Contributo alla storia della moneta romana da Augusto a Domiziano
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Augusto nell’anno 739 (15 a. C.) avocò a se il diritto di coniar l’oro e l’argento e dette al Senato la facoltà di emettere le monete di bionzo. Per effetto di tale ripartizione i tresviri monetales di quell’anno poterono segnare i loro nomi soltanto sul bronzo, e così continuarono, fino a quando perdettero anche questo privilegio nell’anno 745 (9 a. C), il quale segna il principio della vera monetazione imperiale. Quest’atto di Augusto che rappresenta un momento così importante per la storia della moneta romana e che non è certo il meno notevole fra quelli che segnano il passaggio in Roma dal regime repubblicano al regime imperiale, lo rileviamo per via indiretta dallo studio dei monumenti numismatici, non già dalle fonti letterarie. Discordi perciò sono le opinioni dei dotti, che potrei citare, se non deviassi dal cammino propostomi. Il mio scopo è quello di toccare alcune questioni molto controverse nel campo della numismatica imperiale, e dovendo entrare in argomento, ho citato l’opinione del Mommsen2 che mi pare la più accettata. Non è a credere però che l’imperatore, cedendo al Senato il diritto di coniare il bronzo, non esercitasse tuttavia la sua sorveglianza su quella coniazione. Una valida conferma ci è data non solo dalle iscrizioni, nelle quali il capo della zecca imperiale è detto exactor auri argenti aeris3) ma più ancora dalla Numismatica stessa, a mio credere. Le numerose monete di bronzo riconiate dagli Augusti in memoria dei loro predecessori, dette monete di restituzione, portano sempre impresso sul rovescio il nome di colui il quale restituit, e similmente le contromarche ci ricordano il nome dell’imperatore che le fece segnare; il che dimostra che questi disponeva della coniazione del bronzo e che il Senato era ad essa preposto solo in quanto ne era stato da lui incaricato.
Nell’anno 739 (15 a. C.) fu ripresa in Roma la coniazione del bronzo che al tempo di Siila era stata soppressa. Furono coniati l’asse, il dupondio, il sesterzio, equivalente a quattro assi e del peso di un’oncia (gr. 27, 29). A questo riordinamento della moneta di bronzo va connessa una riforma di somma importanza, la quale vige in tutta l’epoca imperiale, fino a quando, per la crisi economica del III secolo, il bronzo acquista valore nominale. La riforma di cui parlo, accennata di sbieco soltanto da Plinio, benché nota a quanti hanno studiato le monete dell’Impero, non è stata presa nella debita considerazione, e perciò alcuni punti di quella monetazione sono rimasti finora oscuri. Le parole di Plinio sono queste: (Aes cordubense) a Liviano cadmeam maxime sorbet et orichalci bonitatem imitatur in sestertiis dupondiariisque, Cyprio suo assibus contcntis4. Donde emerge che nell’Impero il sesterzio e il dupondio erano di oricalco, l’asse di rame puro. L’oricalco al tempo di Augusto non è che il rame in lega con lo zinco (in seguito fu aggiunto anche un po’ di stagno) ha un colore giallognolo, quasi come l’oro, ed è lucentissimo. Per questa sua ultima qualità era molto apprezzato dagli antichi. Procopio dice che esso non era inferiore all’oro pel colore né all’argento pel valore5. Nell’editto di Diocleziano6 si legge che l’operaio guadagnava sulla libbra di oricalco un quarto di paga più che sulla libbra di rame7. Stante adunque il pregio che questo metallo aveva nell’antichità, è lecito ammettere che alterare l’oricalco dei sesterzii e dei dupondii valesse come alterare un metallo prezioso; così si spiega come questo metallo, non altrimenti che l’oro e l’argento, segua le vicende economiche dell’Impero e la sua alterazione sia indizio di strettezze finanziarie.
La testimonianza di Plinio è vera, verissima, come dimostreremo in seguito; però nello studio delle monete sorge una grave difficoltà. Il sesterzio, come nominale massimo della moneta di bronzo, è riconoscibile ad occhio nudo, così pel modulo come pel peso, ma è ben diverso quando si è al dupondio ed all’asse. Entrambe queste monete sono del medesimo modulo; l’unica differenza è quella del colore, essendo l’una di color giallognolo, proprio dell’oricalco, l’altra di colore rossastro, proprio del rame puro. Se non che neppure questa differenza è costante per due ragioni notissime: l’una, che col volger degli anni il pezzo metallico si è rivestito di una patina, per lo più verde, la quale e’ impedisce di distinguere il colore del metallo; l’altra, che non sempre i dupondii sono di oricalco, assai spesso sono di pessima lega che si confonde col rame puro. Comunque sia la cosa, il certo è che finora non si è riconosciuto quali siano i dupondii, quali gli assi coniati da ciascun imperatore, e i numismatici si sono contentati della inetta divisione, per dirla col Borghesi, in bronzo grande, medio e piccolo.
La questione però non è tanto ardua quanto potrebbe parere a primo aspetto. I dupondii di certi imperatori si riconoscono alla testa radiata, gli assi alla testa laureata, il che è costante nella monetazione di Nerone e dei Flavii, quantunque per questi abbiasi a notare qualche eccezione. Ma come fare per i primi quattro imperatori, per Galba, per Vitellio? Se l’oricalco non fosse stato alterato notevolmente, come dicevo poc’anzi, la distinzione dei dupondii dagli assi potremmo farla con maggiore facilità, affidandoci al colore. Ciò non pertanto, senza dissimularmi le difficoltà di una tale ricerca, sono entrato da qualche tempo in questo arringo, con l’idea di scoprire quanto vi fosse di vero nelle parole di Plinio, e potendo disporre liberamente, per cortesia del Prof. Giulio De Petra, di un materiale scientifico assai considerevole, qual è quello della collezione Santangelo, di cui già da un anno attendo alla compilazione del catalogo, nonchè della ricchissima collezione del Medagliere di Napoli, sono arrivato a risultati che mi paiono soddisfacenti.
Cominciando dai bronzi d’Augusto, ho diviso i sesterzii da quelli che generalmente si chiamano medii bronzi, dei quali ho fatto una seconda classificazione, dividendoli alla meglio in medii bronzi di metallo rossastro ossia rame puro e medii bronzi di metallo giallognolo ossia oricalco. Ebbene, dopo questo lavoro paziente sono arrivato a scoprire che i pezzi di rame puro hanno la testa di Augusto al diritto e due lettere S • C nel mezzo del rovescio, con intorno il nome dei suoi monetieri ovvero la leggenda PONTIF • MAXIM . TRIBVN • POT • XXXIII; i pezzi di metallo giallognolo hanno tutti nel diritto la corona di quercia colla scritta AVGVSTVS • TRIBVNIC • POTEST (in tre linee) e al rovescio le due lettere S • C nel mezzo, anche coi nomi dei monetieri. Il risultato di questa mia ricerca è tanto più convincente, in quanto le due specie monetali hanno tipi diversi, ed io penso che la diversità di tipo poteva solo essa lasciar distinguere prontamente ad occhio il dupondio dall’asse, quando l’asse e il dupondio aventi lo stesso modulo si potevano facilmente confondere negli scambii quotidiani. Io intendo parlare di quella diversità esteriore che si mostra agli occhi di tutti e che sola fa distinguere talvolta una moneta dall’altra. Che se poi vogliamo trovare le vere differenze sostanziali fra il dupondio e l’asse dell’impero, basterà studiarne il peso e la qualità del metallo.
L’Eisenschmidt8 limita il peso medio del dupondio a 16 gr. e quello dell’asse ad un peso oscillante fra i 12 e i 14 gr. Gli assi e i dupondii da me pesati nella Collezione Santangelo ammontano a parecchie centinaia ed ho constatato che l’asse supera poche volte, almeno in questo periodo del quale mi occupo, il peso di gr. 12,50 e il dupondio scende poche volte a questo peso mantenendosi sempre fra i 13 e i 15 gr. L’oricalco di Augusto è di ottima lega che lo fa essere lucentissimo; un sesterzio col nome di C. Cassius Celer contiene, secondo l’analisi del Phillips, 82,26 di rame, 17,31 di zinco. 0,35 di ferro9.
Con Tiberio comincia l’alterazione di questo metallo. Quella lucentezza che tanto pregio. gli accresce nei bronzi di Augusto si desidera in un gran numero di bronzi di questo imperatore. O fosse per istrettezze finanziarie o per frode del governo, il che sarà chiarito in seguito, tanto i sesterzii quanto i dupondii di Tiberio sono in minima parte di oricalco puro; un numero grande di essi è di rame misto ad una piccolissima porzione di stagno e zinco o è quasi addirittura di rame. Qui crescono le difficoltà della nostra ricerca, tanto più che spesso, per effetto dell’uso o per l’azione del tempo, lo strato superiore di oricalco scomparve, rimanendo scoperto il rame puro. E a deplorarsi che analisi quantitative dei bronzi imperiali non se ne siano fatte in abbondanza e che quelle del Phillips e del Göbel, riferite dal Mommsen, siano assai insignificanti10. Tanto l’uno quanto l’altro analizzarono quei bronzi che spiccavano fra gli altri per la loro lucentezza; ma per formarsi un giudizio esatto occorrerebbe analizzare non meno di sei pezzi per ciascun imperatore, con la scorta di un esperto numismatico.
Quel che ho detto per i bronzi di Tiberio lo ripeto per quelli di Caligola, specialmente degli ultimi anni del suo impero, perchè nei primi anni è notevole un miglioramento nella lega, nel peso e un po’ anche nella tecnica. Ad esempio, fra i sesterzii che hanno sul rovescio le tre immagini di Agrippina, Drusilla e Giulia vi sono alcuni esemplari di un’arte veramente bella. Le monete degli ultimi anni mostrano invece poca arte e metallo di lega scadente.
I cattivi effetti di questa frode dello Stato sotto Tiberio e Caligola incominciarono a manifestarsi con Claudio, il quale tentò di porvi un argine. Studiando la serie dei suoi bronzi ho notato che i sesterzii e i dupondii coniati nei primi anni del suo impero sono di peso giusto e di lega non dispregevole. Senza l’aiuto di nessun monumento, questo dovrebbe intendersi avvenuto non per legge, ma per quella consuetudine che i monetieri avevano di emettere sempre buone monete col novello imperatore. Per Claudio invece abbiamo i monumenti numismatici stessi i quali attestano che egli con una legge elevò il peso delle monete e forse tentò una riforma monetale che non ebbe nessun buon successo. I monumenti sono certi piccoli bronzi, che più in là vedremo essere dei quadrantes, non già dei semis, come si è creduto finora, dei quali ecco la descrizione:
- D/ – TI • CLAVDIVS • CAESAR • AVG • Bilancia che è tenuta in equilibrio da una mano, sotto la quale si leggono le tre lettere P • N • R •
- R/ – PON • M • TR • P • IMP • COS • DES • IT • (leggenda circolare). Nel mezzo S • C11.
Noi accettiamo la interpretazione delle sigle P • N • R • data dall’Eckhel, che concorda col simbolo della bilancia, e leggiamo con lui pondus nummi restitutum. Ecco come il quadrans descritto ci ricorda che negli ultimi mesi del 794 (41 d. C.) Claudio riformò il peso della moneta di bronzo, scaduto dopo la morte di Augusto. Quest’atto di Claudio è poi connesso ad un riordinamento generale dei pesi dell’impero, da lui tentato, come dimostra il Mancini a proposito di una lapide12. Il tentativo di Claudio andò fallito; per qualche anno ancora la monetazione del bronzo procedette regolarmente, ma poi decadde, come non era mai fino allora avvenuto. In mezzo a questa decadenza non è meraviglia che molte monete siano di fabbrica rozza, quasi barbara. Non credo di andare errato se dico che, profittando della inettitudine di quell’imperatore e della debolezza e del disordine del governo, si sia tentato di coniar monete imperiali con le lettere S • C fuori di Roma.
Una riforma radicale pareva necessaria e questa non poteva tentarla un imperatore debole come Caligola o Claudio: la riordinazione della moneta di bronzo fu eseguita sotto Nerone. Si vuol rimproverare a questo imperatore la riduzione del peso del denaro e dell’aureo, ma non mi consta che si sia mai parlato della sistemazione delle monete di bronzo a cui accenno. Due furono, a mio credere, le ragioni che lo indussero a tentarla: l’avvilimento nel quale era caduto l’oricalco; la necessità di dare al dupondio un segno che lo facesse distinguere a prima vista dall’asse. Con Augusto queste due monete si distinguevano facilmente, come ho detto di sopra; ma ben presto non fu così sotto Tiberio, Caligola e Claudio: dupondii ed assi erano quasi la stessa cosa e per conseguenza si confondevano. La serie dei bronzi di Nerone è una delle più ordinate ed esatte che si conoscano. Fu abolito il pessimo uso invalso di coprir d’oricalco il rame nei dupondii e nei sesterzii, usando per cjuesti una lega nella quale entravano rame, zinco e stagno a un dipresso nelle seguenti proporzioni: rame 81,07; zinco 17,81; stagno 1,05. Ad evitare scambii fra i medii bronzi fu impressa sui dupondii la testa radiata, sugli assi la testa laureata dell’imperatore. Un altro pregio dei bronzi di Nerone è la bella tecnica. Egli che era ammiratore dell’arte greca, chiamò buoni artisti a lavorare i conii, cercandoli fors’anche nella Grecia, perchè alcuni sesterzii hanno la testa lavorata con molta maestria, il qual pregio quasi sempre si desidera sulle monete degl’imperatori.
Ma veniamo a studiare più da vicino la serie di Nerone. Di lui conosconsi sesterzii, dupondii, assi e frazioni dell’asse. Il sesterzio conserva il peso di gr. 27,29 che aveva sotto Augusto, il dupondio quello variante dai 13 ai 15 gr., con la testa radiata, l’asse quello variante dai 9 ai 12 gr. 50, con la testa laureata. Alcuni medii bronzi hanno nell’esergo del rovescio due lineette verticali, segno del dupondio (Tav. V, n. 1)13; alcuni altri, di un modulo che sta Ira i medii e i piccoli bronzi, ne hanno una sola, segno dell’asse (Tav. V, n. 2 e 314. Sarebbe lecito domandare perchè non si trovi il segno di valore anche sui sesterzii. La risposta viene da se, considerando che il segno di valore sulle monete di Nerone ha lo scopo di evitare che avvenissero scambii fra l’asse e il dupondio: il sesterzio non si poteva confondere con nessun’altra moneta, perciò non ne ha.
I bronzi con una sola lineetta nell’esergo sono stati oggetto di lunghe ricerche per i più grandi numismatici. Giova premettere che essi sono di oricalco ed hanno sul diritto la testa or laureata or radiata di Nerone e nel rovescio o la leggenda GENIO AVGVSTI col tipo del Genio di Nerone sacrificante presso un’ara, ovvero la leggenda PONTIF • MAX • TR • P • IMP • P • P col tipo di Nerone laureato che canta al suono della cetra. Nella categoria di queste monete vanno alcuni bronzi di Vespasiano (Tav. V, n. 11) e di Traiano dello stesso modulo e peso, ed, aggiungo io, dello stesso metallo, che hanno nel diritto la testa dell’imperatore, nel rovescio una corona di quercia con in mezzo le sigle S • C15. Tanto le prime quanto le seconde hanno il peso medio di gr. 7,00, peso di molto inferiore a quello degli assi ordinarli di 12 grammi; eppure il segno di valore è troppo eloquente, per negare che sono degli assi. Il Borghesi non tenne conto della qualità del metallo, e non potendo supporre che fossero semis sia pel segno di valore che avevano, sia perchè il semis di Nerone ha un peso di gran lunga inferiore, argomentò che queste monete fossero i veri e soli assi dell’impero e che tutti i medii bronzi fossero indistintamente dupondii16. Così veniva ad asserire che soltanto Nerone e Traiano coniarono assi nell’epoca imperiale e che la testimonianza di Plinio era falsa. Il Mommsen critica quest’opinione del Borghesi senza però sostituirne un’altra. È probabile, dice, che Nerone e Traiano i quali alterarono la moneta, anzi il primo si arrogò il diritto di coniare il bronzo, abbiano fatto egualmente diminuire il peso e il modulo delle monete di bronzo17. In tal modo il grande numismatico non solo non dissipa il dubbio, ma afferma cosa contraria al vero, per la ragione che i bronzi di Nerone sono di assai giusto peso.
