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330 | ettore gabrici |
c Claudio, quando disse che la moneta di bronzo restò fino a un certo punto estranea alle crisi dell’argento1.
Le condizioni finanziarie di Roma dopo la battaglia di Azio erano assai prosperose; ivi affluirono i tesori d’Alessandria e fu tanta l’abbondanza di oro gettata in circolazione per tutta l’Italia, che l’interesse del danaro decrebbe di due terzi e il valore delle terre raddoppiò2. Profittando di questa ricchezza nazionale, Augusto impose nuove tasse, stabilì il diritto dell’uno per cento sopra tutte le vendite all’incanto (centesima rerum venalium)3, quello del quattro per cento sulle vendite degli schiavi (quinta et vicesima venalium mancipiorum)4, e sei anni dopo Cr. stabih l’imposta del ventesimo sull’eredità (lex vicesima hereditatum)5 creando nuove sorgenti di ricchezza allo Stato, che introitava, secondo i calcoli più probabili, dai tre ai quattrocento milioni all’anno. A questa floridezza rispondono le immense largizioni di Augusto, enumerate nel Monumentum Ancyranum. Basti dire che nel suo undecimo consolato distribuì alla plebe dodici volte del grano comprato a proprie spese e in ogni avvenimento importante della vita sua fece distribuzioni di danaro che ascesero fino a 400 sesterzii per cittadino romano. Tralascio tutte le grandi costruzioni da lui fatte fare, le largizioni ai coloni, ai soldati, le quali fanno fede della ricchezza dello Stato e conchiudo che in tali condizioni le monete di Augusto non potevano non essere perfette quanto al metallo e al