Dell'entusiasmo delle belle arti/Parte I/Note
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ALLA PRIMA PARTE DELL’ENTUSIASMO NOTA I.
jNJelle scienze e nelle arti meccaniche v’ha un oggetto fisso, e palpabile, che vediaiu fuor di noi, che possiam maneggiare, rivo!r gere, e ravvisar d’ogni parte, e in ogni aspetto. Qui tutto è dentro noi, e come gli occhj veder non posson se stessi così non è mai tanto il nostro ingegno impacciato, quanto allora ch’ei vuol seguire ed ¡svolgere il labirinto de’moti suoi, delle sue proprie operazioni. Confessan tutti che quanto al nostro pensiero appartiene è suggetto all’esame il più metafisico; ma più sottile d’assai è tutto ciò che al gusto interno ed al cuore si riferisce. Quanto studio fa d’uopo per riconoscere le varie strade onde a noi vengono ie diverse impressioni? Per veder donde vengono certe scosse a un certo graO 4 do, ¿oóNote.
do di certa specie, e per disceinere quali oggetti vogliono essere offerti all’ingegno, sotto qual forma ed in qual ordine s’ha ad offrirli, per osservar finalmente l’azion degli organi ministri dell’impressione, di quegli organi sì dilicati e superbi, come Tullio li chiama, tutte cose finissime, le quali noi mal sapendo, e per metà appena, o corr incertezza, godiamo i doni dell’arti belle I Batteaux Avtrt. Prelim. Contro Loke sono i dottori Rtid, Bsattie, 0 sva/d in tre diverse opere negando essi la corrispondenza tra gli organi del corpo e le affezioni dell’ani« ma, ogni azion della quale fan nascere da un particolare istinto. 11 dottor Priestley difende Loke, grida contro chi confonde le immagini con le idee ec. Bella impresa per me, se dovessi trattando delle bell’arti ricorrere a cen* to metafisici, inglesi, tedeschi, ec.
NOTA II. L’entusiasmo è lo stato d’uti uomo, il qual considerando con forza le circostanze, ov’ei si pone è vivamente commosso da tutti gli affetti, che nascer debbon da quelle, e per esprimere ciò che prova naturalmeate, trasceglie di que’ sentimenti il più NO1E* più vivo, che solo agli altri equivale per lo Stretto legame che ad essi lo strigne; se un tale stato è sol passaggero, ci dà luogo a breve lavoro, se dura alcun tempo, talot produce un’opera intera. Conàillac Orig. de Connois. bum. Tom. i. cap. n.
V’ha duiique de’momenti felici, onde l’anima ardente per fuoco quasi divino rappresentasi tutta la natura, e sparge sopra gli oggetti quello spirito di vira, que’ tratti affettuosi, che ci seducono o ci rapiscono....
ciò si dice entusiasmo, che niun quasi definisce: consideriamolo noi da filosofi. La divinità, che is-pira gli aurori eccellenti qua-!* do compongono somiglia a quella che net conflitti accende gli eroi, sua cuique Deus fit dira cupido. In lor P audacia, la natilirale intrepidezza avvivata dal pericolo stesso presente; in quelli è un gran fondo di ge.
nio, una squisita aggiustatezza d’ingegno, una fecondi immaginazione, e soprattutto ua cuor pieno di nobil fuoco, che alla vista raccendesi facilmente degli oggetti, e queste anrme priviiegiate con forza investonsi de’ lcr concetti, e non lasciano di riprodurli ccn nuo-nuova specie di diletto e di forza da queiie a loro comunicata. Ecco il principio e l» fonte dell’entusiasmo. Batteux: Prìncipes 4, Literat. P. I. e vedi pure nella parte seconda ciò che dice dell’entusiasmo dell’ode.
L’anima ha il suo susto, che le fa cono, scere il bello, e comporre il perfetto; l’idee del bello e del perfetto a lei recano sommo piacere, e questo fa ch’ella trattengasi in quelle idee; e perchè le idee sono insieme legate, ciò che niun savio metafisico nega; le idee del bello relativo a quel tal bello, che alla mente si è presentato concorrono insieme, e formano riunite il perfetto. Quest’occupazione è piena per l’anima di piacere, cui sente ella accrescersi a proporzione dell’avvicinarsi il bello al perfetto, ed è questo piacere appunto, che entusiasmo vien detto; dunque definizione sari di questo: „ L’en„ tusiasmo è quel piacere dell’anima, ch’ella „ gusta nell’associare ad una o più idee gli „ attributi del bello e del perfetto ”: C. Poradisi nel Giornale della letteratura europea d’Yverdon, ove tutto è svolto il suo pensiero che qui è compendiato.
Con Con lui sembra accordarsi I’abate Batreux dove tratta del principale oggetto delle bell’arti, che è il piacere. Gli nomini, ei dice, avvezzi a queste bellezze naturali, e avendole tutte espresse n’erano sazj > e languivano in una lenta uniformità; quindi perchè fosse inesauribile questo amor del piante j composero una bellezza ideale, la quii potesse colla varietà produr sempre qualche nuovo diletto, creando sempre nuove bellezze.
Molt’altri veder si ponno da’ citati a principio, i quali lungo sarebbe riportare, e ripetere dopo tante ripetizioni fatte in questi tempi da tanti autori ancor sommi filosofi riputati. Come ad esempio Voltaire e Akenside non altro han fatto che ristringere gli undici fogli dello spettatore d’Adisson cojainciando dal numero quadragesimo secondo intorno all’immaginazione; quegli nell’articolo immagination delle sue quistioni enciclopediche, e questi nel suo sublime poema de’ piaceri dell’immaginazione così eccellentemente tradotto a dispetto delle difficolti piìi terribili dal signor abate Mazza.
NO-NOTA III. Compiuta dal mio carissimo concittadino e nipote signor Matteo Borsa (i), del cui raro e profondo ingegno darà prove una bell’opera, sè al ciel piace. L’analisi intanto di questa ne sia un saggio a’pensatori e filosofi, pe’ quali ei volle farla.
Per ben intendere la nostra facoltà detta; immaginazione dovrebbesi analizzarla, e separarla dall’altre operazioni dell’anima a lei vicine, e gran trattati si richiederebbono a ciò, come ne fecer già molti nel nostro secolo solamente, oltre gli antichi. Lokc parve averne fissata una teoria piena e sicura nel suo saggio filosofico su P umano intelletto. Vennero poi l’abate di Conditine, e il signor Bonwr, che con quelle loro statuì preresero analizzar l’anima più sottilmenti e colsero Lcke in errore con tutti i filosofi suoi seguaci per cinquant’an:;i, e ridusse il primo a sette quelle operazioni, chiamandole percezione, coscienza, attenzione, rem:Jlì(i) Il celebre sig. Matteo Borsa manca* io immaturamente ci vita.
uiscenza, immaginazione, contemplazione e memoria. Con loro o dietro a loro scrissero, e combatterono Robinet, Sultzer, Povily, la Me:tri:, l’Abate Draghetti, il p. Soavi tutti illustri metafisici con molti altri. A qual sottigliezza si possa qui giugnjere il mostrano le gradazioni delicatissime, che ha saputo trovare analizzando il p. Soave, e sin dove ci condurebbono que’ che dimandano li definizione ultima ed intima dell’entusiasmo.