La fitta nebbia che avvolge queste poche monete non potrà dissiparsi, se non si tien conto della qualità del metallo, alla quale nè il Borghesi nè il Mommsen nè alcun altro ha mai pensato. Notavo poc’anzi che esse sono di oricalco18, di quello stesso metallo dei dupondii e sesterzii, che valeva assai più del rame. Plinio dice che l’asse dell’impero era di rame puro (Cyprio suo assibus contentis) e tutti gli assi sono di quel metallo. Ma con Nerone un picciol numero di assi fu coniato in oricalco, e propriamente quelli col Genio augusto e con la figura di lui nelr atto che dava prova della sua abilità d’istrione, nella quale tanto bramava d’avere il primato. Le monetine in questione sono dunque assi, non però i soli assi ne dell’impero ne di Nerone. Accanto ad essi vi erano gli assi di rame puro, i quali non occorre studiare partitamente, essendo riconoscibili alla testa laureata. Nella serie di questi collocheremo alcuni bronzi dello stesso tipo delle monetine di cui ci occupiamo e quindi maggiori di modulo e di peso19; i quali bronzi, molto rari, hanno anch’essi talvolta il segno di valore che il Cohen credette di dover attribuire ad errore del monetiere20. Dunque al tempo di Nerone furono coniati gli assi di oricalco accanto agli assi di rame puro, e quelli dovettero avere, come metallo più raro, un peso minore di questi; gli uni pesavano in media 7 grammi, gli altri 12 grammi.
Giacché siamo a parlare di Nerone, qui, più che altrove, trova il suo posto una questione ben più grave, la questione dei così detti piccoli bronzi o frazioni dell’asse. Quali frazioni dell’asse furono battute nell’impero? Il Borghesi risponde che il semis trovasi da Augusto ad Antonino Pio e che il quadrans, almeno col nome degl’imperatori, non fu più coniato dopo Traiano21. Il Cavedoni non si diparte da quel che afferma il Borghesi22. Il Mommsen enumerando le specie monetali coniate nell’impero, dopo aver citato il semis, dice che probabilmente fu coniato anche il quadrans23 e in una nota riferendo due passi, uno di Plutarco, l’altro di Gaio, i quali attestano l’esistenza dei quadrans, dice che non sono decisivi e se ne sbriga24. Difatti leggendoli accuratamente mi sono convinto che questi due passi sono così indeterminati, da non potersi punto riferire all’epoca imperiale più che all’epoca repubblicana; anzi quello di Gaio riguarda certamente questa. Io qui mi domando: trattandosi di una questione la quale riguarda monumenti che abbondano nei nostri Musei, perchè arzigogolare sulle testimonianze classiche? Facciamoci sul terreno dell’esperienza, interroghiamo e confrontiamo tra loro le monete, le quali, come ci hanno risposto pei dupondii e per gli assi, così potranno risponderci egualmente per le frazioni dell’asse. Il punto di partenza sia la serie monetale di Nerone, come quella che è la più perfetta nel primo secolo dell’impero. In essa trovo una lunga serie di frazioni dell’asse che io così dispongo in ordine di peso, di metallo e di modulo:
I piccoli bronzi di oricalco, pesanti gr. 4,47; 4,15; 3.93; 3.91; 3.55; ... 3.17. ecc.
II „ „ „ pesanti gr. 2,58, 2,12, ecc.
III „ „ di rame puro pesanti gr. 6,13; 6,08; 5,47; 4,86, ecc.
IV „ „ „ pesanti gr. 3,22; 3,06; 3,00; 2,70, ecc.
Queste quattro categorie di frazioni si possono suddividere in due: la prima e seconda comprendono monetine di oricalco, la terza e quarta monetine di rame puro.
La differenza di metallo è una qualità da non trascurarsi, specialmente quando essa ci ha menato sulla via di riconoscere gli assi di oricalco. Io dico che non può essere casuale la concordanza costante del tipo e del metallo in certe monete.
Le prime due serie di frazioni, che sono in oricalco, le metto in rapporto con l’asse di oricalco, pesante gr. 7,00, col dupondio, e col sesterzio; le due ultime le metto in rapporto con la moneta di rame puro, cioè con l’asse pesante gr. 12. Per conseguenza le monetine di gr. 4,47; 4,15; 3,93; 3,91... del numero I (Tav. V, n. 4 e 5) e quelle di gr. 2,58; 2,11, ecc., del numero II (Tav. V, n. 8 e 9) rappresentano altrettante metà e quarte parti dell’asse di gr. 7,00, talvolta un poco eccedenti, tal’altra un po’ scarse, e chiameremo semis le prime, quadranti le seconde. I segni del valore impressi su talune di esse, vengono a confermare mirabilmente il risultato di questa ricerca. La S che sta sul rovescio delle monetine dal tipo della tavola dei giuochi e l’iniziale della parola semis, nella quale interpretazione tutti convengono; ma io son lieto di avere scoperto che le monetine appartenenti alla serie dei pesi più piccoli hanno nel rovescio tre globetti , segno evidente del quadrans, e di poter affermare sicuramente che esse sono dei quadranti25.
Veniamo alle monetine dei numeri III e IV. Sono tutte di metallo rosso e dovremo metterle in relazione con gli assi di metallo rosso, pesanti gr. 12,00. Allora sarà facile scorgere che quelle del numero III (Tav. V, n. 607) sono dei semis perchè pesano in media grammi 6, proprio la metà del peso degli assi di rame puro; quelle del numero IV (Tav. V, n. 10) sono dei quadranti, perchè pesano proprio la quarta parte della stessa moneta.
La presente ricerca ci permette poi di lare le due considerazioni seguenti:
a) che durante l’impero di Nerone l’asse, il semis, il quadrans furono battuti in oricalco e rame;
b) che non ostante i semis e i quadranti avessero un piccolo divario di peso e di modulo, pure si potevano distinguere facilmente ad occhio nudo, avendo gli uni sempre la testa dell’imperatore impressa, gli altri no26.
Compendiando ciò che si è detto sulle monete di Nerone, possiamo dividere i bronzi dell’impero, da Nerone in poi, nelle due seguenti categorie, in base alla differenza di metallo:
Monete di oricalco | Monete di rame. | ||||||
sesterzio | pesante | gr. | 27,29 | ||||
dupondio | „ | „ | 13,645 | ||||
asse | „ | „ | 7,00 | asse | pesante | gr. | 12,00 |
semis | „ | „ | 3,41 | semis | „ | „ | 6,00 |
quadrans | „ | „ | 1,70 | quadrans | „ | „ | 3,00 |
Onde risulta che l’oricalco aveva un valore quasi doppio del rame puro, come per altro ha già osservato il Mommsen27.
Risaliamo ora ai primi quattro imperatori e studiamo le loro frazioni dell’asse.
Per Augusto noteremo che vi ha una sola serie di frazioni, tutte di metallo rosso e oscillanti tra i grammi 3,50 e 2,50, le quali hanno i nomi degli ultimi monetieri di Augusto e tipi diversi28.
Tiberio non coniò frazioni dell’asse29.
Con Caligola ricompaiono, tutte di un unico tipo e di metallo rosso30, pesanti come quelle dei monetieri d’Augusto.
Lo stesso è a ripetersi per quelle di Claudio innanzi descritte31.
Dietro l’autorità del Borghesi e del Cavedoni32 si è da tutti ritenuto che le frazioni dell’asse di Augusto, Caligola e Claudio fossero dei semis, e siccome frazioni di peso più piccolo che si riferiscano all’età di quei tre imperatori non ve n’ha, si deve inferire che il quadrans non fu coniato prima di Nerone. Come arrivasse il Borghesi a formarsi questa opinione, non so. Il CJavedoni accettando l’opinione del primo, cerca di confermarla col confronto delle monete giudaiche; ma chi ben consideri quel che egli dice, potrà coglierlo in contraddizione. 11 semis è poco ricordato dagli scrittori33; non è così pel quadrans, il quale anzi è mentovato due volte negli Evangeli34 e parecchie volte dagli scrittori profani. Il Cavedoni prendendo a base del ragionamento i due passi biblici che sono riferibili all’età di Augusto e di Tiberio, sostiene che certe monetine giudaiche, allora in corso, equivalessero al semis, altre al quadrans imperiale. Ma come può egli stabilire confronto di sorta, se altrove ha detto che il quadrans non fu battuto sotto Augusto? Come mai S. Marco poteva paragonare il λεπτόν ebraico con una moneta che non era in corso nell’impero? E più ragionevole, stante che le parole del Vangelo sono troppo esplicite e che il semis non è quasi mai citato dagli scrittori dell’epoca imperiale, è più ragionevole ravvisare nelle monetine di Augusto, e quindi di Caligola e Claudio, dei quadranti, non già dei semis. Contentiamoci per ora di questa ipotesi, che subito verrà dimostrata in varii modi. Secondo il Borghesi e il Cavedoni le frazioni dell’asse dei monetieri d’Augusto sono l’ottava parte del nuovo sesterzio di rame, vale a dire che otto di esse, formanti il peso di gr. 25 o poco più, equivarrebbero ai gr. 27,29 del sesterzio di oricalco; il che non si può ammettere dopo aver constatato che l’oricalco aveva un valore doppio del rame. Un’altra prova la trarremo infine dal confronto con le monete di Nerone. A quale delle quattro serie dei piccoli bronzi di Nerone ascriveremo le frazioni dell’asse che stiamo studiando? Io non esito a metterle a canto a quelli del numero IV e ritenerle dei quadranti, come aventi lo stesso peso e la stessa qualità di metallo.
Il riordinamento apportato in generale alle monete di bronzo nell’età di Nerone35 segna il principio di una monetazione regolare che dura fin oltre i Flavii. In questa non comprendo evidentemente le monete di Galba e Vitellio, non ostante siano esatte quanto al peso; la brevità del governo di questi due imperatori, che durarono pochi mesi a capo dello Stato, non permise loro una regolare emissione di monete. 1 dupondii non hanno mai la loro testa radiata, ma sempre laureata, come sulle altre monete.
Fra i successori di Nerone quelli che meglio si attennero all’ordinamento di lui furono i Flavii. I dupondii di Vespasiano hanno sempre la testa radiata dell’imperatore, compresi quelli coniati dai suoi figli, lui vivente, con la loro immagine36. I piccoli bronzi dei Flavii sono molto rari, ma rispondono, per peso e metallo, a quelli di Nerone. Se non che Domiziano pare che abbia introdotto una lieve modificazione al tipo del semis, il quale non ha sempre nel diritto l’immagine dell’Imperatore, ma spesso anche quella di qualche divinità.
CAPO II.
Nel principio del capitolo precedente abbiamo osservato che il bronzo dell’impero veniva emesso
dal Senato, l’oro e l’argento dell’imperatore direttamente. In questo capitolo terremo parola di alcune eccezioni alla regola generale, che fanno qua e là capolino, e di esse alcune trovano la loro spiegazione, altre devonsi attribuire all’arbitrio. Per verità fino a quando si trattasse di bronzo coniato dall’imperatore senza il segno dell’autorità del Senato, ciò non dovrebbe sorprendere gran fatto, perchè non dobbiamo dimenticare che la coniazione delle monete è stata sempre una prerogativa dell’autorità suprema in ogni stato, e l’imperatore coniando il bronzo non commetteva un abuso vero e proprio, ma non faceva che usare di un diritto da lui ceduto. Abuso e, a mio credere, quello del Senato che talvolta coniò l’oro e l’argento.
Durante l’impero di Augusto e di Tiberio non fu mai commesso un simile atto illegale nè da parte del principe nè tampoco del Senato; lo constatiamo la prima volta durante l’impero di Caligola, di cui si conosce qualche sesterzio mancante della formula S • C37. Fu dunque l’imperatore il primo a dare il cattivo esempio, e se questo suo atto non provocò nessuna reazione sotto di lui nè sotto Claudio, alla morte di quest’ultimo va notato un fatto di supremo interesse che parmi sia sfuggito a quanti si sono occupati finora di numismatica imperiale. Morto Claudio, la coniazione dell’argento e dell’oro passò d’un tratto nelle mani del Senato che la tenne per circa un decennio 807-816 (54-63 d. C.). Non conosciamo denari o aurei di questo breve periodo che non siano contrassegnati dalle lettere EX • S • C. Prime a esser coniate furon le monete di oro e argento dalla leggenda DIVVS • CLAVDIVS • AVGVSTVS e dal solito tipo del carpentum tirato da quattro cavalli38. Se il Senato si fosse limitato a coniare queste sole monete, non farebbe maraviglia, perche un caso simile avvenne dopo la morte di Vespasiano, durante l’impero di Tito39. È lecito supporre che il Senato in quelle due circostanze deliberasse, d’accordo col novello imperatore di coniare poche monete d’argento e d’oro in memoria del suo predecessore. Dopo la morte di Claudio pare che il Senato abbia fatto ricorso a questo pretesto, per arrogarsi un diritto non suo. Alle monete di quel tipo ne seguirono subito altre con la testa del giovanetto Nerone e il busto di Agrippina, l’uno di fronte all’altra40; poi mano mano seguirono i tipi, tanto comuni nelle serie di Nerone, della corona d’alloro, di Cerere, di Marte, di Roma, i quali arrivano fino all’anno 816 (63 d. C.)41. Allora il giovane imperatore, della cui giovanile età il Senato aveva fino a quel tempo abusato, per sottrargli una prerogativa tanto speciale, divenuto adulto, rivendicò a se un’altra volta il diritto di quella monetazione, vietando al Senato di più usarne, e deve intendersi per una reazione di Nerone l’aver egli coniato alla sua volta alcuni bronzi senza il segno dell’autorità senatoria42.
Alcuni bronzi di Vespasiano degli anni 827-829 (74-76 d. C), che hanno la testa sua o del figlio Tito e al rovescio un caduceo fra due corni d’abbondanza, non hanno S • C43. Questa emissione di bronzi più che per un abuso io ritengo che sia stata fatta col beneplacito del Senato, e le ragioni sono varie.
Essi hanno la testa laureata e sono di oricalco. In una monetazione così ordinata come quella di Vespasiano, nella quale i medii bronzi di oricalco hanno quasi tutti la testa radiata, questi bronzi formerebbero una singolare eccezione. Ma appunto il coincidere di queste due circostanze, cioè della testa laureata e della mancanza del S • C ci deve lare accorti che qui trattasi di una speciale emissione, con la quale Vespasiano volle affermare la sua nomina di " censor „ insieme col figlio Tito, e perciò quei bronzi li stimo dei dupondii, non ostante abbiano la testa laureata44.
Nel passare in rassegna i denari e gli aurei emessi con l’autorità del Senato, ha tratto la mia attenzione la formula costante EX • S • C45. Questa diversità la potremo spiegare solo ammettendo che le sigle S • C del bronzo imperiale non accennino ad una speciale deliberazione del Senato ogni qualvolta la zecca coniava nuove monete di bronzo con tipi nuovi, ma esse non facevano che richiamare il Senatus-consulto dell’età d’Augusto in virtù del quale il Senato poteva emettere le monete di bronzo46. Occorreva però una deliberazione speciale per ogni emissione straordinaria, la quale non fosse prevista dal Senatus-consulto dell’epoca augustea, e come segno di questa speciale deliberazione usavasi d'imprimere la formula EX • S • C47. Egual significato essa ha su tutti quei sesterzii imperiali con al rovescio la corona di cjuercia e la leggenda EX • S • C • OB • CIVES • SERVATOS nel mezzo.
