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contributo alla storia della moneta romana 327

lito tipo del carpentum tirato da quattro cavalli1. Se il Senato si fosse limitato a coniare queste sole monete, non farebbe maraviglia, perche un caso simile avvenne dopo la morte di Vespasiano, durante l’impero di Tito2. È lecito supporre che il Senato in quelle due circostanze deliberasse, d’accordo col novello imperatore di coniare poche monete d’argento e d’oro in memoria del suo predecessore. Dopo la morte di Claudio pare che il Senato abbia fatto ricorso a questo pretesto, per arrogarsi un diritto non suo. Alle monete di quel tipo ne seguirono subito altre con la testa del giovanetto Nerone e il busto di Agrippina, l’uno di fronte all’altra3; poi mano mano seguirono i tipi, tanto comuni nelle serie di Nerone, della corona d’alloro, di Cerere, di Marte, di Roma, i quali arrivano fino all’anno 816 (63 d. C.)4. Allora il giovane imperatore, della cui giovanile età il Senato aveva fino a quel tempo abusato, per sottrargli una prerogativa tanto speciale, divenuto adulto, rivendicò a se un’altra volta il diritto di quella monetazione, vietando al Senato di più usarne, e deve intendersi per una reazione di Nerone l’aver egli coniato alla sua volta alcuni bronzi senza il segno dell’autorità senatoria5.

Alcuni bronzi di Vespasiano degli anni 827-829 (74-76 d. C), che hanno la testa sua o del figlio Tito e al rovescio un caduceo fra due corni d’abbondanza, non hanno S • C6. Questa emissione di bronzi più che per un abuso io ritengo che sia stata fatta col beneplacito del Senato, e le ragioni sono varie.


  1. Cohen2, Claud., n. 31.
  2. Id., Vespas., n. 143-148.
  3. Id., Agrippine et Néron n. 3, 4, 6, 7.
  4. Id., Néron, n. 204-234.
  5. Id., Néron, n. 7-12; 24-26; 72; 75, ecc.
  6. Id., Vespas., n. 376-378; Tite, n. 155, 325-327.