o per ingegno: versi popolari dell’Ariosto, Orlando Furioso, c. XV, cui forse non è aliena una sfumatura di quell’umorismo che del grande poeta era proprio. [p. 229 modifica]

Fuimus Troes: così dice il sacerdote Panto, ove Enea narra della ruina di Troia [Aen., II, 325); fummo Troiani, ora cioè non lo siamo più, non abbiamo patria, nulla più siamo! Ripetesi il motto dolorosamente riferendosi ad uno stato di cose che più non è ne potrà essere.

Fujo: voce della lingua nostra fuori d’uso e vale ladro, lat. fur, cfr. furto, furare; e fuja nel senso di meretrice:

               Messo di Dio, aiiciderá la fuja
          e quel gigante che con lei delinque.

Dante, Purg., XXXIII, 44, 45.


Fujo vale anche nella lingua nostra antica per aureo, latino furvus. NB. Si registra questa parola perchè non la trovo registrata ove dovrebbe essere, cioè nella Nuova Crusca.

Fumetto: nome dato in Toscana ad un liquore consimile al mistrà.

Fumista: termine volgare del dialetto milanese che significa il fabbricatore e l’operaio di stufe, camini e simili. Dal francese fumiste.

Fumiste: voce del gergo francese che significa trompeur, mystificateur: mot a mot: homme qui fait fumer les gens, e secondo altri: homme dont les actes ne sont que de vaines fumées. Dunque in italiano ciurmadore bindolo^ imbroglione: in verità i termini sono tanti che credo ogni regione italiana abbia il suo speciale vocabolo. Eppure fumiste occorre non raro, specie nel linguaggio dei giornali. Voce, del resto, effimera come tante altre parole del gergo francese di cui si compiace talora o di cui per ignoranza e fretta subisce l’influsso il giornalismo italiano. Singolare tuttavia è la forza di espansione e di diffusione che hanno queste parole dell’Argot.

Fumoir: in francese indica lo stanzino la sala dove è permesso fumare e v’è l’occorrente. Non vi corrisponde voce italiana, perchè da noi più semplice il costumo e certo complicate raffinatezzo del vivere — su cui il giudizio dell’uomo savio non può essere incerto — ci vennero da altri paesi.

Funambolismo: astratto di funambolo. V. pel senso Acrobatismo.

Funzionamento: neol. per l’atto del fungere, la funzioni, dal fr. fonctionnement.

Funzionare: neologismo oggi prevalente nella lingua dell’uso in luogo di altri verbi come fare, agire, esercitare, lavorare: uomini e macchine parimente funzionano. Manifestamente la parola si formò non per forza estensiva della voce funzione, da fungere, ma su lo stampo della equivalente voce francese fonctionner, e così dicasi del nome funzionario, fr. fonctionnaire, con il quale nome si intende un ufficiale publico, ma rivestito di alcuna autorità superiore e alto grado; e così pure non bello nè nostro è il faciente funzione di sindaco invece di prosindaco o vice-sindaco.

Funzionario: V. Funzionare.

Fuociii di S. Elmo: V. Elmo.

Fuoco sacro o fuoco di S. Antonio: in medicina è sinonimo di erisipela carbonchiosa, forma di carbonchio particolare ai suini.

Fuor d’opera (un): fr. hors-d’oeuvre: nel senso di inutile, superfluo, è locuzione comune. Es. «Dell’on. X*** è un fuor d’opera tessere la biografia» .

Fuoribanda: lato esterno del bastimento.

Fuoribordo: parte esterna del bastimento dai due lati.

Fuori i barbari: grido di guerra attribuito a Papa Giulio II della Rovere che pontificò fra gli anni 1503 e 1513. Motto divenuto proverbiale.

Fuorviare: per sviare, traviare, è dal Rigutini notata per voce «nuova e sgarbata»: è pur ripresa dal Fanfani, nè invero appare necessaria, come è il caso di molti nostri neologismi, abusivi e non richiesti.

Furgone: V. Forgone.

Furia francese: locuzione formatasi certamente in Italia e che i francesi ripetono sì in forma italiana che in francese, furie française, per significare l’impoto bellico di quel popolo bellicoso, specie nel primo impeto. C. Cesare nel suo De bello Gallico vi accenna, ma l’espressione caratteristica si deve esser formata nel ’500 al tempo delle mirabili battaglie di cui l’Italia fu teatro: Fornovo, Marignano, [p. 230 modifica]Ravenua. Altri pensa nata la locuzione al tempo della battaglia di Fornovo, a proposito della quale G. Giorgio Aliene, astigiano e partigiano di Francia, scrisse questi versi che dovevano essere ripetuti qualche secolo dopo, se non nel suono, nel senso:

               «Ja ne soit il usance à vous itaulx
          quen champs mortaulx on vous saiche attrapper».

Furlana: specie di danza usata nel Friuli ed è pure aggettivo dialettale por friulana.

Furor teutonicus: l’impeto belligero dogli antichi Germani, leggesi nella Pharsalia, I, 256, di Lucano. Anche il Petrarca nella sua famosa canzone ai Signori d’Italia ricorda il furore tedesco:

               che il furor di lassú, gente ritrosa,
               vincerne d’intelletto
               peccato è nostro e non naturai cosa.

Ma ha altro senso.

Furori uterini: termine volgare nostro per indicare ciò che più scientificamente dicesi ninfomania. V. questa parola in Appendice.

Furtivo: nel linguaggio dei legali quest’aggettivo è in uso invece di rubato, dal latino furtivus onde anche refurtiva = la cosa rubata. Nel linguaggio comune furtivo significa soltanto clandestino, occulto.

Fuso orario: uno dei ventiquattro fusi uguali nei quali fu convenuto di immaginare divisa, mediante meridiani, la superficie del globo terracqueo per quello che riguarda l’assegnazione dell’istante in cui in un dato luogo deve aver principio il giorno civile. Sono detti fusi per l’analogia che la superficie esterna di questi ventiquattro spicchi avrebbe col fuso ove fosse sviluppata su di un piano.