CAPO III
A meglio chiarire quanto si è detto finora sulle vicende della moneta imperiale di bronzo lino a Domiziano, gioverà dare un fuggevole sguardo alle condizioni economiche sotto ciascun imperatore, dalle quali non si può fare astrazione, trattandosi di moneta, la rappresentante dei valori in un’epoca, nella quale dipendeva dalla volontà dell’imperatore o del Senato alterare la lega metallica, sempre che le finanze dello Stato si trovassero in basso. E cosa notevole nella numismatica imperiale una riduzione continua del peso dei tre metalli e un’alterazione della lega. Si è studiata la lega dell’oro e dell’argento, resta a studiare quella dell’oricalco. Le ricerche del Phillips e del Göbel sono ben poca cosa. E il Mommsen non pensava certo al brusco avvilimento dell’oricalco nella serie monetale di Tiberio, Caligola c Claudio, quando disse che la moneta di bronzo restò fino a un certo punto estranea alle crisi dell’argento48.
Le condizioni finanziarie di Roma dopo la battaglia di Azio erano assai prosperose; ivi affluirono i tesori d’Alessandria e fu tanta l’abbondanza di oro gettata in circolazione per tutta l’Italia, che l’interesse del danaro decrebbe di due terzi e il valore delle terre raddoppiò49. Profittando di questa ricchezza nazionale, Augusto impose nuove tasse, stabilì il diritto dell’uno per cento sopra tutte le vendite all’incanto (centesima rerum venalium)50, quello del quattro per cento sulle vendite degli schiavi (quinta et vicesima venalium mancipiorum)51, e sei anni dopo Cr. stabih l’imposta del ventesimo sull’eredità (lex vicesima hereditatum)52 creando nuove sorgenti di ricchezza allo Stato, che introitava, secondo i calcoli più probabili, dai tre ai quattrocento milioni all’anno. A questa floridezza rispondono le immense largizioni di Augusto, enumerate nel Monumentum Ancyranum. Basti dire che nel suo undecimo consolato distribuì alla plebe dodici volte del grano comprato a proprie spese e in ogni avvenimento importante della vita sua fece distribuzioni di danaro che ascesero fino a 400 sesterzii per cittadino romano. Tralascio tutte le grandi costruzioni da lui fatte fare, le largizioni ai coloni, ai soldati, le quali fanno fede della ricchezza dello Stato e conchiudo che in tali condizioni le monete di Augusto non potevano non essere perfette quanto al metallo e al peso. L’oro e l’argento sono puri come al tempo della repubblica, l’oricalco è di buona lega53.
L’avvilimento in cui cadde questo metallo con Tiberio è cosa tanto strana e contraria alle condizioni economiche d’allora, che è quasi impossibile a spiegare. Facciamoci pertanto a scrutarne la causa. Guerre strepitose durante il suo impero la storia non ne ricorda. Tolta la sollevazione delle legioni della Pannonia e del Reno e la spedizione di Germanico contro i Parti, nulla richiese sacrifizii allo Stato, pei quali questo potesse rimanere estenuato. Si potrebbe supporre che le pubbliche calamità, a cui l’imperatore rimediò più volte, avessero cagionato uno squilibrio; ma questa ipotesi non va, perchè d’altra parte leggiamo in Suetonio54 che Tiberio riuscì a fare una economia di 400, o 500 milioni di lire. Economicamente adunque non possiamo spiegarci nulla. Nella qual condizione di cose, ricorrendo ad una congettura, io penso che questo disordine nella monetazione di bronzo dove avvenire in particolar modo dopo la ritirata del vecchio imperatore a Capri, 779 (26 d. C.). Passarono dieci anni dopo il suo allontanamento da Roma, nei quali, per quanta fosse l’attività di lui, sempre un po’ di disordine regnava nell’impero, e può essere accaduto che il Senato, senza controllo immediato dell’imperatore, profittasse dell’assenza di costui per alterare la moneta di bronzo.
Dopo l’esempio di Tiberio non mi sorprende quel che avvenne nei pochi anni di Caligola. Con un demente a capo dell’impero, il quale faceva oggi quel che domani disfaceva, è ragionevole supporre che il Senato facesse ogni illecito tentativo e abusasse dei suoi poteri. Per Caligola poi si aggiungeva un’altra grave cagione, lo sciupo dei tesori dello Stato in isciocche distribuzioni, in feste e giuochi d’ogni sorta. In men di un anno consumò un tesoro infinito e il disordine nelle amministrazioni era giunto a tal punto, che alla morte di lui non vi era grano nella città bastevole per più di sette od otto giorni55.
Lo stesso avvenne a un dipresso con Claudio. Quel che con Caligola fu effetto di demenza, con Claudio fu effetto di debolezza. Il suo impero ebbe buoni principii, ma pessima fine: buoni principii, perchè egli ebbe buona volontà di rendersi veramente utile allo Stato, pessima fine, perchè gli mancò quella forza di carattere necessaria in chi opera. Appena salito al trono nell’anno 794 (41 d. C.), mostrò tale energia di governo, che se l’avesse conservata, avrebbe fatto non picciol bene allo Stato. Riordinò i pesi in tutto l’impero e riordinò anche quelli delle monete, scaduti sotto Tiberio e Caligola. Ma la debolezza del suo carattere, il suo poco partecipare al governo, perchè circondato e consigliato da donne, tutto questo lo trasse alla rovina. Non fu uno di quegl’imperatori che s’imposero al Senato stesso, come vedremo avverrà con Nerone, si lasciò guadagnare la mano e il suo governo iniziato bene finì male. Nel suo impero non sono segnalati fatti economici che ci possano far formare neppure un lontano concetto dello stato delle finanze, ma certo non potè essere diverso da quello degli altri che lo avevano precorso. Caligola sprecò, Claudio invece non sprecò, ma spese bene. Il suo principato non mancò nè di gloria militare nè di gloria politica. Conquistò la Bretagna, ridusse a provincie la Tracia, la Licia, la Giudea, elargì grandi somme, costruì l’acquedotto che costò 55 milioni e 500 mila sesterzii56. Tutto questo è segno di floridezza; ebbene i dupondii e sesterzii, due anni dopo la riforma dei pesi, sono di nuovo decaduti, la lega e pessima, la tecnica è rozza. Di ciò non è colpevole lui, ma il Senato.
Con Nerone l’aspetto delle cose è mutato. Tiberio, Caligola e Claudio accanto all’oricalco di cattiva lega fecero circolare oro e argento puro; Nerone presenta il caso contrario; non solo altera la lega dell’argento, ma anche riduce il peso dei denari e degli aurei, laddove la sua monetazione di bronzo è delle più perfette. Studiamo quali erano le condizioni finanziarie dell’impero al tempo suo.
Gli anni del suo governo trascorsero in continue liberalità e spese capricciose. Suetonio e Tacito ne sono quasi i testimoni. Per la venuta di Tiridate spese ogni giorno 20 mila scudi e gli donò poi più di cento milioni di sesterzii quando partì57. Le distribuzioni fatte al popolo nell’anno 813 (60 d. C.) furono straordinarie. Così andavasi esaurendo il tesoro, e già nell’anno 815 (62 d. C.) si lagnava di essere obbligato a dare tutti gli anni 60 milioni di sesterzii alla repubblica, per venire in aiuto dell’erario esaurito58. Ma il disavanzo comincia dopo l’anno 817 (64 d. C.), ossia dopo l’incendio di Roma. La domus aurea gli costò immensi tesori59. Grave compito perciò e quello di spiegare due fatti diametralmente opposti durante il governo di Nerone, la riduzione del denaro e dell’aureo da una parte, la giustezza della monetazione di bronzo dall’altra. Io me li spiego. La prosperità dell’impero sotto Nerone era tutt’apparente, passeggera. Ne risentiranno le conseguenze Galba e Vespasiano che si ebbero la taccia di avari e spilorci. Nerone consumò tutti i tesori raccolti a Roma dal provvido Augusto, dall’interessato Tiberio, e quando non seppe più dove metter mano in Italia, passò alle provincie, non pagò i soldati, sospese le gratificazioni ai veterani60. In una società costituita quale la romana, e con un principe scialacquatore come Nerone, non poteva avvenire diversamente. La produzione cessata, perchè quasi nullo il lavoro, moderate le imposte, crescenti di giorno in giorno le spese per l’esercito, per la corte, per la popolazione, tale era lo stato dell’impero romano61. Le spese stragrandi del pazzo imperatore mi paiono le spese di chi consapevole di dover andare in rovina, accelera la propria caduta. Così fece anche per le monete. Fuse un gran numero di sesterzi! e dupondii di Augusto particolarmente, i quali erano di buona lega e li riconiò con la propria immagine62. Di Tiberio ne fuse ben pochi, così pure di Caligola e di Claudio. In tal modo possiamo renderci ragione della buona qualità dell’oricalco, lucentissimo in quasi tutte le monete di Nerone.
Quanto deplorevoli fossero le condizioni dell’erario nell’anno 821 (68 d. C.), è lecito argomentarlo dai primi atti di Galba, appena giunse a Roma. Revocò le liberalità fatte da Nerone che ascendevano a 540 milioni di lire63, incaricando cinquanta cavalieri di accettarne la restituzione in tutto l’impero, e di lasciare al restitutore soltanto un decimo di quel che aveva posseduto64. Negò ai pretoriani il donativum promesso loro da Ninfidio, donativo che raggiungeva la somma di circa 400 milioni di lire, le quali avrebbe dovuto prelevare dalla pubblica imposta65. Questa severa economia lo rese odioso al popolo romano, male avvezzo con Nerone. A malgrado di questi sforzi per rialzare il credito dello Stato, la monetazione di Galba non è delle più perfette; la grande quantità di sesterzii e dupondii non è tutta di buona lega. Lo stesso si riscontra nelle monete di Vitellio. Del resto giova sorvolare su questo breve periodo di anarchia seguito alla morte di Nerone, il qual periodo apportò come legittima conseguenza il disordine nelle finanze.
Galba non ebbe il tempo di rimetterle; tale compito era riserbato al vecchio Vespasiano che per la sua prudenza e saviezza può paragonarsi ad Augusto. Compi una serie di atti intesi ad accrescere le entrate dello Stato: ristabì le imposte abolite sotto Galba, ne creò di nuove ed aumentò quelle delle Provincie, molte terre e persone che per frode erano esenti da imposte le costrinse a pagarle66. Coteste straordinarie imposizioni gli procurarono la taccia di avaro, dalla quale cerca di scagionarlo Suetonio, dicendo: Sunt contra qui opinentur, ad manubias et rapinas necessitate compulsum summa aerarii fiscique inopia; de qua testificatus sit initio statim principatus, professus quadringenties millies opus esse, ut res p. stare posset. Ouod et veri similius videtur, quando et male partis optime usus est67. Comunque sia, egli batte la stessa via di Nerone per riguardo alla monetazione di bronzo, nella quale nulla esce dalle regole da quello stabilite.
Se i figli avessero continuato l’opera del padre, la monetazione loro sarebbe andata bene; ma pur troppo avvenne quel che abbiamo notato dopo Augusto. Vespasiano aveva lasciato ai figli un tesoro ben nutrito, Tito lo cominciò a dissipare con le prodigalità, Domiziano gli diè fondo con le spese enormi delle costruzioni e spettacoli, sopratutto per l’aumento del soldo ai soldati, che accrebbe le spese annuali di un 50 milioni68. Lo studio delle monete di Domiziano avvalora quello che si è detto.
CAPO IV.
Non intendo parlare di quei segni che vediamo impressi in incavo sopra un gran numero di denari della Repubblica e dei primi imperatori. Il Borghesi e recentemente il Milani hanno dimostrato che quei segni trovano la loro ragion di essere nelle successive riduzioni che ebbe a subire più volte la moneta d’argento; per le quali le monete già in corso, pur essendo consumate dall’uso, raggiungevano tuttavia il peso dei nuovi denari messi in circolazione. Escluderò parimenti da questa ricerca i denari con la sigla IMP • VESP, studiati dal Borghesi e dal Bahrfeldt69 e la limiterò allo studio di quelle sigle impresse, per ordine dell’Imperatore, su molte monete di zecca romana o provinciale che già da qualche tempo circolavano all’epoca di tale impressione. Queste sigle, comunemente dette contromarche, consistono per lo più nelle iniziali del nome di quegl’imperatori che le fecero segnare per ragioni diverse. L’importanza loro non isfuggì alle indagini dei grandi numismatici, quali l’Eckhel e il Borghesi, i quali però trascurarono di prenderle seriamente in esame. Eppure io credo che esse siano degne di particolare considerazione, perchè tutte ci attestano l’intervento dell’imperatore nella monetazione di bronzo e alcune sono manifesto segno di riforme monetali richieste, in certi tempi, dalle condizioni economiche dell’Impero.
Il Mahudel70 suppone che la presenza delle contromarche sui bronzi imperiali derivi da tre diverse cagioni, cioè:
a) o dalla necessità di accrescerne il valore in circostanze difficili;
b) o dalla nomina di un nuovo imperatore;
c) o dall’idea di rinfrescare la memoria di un morto imperatore, nel qual caso se ne segnava il nome sule monete da lui coniate.
Il De Saulcy71 che più d’ogni altro studiò questo argomento, ne riduce le cause a due:
a) avveniva, egli dice, che l’esercito romano, trovandosi fuori di Roma, avesse penuria di danaro e in tal caso l’imperator poteva, con una contromarca, accrescere il valore del pezzo metallico;
b) che le legioni fuori di Roma acclamassero un nuovo imperatore, il cui nome si segnava sulle monete in corso.
Queste due ipotesi non bastano a spiegare l’origine di tutte le contromarche e la prima è insussistente.
Il Borghesi72 applicando al bronzo i risultati delle sue ricerche sulle contromarche dell’argento, sospettò che le contromarche del bronzo indicassero il peso esatto del pezzo metallico, non ostante fosse un po’ consumato. Ma certo usci dal vero, e con lui il Milani73 quando soggiunse: "E mi conferma in questo parere la contromarca PRO, o PROB ch’è una delle più comuni, e che mi pare evidente non poter significare se non PRObavit o PROBatus. Trovasi essa ora sola, ora accompagnata con un’altra portante il nome di colui che PROBavit: onde si ha, per esempio IMP • AVG • PRO, CAES • PROB, TI AV • PROB •, ecc. „ Non si può negare che su certe monete le contromarche arrivino fino al numero di quattro, ma non sono dello stesso imperatore, ed io dimostrerò come le contromarche IMP, AVG, CAES non abbiano che fare con le altre PRO e PROB.
Il Mancini, movendo dalla ipotesi del Borghesi, cercò di stabilire la cronologia delle contromarche, attribuendole parte a Claudio parte a Nerone. In conclusione egli dice che i due imperatori, Claudio e Nerone, segnarono tutte quelle contromarche che vediamo sulle monete di bronzo, le quali, benchè consumate, pure erano di peso giusto.
Prima che io entri in argomento, credo necessario stabilire il punto di partenza della mia ricerca, cioè indicare quali siano le contromarche e quali nomi d’imperatori esse ci mettano sott’ucchio. Eccone l’elenco CAE. AVG. IMP. IMP • AVG, TIB, TIB • IMP. TIB • C, TIB • AVG. TI • AV. PRO. PROB. NCAPR. BON. IMP • GAL. IMP • OTHO. IMP • VES.