Ecco i gradi segnati dall’ingegnoso anatomico dell1 anima. Ella riceve l’impression degli Oggetti, e all’impressione vien l’apprensione, che e sensazione, o percezione, quella dipende da una modificazione, questa da una rappresentazioni „ Segue l’attenzione, poi le idee e le nozioniindi la contemplazione. Quindi nascono la reminiscenza e il t.conoscimento. Vien poi la riflessione, da cui confronto, discernimento, cognizione, giudizio, e raziocinio. V’ha pur l’astrazione che forma le idee e le nozioni generali, e queste or fisiche or metafisiche. Di qua la composizione delle idee, e la loro scomposizione o sia l’analisi; infin y’ha la coscienza, L’in-L’intelletto non è altro che la facoltà che ha P anima d’esercitare tutte queste opera-« zioni. Questo è il compendio del suo trattato od analisi nel primo volume pag. 57., e confuta ad ogni passo quel dell’abate di Condii!ac. Alcuno stupisce, chequi non parli di fantasia o d’immagina2ione propriamente detta, e sol la nomini congiuntamente all’astrazione j con cui unita produce la composizione dell’idee, e aggiunga che questa feracità d’immaginazione forma il pregio principale delle bell’arti. Ma se ciò è, ben parea meritare un luogo distinto nella sua analisi, e come anello di tal catena, e coma ancor forse anello primario di quella, e intrecciato con tutti, e senza cui non ponno gli altri operare nè muoversi. Esaminiamolo un poco „ L5 uomo dicesi fantastico in quanto o „ tra le idee, ch’ei serba quasi in deposito „ nella memoria, o tra gli oggetti nuovi, „ che gli si presentano, e in conseguenza tra „ le idee, che ne nascono, scopre diverse re„ Iazion’i più o meno nuove sopra l’usato.
„ Quindi a norma dèlia maggiore, o minor „ no-novità, che distingue tai relazioni, diversi „ gradi ancora distinguono gli uomini fantaj> stici, e a norma del diverso genere di M quelle si segnano i caratteri di questi.
Rafaello e l’Albani son distantissimi nel„ l’invenzione, come il carattere di Paolo è „ lontano dal Carreggio ”.
Da questa comune accettazione dell’attributo di fantastico io deduco, che per fanta« sia comunemente s’intende quella facoltà, ovvero maniera abituale in un tale soggetto, per cui egli s’è avvezzo a contemplare gli oggetti interni, per così dire, ed esterni sotto un certo punto di vista, che gli scopre nuove, e moltiplici relazioni. Quando quest’abiro è in grado sommo costituisce il genio, e il mancarne affatto reca seco la stupidezza, e 1* imbecillità.
Siccome per tanto il carattere costitutivo consiste qui nella moltitudine, e nella novità delle’ relazion ritrovate, non nella natura del modo, che vi s’adopra; così non si vuoi questo modo limitare a numero, o a maniera per chi non voglia confondere la facoltà coll’esercizio, e il modo dell’azione coll’ {{Pt|zione medesima, non che coll’effetto di lei Mi spiego. L’uomo fantastico è quello soltanto, che nuove relazioni, e varie discopre tra gli oggetti; questo termine abbraccia la sotuma totale degli effetti, che produce un tal uomo, non considera già quella dei modi, con cui li produce; tutti i modi possibili vi sono tacitamente inclusi, perchè indifferente è appunto qaai sieno, purchè producano gli effetti. Un uomo coraggioso non teme nè la spada, nè il fucile, nè le insidie private, nè le aperte offese; coraggioso quegli è, che intrepido sa in genere mirare il pericolo senza scomporsi., Che se tutti i modi possibili che conducono a trovare tai relazioni tra le idee o tra gli oggetti sono compresi nel carattere costitutivo della fantasia, io non saprei far a meno di vedere in tutte quelle diverse operazioni dell’anima accennate dal p. Soave altrettanti modi di conoscere nuove relazioni tra gli oggetti diversi; cioè altrettante mo~ dificazioni della fantasia. Traggansi prima però da queste le impressioni, l’apprensione, e la percezione, ip cui l’anima è sol } tanto pas-Not«.so?
passiva, nè ella determina se medesima, rm sibbene viene determinata dalla natura degli oggetti, che le si presentano, e dei mezzi, for cui le vengono innanzi in composizione Colla sua natura medesima, e poi si scorra tutta l’analisi di quel libro, e si metta alla prova ciò, che asserisco. E non s’esercita forse la fantasia per mezzo dell’attenzione diversa, che si distribuisce su gli oggetti?
E da questa attenzione impiegata nelle relazioni diverse non ne trae ella nuove idee, nuove nozioni? E contemplando ella tutte queste cose non segue forse a combinarle in sempre più nuove maniere, cioè ad accrescere il numero delle relazioni nuove, che va cercando? Non è essa forse la fantasiache ci somministra immensa copia di reminiscenze, legar sapendo le idee in modi sì vari?
Questi vari legamenti, queste relazioni come saranno possibili senza confrontare gli oggetti, dtscernere le differenze, e senza giudicare, e ragionare su la loro realtà } Di che è più ricca ia fantasia, se ncn d’astrazioni, in che pi» ferace, se non in composizioni, a ine più pronra, se non a scomporr.* ì Questi Tomo III. p son son pure i fonti delia novità; mai non si ritrovano relazioni e più numerose, e più nuove, che astraendo dalle comuni combinazioni, che componendo le idee meno comunemente legate, e quelle scomponendo, che tra il volgo vanno indivise.
Ma se la fantasia è tutta compresa in tutte queste operazioni diverse dell’anima, le quali a non altro ridurre si possono, che ad altrettante modificazioni della facoltà intellettuale, dirassi dunque, che io confondo l’intelletto colla fantasia. Ma io rispondo, che se l’intelletto abbraccia ogni operazione dell’anima, l’intelletto è un nome collettizio di tutte, e allora non è mio il difetto di tal confusione: ma che se per esso s’intende la sola facoltà di produrre tali operazioni, egli è diverso da tutte, e perciò ancora dalla fantasia. Fa d’uopo dunque trovarle un luogo distinto tra queste, benchè con tutte essa si trovi legata. L’attenzione, le idee, le nozioni, la contemplazione in genere sono elementi, di cui compongonsi altre operazioni più complicate dell’anima; sono essenziali all’analitico, ed al poeta, e da se non {{Pt|stono che per brevissimi istanti. Servono ai confronti, alle astrazioni, ai giudizi ec. e in loro si rimescolano, e si confondono. Ma non così si confondono insieme la fantasia, e il raziocinio, benchè altro non sieno amendue, che queste medesime ultime operazioni (composte parimente dalle altre prime ) dirette a scoprirà relazioni nuove tra gli oggetti e le idee. La Ior differenza consiste nel diverso genere di relazioni, che si prefiggono ad oggetto. La fantasia per se si contenta di relazioni prime, di somiglianze superficiali, dirò così, di ciò che all’occhio apparisce, e al senso esaminatore; e il raziocinio al contrario ricerca le relazioni essenziali dell’oggetto esaminato; quella è paga di similitudini, vuol questo analogie. La prima si limita a tali cose, le quali paiono aver comuni i principi, il secondo va in traccia di cagioni, e d’effetti. Una contempla vedendo, e il suo esercizio corrisponde a un occhio acuto nel corpo; l’altro contempla deducendo, e fa, o cerca di far ciò, che la chimica, e l’analisi fanno nella fisica. Così il nido degli uccelli, e le poppe de’ } quadrupe-¿¿di larghe di latte ai loro ìjìccoIì non soc per’Bonnet più, che una conseguenza dei loro fisici bisogni, ne in ciò non ha parte ver runa la previstone, o la pietà; mentre Dimoitene scuote gli animi ateniesi con un semplice apologo.
