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334 | ettore gabrici |
la riduzione del denaro e dell’aureo da una parte, la giustezza della monetazione di bronzo dall’altra. Io me li spiego. La prosperità dell’impero sotto Nerone era tutt’apparente, passeggera. Ne risentiranno le conseguenze Galba e Vespasiano che si ebbero la taccia di avari e spilorci. Nerone consumò tutti i tesori raccolti a Roma dal provvido Augusto, dall’interessato Tiberio, e quando non seppe più dove metter mano in Italia, passò alle provincie, non pagò i soldati, sospese le gratificazioni ai veterani1. In una società costituita quale la romana, e con un principe scialacquatore come Nerone, non poteva avvenire diversamente. La produzione cessata, perchè quasi nullo il lavoro, moderate le imposte, crescenti di giorno in giorno le spese per l’esercito, per la corte, per la popolazione, tale era lo stato dell’impero romano2. Le spese stragrandi del pazzo imperatore mi paiono le spese di chi consapevole di dover andare in rovina, accelera la propria caduta. Così fece anche per le monete. Fuse un gran numero di sesterzi! e dupondii di Augusto particolarmente, i quali erano di buona lega e li riconiò con la propria immagine3. Di Tiberio ne fuse ben pochi, così pure di Caligola e di Claudio. In tal modo possiamo renderci ragione della buona qualità dell’oricalco, lucentissimo in quasi tutte le monete di Nerone.
Quanto deplorevoli fossero le condizioni dell’erario nell’anno 821 (68 d. C.), è lecito argomentarlo dai primi atti di Galba, appena giunse a Roma. Revocò le liberalità fatte da Nerone che ascende-