Le prime otto sigle ricorrono quasi esclusivamente sopra una serie di monete che non uscirono dalla zecca di Roma, ma da quella di Lugdunum. Sappiamo che, quando Augusto ebbe riordinato le tre Provincie della Gallia, fu istituita a Lugdunum una zecca destinata a coniare certe monete, aenti una circolazione limitata alle sole tre Gallie74. Esse sono riconoscibili all’ara e alla leggenda ROM • ET • AVG: ara e leggenda che ricordano il monumento eretto in onore di Roma e d’Augusto al confluente dell’Arar (Saune) e del Rodano, nella Gallia Lugduncnsis. Questa zecca locale continuò a coniare, sotto Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, i detti bronzi del peso e del modulo dei bronzi romani; ma, non essendo monete dello Stato, tant’è vero ch’eran prive della formula S • C, non potevano circolare fuori della Gallia. Fu allora che Augusto e Tiberio, per dar loro corso in tutto l’impero, ordinarono che avessero il contrassegno del loro nome.
Queste contromarche, ripeto, si riscontrano generalmente su monete della zecca di Lugdunum, raramente sopra alcuni assi di Augusto e di Agrippa. Ho potuto però constatare che questi ultimi sono di pessima fabbrica e non esito a dire che sono addirittura di fabbrica barbara o falsificazioni antiche. Tale è il caso degli assi di Agrippa. Quanto a quelli dei monetieri di Augusto, in generale si osserva una tecnica rozza e non è strano che Augusto stesso, e poi Tiberio, abbiano fatto segnare il loro nome su molte di quelle monete, il cui peso non rispondeva a quello degli altri assi, perchè avessero corso nell’impero.
Contromarche di Caligola non se ne conoscono.
A Claudio sono state riferite le contromarche TIB • AVG e TIB • IMP, che io credo siano di Tiberio certamente, per la ragione che non si trovano mai sopra monete posteriori all’anno 37.
Di Claudio e senza dubbio la contromarca TI • AV; ed io dico che questi scrisse in tal modo il suo prenome, come del resto è proprio della epigrafia romana, per non confonderlo con quello di Tiberio che è abbreviato sempre in TIB.
A differenza di quelle di Augusto e di Tiberio, la contromarca di Claudio trovasi quasi esclusivamente su bronzi di Claudio75. La spiegazione sarà dunque ben altra. Ed e veramente strano il pensare che un imperatore abbia segnato una contromarca sulle proprie monete. La parola contromarca ci dà l’idea di un segno messo per modificare il valore della moneta o per garantirla, e si suppone che questo si faccia con le monete di altri. Per Claudio ci dobbiamo ricordare che egli, appena salito al trono, nell’anno 41 d. C, restituit pondus nummorum, come provano i piccoli bronzi suoi, più volte finora citati; e ci dobbiamo ricordare ancora che questo suo tentativo andò in gran parte fallito, per la debolezza del suo carattere, non ostante avesse fermezza di propositi. I suoi sesterzii e dupondii dell’anno 41 e del 42 d. C. sono abbastanza buoni per la lega e pel peso, ma poi decaddero sì per l’una come per l’altro, fino a diventare stranamente rozzi e di peso scadente. Or bene questa decadenza della monetazione ci spiega la contromarca di Claudio. Negli ultimi anni del suo impero egli ordinò che si facesse una revisione dei bronzi e si segnassero con una contromarca i sesterzii (giacché di dupondii e molto meno di assi con contromarca io non ne conosco) coniati al suo tempo, che forse il popolo romano si rifiutava di accettare negli scambi quotidiani.
La contromarca di Claudio non ha lo stesso significato di quelle d’Augusto e di Tiberio; ma essa non è la sola che gli appartenga; un’altra, forse più frequente ancora, è quella che si legge PRO o PROB. Il Borghesi la interpretò felicemente per " probavit „, ma ebbe il torto di confonderla con le contromarche di Augusto e Tiberio. II Mancini l’attribuisce a Nerone, per analogia dell’altra contromarca NCAPR. Il nostro Medagliere ci offre, a vero dire, un materiale abbondante per istudiare le contromarche di Claudio; per la qual cosa, esaminando con attenzione la sigla PRO o PROB, ho notato:
a) che essa per tecnica e grandezza somiglia moltissimo all’altra TI . AV.,
b) che trovasi solamente sulle monete di Claudio.
e ne traggo la conseguenza che non può appartenere ad altri imperatori, se non a Claudio. A chi si ostinasse a crederla di Nerone, domanderei che mi spiegasse, perchè mai questa ricorra soltanto sui sesterzii di Claudio, laddove la contromarca di Nerone NCAPR leggesi non solo sui sesterzii, ma anche sui dupondii di tutti i primi’ imperatori.
Nerone adoperò una sola contromarca, NCAPR che il Borghesi lesse Nero Caesar Augustus probavit76. Ricorre di frequente sui bronzi di Tiberio, Druso, Caligola, Antonia, Claudio, Agrippina, ecc., sempre della stessa grandezza e tecnica. Se Claudio riformò solo la propria monetazione, Nerone dovette apportare una innovazione vera e propria, ed infatti abbiamo altrove osservato che la moneta di bronzo di Nerone è la più perfetta. Non si può sconvenire che da Augusto a Nerone la coniazione del bronzo fu sempre un pò’ trascurata; il dupondio non si sapeva distinguerlo dall’asse, se non pel colore, ed essendo stato alterato l’oricalco sotto Tiberio, Caligola e Claudio, l’uno e l’altro si confondevano. A Nerone spetta il merito di aver creato una distinzione fra queste due monete, di aver coniato per la prima volta il semis, di aver emesso monete di giusto peso. Non è merito suo però l’aver adoperato per i dupondii e per i sesterzii una buona qualità di oricalco; questo metallo lo trasse fondendo un numero stragande di sesterzii e dupondii d’Augusto che, a differenza degli assi, sono relativamente molto scarsi in tutte le pubbliche e private collezioni. A quest’opera di distruzione andaron soggette anche quelle monete di Tiberio, Caligola, Claudio, che eran di buona lega. E quelle di cattiva lega? È chiaro che non le fuse; ma siccome erano in grande numero e venivano rifiutate, con tutta probabilità, negli scambi, ricorse alla contromarca che tutti conoscono. Qual ne sarà dunque il significato? Facciamoci ad interpretare il senso della parola probavit usata nelle contromarche da Claudio e da Nerone.
Il verbo probare ha il significato fondamentale di sperimentare, provare rispetto alla bontà materiale, riconoscere come buono; in un significato più largo esprime garantire, assicurare. Se si prendesse nel primo significato, l’impciatore avrebbe allora espresso, con questa contromarca, che egli aveva provato se la moneta fosse di giusto peso e di buona lega. Quanto al peso, tale spiegazione potrebb’esscre accettata, perchè, quantunque il Milani osservi trovarsi le contromarche su monete molto consumate, pure la consumazione potrebb’esscre avvenuta in seguito alla garanzia ottenuta dallo Stato, nell’atto che veniva contrassegnata. Ma quanto alla lega il verbo probo, se significasse sperimentare, non avrebbe nessun significato, perchè quasi tutte le monete con contromarca sono di lega non buona; quindi bisogna prendere questo verbo nel senso di garantire. Claudio e Nerone adunque garantirono quelle monete, non ostante avessero un valore minore di quello che rappresentavano. E che il probavit si riferisca non soltanto al peso, ma anche alla lega metallica, lo prova il fatto che la contromarca NCAPR non si trova mai sugli assi, ma sempre o sui dupondii o sui sesterzii; e sì che di assi più o meno scarsi ve n’ha a dovizia sotto i primi imperatori fino a Nerone.
Compendiando ora diremo, che le contromarche di Augusto e di Tiberio hanno soltanto lo scopo di dar corso in tutto l’impero alle monete della zecca di Lione; quelle di Claudio si riferiscono solo alle monete di lui che negli ultimi anni del suo impero erano state alterate di molto; quelle di Nerone si estendono a tutte le monete fino allora coniate, allo scopo di garantirle, affinchè avessero corso, non ostante la lega e il peso non fossero esatti.
Resterebbe a far parola delle ultime tre contromarche IMP • GAL; IMP • OTHO; IMP • VES, le quali si leggono solamente su monete di Nerone e richiedono una spiegazione differente da quelle finora accennate. Esse formarono argomento di un prezioso scritto del De Saulcy77, nel quale questi dimostra che furono impresse dalle legioni della Siria, nell’anno dopo la morte di Nerone, perchè andasse perduta la memoria dell’imperatore parricida e si divulgassero i nomi dei tre imperatori da esse successivamente acclamati, Galba, Ottone e Vespasiano.
CAPO V.
Nel rifarmi da capo a rileggere questo mio scritto, ponderando una per una tutte la mie argomentazioni, ho potuto meglio notare che esse si fondano sul principio che "l’oricalco avesse nell’antichità una prevalenza sul rame puro.„ Sopra questo punto non ho creduto d’insistere prima, contentandomi di citare i passi di Plinio e di Polluce e l’editto di Diocleziano, i quali ci mettono al sicuro da ogni sospetto. Ma ora m’accorgo che non e del tutto inutile spendere qualche parola per istudiare di questo metallo, l’oricalco, donde gli antichi lo estraessero, se lo conoscessero allo stato puro o fosse un prodotto dell’industria, quale ne fosse il pregio. E qui vedo aprirmisi il campo ad una ben intricata ricerca, nella quale si sono provati non pochi cultori di scienze ed archeologi ad un tempo, quali il Savot, il Soumaise, il Bochart, il Kircher, il Launay, il Beckmann, il Rossignol, il Lenz ed altri.
Il compito che io mi propongo è molto più limitato di quello dei mentovati autori, le cui indagini risalgono fino ai tempi omerici e si perdono in un’antichità remotissima. Limiterò la mia breve ricerca all’epoca dell’impero romano, proponendomi di rispondere ai tre seguenti quesiti:
a) se la differenza che io stabilisco tra l’oricalco ed il rame esista in fatto o se quello che i romani chiamavano oricalco non sia in sostanza che una qualità speciale di rame, di color più o meno chiaro;
b) questo metallo chiaro era estratto dalle miniere ovvero un prodotto artificiale?
c) dato che l’oricalco fosse un prodotto dell’industria, possiamo affermare con sicurezza che nell’impero romano avesse maggior pregio del rame puro?
Alla prima domanda si risponde subito, pensando alle due espressioni dei greci χαλκός ἐρυθρός e χαλκός λευκός, con le quali solevano accennare a due differenti qualità di rame78. La spiegazione poi la troviamo nelle seguenti parole di un grammatico greco: ὀρείχαλκος, τό λευκόν χάλκωμα79; Se dunque χαλκός λευκός è l’oricalco, perchè di colore giallognolo, il χαλκός ἐρυθρός sarà senza dubbio il rame puro che è rossastro. E che tale differenza la facessero anche i Romani, Plinio lo attesta, parlando più volte dell’aes album che è la traduzione letterale del χαλκός λευκός e che ora sappiamo essere l’oricalco80.
Ma a quale metallo intendevano alludere i greci e i romani con questo rame bianco od oricalco? Un passo di Strabone ci mette sulle tracce di riconoscerlo. Nei pressi di Andira, egli dice, si trova un minerale che sottoposto a una temperatura diventa ferro, calcinato nel forno con una certa terra distilla del falso argento, combinato col rame diventa ciò che si chiama lega di rame, che alcuni chiamano oricalco81.
Il Rossignol, studiando il passo di Strabone alla stregua delle sue conoscenze scientifiche, dimostra che questo minerale è proprio quello conosciuto in Mineralogia col nome di calamina o cadmia fossile, dalla quale si ricava lo zinco e che unita col rame dà, mediante il processo della cementazione, quel metallo tanto comune che chiamiamo ottone. Trascrivo qui appresso le parole, con le quali egli commenta il passo del geografo: Quelle est cette pierre merveilleuse, qui produisait de si surprenants effets, qui engendrait le fer, le zinc et transformait le cuivre en laiton? C’est la pierre calaminaire ou la mine de zinc. Disons d’abord quo la matière appelée par les Grecs ψευδάργυρος est, selon toute vraisemblance, notre zinc. Tel qu’on l’obtient par la fusion, le zinc est une substance dure, sans ètre cassante, d’un blanc assez brillant, et que l’antiquité a pu designer convenablement sous le nom de faux argent. Ce métal est grand ami du ter, et il se trouve très-souvent avec lui. Dans la plupart des mines de fer, il s’en rencontre en plus ou moins grande quantité; cependant alors sa présence ne se révèle qu’à la suie des fourneaux. Gomme il est extrêmement volatil, il se sublime aisément sous l’action du feu vif qu’on emploie pour réduire le minerai du fer, et il s’attache sous une forme concrète aux parois des cheminées des fonderies. C’est cet enduit qu’on appelle la cadmie des fourneaux, et qui pulvérisée et fondue avec le cuivre rouge, le transforme en cuivre jaune ou laiton. Le procède se nomme cémentation. Mais le zinc a aussi sa mine ou plutôt ses mines propres dont on l’extrait en fusion; ce sont la calamine, qu’on appelle encore cadmie fossile, et la blende; or, ces deux mines contiennent toujours du fer avec le zinc, et la blende, en plus grande quantité que l’autre. Voilà donc une pierre qui réunit déjà deux conditions de celle d’Andira, puisqu’elle contient du fer et du zinc ou du faux argent; poursuivons. Nous venons de dire que le laiton ou cuivre jaune s’obtient par la cémentation de la cadmie des fourneaux, ou concrétion du zinc sublime; on le produit encore en alliant le zinc fondu avec le cuivre rouge. Mais le plus beau et le meilleur tout à la fois, c’est celui que donne la cémentation de la mine même du zinc, cémentation qui consiste à réduire en poudre la pierre calaminaire, à la mêler avec une égale quantité de poudre de charbon un peu humectée, et à recouvrir de ce mélange les lames de cuivre rouge, qu’on met ensuite au fourneau. Voilà donc la troisième condition remplie, puisque la mème pierre, s’adjoignant le cuivre, le transforme en laiton„82.
Se la dimostrazione del Rossignol lascia ancora un dubbio sul nome e la qualità del minerale, di cui Strabone accenna solo gli effetti, questo dubbio si dilegua col seguente passo di Festo che così definisce la cadmia fossile o calamina; cadmea, terra quae in aes conicitur ut fiat orichalcum83. Dunque gli antichi, almeno nell’età imperiale, sapevano produrre artificialmente l’oricalco e si servivano del minerale detto calamina, senza conoscere, a quanto sembra, lo zinco. Questa considerazione, nella quale concordano i chimici e mineralogisti moderni, ci porge occasione di rispondere al terzo quesito che dianzi proponevo. L’oricalco doveva esser tenuto in pregio più che non sia oggi l’ottone, perchè lo zinco era poco o nulla diffuso e passava per un prodotto minerale molto raro, tanto che lo chiamavano falso argento. Su questo punto poi non è necessario fermarci, avendo noi innanzi addotto le testimonianze relative di Plinio e Polluce, i quali parlano della prevalenza dell’oricalco sul rame puro, quasi nella proporzione di i a 2.
Lascio ad altri il compito di ricercare se siano degni di fede i passi degli antichi scrittori relativi a una qualità di oricalco che si estraeva dalle miniere, come a dire l’aes cordubense, di cui parla Plinio; a me basta aver dimostrato che i Romani dell’impero conoscevano la lega del rame e della calamina per fare l’oricalco od ottone. Ed anche quando si arrivasse a dimostrare che l’oricalco sia un metallo che trovasi allo stato naturale, nessuno oserebbe certo affermare che l’oricalco dei sesterzii e dei dupondii sia quale veniva estratto dalle miniere, giacchè, per quanto abbondanti potessero essere stati i prodotti di queste, non avrebbero mai fornito sufficienie metallo per coniare tanti milioni di sesterzii, circolanti nell’orbe romano. Chi ha pratica della monetazione imperiale, non può ammettere ciò per un’altra ragione. 11 colore dell’oricalco varia, non dico da imperatore a imperatore ma, quel che è più, da sesterzio a sesterzio, da dupondio a dupondio dello stesso imperatore. Monete sicuramente coniate nel medesimo anno presentano le più svariate gradazioni nel colore dell’oricalco; or questo potrebbe verificarsi, se l’oricalco tosse stato un prodotto naturale? Le gradazioni nel colore dipendono dalla maggiore o minore quantità della calamina che entrava in lega col bronzo.