Vero è l’i-rc, che fin che stiamo nei primi gradi dell’uno, e dell’altra, vanno entrambi de l pari; cioè che la fantasia aiuta il raziocinio } scoprir relazioni nuove anche nel filosofo, il quale poi ne crea sistemi, riducendole ( o astraendo, o componendo più intens:. mente ) alle prime combinazioni mondiali, e che questo è a quella di sussidio nel poeta, il quale ne contrae un’aria di giudizio, e di sobrietà. Senza fantasia Newton non avrebbe raccolte le relazioni- di tanti oggetti lidotti di poi al gran sistema dell’attrazioni’, e senza un grado qualunque di raziocinio i poeti e gli eloquenti uomini non troverebbero il piccante delle loro antitesi, allegorie, similitudini cc. Anzi io noto, che negli oggetti comuni ad ameudue, cioè in qr.e’ primi gradi denno essere inseparabili per avere l’int:n:o. 11 filosofo senza ciò non trova NOT.£.’23j va in tutta la natura pur un fenomeno, cirè secondi il suo sistema, o un ne cominci» siccome stitica, che egli ha e impieghevole ai varj ufficj la fantasia contemplatrice; e iJ poeta si perde tanto nella sua descrizione, cne quantunque destinata a similitudine, più::on conserva relazione col prototipo.
Ma quando da questi primi gradi passano al!or destino essenziale, il raziocinio, cioè a ricercare le varie, e nuove dipendenze murile, ed essenziali i"-‘ idee, ovvero quelle, che possono aver tra loro le cose per necessaria costituzione di natura, e quando pas?a la fantasia alle sole relazioni, che i sensi, o Pafl’etto, o le apparenze mettono tra le idee, e tra le cose; allora sono, quasi direi, essenzialmente ir.combinabili. Quindi si verifica sempre più la distruzione delle belle lettere minacciata dal pendìo universale del secolo verso le scienze esatte; perchè la ragione, con cui un poeta lega le idee, tenendosi alla superfìcie, pare futile al filosofo, che passionatamente ne cerca la sostanza, e viceversa. La voglia d’essere di moda ci fa contrar Pabito, e questa ci avvezza a vedere gli oggetti in un modo, da cui non potremmo prescindere anche volendolo.
Chiudiamo dunque anche noi tutto ciò con una brevissima analisi. La facoltà intellettuale s’esercita in varie maniere d’operazioni, altre semplici, altre composte: quelle le percezioni sono, le idee, e le nozioni; queste la reminiscenza, e l’altre in seguito accennate dal p. Soavi, le quali vanno divenendo sempre più composte a paragon delle prime. L’anima nelle prime semplicissime pare passiva, essendo già in quelle determinata dalla relazione immutabile ed essenziale, che passa tra la natura degli oggetti dei sensi e di lei; nelle seconde poi è attiva, determinando ella se stessa a quella, o a questa modificazione diversa di sua facoltà intellettuale. Tutte tali diverse modificazioni, ossia tutte le sue operazioni le può essa applicare agli oggetti, e alle idee diversamente; tutte le adopra in trovare le dipendenze essenziali sì tra queste, che tra quelli, coirle tutte le impiega anche nelle sole relazioni tra gli uni e tra le altre. Le operazioni tutte dell’anima, se così m’c lecito d’esprimer-mermi, le impiega la fantasia nel secondo ca> so, come il raziocinio nel primo, essendo questi composto del confronto, della contem, plazione, del discernimento ec. le quali cose tutte combinate poi in differenti maniere danno l’analisi, la composizione, ec. La conscienza è il sentimento di tutte queste cose.
Da questa divisione delle operazioni composte della facoltà intellettuale in due rami principali essenzialmente distinti per mezzo dell’oggetto, e del fine discende naturai mente la spiegazione dell’avere tanti gran metafisici 0 confusa, o trascurata, o ommessa ancor pienamente la fantasia nell’esame e nell’anatomia delle operazioni intellettuali.
L’hanno confusa colla memoria, poichè la fantasia per mezzo delle operazioni leggere e pronte, che veloce ritrova tra tutto richiama in un momento cento idee passate così rapidamente talora, che non potendosi osservare la gradazione, si credon nate ad un tratto. Quindi se la fantasia s’aggiunga al riconoscimento, la memoria sarà presto spiegatalo poco meno. L’hanno trascurata cd ommessa, perchè non vedendo in essa nes* P 4 suna ii6NoTf.
suna operazione particolare dell’intelletto i come fissi, ch’erano tutti in voler ritrovare ogni cosa in questo solo, prescindendo onninamente da ogni oggetto, a cui potesse essere egli proporzionato e diretto, ommisero ciò appunto, che solo da tal riflessione poteva essere dedotto.
Doveva per altro ciò succedere anche riguardo al raziocinio, ma il vietò forse la gravità delia materia. Il nominaron perciò, ma non mi par poi, anzi credo fermamente che niente più facessero, che nominarlo, quando pretesero di farne una operazione distinta da quelle, di cui è esso per sua natura un composto sol tanto; poichè raziocinio altro non è che qualunque operazione necessaria a ragionare, ed una combinazione di tali operazioni.
NOTA IV, Per più chiarezza può dirsi essere l’immaginazione uno stato di mezzo rra i sensi, e l’intelletto; questo ha più nobili idee, perchè fondate in cognizioni; quella mista coi sensi le ha più varie, più lusinghiere; questo fa dimostrazioni, quella rappresentazioni’; l’une, e l’altre di gran pia-piacere-allumina; Omero cd Archimede del pari godono. La prima proprietà delle immagini, o idee portate dai sensi nell’anima (che è tutt’uno dal greco, e vuol dire idoli, figure, impronte quai di suggello; nozioni son quelle dell’intelletto) la prima loro proprietà si è collegarsi tra loro strettamente per modo, che tutte e ciascuna risentesi al tocco e al moto di ciascuna e di tutte; ma quelle più che han tra loro più aderenza, più somiglianza, più relazione, e come or questa or quella suoi prevalere, secondo la scelta o l’attenzione dell’anima, così più corrono, più si attaccano le più somiglianti, le più relative a quella primaria, e l’altre fanno da secondarie. Ecco i’ associazione dell’idee, ecco gran parte ’deila memoria, Questo legarsi, o associarsi le idee fa quasi tutte le operazioni dell’immaginazione, e senza un tal legamento l’uomo è senza immaginazione, anzi senza memoria; è un imbecille. Ma se corrono troppo a legarsi, e non han regola e freno, l’anima non può dominarle, ordinarle; è da lor anzi dominata; non può riflettere, e regolare; allo!
l’uo-2lSNOT£.
l’uomo è pazzo. Giusto mezzo è la perfezione., < La moltiplicità, varietà, docilità maggior dell’idee fa la ricchezza della immaginazio« ne. Il miglior ordine in che sono disposte, la più stretta affinità, che le congiunge, la maggiore chiarezza, che le illumina ne fa la fecondità; e da tutte insieme l’anima riscaldata produce i più nobili, ed eccellenti lavori, e se ne formano le varie classi d’aur tori.