La scarsità di sesterzii e dupondii color d’oro, ossia di buona lega, dimostra come lo zinco, se pur lo conoscevano allo stato puro, fosse un metallo non comune e quindi costoso; così è anche chiaro che le variazioni dell’oricalco nell’impero romano andavano connesse alle condizioni economiche. Il rame puro, che abbiamo visto essere il metallo degli assi, avea poco valore nell’età di Augusto, perchè abbondante. Nel 57 a. C. avendo i Romani occupato Cipro, spiegarono tale attività nel lavorare in quelle mine, che di là mandavano rame in tutto l’impero, fornendo così una delle maggiori entrate allo Stato. Possiamo formarcene un’idea da ciò che dice lo storico Josephus. Egli ricorda che Erode offrì ad Augusto la somma di trecento talenti, dei quali l’imperatore si servì per far celebrare dei giuochi e offrire delle largizioni al popolo, e che Augusto gli cedette in cambio la metà dei prodotti ricavati dalle miniere di rame dell’isola di Cipro, dandogli facoltà di far lavorare in esse per conto suo fino a che non si fosse estinto il debito84. D’allora in poi il bronzo di Cipro ebbe il predominio sugli altri e fu quasi generalmente usato, e se prima era chiamato aes Cyprium, col volgere degli anni fu chiamato soltanto Cyprium85.
Questa qualità di bronzo usavasi per gli assi, come attesta Plinio.
ELENCO
DEI DUPONDII, ASSI E FRAZIONI DELL’ASSE
DA AUGUSTO FINO A DOMIZIANO
Comprendo bene che, per dare un elenco completo dei dupondii ed assi, sarebbe occorso un esame dei monumenti numismatici più largo e maturo di quello che io abbia fatto. I due medaglieri di Napoli e di Santangelo hanno offerto materia alle niie indagini, non punto scarsa veramente, ma neppure completa. Perciò non sempre ho avuto sott’occhi la moneta che nel Cohen trovasi descritta sotto la denominazione vaga di medio bronzo, e, nel dubbio, mi sono talvolta astenuto dal descriverla.
In questo lavoro di distinzione mi hanno guidato certe leggi che sono andato scoprendo e confermando a poco a poco: Ho già detto che Augusto ha un unico tipo per i dupondii, un unico tipo per gli assi; così la sua classificazione è bell’e fatta. Aggiungerò che i dupondii di Tiberio si distinguono dagli assi (e questa doveva essere l’unica differenza che ne regolava il corso nell’impero), in quanto gli uni hanno il busto di qualche divinità, gli altri la testa di Tiberio. La stessa differenza, a un dipresso, dura con Caligola e Claudio; se non troviamo il busto di qualche divinità sui dupondii, vi troviamo certamente rappresentazioni diverse, non mai la testa dell’imperatore86 che ricorre costantemente sugli assi.
Ma queste differenze accidentali se potettero bastare con uno, con due, con tre imperatori, non potettero perdurare a lungo, perchè doveva crescere la difficoltà di tale distinzione col crescere delle specie monetali in corso. Ond’è che Nerone introdusse una differenza costante che durò per tutto l’impero, salvo alcune eccezioni che fanno capolino con tutti gli imperatori.
Il dupondio, d’allora in poi, ebbe la testa radiata dell’imperatore, l’asse, la testa laureata. In generale ciò si riscontra sempre. Ma in ogni serie monetale non mancano parecchi medii bronzi con la testa laureata, che dobbiamo necessariamente ascrivere fra i dupondii, prima perchè sono di oricalco, poi perchè il loro peso è superiore a quello degli assi di rame. Molte di queste eccezioni le ho numerate per ciascun imperatore nell’elenco che segue, a cominciare da Nerone. Circa la loro spiegazione, non posso ancora lanciare nessuna ipotesi, perchè meritano uno studio che ho iniziato, ma non ho ancora menato a termine. È sorprendente che i due imperatori dell’anno 822 (69 d. C.), cioè Galba e Vitellio, non abbiano adottato questa riforma di Nerone. La distinzione dei loro dupondii ed assi non si può fondare che sulla differenza del metallo e per questo crescono le difficoltà a dismisura. È mestieri adunque pigliare le mosse dalla loro monetazione, se si voglia tentare su questo punto, una ricerca a cui accennavo più sopra.
Nel citare ho dato sempre la preferenza al Cohen, come il repertorio più completo e diffuso; e quando l’indicazione di esso non bastava, son ricorso al catalogo del Fiorelli, di cui mi son sempre servito per la descrizione dei tipi. Per amor di brevità, ho raccolto sotto il titolo di varianti tutti gli esemplari che o per l’epoca o per i particolari della leggenda e del tipo differivano dall’esemplare da me descritto. Perciò questo elenco, giova ripeterlo, è ben lungi dall’esser completo, e, più che altro, è un tentativo di una classificazione veramente scientifica delle monete imperiali, secondo la quale ho in animo di fare il Catalogo della Collezione Santangelo.
AUGUSTUS.
(739-767 — 15 a. C. - 14 d. C.).
a) Dupondii (oricalco).
1. — D. — avgvstvs tribvnic potest in corona di quercia.
- R. — .... iii vir a a a f f Nel mezzo s . c87
b) Assi (rame).
2. — D. — caesar avgvstvs tribvnic potest. Testa nuda di Angusto a sin. o a destra.
- R. — iii vir a a a f f Nel mezzo s c88.
Cohen, id. n. 369.
3. - 764 — 11 d. C.
- D. — imp caesar divi f avgvstvs imp xx. Testa nuda di Augusto a sinistra.
- R. — pontif maxim tribvx pot xxxiiii. Nel mezzo sc89.
Cohen, id. n. 226.
4. — Agrippa (?-742 —?-12 a. C).
- D. — m agrippa l f cos iii. Testa di Agrippa a sin. con corona rostrale.
- R. — Nettuno in piedi a sin., poggiato al tridente e con delfino sulla mano, ai lati s c90.
Cohen, Agr., n. 3.
5. — Tiberius Caesar (763 — 10 d. C.).
- D. — ti caesr avgvst imperat (ovv. imperator) v. Testa nuda di Tiberio, a destra.
- R. — pontifex tribvn potestate xii. Nel mezzo s c.
Cohen, Tib., n. 27.
c) Quadranti (rame).
6. — D. — Due mani giunte che stringono un caduceo.
- R — iii vir a a a e f. Nel mezzo s c91.
Cohen, Oct. Aug., n. 338.
7. — D. — Simpulo e liuto.
- R. — iii vir a a a f f. Nel mczzo s c92.
Cohen, id. n. 339.
8. — D. — Corno d’abbondanza, ai lati s c.
- R. — iii vir a a a f f. Incudine93.
Cohen, id. n. 340.
9. — D. — iii vir. Incudine.
- R. — . . . . . a a a f f. Nel mezzo s . c94
Cohen, id. n. 352.
10. — D. — Nel mezzo s . c.
- R. — iii vir a a a f f. Incudine95.
Cohen, id. n. 376.
TIBERIUS NERO.
(767-790 - 14-37 d- C.)
a) Dupondii.
11. — 774 — 21 d. C. — Oricalco.
- D. — ti caesar divi avg f avgvst imp viii. Testa di Tiberio laureata, a sin.
- R. — clementiae. Busto della Clemenza, di fronte fra due rami d’ulivo, nel mezzo di un clipeo adorno di palmette; ai lati s . c.
Cohen, Tib. n. 4.
12. — 774 - 21 d. C. — Oricalco.
- D. — ti caesar divi avg f avgvst imp iii. Testa di Tiberio laureata, a sin.
- R. — moderationi. Busto della Moderazione, di fronte, nel mezzo di un clipeo circondato da un serto di ulivo Ai lati s . c.
Cohen, Tib. n. 5, 6.
13. — 775 — 22 d. C. — Rame con patina di oriralco.
- D. — salvs avgvsta. Busto della Salute, a destra con le sembianze di Livia.
- R. — ti caesar divi avg f avg p m tr fot xxiiii. Nel mezzo s . c.
Cohen, Livia n. 5. — Gr. 13,78, Fiorelli, Cat. n. 4014.
14. — 775 — 22 d. C. – Rame con patina di oricalco.
- D. — ivstitia. Busto della Giustizia, a destra, con le sembianze di Livia, avente il capo adorno del diadema.
- R. — ti caesar divi avg f avg p m tr pot xxiiii. Nel mezzo s . e.
Cohen, id. n. 4. — Gr. 13,72; 14,69, Fiorelli, Cat. n. 4019, 4020.
15. — Drusus filius. — 776 — 23 d. C. — Oricalco.
- D. — pietas. Busto della Pietà sotto le sembianze di Livia, ornato di velo e diadema, a destra.
- R. — drvsvs caesar ti avgvsti f tr pot iter. Nel mezzo s . c.
Cohen, id. n. 1 [varianti n. 2, 3].
16. — Divus Augustus Pater. — Oricalco.
- D. — divvs avgvstvs pater. Testa di Augusto con corona radiata, a sin.
- R. — Vittoria volante, a sin., che regge uno scudo in cui spqr. Ai lati s c.
Cohen, Aug., n. 242. — Gr. 14,40, Fiorelli, Cat. n. 4079-80.
17. — Oricalco.
- D. — Simile al precedente.
- R. — Tempio esastilo circolare, ai cui lati stanno su piedestalli un bue ed un ariete. Sopra s c.
Cohen, id. n. 251.
18. — Rame con patina di oricalco.
- D. — divvs avgvstvs pater. Testa di Augusto con corona radiata, a sin.
- R. — Corona di quercia. Nel mezzo s c.
Cohen, id. n. 252.
19. — Oricalco
- D. — divvs avgvstvs. Testa di Augusto con corona radiata, a sin. Ai lati s c.
- R. — spqr signis receptis. Clipeo in cui cl. v. addossato ad un lituo e due gladii disposti a croce, avendo ai lati l’aquila legionaria ed un’insegna militare.
Cohen, id. n. 268. — Gr. 12,78, Fiorelli, Cat. n. 4098.
20. — Oricalco ovv. Rame con patina di oricalco.
- D. — Simile al precedente.
- R. — consensv senat et eq ordix p q r. Augusto, sedente a sin., con patera in una mano, nell’altra un ramoscello d’alloro.
Cohen, id. n. 87.
b) Assi (rame).
21. — 768 — 15 d. C.
- D. — ti caesar divi avg f avgvstvs imp vii. Testa nuda di Tiberio, a destra.
- R. — pontif maxim tribvn potest xvii. Livia Col capo velato, sedente a destra, poggiata a lungo scettro e con patera in mano. Ai lati s . c.
Cohen, Tib. n. 17 [var. n. 18, 19].
22. — 774 — 21 d. C.
- D. — ti caesar divi avg e avgvst imp viii. Testa nuda di Tiberio, a sin.
- R. — poxtif maxim tibvn potest xxiii. Nel mezzo s c.
Cohen, id. n. 24 [var. n. 25, 26].
23. – 787 – 34 d. C.
- D. — ti caesar divi avg e avgvst imp viii. Testa di Tiberio laureata, a sin.
- R. — pontif maxim tribvn potest xxxvi. Caduceo alato fra s e c.
Cohen, id. n. 21 [var. n. 22-23].
24. — Drusus filius. — 776 — 23 d. C.
- D. — drvsvs caesar ti avg f divi avg n. Testa nuda di Druso, a sin.
- R. — pontif tribvn potest iter. Nel mezzo s c.
Cohen, Drus. n. 2 [var. n. 3, 4].
25. — Divus Augustus Pater.
- D. — divvs avgvstvs pater. Testa di Augusto con corona radiata, a sin.
- R. — provident. Ara ed ai lati s c.
Cohen, Oct. Aug. n. 228.
26. — D. — Simile al preced.
- R. — Fulmine alato fra s e c.
Cohen, id. n. 249.
27. — D. — Simile al preced.
- R. — Aquila, di fronte, sopra un globo, con ali aperte e guardando a destra. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 247.
- R. - Livia velata, sedente a destra, stringe un lungo scettro ed ha una patera in mano. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 244
CALIGULA.
(790-794 - 37-41 d. C.)
a) Dupondii.
29. — Germanicus pater. — Oricalco ovv. Rame con patina d’oricalco.
- D. — germanicvs caesar. Germanico in piedi su di una quadriga, ornata di una vittoria, a destra, avente in mano lo scettro sormontato da un’aquila.
- R. — signis ricept devictis germ. Germanico in piedi, a sin., che, sollevando il braccio destro, stringe colla sinistra lo scettro sormontato da un’aquila. Ai lati s c.
Cohen. German. n. 7. — Gr. 15,75; 14.65, Collez. Santang. 30. — Nero et Drusus fratres. — 790 — 37 d. C. — Oricalco per lo più rame con patina d’oricalco.
- D. — nero et drvsvs caesares. Nerone e Druso che vestiti di tunica e con clamide svolazzante, cavalcano, a d.
- R. — c caesar avg germanicvs pon m tr pot. Nel mezzo s c.
Cohen, Nerone e Druso, n. 1 [var. n. 2, 3]. — Gr. 16,40; 14,91, Fiorelli, Cat. n. 4168, 4171.
b) Assi (rame).
31. — 790 — 37 d. C.
- D. — c caesar avg germanicvs pon m tr pot. Testa nuda di Caligola, a sin.
- R. — vesta. Vesta velata, sedente a sin. con asta e patera in mano. Ai lati s c.
Cohen, Calig., n. 27 [var. n. 28, 29].
32. — Germanicus pater. — 790 — 37 d. C.
- D. — germanicvs caesar ti avgvst f divi avg n. Testa nuda di Germanico, a sin.
- R. — c caesar avg germanicvs pon m tr pot. Nel mezzo s c.
Cohen, German. n. 1 [var. n. 2. 5].
c) Quadranti (rame).
33. - 792 - 39 d. C.
- D. — c caesar divi avg pron avg Pileo. Ai lati s c.
- R. — pon m tr p iii p p cos des iii. Nel mezzo r.cc.
Cohen, Calig. n. 5 [var. n. 6-8].
TI. CLAUDIUS.
(794–807 - 41-54 d. C.)
a) Dupondii.
34. — 794 — 41 d. C. — Oricalco, spesse volte di cattiva lega.
- D. — ti clavdivs caesar avg p m tr p imf P P. Testa nuda di Claudio, a sin.
- R. — ceres avgvsta. Cerere velata, sedente a sin., che ha nelle mani due spighe e la face. Nell’esergo s c.
Cohen, Claudio I, n. i [var. n. 2]. — Gr. 16,49, Fiorelli, Cat. n. 4216
35. — Oricalco ovv. rame con patina di oricalco.
- D. — divvs avgvstvs. Testa di Augusto con corona radiata, a sin. Ai lati s c.
- R. — diva avgvsta. Livia, sedente a sin., poggiata ad alta face uso scettro, con spiga e papaveri in mano.
Cohen, Aug. n. 93. — Gr. 16,84, Fiorelli, Cai. n. 4100.
36. — Antonia mater. — 794 — 41 d. C. — Oricalco.
- D. — antonia avgvsta. Busto di Antonia, a destra.
- R. — ti clavdivs caesar avg p m tr p imp. Claudio in piedi, a sin., con testa velata ed il simpulo in mano. Ai lati s c.
Cohen, Antonia, n. 6. — Gr. 15.59, Fiorelli, Cat. n. 4292.
b) Assi (rame).