Il calore dell’anima è un attenzione più piena di lei che fa sussistere in lei meglio e più fortemente l’impressioni dei sensi, e le loro immagini; è una contemplazione che più le risveglia, e più risvegliandole fa più contemplarle, essendovi azione e reazione delle idee su l’immaginazione, e della imr maginazione su le idee.
Così riscaldata l’anima, cioè più attenta, e contemplante forma una scena più popolosa, più viva, più illuminata, in cui più esercita la sua attività; e_ questo esercizio fa il suo piacere,cagiondel quale, cagion finale e intrinseca, pub essere lo stimolo da.
ro to all’anima dal creatore a cercar sempre la verità, e tendere a lui. Il primo piacere in questo esercizio dell’attività è l’inventare, crear di nuovo. In quel calore una sola circostanza basta a svegliare una scena intera d’immagini che sembra7an dormire, come un primo anello di carena si i la prima idea di cosa a noi grata; a questa prima idea della cosa s’unisce l’idea del luogo ove la trovai, poi quella delle persone che ci vidi, poi quella de’gusti che vi sentj, ec. ecco una scena destata dall’udir un nome, dal veder un fiore, dal ricordarmi un detto ec.
Ed ecco l’invenzione, che dicesi creazione, e che a rigore non è che combinazione, mi tal combinazione ove sia’ ricca, ordinata, spontanea, quella è che costituisce il genio, ed i rara, data a uno tra cento; dicesi dono, ispirazione celeste; e quindi genio vuol dir uomo o talento inventore, trovatore, creatore.
NOTA V. Ben so quantojia difficile esser vero oratore estemporaneo, principalmente sul pulpito, onde buone ragioni vi sono a predicai di memoria, e dallo scritto. In OPi generale son pochissimi dotati di natura!?
eloquenza, di regolata immaginazione, fi; giusto raziocinio, e delle doti esterne di bella voce e persona, e pochi insieme che uniscano a tutto ciò studio grande de’gran maestri, dottrina di padri e di scrittura sacra;.
senza le quali non v’è sacra eloquenza sublime. Il poeta sopraccitato nodrito era alle fonti poetiche delle bellezze greche, latine, italiane, di storia e di favola, possedea molte fisiche cognizioni, e il fiore della sua lingua con grata voce e figura, e con un cuoe dilicato, come seco vivendo il trovar.
Per altro gli antichi greci e latini non si obbligavano alle parole, e M. Tullio nel terzo ad Erennio e nel secondo dell’oratore; come pur Quintiliano al libro secondo capo secondo parlan d’un artifizio usato allora per far nascer da se facilmente l’espressioni per via d’immagini sensibili, e in tal modo ordinate, che corressero prontamente sulle labbra. Ma neppur tal memoria artificiale non » può supporsi in Dsmosten? o in Tullio nel recitare le lor filippiche spiranti fuoco e rapidità spontanea nata sul luogo; bensì trovava-vano tutta l’eloquenza nell’anima loro commossa dopo un lungo uso, e dopo la lunga meditazione della materia. Infatti Ciceroni e molti altri scriveano dopo averle dette le loro arringhe: sembrano aver usata tal arte piuttosto i sofisti più tardi Libanio e Simaco e Temistio e Giuliano nella decadenza del buon gusto.
I ss. padri in più luoghi ne fanno intendere che parlavan senz’altra preparazione, che quella degli argomenti profondamente studiati, e dello zelo vivamente acceso, Si vede che s. Agostino ito in chiesa disposto a ragionar del corrente vangelo fu per una circostanza non aspettata condotto a prendere, un’altro suggetto, e narra egli stesso la gran commozione e conversione ottenuta # Non parlo delle lor composizioni panegiriche su i nostri misteri, o su le virtù dei santi, che allor si vede lo studio e l’uso della memoria in s. Ambrogio in s. Leone in s. Pier Grisologo e in altri, spargendo allora i fiori a piene mani, secondo i gusti de’ loro tempi, i fuochi d’ingegno e di stile, di figure, e di periodi contornati e sonori. S. Agoiti-seino ben al vivo dipinge il crucio del tediare a memoria quel suo panegirico all’un, peradore in Milano nel sesto delle sue confessioni. Ma in più luoghi, e specialmente nel quarto della dottrina cristiana ei condanna quell’impaccio servile.
E perchè non potrebbesi talor rompere questo legame anc’oggi? Io n’ho veduto alcuno riuscirvi eccellente. L’uom nato con que’doni felici della natura, e fattosi collo studio e coll’uso capace, pien la memoria di cose, non di parole, e il cuor di religione, non d’interesse o di vanità, trova in presenza d’un folto uditorio pronte immagini e caldi affetti, stil nervoso e corretto abbastanza, termini propri, figure vivaci, e momenti patetici senza sforzo. Ho conosciuto chi avea tutta la predica in cartucce, ove notati i punti e le divisioni, i testi e le autorità necessarie, e qualche dottrina al più in ristretto, il resto lasciava all’entusiasmo.
Ma meditava molt’ore da se la materia, se 1 ’inviscerava, e sapea dove por l’argomentazione, o la dottrina, o la figura più importante, ritenendosi in libertà di stendersi più 6 meno, di premere l’uditore, a cui tenea T occhio per vederne le disposizioni, e perorare vedendol convinto, a farlo attento, a consolarlo, o ad atterrirlo,- ad istruirlo, e a commoverlo.
Ma chi sa omai cosa sia l’eloquenza? Or si crede oratore il metafisico, ed il teologo, or quel che fa prediche su l’esistenza di Dio, su la religione specolativa, contro gli increduli, i maomettani, e gli altri eterodossi in una udienza cristiana, che cerca udir la morale dell’evangelio, e ha bisognod’essercorr..
mossa per ciò che crede; or quel che le fa su i dogmi con dissertazioni teologiche, e con pezzi di ss. padri, e d’autori; or chi frondeggia poeticamente senza alcun succo, or chi filosofa da politico, e da economista, or chi affetta il toscano, or chi affastella citazioni, e passi altrui, or chi li ruba impudentemente ec.
NOTA VI. Chi potrebbe assai riconoscere, ed insegnare l’intelligenza occultissima tra la nostr’anima, e l’armonia? Chi non dubita della fede dei greci, che tanti prodigi raccontano, e tanta possanza de’Ior suonai natori, e cantanti? II certo è, ch’ella fu sempre unita alla poesia tra gli antichi, e noi la vediamo fedele compagna de’nostri improvvisatori, ancella, ed amica di qualche tragedia a cori, signora poi, e forse tiranna nei drammi, onde apparisce in lei sempre grande entusiasmo.
E ben può credersi un eccellente compositore di musica aver molto dell’elevazione, visione, rapidità, mirabile, e affetto, onde li comunichi ad altri per coral forza, e valor conosciuto nell’armonia più che non suol d’ordinario avvenire; poichc.empre sarà più facile, e usato il trasfondere il sol piacer negli orecchi, che il sentimento negli animi.
Spesso avviene che gli amanti di musica sentendosi pur commossi da tal piacere, piacer sensuale d’orecchio, credansi appassionati nell’animo, e lodino l’arte senza conoscerla, e l’artefice sc-nza rayioi.e. A me certamente avvenne di rado sentirmi al vivo percosso, e rapito dal canto, e dal suono a quel segno di riconoscervi l’entusiasmo ¡or proprio, e di cui parlano i greci, benchè l’abbia sentito assai fortemente incontrandolo in qualche caso, come altrove dirò. Qui Qui veramente sarebbe luogo a declamare contro la profanazione della musica d’oggidì. Elia è quasi sempre suono o canto. e nulla più, mentre debb’essere unita alla poesia, come il fu negli antichi, presso a’quali eran lo stesso poeta e musico, oggi tanto diversi. Quindi nascevano sì gran prodigi.
Or faccia la poesia vive pitture, e patetiche descrizioni, mozion Violente col verso; la musica al tempo stesso le avvivi, le afforzi, e le profondi nel cuore con suoni acconci or forti, or soavi, or rapidi, or lenti, ma tutti accordati, ed egualmente intesi colle parole, e vedrassi l’effètto. Che se vi s’accoppia la danza col medesimo accordo, la scena illuminata, e dipinta dei pari, gli abiti i gesti i costumi de’personaggi propri all’azione, le macchine ben regolate da ordigni inosservati, e un uditorio educato, ed attento (qual diviene in tali circostanze), non sol saranno possibili i pianti, le grida, i trasporti, ma non sarà possibile i’ impedirli e frenar l’entusiasmo di tutto il teatro.
Cicerone conferma tutto il detto di sopra con energia di poche parole: Omnis motta Tomo III. Q am-animi suum quemdam a natura habet vultum & sowtm, & gestum: E QuintilianoCun$ valeant rnultum verba per se, & vox prò.
priam vim adjiciat rebus, <& gestus motusque significet ali quid, projeclo perfeBunt quiddam, cum omnia cojerint, fieri necesse est. io.
NOTA VII. La danza non meno dee parlare, scolpire, dipignere, mover, cantare, persuadere, come la musica, Ja poesia; e bisogna ben imprimer nell’animo tal idea per chi ha vero gusto, e vuol averlo a dispetto di tanti rivolgimenti ed errori, che offuscano sempre più il destino delle bell’arti. Sì: la danza de’salti, e delle capriole non è l’arte del ballo; ella è mover gambe, e braccia.
Il vero ballo, il ballo degno di questo nome e degno sol del teatro è l’arte d’esprimere co’movimenti vari delle membra le varie passioni dell’anima; è imitare le azioni passionate dell’uomo. Dunque un danzator vero esser deve un pantomimo, cioè pittore, scultore, oratore, poeta, cantore’. Tali furono la celebre Empusa e il Proteo tra greci, Esopo e Roscio, poi Pilade e Battilo tra i roma.
zmni, che trasportarono ad ogni furore, spi.
rarono ogni tristezza, ogni gioja, calmarono sino alla mollezza i teatri d’Arene e di Roma, che certamente allor che tanto furon commossi, possiam dire che ne sapeano il perchè. La danza grave e sublime di Pilaàe fu però detta a ragione tragedia, la vezzoza e vivace di Batillo commedia. Il ballo di Ajace potè spirar tanta furia agli spettatori, che si spogliarono de’ vestimenti, vennero à zuffa; come quel d’Ecuba, e quel d’Oreste li fece piangere e metter grida. Noi neghiam fede alle storie, che narrano cotai fatti, che ci parranno incredibili sin che saremo mediocri. La definizione della danza include ia quelle parole gesto, e movimento anche l’espressione del volto, anzi principalmente, e quantunque gli antichi attori se lo coprissero in certe occasioni con quelle lor maschere necessarie alla vastità de’teatri, siccome organi della voce; pur non crederò mai, che Roscio, Battilo, e Pilad; producessero tanti effetti mirabili negli spettatori avendo il vólto nascosto, ch’è lo specchio vero dell’anima e delle sue passioni, e che le riflette per-perciò ne’riguardanti. Crederò ben piuttosto che oggi non veggansi più quegli effetti pW cagione appunto di questo gotico ritrovamento di volti posticci, e inanimati, de: quali il più spesso s’abusa sciocchissimamente.
Quanto a pantomimi moderni pretendonsi nati in Vienna del 1742. tai balli per opera del sig. Hilverding seguito poi dal sig. AnT gì oli ni nel 175.7, IW monsieur Noverre.
Questi passarono a Milano e non sol vi posero sul teatro lor balli, ma ne scrissero disputando. La gran quistione si è far intendere allo spettatore per gesti e movimenti la favola tutta senza bisogno di spiegazione, nel che mi pajono entrambi promettere as?:i più del giusto, siccome altri m’han molto nojato, obbligandomi ad aver sempre il ¡or programma davanti per capir l’intenzione del bello. Scrivano a tergo o in petto dei loro personaggi io sono il tale, sono amante, son geloso ec. come i vecchi pirtorr mettevano lor cartelli alla bocca delle figure.*.
Tutto cade in abuso; e a Parigi, che se ne arroga l’invenzione, sono enimmi le pantomirpe, come altrove.
NO- I Roti,22?
NOTA Vili. Per chi troppo imbevuti de’popolari giudici intorno alla favola, alle finzioni, ed aile follie de’poeti non ben vedesse come il vero sia proprio delle bell’arti, e delle lor opere p’:ù sublimi; brevemente rammento gire’celebri assiomi, anzi canoni di poesia, che nati v’ha bello se non ’e vero, che vero e bellezza, ed anzi bontà sono lo stesso, e simili altri pronunciati da Socrate, come accennalo Senofonte ne’ memorabili, da Platone irt più luoghi, e da molti modem!.