37. – 794 – 41 d. C.
- D. — ti clavdivs caesar avg p m tr p imp. Testa nuda di Claudio, a sin.
- R. — constantiae avgvsti. La Costanza in piedi, di fronte, con galea cristata e poggiata all’asta; guarda a sin. ed appressa la mano destra alle labbra. Ai lati s c.
Cohen, Claudio I, n. 14 (con p • p).
38. - 794 - 41 d. C.
- D. — ti clavdivs caesar avg p m tr p imp pp. Testa nuda di Claudio, a sin.
- R. — libertas avgvsta. La Libertà in piedi, di fronte, guardante a destra, con pileo in mano, slargando la clamide. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 47.
39. - 794 - 41 d. C.
- D. — ti clavdivs caesar avg p m tr p imp. Testa nuda di Claudio, a sin.
- R. — Pallade in piedi, a d., armata di galea e scudo, con egida sul petto, in atto di scagliare un’asta. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 84 [var. n. 83].
- D. — germanicvs caesar ti avg f divi avg n. Testa nuda di Germanico, a destra.
- R. — ti clavdivs caesar avg germ p m tr p imp p p. Nel mezzo s c.
Cohen, Germanico, n. 9.
c) Quadranti (rame).
41. - 794 - 41 d. C.
- D. — ti clavdivs caesar avg. Mano, a sin., che tiene sospesa una bilancia, sotto cui p n r.
- R. — pon m tr p imp cos des it. Nel campo s c.
Cohen, Claudio I, n. 71 [var. n. 73].
42. — 794 — 41 d. C.
- D. — ti clavdivs caesar avg. Modio.
- R. — Simile al preced.
Cohen, id. n. 70 [var. n. 72, 74, 75].
L. DOMIT. NERO.
(807-821 - 54-68 d. C.)
a) Dupondii di oricalco con la testa laureata.
- R. — mac avg. Il Macello, nel cui interno è la statua di Nettuno in piedi.
Fiorelli, Cat. n. 4449.
- R. — pace p l’terra mariq parta ianvm clvsit. Tempio di Giano, la cui porta chiusa ornata di festone è a destra. Ai lati s c.
- R. — secvritas avgvsti. La Sicurtà sedente a destra, che, poggiato il cubito al dossale del seggio, sostiene il capo con la mano, ed ha nella sinistra un’asta. Innanzi ara accesa adorna di festoni, cui è addossata una face. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4598 [var. n. 4601, 4603, 4604, 4614, 4615].
- R. — spqr ob civ ser in corona di quercia.
Fiorelli, Cat. n. 4616.
- R. — victoria avgvsti. Vittoria alata gradiente, a sin., con ramo di palma in una mano e nell’altra la corona di alloro.
Fiorelli, Cat. n. 4625 [var. n. 4626,-27,-28,-32-41].
b) Assi di oricalco.
- R. — genio avgvsti. Genio in piedi, a sin., innanzi ad un’ara accesa, avendo in mano la patera ed il corno dell’abbondanza. Ai lati s c.
Cohen, Nerone, n. 108 [var. n. 105-107]. — Gr. 8,70; 7,22, Fiorelli, Cat. n. 4421-22. — Gr. 7,65 Id. n. 4424-26. - Gr. 10,09 (peso eccedente); 8,96; 8,34; 6,59, Collez. Santang.
49. — Mill. 22,24.
- D. — Simile al preced.
- R. — pontif max tr p imp p p. L’imperatore in piedi, a destra, laureato ed in abito muliebre, accompagnando il suo canto alla lira. Ai lati s c, nell’esergo ĩ.
Cohen, id. n. 203 [var. n. 191, 248]. — Gr. 6,82, Collez. Santang. — Gr. 10,31 (peso eccedente) Fiorelli. Cat. n. 4633-700.
c1) Semis di oricalco con o senza segno di valore.
50. — 813 — 60 d. C. — Mill. 17-19.
- D. — nero caes avg imp. Testa di Nerone laureata, a d.
- R. — cer qvinq rom co. Mensa agonistica adorna di due grifi, sopra cui s (che spesso manca), vaso e corona. Sotto vi è un disco, nell’esergo s c.
Cohen, id. n. 47 [var. n. 48-65], - Gr. 4,15; 4,12; 3.93; 3,64; 3,43000. Collez. Santang. — Gr. 4,53; 4,28; 4,26. Fiorelli, Cat. n. 433538.
51. — Mill. 17-19.
- D. — imp nero caes avg. Testa di Nerone laureata, a d.
- R. — p m tr p p p. Roma, sedente a sin., sopra una lorica e più scudi, calcando una galea, che con la sinistra stringe il parazonio e tiene nella destra una corona d’alloro. Nell’esergo s c; nel campo s (che spesso manca).
Cohen, n. 178 [var. n. 189, 190, 193-195, 236-240, 272, 331-334]. - Gr. 4,47; 3,91; 3,55; 3,47 ecc. Collez. Santang. - Gr. 3,89; 3,38, Fiorelli, Cat. n. 4569-70. — Gr. 3,88; 3,46; Id. n. 4565-68.
c2) Semis di rame.
52. — 813 — 60 d. C. — Mill. 21.
- D. — nero clavdivs caesar avg germ p m tr p imp p p. Testa di Nerone, a destra, con corona d’alloro.
- R. — certamen qvinq rom co. Mensa agonistica adorna di due grifi, sopra cui vaso e corona. Sotto vi è un disco.
Gr. 6,13, Fiorelli, Cat. n. 4333 [var. n. 4334; gr. 6,08].
53. — Mill. 22.
- D. — imp nero caesar avg pontif. Testa nuda di Nerone, a destra.
- R. — max trib pot p p. Roma, sedente a sin., sopra una lorica e più scudi, calcando una galea, che con la sinistra stringe il parazonio, e tiene nella destra una corona d’alloro. Ai lati s c.
Gr. 5,47; 4,86, Fiorelli, Cat. n. 4562,63.
d1) Quadranti di oricalco.
54. — Mill. 14 o 15.
- D. — nero clav cae avg ger. Galea cristata, asta e scudo poggiati ad una base.
- R. — pm tr p imp p p. Ramo di ulivo, sotto .·. Ai lati s c.
Gr. 1,58, Fiorelli, Cat. n. 4708-11. — Gr. 2,58, Collez. Santangelo.
55. — D. — Simile al preced.
- R. — Simile al preced., ma senza segno di valore.
Gr. 2,12, Collez. Santang.
56. — Mill. 14.
- D. — nero clav cae avg. Ara Ornata di festoni, su cui poggia una civetta con ali aperte.
- R. — ger p m tr p imp p p. Ramo di ulivo. Sotto .·. Ai lati s c.
Gr. 1,75, Fiorelli, Cat. n. 4719.
d2) Quadranti di rame.
57. - Mill. 18.
- D. — nero clavd caesar avg. Galea cristata, asta e scudo poggiati ad una base.
- R. — ger pon max tr p imp p p. Ramo di ulivo.
Gr. 3,60, Fiorelli, Cat. n. 4706. - Gr. 1,96; 1,89, Collez. Santang. (esempl. molto consumato).
58. — D. — nero clav cae avg ger. Simile al preced.
- R. — Simile al preced. Ai lati s c.
Gr. 3,15, Fiorelli. Cat. n. 4712.
59. - Mill. 16.
- D. — nero clavd cae avg ger. Ara Ornata di festoni, su cui poggia una civetta con ali aperte.
- R. — p m tr p imp p p. Ramo d’ulivo. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4714-18. — Gr. 3,22; 3,06; 3,00; 2,96, Collez. Santangelo.
SER. SULPICIUS GALBA.
(821-822 — 68-69 d. C.)
a) Dupondii (oricalco).
- R. — felicitas pvblica. La Felicità in piedi, a sin., con caduceo in una mano e nell’altra il corno di abbondanza. Ai lati s c.
Cohen, Galba, n. 67 [var. n. 68]. — Fiorelli, Cat. n. 4804-5.
- R. — libertas avgvst. La Libertà in piedi, a sin., con pileo in una mano e nell’altra un’asta. Ai lati sc rxi.
Fiorelli, Cat. n. 4830.
62. — D. — imp ser galba avg tr p. Testa di Galba laureata, a destra.
- R. — libertas pvblica. La Libertà in piedi, a sin., con pileo in una mano e nell’altra un’asta. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4864-65 [var. n. 4869, 4886-89]. — Gr. 14,86, Collez. Santangelo.
63. — D. — ser galba imp caes avg tr p. Testa di Galba laureata, a destra.
- R. — pax avgvst. La Pace in piedi, a sin., con ramo d’ulivo in una mano e nell’altra il caduceo. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4900 [var. dal n. 4902 al n. 4927; nei quali numeri si trovano confusi assi e dupondii].
- R. — qvadragensvma remissa. Arco di trionfo ornato alla sommità da due figure equestri. Nell’esergo s c.
Cohen, Galba, n. 167 [var. n. 165, 166]. — Fiorelli, Cat. n. 4928.
- R. — secvritas p romani. La Sicurtà sedente a sin., innanzi ad un’ara, su cui è una face. All’esergo s c.
Cohen, Galba, n. 278 [var. n. 279; Fiorelli, Cat. n. 4978].
66. — D. — imp ser galba avg tr p. Busto di Galba laureato, a destra.
- R. — spqr ob civ ser in corona di quercia.
Fiorelli, Cat. n. 4990 [var. da n. 4994 a 5032; nei quali numeri coi sesterzi! sono contusi dupondii ed assi].
b) Assi (rame).
- R. — eqvitas. L’Equità in piedi, a sin., poggiata ad un’asta e con bilancia in mano. Ai lati s c.
Cohen, Galba, n. 7 [var. n. 8, 9]. — Fiorelli, Cat. n. 4759-60, [var. n. 4761-63].
68. — D. — ser galba imp caes avg tr p. Testa di Galba laureata, a destra.
- R. — ceres avgvsta. Cerere, sedente a sin., con una spiga e un papavero in una mano, nell’altra il caduceo. All’esergo s c.
Cohen, id. n. 15 [var. n. 16-2i. — Fiorelli, Cat. n. 4776-82].
69. — D. — imp ser svlp galba caes avg tr p. Testa di Galba laureata, a destra.
- R. — libertas pvblica. La Libertà.... (come nel corrispondente dupondio).
Fiorelli, Cat. 11. 4837-39 [var. n. 4844-47; 4851-55; 4859-63; 4866-68].
70 D. — ser galba imp caes avg tr p. Testa di Galba laureata, a destra.
- R. — pax avgvst. La Pace in piedi, a sin., con ramo d’ulivo in una mano e nell’altra un’asta. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4895-96 [var. n. 4897-99; dal n. 4901 a 4927 sono posti alla rinfusa assi e dupondii].
- R. — salvs avgvsti. La Salute in piedi, a destra, poggiata ad un piedestallo, che tenendo un serpe, gli porge il cibo in una patera. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 4975 [var. n. 4976-77].
72. — D. — imp ser galba caes avg tr p. Testa nuda di Galba, a destra.
- R. — vesta. Vesta sedente a sin., col Palladio in mano, stringendo l’asta. Ai lati s c.
- Fiorelli, Cat. n. 5033-37 [var. n. 5038-43].
- R. — Vittoria alata gradiente, a sin., con ramo di palma in una mano e nell’altra la corona di alloro. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 5101-4.
74. — D. — Leggenda come nel n. 73. Busto non laureato di Galba, a destra.
- R. — Aquila legionaria fra due insegne militari, che poggiano su tre prore di navi. Ai lati s c.
Fiorelli, n. 5106 [var. n. 5107-5119].
A. VITELLIUS.
(822 - 69 d. C.)
a) Dupondii (oricalco, quasi sempre di cattiva lega).
- R. — aeqvitas avgvsti. L’Equità in piedi, a sin., poggiata all’asta, avendo in mano la bilancia. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 5196.
- R. — annona avgvsti. L’Annona stante, a sin., con una piccola Vittoria nella destra, un corno d’abbondanza poggiato al braccio sin. Innanzi ha un canestro ripieno di spighe, dietro una prora di nave.
Cohen, Vitell. n. 4.
77. — D. — Simile al preced.
- R. — ceres avg. Cerere sedente a sin., con spighe in una mano e nell’altra il caduceo. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 3198.
- R. — concordia avgvsti. La Concordia sedente a sin., con patera in una mano e nell’altra il corno di abbondanza, avendo innanzi un’ara accesa. Nell’esergo s c.
Fìorelli, Cat. n. 5199 [var. Gr. 13.02, Collez. Santang.].
- R. — fides exercitvvm. Due mani giunte. Nell’es. s c.
Fiorelli, Cat. n. 5202.
- R. — fortvnae avgvsti. La Fortuna sedente a sin., con timone in una mano e nell’altra il corno di abbondanza. Nell’esergo s c.
Fiorelli, Cat. n. 5203.
- R. — secvritas p romani. La Sicurtà sedente a sin. innanzi ad un’ara accesa. Nell’esergo s c.
Fiorelli, Cat. n. 5210.
- R. — victor avgvsti. La Vittoria alata, a sin., che sospende lo scudo ad un trofeo, ai cui piedi è un prigioniero sedente. Nell’esergo s c.
Fiorelli, Cat. n. 5214.
b) Assi (rame)96.
- R. — concordia avgvsti. Simile al dupondio corrisp.
Fiorelli, Cat. n. 5200.
- R. — felicitas avgvsti. La Felicità in piedi, a sin., poggiata all’asta e tenendo una face (?) inversa. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 5201.
- R. — libertas restitvta. La Libertà in piedi, a destra, con pileo in una mano e l’altra poggiata all’asta. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 5205.
- R. — provident. Ara. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 5208 [var. n. 5209].
- R. — secvritas p romani. .Simile al dupondio corrisp.
Fiorelli, Cat. n. 5211.
- R. — victoria avgvsti. La Vittoria alata, gradiente, a sin., recando in mano lo scudo, in cui spqr.
Fiorelli, Cat. n. 5213.
VESPASIANUS.
(823-832 - 70-79 d. C.)
a) Dupondii di oricalco con la testa laureata.
89. — 824 — 71 d. C.
- D. — imp caesar vespasianvs avg p m tr p. Testa di Vespasiano laureata, a d., poggiata sopra un globetto.
- R. — ivd capta. La Giudea, a destra, seduta in terra, sotto un albero di palma sorreggentesi la testa col braccio destro. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 3409.
90. — 827 — 74 d. C.
- D. — imp caesar vespasian avg. Testa di Vespas. laureata, a destra.
- R. — pon max tr pot p p cos v cens. Caduceo alato fra due corni d’abbondanza ricolmi di uva e di spighe.
Cohen, Vespas., n. 376 [var. n. 377-378].
91. - 830-31 - 77-78 d. C.
- D. — imp caes vespasian avo cos viii p p. Testa di Vesp. laureata, a destra.
- R. — fides pvblica. La Fede in piedi, a sin., con patera in mano e corno di abbondanza. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6101-2.
92. - 830-31 - 77-78 d. C.
- — D. Simile al preced., se non che la testa poggia sopra un globetto.
- R. - fortvnae redvci. La Fortuua in piedi a sin., avente in una mano il corno di abbondanza e l’altra sul timone poggiato sopra un globo. Ai lati s c.
Fiorelli Cat. n. 6103.
93. — Titus Caesar. — 827 — 74 d. C.
- D. — t caes imp pont. Testa di Tito laureata, a sin.
- R. — tr pot cos iii censor. Caduceo alato fra due corni d’abbondanza, ricolmi di uva e di spighe.
Cohen, Tito, n. 325 [var. n. 326-327].
94. — 829 — 76 d. C.
- D. — t caes imp pont. Testa di Tito laureata, a destra.
- R. — pon max tr pot p p cos v cens. Caduceo alato fra due corni d’abbondanza ricolmi di uva e di spighe.