Ciò spiegasi non solamente col beilo morale, che dee trovarsi in quell’opere colla verità, ma con quelle norme eziandio e misure de’ bei corpi, colle quali alla mano esaminando la lor bellezza trovasi giusta e vera nel’e sue proporzioni, ed armonie ddlle parti. A toglier poi meglio il pregiudicio può ricordarsi che il vero no:i è un solo, nè quel.’o^ del matematico dover confondersi con quii del filosofo, nè questo con quel dello storico, dell’oratore, del poeta, e degli altri tu:ti. Ognun d’essi ha un proprio vero più o men pieno e perfetto secondo i gradi in che dal geometra scende sino al poeta. Quegli è nel pel sommo grado, sforza l’assenso, dimostra il vero in tutto rigore; la filosofia della evy denza s’appaga, della ragione o per se stesr sa, o con l’ajuto dei sensi, delle osservazioni, delle sperienze applicate a varie scienze; la storia ama il vero, contenta di ricercarlo ton diligenza e senza passione, sicchè niente dica di falso, niente taccia di vero secondo jl detto di M. Tullio. L’oratoria ancor più discreta ammette i pregiudici come stromenr ti de! vero, a cui guida non sol colla ragione, ma colla fantasia, col cuore, e coi sensi. E’seco la poesia per Io stesso scopo, e con più stromenti oltre i detti ed afforzati dal ritmo, e da maggior libertà per domina?
tutto l’uomo, onde detta fu ella sola il linguaggio degli Dei.
NOT A IX. L’estro, i capricci, le bizzarie, i furori, e i trasporti della fantasia riscaldata son cavalli sfrenati, che se non tengonsi bene in briglia, portano il carro e chi vi siede sopra fin di là dalle nuvole, e poi lo traggono giù a terra a rompersi il collo; e pur ser.z’essi non può farsi cosa alcun* che vaglia In somma la poesia, nuisi-sitamente la lirica può quasi cliiamarsl na sogno; che si fa in presenza della ragione; id ella vi sta sopra con gli occhj aperti a rimirarlo, e averne cura; o pure si può di.
re una pazzia di fantasmi stretti a guisa de’ fimosi nei legami del verso, e tenuti, per cosi dire, a scuola di morale, sotto la verga d’un severo giudizio, e sotto gli occhj d’uni perspicace intelligenza.... Talvolta un pensieruccio’di niun conto ci fa un romore in testa, a guisa d’un moscone d’estate chiuso entro una piccola stanza, che va su e giù ronzando per I’aria, finche fermatosi su i vetri o sul muro, si vede esser cosa da nulla ciò che menava tutto quel mormorio. In somma ( come ben osservò Quintiliano ) tutte le cose nostre allorchè ci nascono e ci si muovono per la mente, ci pajon belle, e ci sembran gran cose; onde conviene averle per qualche tempo sospette, finche la mente nost i, cessato l’ondeggiamento de’pensieri, ¡appresemi le cose, com’elle sono. Quindi un lungo, e ostinato contrasto con un vespaio di scrupoli che ti assedia da ogni parte. Una rima ti si è nascosa nel celabro, e Q 4 ìjìNore« sai, che v’è, ma non puoi con verun’arti tirarla fuori dalla sua tana. Un pezzuólo/ di cui non puoi far a meno per chiudere urt verso, ti guasta la ricca veste d’un bel pensiero, nè trovi il modo di nasconderne la cucitura. Un vocabolario senza pietà non vuoi consentirti alcune parole ec. Vedi Ceva Vita Itemene.
NOTA X. II maraviglioso della mitologia divien sospetto alle bell’arti de’tempi nostri,che son più severi per soda, o per vana filosofofia, credendo aprir gli occhi alla ragione, alla criticai alla verità, quasi uscendo dalla fanciullezza, onde non gustano più come prima i prodigi, gl’incanti, e i quadri della fantasia.
Questa in oltre ’che dominava nell’arti colle pitture magnifiche della natura fisicamente considerata dai gran pittori dell’*antichità, non ha più quel dominio, perchè ha troppo moltiplicate, e ripetute le stesse scene, non.
alletta più gli uomini avvezzi ad osservarla d’appresso.; o rimirarne l’organizzazione interna più che la prospettiva, e divien sazievole per coloro che preferiscono il valor intimo dell’idee a! calor vivido dei fantasmi.
II Il sapere va sempre crescendo, onde scemano i nostri diletti fondati in gran parte nell’ignoranza, cui tanto son debitori Omero e que’ primi. Così può dirsi dell’amorosa poesia già tanto in voga in tutta l’Europa, poi divenuta a tutti importuna dopo che son le donne uscite ad associarsi famigliarmente con gli uomini. Ben altro che paladini, cavalleria, eroismi si veggon oggi per cagion loro, < cioè quel maraviglioso de’ nostri vecchi romanzi e poemi, quella sublime passione del Petrarca, e di tutti i suoi compagni eseguaci. Nuovi costumi producono - nuore idee, nuovo stile, nuovi piaceri., siicfiè languisce quella passione, e stancano i suoi voli, le sue estasi, le visioni, e tutta quella divinità concessa alle donne più ritirate, e msn conosciute un dì da vicino.
Tutte omai le finzioni poetiche, tutti gl’idoli, tutti gl’incanti perderan poco a poco di lor possanza sul cuor umano a fronte della filosofìa dominatrice. L’Europa omai ne mostra esempj evidenti di ciò, riè noi non vorremmo esser soli ignoranti e fedeli all’antichità. L’Enrtade vai per molti. 11 maravi-tiglioso di quel poema è sì temperato con la filosofia, le finzioni vi son sì vicine alla vei, rità e le coprono con un velo sì trasparen.
te, la morale, la storia, la politica tanto escludon le favole, e la mitologia; <*he chiaramente apparisce la decadenza del gusto anrico. Ma che abbiam noi guadagnato, dimanda alcuno, per questo gusto più raffinato?
Infino può riflettersi, che la religione cristiana dopo secoli di tolleranza dee nojarsi «na volta di tante menzogne contradditorie e indecenti d’una falsa e pueril religione; benchè strano poi parer possa, che il decoro e la dignità della vera allora ottengano più rispetto tra i letterati, quando questi in cerri paesi, e tra i filosofi di nome soprattutto meno la pregiano, o più mal la professano generalmente. Io pur riflettea tra i calvinisti, che l’immaginazione era annientata senza pompe, spettacoli, cerimonie, immagini, e in chiese ignude, gotiche, non frequentate, come sono le loro storie senza visioni, miracoli, nè alcun commercio col cielo o con l’inferno. La lor riforma spense l’arti per cambiarle colla controversia, e con le dispute re furibonde di penna e di spada. Era ber» meglio, diceva io loro, che soffriste qualche credulità, e aveste de’poeti inermi e pacifici, e lo stesso direi a’ puritani riformatori nell’odierna filosofia. Ma d’altra parte nè culto, nè filosofia, nè moda non prevarranno sul gusto innato che abbiam pel mirabile qual ei si sia. Non sarem più tanto superstiziosi in sortilegi, ed incantazioni, non si vedran fantasime ed ombre ne’ cimiteri si frequentemente, non ogni villaggio avrà il suo folletto, ogni via crociera le sue fate e le sue streghe, non avran tanti e tante veduto o l’orco o la beffana o de’ vampiri. Ma sempre avrem bisogno di una dolce illusione di fantastiche scene di ignoti mondi e personaggi, di falsi terrori e compassioni, e se non altro i malinconici, che non fanno il minor numero, proteggeranno il maraviglioso poetico, e s’è pur vero, che gli uomini sian sempre un pò fanciulli più che non credono, correranno ognora in folla alla lanterna magica ed al teatro de’fantaccini.