Cohen, Tito, n. 155.
95 — 830-31 — 77-78 d. C.
- D. — t caes imp avg f tr p cos vi censor. Testa di Tito laureata, a destra.
- R. — secvritas augvsti. La Sicurtà seduta, a destra, innanzi ad un’ara, che con una mano sostiene il capo, e con l’altra stringe un’asta. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6492.
96. — Domitianus Caesar. — 826 — 73 d. C.
- D. — caesar avgvsti f. Testa di Domiziano laureata a s.
- R. — domitianvs cos ii. Caduceo alato, cui sono congiunti due corni d’abbondanza ricolmi di uva e spighe.
Cohen, Domiz., n. 97 [var. n. 99], — Fiorelli, Cat. n. 6688-91.
97. - 826 - 73 d. C.
- D. — caesar avg f domitian cos ii. Busto di Domiziano laureato, a destra.
- R. — felicitas pvblica. La Felicità in piedi, a sin., dm caduceo in una mano e nell’altra il corno d’abbondanza. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6633.
98. — 826 — 73 d. C.
- D. — Simile al preced.
- R. — princip ivvent. Domiziano a cavallo correndo, a sin., che stringe lo scettro ed ha un braccio levato in alto. Sotto s . c.
Fiorelli, Cat. n. 6650-54.
99. - 827 - 74 d. C.
- D. — caesar avg f domitian cos iii. Busto di Domiziano laureato, a destra.
- R. — felicitas pvblica. La Felicità in piedi, a sin., con caduceo in una mano e nell’altra il corno di abbondanza. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6704-8.
100. — 829 — 76 d. C.
- D. — caesar avg f domitian cos v. Busto di Domiziano laureato, a destra.
- R. — ceres avgvst. Cerere in piedi, a sin., poggiata ad alta face, tenente in mano le spighe. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6754 (dorato).
b) Assi di oricalco.
101. — Mill. 20.
- D. — imf caesar vesp avg. Testa di Vespasiano laureata, a sin.
- R. — Corona d’alloro nel cui mezzo s c.
Gr. 6,65, Fiorelli, n. 6204.
102. — Titus Caesar. — 832 - 79 d. C. — Mill. 21.
- D. — t caesar imp pon tr pot. Testa di Tito laureata a destra.
- R. — Corona d’alloro, nel cui mezzo s c.
Gr. 6,81; 5,45 (consumato) Fiorelli, n. 6595-96.
f) Semis (oricalco).
103. — 829 — 76 d. C.
- D. — imp caesar vespasian avgvst. Testa di Vespasiano laureata, a destra.
- R. — pontif max (?) tr p cos vii cens. La Vittoria stante, a sin., tenente nelle mani una corona e un ramo di palma.
Cohen, Vespas. n. 383.
104. — D. — imp vesp avg. Testa di Vesp. laureata, a s.
- R. — p m tr pot p p. Caduceo alato. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 349.
105. Titus filius.
- D. — t caes imp. Testa di Tito laureata, a destra.
- R. — pon tr pot. Caduceo alato (senza s c).
Cohen, Tito, n. 156 [var. n. 339]. 106. - Domitianus filius. — 826 — 73 d. C.
- D. — caes avg f. Testa laureata di Domiziano a sin.
- R. — domit cos ii. Caduceo alato (senza s c).
Cohen, Domiz., n. 96.
107. — 826 — 73 d. C.
- D. — caesar domit cos ii. Testa laureata di Dom., a s.
- R. — s . c in corona d’alloro.
Gr. 4,08 (consum.) Fiorelli, Cat. n. 6693.
d) Quadranti (rame od oricalco)97.
108. — 824 — 71 d. C.
- D. — imp caes ves avg. Albero di palma.
- R. — p m tr p p p cos iii. Insegna militare. Ai lati s c.
Cohen, Vespas. n. 341 [var. n. 342, 343, 351, 352], — Gr. 1,82 (Oric.) Collez. Santang.
109. — 824 — 71 d. C.
- D. — imp vespasian avg. Trofeo.
- R. — Simile al preced.
Cohen, id. n. 344 [var. n. 353]. — Gr. 1,70 Oric.) Collez. Santang.
110. — 824 — 71 d. C.
- D. — Simile al preced.
- R. — p m tr p p p cos iii. Due aste fra due scudi.
Cohen, id. n. 345 [var. n. 357].
111. — 824 — 71 d. C.
- D. — imp vespasian avg. Albero di palma.
- R. — pon m tr p p p cos iii. Aspergillo, patera e bastone d’augure.
Cohen, id. n. 355 [var. n. 356].
112. — 825 o 826 — 72 o 73 d. C.
- D. — Simile al preced.
- R. — p m t p p p cos iiii. Stendardo. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 340 [var. n. 354].
113. — 825 o 826 — 72 o 73 d. C.
- D. — imp vespasian avg. Trofeo.
- R. — p m trib p cos iiii. Stendardo. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 350.
114. — 825 o 826 — 72 o 73 d. C.
- D. — imp caes vespasian cos iiii. Caduceo alato fra due corni d’abbondanza.
- R. — s.c in corona d’alloro.
Cohen, id. 11. 503 [var. n 504]. — Gr. 2,06 Oric.) Collez. Santang.
115. — 827 — 74 d. C.
- D. — imp vespasian avg. Timone su di un globo.
- R. — p m tr p p p cos v. Caduceo alato fra due corni d’abbondanza. Ai lati s c.
Cohen, id, n. 346 [var. n. 347-348]. — Gr. 2,47 (rame): gr. 2,91 (rame) Collez. Santang.
T. VESPASIANUS.
(832-834 - 79-81 d. C.)
a) Dupondii di oricalco con la testa laureata.
116. — 833 - 80 d. C.
- D. — imp t caes vesp avg p m tr p cos viii. Testa di Tito laureata, a sin.
- R. — ceres avgvsti. Cerere in piedi, a sin. poggiata ad alta face e con le spighe in mano. Ai lati s c.
Collez. Santangelo.
117. — Domitianus frater. — 833 — 80 d. C.
- D. — caes divi vesp f domitianvs (ovv. domitian) cos vii. Testa di Domiziano laureata, a sin.
- R. — concordia avg. La Concordia, seduta a sin., con patera in una mano e nell’altra il corno d’abbondanza. Nell’esergo s . c.
Fiorelli, Cat. n. 6920.
118. - 833 - 80 d. C.
- D. — caes divi vesp f domitian cos vii. Testa di Domiziano laureata, a sin.
- R. — vesta. Vesta sedente a sin., con Palladio in una mano e nell’altra l’asta. Ai lati s c.
- Fiorelli, Cat. n. 6922 [var. n. 6923].
119. — 833 — 80 d. C.
- D. — caes divi vesp domitian cos vii. Testa di Domiziano laureata, a sin.
- R. — La Speranza in piedi, a sin., sollevando la veste e con fiore in mano. Ai lati s c.
Fiorelli, Cat. n. 6936.
b) Semis (oricalco).
- R. — ivd cap. La Giudea mesta, sedente a sin., sotto un albero di palma, presso cui varie armi. Ai lati s c.
Cohen, Tito, n. 112 [var. n. 225].
- R. — Cinghiale gradiente, a destra. Sotto s c.
Cohen, id. n. 241.
c) Quadranti (rame od oricalco).
122. — 833 — 80 d. C.
- D. — imp t vesp avg cos viii. Testa galeata, a destra.
- R. - s . c in corona di alloro.
Cohen, id. n. 251 [var. n. 255].
123. - 833 — 80 d. C.
- D. — imp t vesp avg cos viii. Modio.
- R. — Simile al preced.
Cohen, id. n. 252. — Fiorelli, Cat. n. 6874.
- R. — Simile al preced.
Cohen, id. n. 253.
125. — D. — imp titvs. Albero di palina.
- R. — Simile al preced.
Cohen, id. n. 254.
126. — 834 — 81 d. C.
- D. — imp caes divi vesp f domitian avg p m. Testa di Domiziano, a destra, con corona d’alloro.
- R. — tr p cos vii des viii p p. Pallade in piedi, a sin., galeata e con egida sul petto, che poggiata all’asta ha in terra lo scudo e in mano il fulmine. Ai lati s c.
Collez. Santang.
127. — 835 — 82 d. C.
- D. Simile al preced.
- R. — tr p cos viii des viiii p p. Simile a! preced.
Collez. Santang.
a) Semis (oricalco).
α) con l’immagine di Domiziano.
128. - 838 - 85 d. C.
- D. — imp domit avg germ cos xi. Busto laureato di Domiziano, a destra, con paludamento, sotto le sembianze di Apollo.
- R. — Tripode, attorno al quale è avviticchiata una serpe.
Cohen, Domiz. n. 546. — Gr. 3,54; 3,10. Collez. Santang.
129. — D. — imp domitianvs avg. Testa di Dom. laur., a d.
- R. — Corno d’abb. ripieno di frutti e spighe. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 543 [var. n. 542]. — Gr. 3,60. Collez. Santang.
130. — D. — imp caes domitian avg german. Testa di Domiziano laureata, a destra.
- R. — Nave con vela spiegata, carica di spighe.
Cohen, id. n. 547.
β) senza l’immagine di Domiziano.
131. - 838 - 85 d. C.
- D. — imp domit avg germ cos xi. Busto d’Apollo laureato,
a destra, coi capelli lunghi.
- R. — Corvo, a destra, poggiato sopra un ramo d’alloro. Sotto s . c.
Cohen, id. n. 525 [var. n. 526-529]. — Gr. 2,65 (consum.) Fiorelli, Cat. n. 7095. — Gr. 3,27; 2,71 (consum.) Collez. Santang.
132. - 838 - 85 d. c.
- D. — imp domit avg germ cos xi. Busto d’Apollo laureato, a destra, coi capelli lunghi.
- R. — Lira. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 541.
133. — 839 — 86 d. C.
- D. — imp domit avg germ cos xii. Busto di Palladc galeato, a sin. o a destra.
- R. — Civetta, a sin. o a destra. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 523 [var. n. 521, 522, 524]. — Gr. 5,58 (eccedente) Fiorelli, Cat. n. 71 16. — Gr. 3,54. Collez. Santang.
c) Quadranti (rame).
134. - 839 - 86 d. C.
- D. — imp domit avg germ cos xii. Busto dell’Annona coronato di spighe, a destra.
- R. — Fascio di spighe e papaveri. Ai lati s c.
Cohen, Domiz., n. 18. — Gr. 3,91. Collez. Santang.
135. — D. — imp domit avg germ. Nel mezzo s c.
- R. — Rinoceronte, a destra o a sin.
Cohen, Domiz. n. 673, 674. — Gr. 3,27; 2,82; 2,62; 2,36. Collezione Santang. — Fiorelli, Cat. n. 7229-30.
- R. — Ramo d’ulivo. Ai lati s c.
Cohen, id. n. 544. — Gr. 3,47. Collez. Santang. — Fiorelli, Cat. n. 7227-28.
137. — D. — imp caes dom avg. Busto galeato di Pallade, a destra.
- R. — Corona d’alloro, nel cui mezzo s . c.
Fiorelli, Cat. n. 7226.
- R. — Simile al preced.
Gr. 2,67. Collez. Santang.
139. — D. — imp dom avg (ovv. imp domit avg). Sim. al pr.
- R. — Simile al preced.
- Gr. 3,32. Collez. Santang.
- R. — Calato ricolmo di spighe. Ai lati s c.
Cohen, Domiz., n. 15 [var. n. 13 (Gr. 2,54; 2,2t. Collez. Santang. — Fiorelli, Cat. n. 7096) e 14.
141. — D. — Simile al preced.
- R. — Nave con vela spiegata, carica di spighe. Sotto s c.
Cohen, id. n. 16. — Fiorelli, C(7t. n. 7231.
142. — D. — imp domit avg germ. Trofeo.
- R. — Ramo d’ulivo. Ai lati s c.
Cohen, Domiz. n. 545.
Ettore Gabrici.
Note
- ↑ Memoria letta dall’Autore alla R. Accademia di Archeologia. Lettere e Belle arti di Napoli nelle tornate dei giorni 9 aprile, 14 e 21 maggio 1895.
- ↑ Mommsen, Histoire de la monnaie romaine, t. III, p. 9.
- ↑ Grut., p. 74, I; p. 1066, 5; p, 1070, I.
- ↑ Plin., XXXIV, 2.
- ↑ De Aedif., I, 2.
- ↑ VII, 24 e 25.
- ↑ Dalle analisi di bronzi imperiali, fatte dal Phillips e dal Gobel e riferite dal Mommsen (Monn. Rom., t. III, p. 381 rileviamo che Augusto volle proprio migliorare la qualità di quel metallo, unendo in lega solo rame e zinco. Fino allora il bronzo repubblicano era una miscela di rame, stagno e piombo; dall’epoca dell’aes signatum, fino alla morte di Cesare, il bronzo romano ha questa lega: da 5 a 8 %, di stagno e da 16 a 29 % di piombo (Monn. Rom., t. I, p. 204). Qui cade acconcio notare che la parola bronzo, con la quale si sogliono indicare i sesterzii, dupondii ed assi dell’impero è inesatta, perché da Augusto in poi i metalli usati per!a coniazione delle monete furono l’oro, l’argento, l’oricalco e il rame puro. Ciò non pertanto io mi varrò della parola bronzo come termine generico, per indicare tanto l’oricalco quanto il rame puro, e con essa non intendo riferirmi al metallo che risulta dalla lega del rame con lo stagno.
- ↑ De pond.. et mens., p. 29.
- ↑ Mommsen, Monn. Rom., t. III, p. 38.
- ↑ Per Caligola e per Claudio non credo di poter accettare a rigor di termini il risultato delle analisi del Phillips e del Göbel, perchè scarse e fatte evidentemente su bronzi di buona lega, che non mancano durante l’impero di questi due.
- ↑ Cohen 2 n. 71, 73.
- ↑ Illustr. di epigrafi e bassorilievi romani, negli Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. XI, p. 1-17.
- ↑ Cohen 2 n. 130, 326-329, 345-350.
- ↑ Cohen 2 n. 105108, 203.
- ↑ Fiorelli, Catal., n. 6204. — Cohen 2, Trajan, n. 122-124.
- ↑ Trascrivo le parole del Borghesi (ap. Cavedoni, Numismatica biblica, p. 132). " Conviene per altro concedere che l’Asse, dopo la caduta della libertà, fu poco in uso nella zecca di Roma, ed io non ve lo trovo stampato innanzi Nerone (Eckhel, t. VI, p. 282, a cui però si ha da aggiungere l’altro tipo con Roma sedente e l’epigrafe pontif . . . max . . . . etc), il quale imperatore, perchè forse dopo tanto tempo imitava parere una novità, vi fè segnare il valore monetale i, aggiungendo contemporaneamente, per distinguerlo, la nota ii al dupondio. Non lo incontro dipoi se non sotto Traiano col rovescio di un s. c entro una corona di lauro e la leggenda attorno dac . parthico . p . m . tr . p . xx . cos . vi . p . p. Quello che io conservo è del modulo 6 secondo il Mionnet, e quantunque bello, stenta a toccare i sette grammi „.
- ↑ Monn. Rom., t. III, p. 40 e 41, n. 2.
- ↑ V. nota 34.
- ↑ Cohen2 n. 191.
- ↑ Cohen2, Introduzione, p. XV.
- ↑ Borghesi, ap. Cavedoni, Numism. bibl., p. 134-136.
- ↑ Cavedoni, Numism. bibl., loc. cit.
- ↑ Monn. Rom., t. III, p. 35.