NOTA XI. Anche a me avvenne di sentirmi ispirato d’un estro improvviso, e straor1 ordinario là sul Vesuvio una volta, e l’altra vicino alla stupenda.catena dell’alpi detta le ghiacciaie. Nella prima il fuoco, nell’altra il gelo formano due spettacoli veramente grandissimi in ogni lor parte, che traggono a se tanti curiosi, gl’incantano, e fenno attoniti; nè credo v’abbia tin sol uomo, che ivi non facciasi maggior di se, e non senta qualche entusiasmo per quanto ei sia stato ad ogni altro oggetto insensibile, purchè abbia un’anima umana. La terribil fatica, e il lungo cammino, con cui si sale sopra il Vesuvio, e intanto a poco a poco dispone l’anima coll’idea dell’altezza, colla ved-ura del mare soggetto, e de’ paesi, colle ceneri, colla lava, con tanti avanzi abbronziti, e calcinati dalle eruzioni, che rendono la salita difficile, pericolosa, e nuova affatto ) ed incomoda sino a bruciare le scarpe, e via via più deserta, più sterile, più solitaria d’ogni erba, d’ogni albero, d’ogni vestigio d’abitazione umana, e sempre guardando, desiderando, e temendo quella cima sempre fumante, e minacciosa, e lassù giunti quel vasto catino, e conca tutta impressa, e segnata di roro-rompiture, di scabrosità, di precipizi, tutta nera, ed affumicata, tutt’aperta qua e là di fissure, di crepacci, di fumaiuoli, e la gran bocca poi che bolle, che rnugge, che vomita vampe, caligini, fumo, e spesso sassi, bitumi, materie informi, ed ardenti; ed intanto il rimbombo di quelle caverne, lo strepito di quelle fornaci, il suolo stesso non ben sicuro, ma rispondente come metallo alle percosse de’ sassi, che vi si gittano d’alto, unito alla memoria, che ho di vere, o non vere disgrazie ivi accadute, ed al timore di spalancarmisi sotto la gran voragine, o d’investirmi la fiamma, o d’opprimermi un’eruzione; ed il contrasto per altra parte mirando sotto la scena dell’immensa e tranquilla pianura di terra, e di mare, della vasta città di Napoli, delle terre, e dei borghi dispersi, de’ monri e de’ colli d’intorno; in verità fa un effetto, e una sensazione, e un trasporto nell’anima, che t: difficile a definire, ma che è pien di grandezza^ di maestà non mai più sentita... Per.
oppositi mezzi ad un medesimo senso entusiastico, ed incantatore rapisce l’anima quell’?mr ammasso smisuratissimo di montagne agghiacciate} e splendenti, che nell’alpi elvet;ch* stendest più che l’occhio non giugne, e che 1*immaginazione stende all’infinito. La distanza medesima, in cui sei forzato di rimirarle, perchè minacciano di gelarti, più che il Vesuvio d’incenerirti; la solitudine, ed il deserto universale, perchè sono inacessibili, inabitabili, ed inabitate da ogni vivente, e vegetabile; il silenzio però, che ci senti, e la morte, per cosi dire, che vi conosci d’O* gni cosa; le diverse forme, e stranissime figure di quelle punte, di quelle creste, di quelle cime ineguali, e sempre variate dalienevi, dalle pioggie, dai sole, dai nembi d’ogni stagione; ma soprattutto il pensiero, che crescono ogni anno sin dal principio del mondo, e ti pare, che vadano al cielo, come i giganti di Fiegra, accumulandosi l’une, e l’alrre, e montandosi sulle spalle altissime, e smisurate, e quell’altro pensiero, che ali’indurirsi per tanti secoli debbono farsi cristallo, e diamante infrangibile, al che ti guida il vedere mille piramidi, torri, colonne di gelo alia luce del sole in mille guise, e colori lori rifrangere come prismi, e sfavillar come Specchi tersissimi; e quell’altro pensiero,che al liquefarsene poco a poco le schiene più esposte al sole la state ( esalando un fumo densissimo, qual di fornace le valii profonde, e quel lago immenso di ghiaccio, che cingono per tante miglia sull’alto, come ascolti da’ testimoni di vista ), ne scendono vene inesauste d’acque perenni, donde prendon sorgente, e corso i più gran fiumi d’Europa, co’quali trascorre il tuo pensiero provincie, e regni, e il veder tratto tratto orribili fenditure, e il farsene spesso dall’aria compressa, e dall’azione del sole, scoppiando allor con rimbombo quasi di molti can* noni, ed echeggiando la gran catena per molte miglia, e sentendosi vero tremuoto a gran distanze, e mille altri pensieri, e tutti grandi per grandi obbietti, che ti nascono ia mente a quella maravigliosa, ed unica scena; fan, che l’anima perdasi estatica di maraviglia, e dimentichi lungo tempo se stessa. Ed io mi son quasi perduto, e dimenticato parlandone, perchè mi sembra, che in vece d’altre ragioni è più efficace a spiegar la la forza de* grandi obbietti sull’anima il far.
li vedere, e sperimentare al vivo, e così far sentir l’entusiasmo, che destano, e che in< loro egli cerca, e gode cupidamente.
NOTA XII. Altri dica che il mio cuor dolce non è seiua amarezza, poichè spesso fo uso della critica nel mio scrivere in verso o in ’rosa. Nè io noi nego, ma spero ancora che sia ben inteso il termine di critica, non essendo già lo stesso che satira, ingiuria, malignità. Un cuor ardente dell’amor delle lettere, della patria, e degli uomini grandi, cd autori eccellenti, desso è che congiunta ad un indole schietta e leale fa censurar facilmente e con qualche sdegno e l’opere, e gli scrittori, gli abusi, le mode e l’imposture nemiche al buon gusto, e all’onor patrio. Più spesso nulladimeno e più volentieri esalto il merito vero, e gl’ingegni preclari senza parzialità, senza gelosia. Qualche pò di ridicolo sparso sopra gli scritti corrompitori della buona letteratura meglio istruisce, che non i precetti la gioventù, che può esser sedotta, e che muove Io zelo d’ogni animo onesto, e sincero. A questo zelo nulladímeno grida Velie jo Patercolo pensa bene a’ casi suoi, la censura de’vivi autori e pericolosa. Ma di qual censura si parla? Non certamente di quella, che a’corvi perdona, e alle colombe fa guerra, come dice un’altro antico: neppur della satira, che mai non conobbi, e che sempre detestai, massimamente dopo aver sentito gli stessi Frugoni ( 1 ) pentirsene, e i Voltaire confidentemente. Parlasi adunque della critica vera, ciot: di quella, che taglia bensì qualche ramo degli allori sul capo altrui, ma col fine assai spesso di farli meglio ripullulare e con più fermezza e con più gloria su le fronti onorate de’ veri talenti. Questa mia censura, e non altra in versi e in prosa esercitai di buon’ora, e non ne sento rimorso.
Parlando di me non debbo dire di più.
NOTA XIII. II piacer che sentiamo nelle passioni afflittive, e davanti agli oggetti te r( 1 ) Non solo in voce, ma scriveami ancora: La Fescennina licenza sarebbe delitto, e lo è infatti ovunque costumato e gentile è il modo di vivere. Lettera da Genova 175a, Tomo III. R terribili è ma! collocata da Lucrezio neli’a.
mof proprio, onde godiamo della nostra sicurezza tra le disgrazie altrui. Chi può riflettere freddamente a tal confronto in tanta commozione di tutta l’anima? Que’ bei versi sitane mari ’magno &c. son proverbio per la moltitudine, che non penetra addentro.
La mia sicurezza t; una condizione senza cui non godrei, non e la causa del mio godimento. Par più verisiinile e naturai cagione di ciò quel di’etto proprio dell’aiiima nel sentire la’ sua attiviti, intelligenza e vira sensibile nei titillaimnto deile sue passioni, e della pietà e timore principalmente, come avviene in quei casi, e nello scuotersi dall’inerzia, e dall’indolenza nemiche alla sua natura vivace. Un tal esercizio moderato deile nostre facoltà più care e più intime a noi, ecco il fondamento del piacere nella tragedia, neile descrizioni e ne’quadri dell’incendio diTroja, della strage degl’innocenti, della spelonca di Caco, e della vista del suo cadavere, ecco il segreto, che rende si avidi anche i fanciulli degli oggetti che gli spaventano, che guida il popolo a veder i supplic;, le pugne degli animali e de’ è de’gladiatori, che spiega infine il bel verso del Tasso: E di mezzo all’orrore esce il diletto. Questo poi è un diletto che fa onore al cuor umano, che lo rende geritile, e il raffina dilicacamente. Non so! compatisco, ma’ godo nel compatire, sento d’esser uomo, e mi compiaccio cibila mia emaniti. Quanti* è mai glorioso, che questo termine spieghi insieme la natura dell’uomo e la sua bontà per altrui, quasi esser uomo sia lo stesso ch’esser buono. E vi sarà cui spiaccia un tal affanno del suo cuore, che voglia cambiarlo coll’ambizione, colla ricchezza, colla potenza, che nulla sentón d’umano, che son nijniche dell’umanità} Un Nerone, un Dior.ìgio, un Cromuel fanno orrore. Interroga il tuo cuore e troverai che non è un male per lui questo nobil dolore, che l’eccitarlo co’.le belle arti divien nobilissimo impiego,che ancor perciò son benemeriti dell’uomo, e della virtù poeti, pittori, e oratori principalmente. Pensasti mat alla forza che fanno al tuo cuore gli argomenti lugubri di religione nelle prediche de’ novissimi ben maneggiati?
Il lungo uso di meditarli, ascoltarli e predicar-N o T E I carli m’ha fatto riflettere ad un segreto dei cuor umano, che qui viene acconcio. Ohd’è quel piacer profondo, che mi commove e penetra tutto in que’ terribili e mesti pensieri, che m’umiliano insieme, e mi conturbano, eppur non so distaccarmene, e parmi in lor riposare? Non è l’arte dell’oratore, se io li inedito da me solo, g se più son forti quanto men arte e più semplicità ci pone chi parla. La lor forza è dunque in loro stessi, e nel mio cuore, e qui non bastagli Io scuotimento, come in altre occasioni, 2I goder ch’egli fa intimamente, perchè trattasi di gran verità, di propri interessi reali, e di somma importanza per ciascuno. Dovrebb’essere vero dolore, vera tristezza, verissimo patimento dell’anima minacciata, umiliata, il- quasi talor disperata. Pur con quanta avidità si lesser da tanti le notti d’Young, come le prediche più patetiche, ed anzi più spaventose incantano l’uditore! Kia come ’, inai ciò avviene a chi si sente umiliato co’ termini di peccatore, vii verme, cenere e polve, ignudo d’ogni bene, destinato al fango donde uscì, e trovasi in una carcere, {{Pt|NóT¿.i4j catene, in valle di pianto, in notte tenebrosa, giuoco delle passioni, schiavo degli appetiti brutali, pien d’ignoranza, di contraddizione, d’iniquità, e presto ad esser gittato in eterni supplici. Tali oggetti pir troppo veri, io ripeto, come fanno più grande, e più bella l’eloquenza sacra, sicchè et corriamo in folla’? Io parlo all’umana, e rispetto la parte che ha’ in ciò la grazia, e Dio per non profanarne la sanrirà. Ma fuor di ciò parmi ancor, umanamente parlando, sentire il sublime nella mia stessa umiliazio’* ne e tristezza, ingrandendo l’immaginazione in una scena, che in mezzo al lugubre, e^ al terribile mi presema in prospettiva un gran destino dell’anima; la sua immortaliti, la prima origine, e la storia’ del genere e delle vicende umane sino ab’antico, e scorrendo con esse i secoli trapassati, e i futuri fino in seno ¿’eternità. Qui mi commovo e risentòmi profondamente tra il timore del mio naufragio, e la speranza in me più possente del perro, tra la morte del corpo, e la vita miglior deilo spirito immortale, della sua pace, litizia, e libertà, cui per } intimo Utic-istinto’ anelo, e per cui sento esser fatto ir) fondo al cuore. Ed ecco ii segreto di questo cuore.
Ma senza metafisica il fatto e la sperienza ci convincono, che una tempesta di mare, un incendio, una battaglia non son descrizioni soltanto cei turbati elementi, e dello scompiglio di cose inanimate, come le fanno i principianti, e gli animi freddi e tranquilli, ma divengono in man del vero poeta scene patetiche, scene terribili, scene animate colla passione inverso;.i nostri simili posti in pericolo^ d’una madre col suo bambino da fiamme involti, di due amici, di due sposi disperati in mar fremente di salvarsi, cercando scampo l’uno all’altro, od abbracciandosi per mGrir insieme, i marinai co’passaggeri levando al ciel le man], gittando merci, abbrancando una tavola fra pianti e gridi; così in battaglia i mucchi de’morti, il gemere de’ feriti, ogr.un lordo di sangue e di polve, chi diviene amico, chi pietà implora, chi offre tesori, chi li ricusa, chi uccide barbaramente, chi eroicamente perdona ec. Ecco un teatro di passioni, che sol era di movi-vimenti, ecco l’iliade piena di compassione e di terrore, che son ben altro che il fischio de’ venti, il furore dell’onde, lo stridor delle vampe, il calpestio de’cavalli. Ecco Ettore-, e Priamo, ed Achille e Andromaca, Bidone ed Enea, Ni so ed Euri alo, e cent’altri. Tutto vive, tutto commove, tutto va al cuore. Anche fuori di questi oggetti più strepitosi, anche ne’ più tranquilli della notte, del sonno, della solitudine, del silenzio, che per via più segreta vanno al cuore, se non l’agito, se non lo scuoto per gli affetti, indarno pingo le tenebre delle boscaglie, l’orror del deserto, una grotta, una prigion sotterranea, nò, non basta, che sciolga i venti ad incendiare una selva, che chiami le fiere e le faccia urlare, che versi torrenti e siano pur goni; e romorosi; se non ci passeggiano jn mezzo, e. non gli avvivino le passioni, non farò mai nobil pitture, nobili poesie per la più nobil parte di me, pel mio cuore. ANALISI DELL’ENTUSIASMO DELLE BELLE ARTI.
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