- ↑ Il passo di Plutarco fu addotto dal Borghesi (ap. Cavedoni, Num. bibl., p. 135), come prova dell’esistenza del quadrans nell’impero. Il Mommsen negando giustamente ogni importanza a questo passo, perchè troppo vago, dice che se ne potrebbe addurre un altro di Gajo. In verità, io non vi leggo niente che si possa riferire all’epoca imperiale. Trascrivo l’uno e l’altro per maggiore chiarezza. — Plutarco, Cic., XXIX: Κατεμαρτύρουν δὲ τοῦ Κλωδίου πολλοὶ τῶν καλῶν κάγαθῶν ἀνδρῶν ἐπιορκίας, ῥᾳδιουργίας, ὄχλων δεκασμούς, φθορὰς γυναικῶν. Λεύκολλος δὲ καί θεραπαινίδας παρεῖχεν, ὡς συγγένοιτο τῇ νεωτάτῃ τῶν ἀδελφῶν ὁ Κλώδιος ὅτε Λευκούλλῳ συνῴκει. Πολλὴ δ᾽ ἦν δόξα καὶ ταῖς ἄλλαις δυοσὶν ἀδελφαῖς πλουσιάζειν τὸν Κλώδιον, ὧν Τερτίαν μέν Μάρκιος Ῥήξ, Κλωδίαν δὲ Μέτελλος ὁ Κέλερ εἶχεν, ἣν Κουαδρανταρίαν ἐκάλουν, ὅτι τῶν ἐραστῶν τις αὐτῇ χαλκοῦς ἐμβαλὼν εἰς βαλάντιον ὡς ἀργύριον εἰσέπεμψε· τὸ δὲ λεπτότατον τοῦ χαλκοῦ νομίσματος κουαδράντην ἐκάλουν. — Gaio, Inst., I, 122: Ideo autem aes et libra adhibetur, quia olim aereis tantum nummis utebantur, et erant asses dupondii, semisses, quadrantes, nec ullus aureus vel argenteus nummus in usa erat, sicut ex lege XII tabularum intellegere possumus; eorumque nummorum vis et potestas non in numero erat sed in pendere asses librales erant et dupondii; unde etiam dupundius dictus et quasi duo pondo, quod nomen adhuc in usu retinetur, semisses quoque et quadrantes pro rata scilicet portione ad pondus examnatii erant.
- ↑ Vedi in fine della Memoria, dov’è l’elenco dei dupondii, assi e frazioni dell’asse.
- ↑ Profittando di questa differenza apparente fra il semis e il quadrans, io credo che negli ultimi anni dell’impero di Nerone non si sia badato nella zecca a mantenere la differenza del metallo fra i quadranti di oricalco e quelli di rame, e credo che siano stati coniati quasi tutti in rame. A favorire questo abuso si aggiungeva la poca quantità di metallo richiesto per questi nominali piccoli, la quale faceva si che la differenza di valore fra il quadrans di oricalco e quello di rame fosse minima. Ond’è che alcuni quadranti di Nerone, in rame, pesano gr. 1,90 e anche meno, mentre dovrebbero pesare, in verità, un poco di più.
- ↑ Monn. Rom., t. III, p. 47.
- ↑ Cohen2, Oct. Aug., n. 338, 339, 340, 352.
- ↑ Il Cohen descrive tre piccoli bronzi di Tiberio dal tipo e dalla tecnica dei semis di Nerone sul rovescio, uno dei quali ha la leggenda cer . quinq . rom . con. Egli è del parere che siano stati coniati al tempo di Nerone, usando pel diritto vecchi conii delle monete di Tiberio. Che quei bronzi siano dell’età di Nerone, non lo metto in dubbio, e se tutto mancasse, il rovescio del n. 1 non li può far ritenere dell’epoca di Tiberio, non avendo mai Tiberio fatto celebrare giuochi quinquennali; ma che la testa di Tiberio sia stata impressa con conii di Tiberio, questo non Io credo a nessun costo, perchè piccoli bronzi di Tiberio della zecca di Roma non se ne conoscono (Cohen2, Tib., n. i, 7, 11).
- ↑ Cohen2, Calig., n. 5-8.
- ↑ Cohen2, Claud., n. 7075;.
- ↑ Borghesi, Istit. di corrisp. arch., Bullett. 1845, p. 153. — Caved., Numism. bibl., p. 72.
- ↑ Borghesi, ap. Caved., Numism. bibl., p. 134.
- ↑ S. Marco XII, 42 dice che la vedova pose nel gazofilacio λεπτά δύο, ὅ εστί κοδράντης; (duo minuta, quod est quadrans). — S. Matt. V, 26: ἔσχατον κοδράντην.
- ↑ Tale riordinamento ha un ben largo significato, perchè abbraccia da una parte la introduzione di un nuovo nominale, qual è il semis, nella serie del bronzo, dall’altra il miglioramento della lega dell’oricalco. L’asse d’oricalco poi, come specie monetale non era nuovo nella monetazione romana; ma nuovo certamente in quanto l’asse, che era stato sempre di rame, con Nerone fu coniato anche in oricalco. L’Accademia Reale accolse la mia preghiera di far analizzare uno di questi assi d’oricalco e proprio quello che ha il tipo di Nerone citaredo, del quale do la descrizione:
- Dir. — nero clavd caesar avg germani. Testa di Nerouc radiata a destra.
- Rov. — pontif maxim tr p imp p p. Nerone in piedi a destra laureato e in abito muliebre, accompagnando il suo canto alla lira; ai lati s c, nell’esergo i.
Rame per cento 82,28 Zinco „ 17,31 Ferro „ 0,41 - ↑ Una piccola eccezione la fanno certi dupondii di Vespasiano, in oricalco, con la testa laureata. Fra quelli di Domiziano ve ne ha qualcuno che soffre la stessa eccezione.
- ↑ Cohen2 Calig., n. 1, 2, 3.
- ↑ Cohen2, Claud., n. 31.
- ↑ Id., Vespas., n. 143-148.
- ↑ Id., Agrippine et Néron n. 3, 4, 6, 7.
- ↑ Id., Néron, n. 204-234.
- ↑ Id., Néron, n. 7-12; 24-26; 72; 75, ecc.
- ↑ Id., Vespas., n. 376-378; Tite, n. 155, 325-327.
- ↑ Il loro peso poi conferma la mia opinione, perchè corrisponde al peso dei dupondii. A questi medii bronzi bisogna aggiungerne alcuni dell’anno 826 73 d. C. — che hanno la testa laureata di Domiziano Cesare e lo stesso rovescio di questi. Sono anch’essi dupondii, di oricalco. (Cohen, Domit., n. 96, 97).
- ↑ Costituiscono una eccezione un denaro e un aureo coniati dopo la morte di Vespasiano: essi hanno soltanto s • c (Cohen, Vespas., n. 496, 497). Il Fiorelli erroneamente vi legge ex • s • c (Cat. n. 6882-831.
- ↑ Cfr., Mancini, La legge Vipsania dell’anno dccxxxiii, nel Giornale degli Scavi di Pompei, N. S. vol. II, p. 177 e seg.
- ↑ Cfr. Borghesi, Oeuvr, t. I, p. 240.
- ↑ Mommsen, Monn. Rom., t. III, p. 48.
- ↑ Suet., Div. Aug., 41.
- ↑ Tac., Ann. I, 78.
- ↑ Dio Cass., 55, 31: Tac., Ann. xiii, 31.
- ↑ Gaius, c. 3, § 125 e § 162.
- ↑ Cfr. Lenormant, La monn. dans l’antiq., t. Ili, p. 82.
- ↑ Suet., Calig., 37.
- ↑ Joseph., Antiq. Jud. XIX, 4; Dio, LX.
- ↑ Plin., XXXVI, 24.
- ↑ Suet., Nero, 30: In Tiridatem, quod vix credibile videatur, octingena nummum milia diurna erogavit abeuntique super sestertium milies contulit.
- ↑ Tac. Ann., XV. 18.
- ↑ Suet., Nero, 31.
- ↑ Suet, Nero., 32; Dio, LXII, 18.
- ↑ Duruy, Hist. Rom., t. IV, p. 62.
- ↑ Mancini, Illustraz. di due epigr. ined. delle Terme di Diocleziano, ecc. negli Atti dell’Accademia Pontan., vol. XI, p. 11.
- ↑ Tac. Hist., I, 20,
- ↑ Suet., Galba, 15; Tac, Hist., I, 20 (dice che furono trenta).
- ↑ Plut., Galba, 2.
- ↑ Suet., Vespas, 16.
- ↑ Suet., Vespas., 16.
- ↑ Suet., Domit., 7. Cfr. Duruy, t. IV, p. 209.
- ↑ Zeitschr. f. Num. a. 1876, p. 354; 1877, p. 279. V.
- ↑ Acad. des Inscr. et belles Lettres, Hist. et memt. XI. ip. 23.
- ↑ Les contromarques monetaires à l’epoque du haut Empire, nella Rev. Numism. anno 1859-70, p. 300-315; 385-402 (questa memoria rimase incompleta).
- ↑ Oeuv., I, Dec. III, osserv. VIII.
- ↑ Museo ital. di antich. class., vol. II, p. 309.
- ↑ Mommsen, Monn. Romm., t. III, p. 203 e seg.
- ↑ Trovo inoltre le contromarche ti • av, ti • ca sopra alcuni assi di Agrippa. Per la ragione addotta non possono ascriversi a Tiberio. La seconda di queste la trovo anche, della identica tecnica e grandezza, sur un asse di Caligola, il che conferma la mia attribuzione a Claudio. Alcuni assi di Caligola e di Germanico hanno una contromarca che si legge tib • ca • imp. Questa e le altre di sopra le ritengo segnate da Claudio nei primi anni del suo impero, a tempo della riforma dei pesi.
- ↑ Borghesi, Oeuvr., Dec. III, osserv. VIII.
- ↑ Rev. Arch., N. S. t. XIX, p. 415-427.
- ↑ Dioscor., Περὶ ὕλης ἰατρικῆς, V. c. 189; Theophr., De Odor., t. I, p. 757 (ed., Schneid.).
- ↑ Pedias., ad Scut. Hercul., 122.
- ↑ Plin., Nat. Hist., XVI, 22; XXXIV, 26 et passim.
- ↑ Strab., XIII, p. 610. Ἔστι δὲ λίθος περὶ τὰ Ἄνδειρα, ὃς καιόμενος σίδηρος γίνεται, εἶτα μετὰ γῆς τινος καμινευθεὶς ἀποστάζει ψευδάργυρον, ἣ προσλαβοῦσα χαλκὸν τὸ καλούμενον γίνεται κρᾶμα, ὅ τινες ὀρείχαλκον καλοῦσι. Per l’interpretazione esatta di questo passo, che è quella data di sopra, cfr. Rossignol, Du metal que les anciens appelaient orichalque, p. 244- 251.
- ↑ Rossignol., o. c, p. 251-253.
- ↑ Fest., s. V. Cadmea.
- ↑ Antiq. Iud., XVI, 4, 5.
- ↑ Plinio che parla spesso del rame, specie nel libro XXXIV, usa a volte Cyprium ed aes Cyprinm, ma più spesso Cyprium.
- ↑ Fa eccezione un dupondio di Claudio. Vedi il n. 34 dell’elenco che segue.
- ↑ Questi tipi dei dupondii di Augusto sono costanti, ma il nome del monetiere varia. I nomi che vi si leggono sono: Q. Aelius Lamia (Coh. Oct. Aug. n. 342), C. Asinius Gallus (Coh. id. n. 368), Cn. Piso Cn. F. (Coh. id. n. 378), C. Cassius Celer (Coh. id. n. 408), C. Gallius Lupercus (Coh. id. n. 435), P. Stolo (Coh. id. n. 44o P. Licinius Stolo (Coh. id. n. 442), P. Lurius Agrp. (sic) (Babelon, t. II, p. 155), Censorinus (Coh. id. n. 452), L. Surdinus (Coh. id. n. 472), C. Plotius Rufus (Coh. id. n. 502), T. Crispinus (Coh. id. n. 505 T. Crispinus Sulpician. o Sulpicianus (Coh. id. n. 507), T. Quinctius Crisp. o Crispinus (Coh. id. n. 509), M. Sanquinius (Coh. id. n. 52i Ti. Sempronius Graccus (Coh. id. n. 525).
- ↑ Anche per gli assi varia il nome del monetiere, pur rimanendo costanti i tipi del diritto e del rovescio. Tralascio le lievi differenze nella leggenda del diritto. I nomi dei monetieri che vi si leggono sono: C. Asinius Gallus (Coh. Oct. Aug. n. 369), Cn. Piso Cn. F. (Babelon, t. I, p. 308), C. Cassius Celer (Coh. id. n. 409), C. Gallina Lupercus (Coh. id. n. 436J, A. Lincin. Nerva Silan. (Coh. id. n. 437), P. Lurius Agrippa (Coh. id. n. 445, 416;, M. Maecilius Tullus (Coh. id. n. 448 449), Maianius Gallus (Coh. id. n. 451). L. Naevius Surdinus ovv. L. Surdinus (Coh. id. n. 470, 473). Sex. Nonius Quinctilian (Coh. id. n. 474, 475, C. Plotius Rufus (Coh. id. n. 504), T. Crispinus (Babelon, p. 397, n. 14), M. Salvius Otho (Coh. id. n. 515, 516). M. Sanquinius (Babelon, p. 419. n. 6), Volusus Valer. Messal. (Coh. id. n. 53B).
- ↑ Devo dichiarare di non aver potuto finora stabilire, per mancanza di esemplari, se i medii bronzi di Augusto con i nomi dei monetieri, aventi nel diritto la testa nuda di Augusto con dietro la Vittoria alata che gli cinge il capo con serto di alloro, siano di oricalco o di rame, e perciò sono in dubbio se siano tutti dupondii od assi. Io argomento che debbano essere dupondii. Nel medagliere di Napoli ve ne sono soltanto tre, due dei quali sono di oricalco, e uno di rame. Il Cav. Francesco Gnecchi ne ha due nella sua collezione, anch’essi di rame, com’egli mi assicura, ma di un modulo tra i grandi e i medii bronzi, pesanti l’uno gr. 15,200, l’altro gr. 20,290. Ad ogni modo queste monete meritano uno studio, che io mi riprometto di fare, se altri non mi precederà.
- ↑ Queste monete sono tutte indistintamente di rame. Nella collezione di Napoli ve n’è una di oricalco, del peso di gr. 10,98 (Fiorelli, Cat. n. 3946); ma essendo un caso unico, attribuisco ciò ad errore.
- ↑ Sulla faccia diritta ricorrono i nomi di Lamia, Silius, Annius (Coh. id. n. 338); Pulcher, Taurus, Regulus (Coh. id. n. 413).
- ↑ Leggonsi i nomi di Lamia, Silius, Annius (Coh. id. n. 339); Pulcher, Taurus, Regulus (Coh. id. n. 414).
- ↑ Per questi quadranti abbiamo i seguenti nomi: Lamia, Silius, Annius (Coh. id. n. 340); Pulcher, Taurus, Regulus (Coh. id. n. 415).
- ↑ Su questi quadranti ricorrono soltanto i nomi di Apronius, Sisenna, Galus, Messalla in ordine diverso (Coh. id. n. 350-353; 370375; 420425; 530-537).
- ↑ Si leggono i nomi di P. Betilienus Bassus fCoh. id. n. 376); C. Naevius Capella (Coh. id. n. 469); C. Rubellius Blandus (Coh. id. n. 511); Silius, Annius, Lamia Coh. id. n. 528).
- ↑ Io non pretendo di dare la serie completa dei dupondii e degli assi di Vitellio, perchè le monete di questo imperatore sono estremamente rare, e quindi non mi è stato possibile di studiarne un numero grande. Non ho potuto studiare ad esempio, i numeri del Cohen, 8, 25, 29, 64, 63, 70, 76, Si, 88, 108.
- ↑ Questa serie di quadranti fu coniata in oricalco e in rame, e fu quasi sempre osservata la relativa differenza di peso.