Atto I

../Personaggi ../Primo intermezzo corale IncludiIntestazione 6 gennaio 2025 75% Da definire

Personaggi Primo intermezzo corale
[p. 147 modifica]

ATTO PRIMO

[p. 149 modifica]

Siamo nell’antico palazzo della nobile signora Donna Livia Palegari, nell’ora del ricevimento, che sta per finire. Si vedrà in fondo, attraverso tre arcate e due colonne, un ricchissimo salone molto illuminato e con molti invitati, signori e signore. Sul davanti, meno illuminato, vedremo un salotto, piuttosto cupo, tutto damascato, adorno di pregiatissime tele, la maggior parte di soggetto sacro; cosicché ci sembrerà di trovarci nella cappella d’una chiesa, di cui quel salone in fondo, oltre le colonne, sia la navata: cappella sacra d’una chiesa profana. Questo salotto avrà appena una panca e qualche scranna per comodità di chi voglia ammirar le tele alle pareti. Nessun uscio. Ci verranno dal salone alcuni degli invitati, a due, a tre alla volta, per farsi, appartati, qualche confidenza; e, al levarsi della tela, ci troveremo un Vecchio Amico di casa e un Giovine sottile, che discorreranno tra loro.

Il giovine sottile (con un capino straziato, d’uccello pelato). Ma che ne pensa lei?

Il vecchio (bello, autorevole, ma anche un po’ malizioso, sospirando). Che ne penso!

Pausa.

Non saprei. Pausa. Che cosa ne dicono gli altri?

Il giovine sottile. Mah! Chi una cosa e chi un’altra.

Il vecchio. S’intende! Ciascuno ha le sue opinioni.

Il giovine sottile. Ma nessuno, per dir la verità, par che ci s’attenga sicuro, se tutti come lei, prima di manifestarle, vogliono sapere che cosa ne dicono gli altri.

Il vecchio. Io alle mie mi attengo sicurissimo; ma certo la prudenza, non volendo parlare a caso, mi consiglia di [p. 150 modifica]conoscere se gli altri sanno qualche cosa che io non so e che potrebbe in parte modificare la mia opinione.

Il giovine sottile. Ma per quello che ne sa?

Il vecchio. Caro amico, non si sa mai tutto!

Il giovine sottile. E allora, le opinioni?

Il vecchio. Oh Dio mio, mi tengo la mia ma — ecco — fino a prova contraria!

Il giovine sottile. No, mi scusi; con l’ammettere che non si sa mai tutto, lei già presuppone che ci siano codeste prove contrarie.

Il vecchio (lo guarderà un po’, riflettendo, sorriderà e domanderà): E con questo lei vorrebbe concludere che non ho nessuna opinione?

Il giovine sottile. Perché a stare a quello che dice, nessuno potrebbe mai averne!

Il vecchio. E non le sembra già questa un’opinione?

Il giovine sottile. Sí, ma negativa!

Il vecchio. Meglio che niente, eh! meglio che niente, amico mio!

Lo prenderà sotto il braccio e s’avvierà con lui per rientrare nel salone infondo.

Pausa. Nel salone si vedranno alcune signorine offrire il tè e le paste agli invitati. Entreranno guardinghe due Giovani Signore.

La prima (con foga ansiosa). Mi ridai la vita! Mi ridai la vita! Dimmi! dimmi!

L’altra. Ma non è niente piú che una mia impressione, bada!

La prima. Se l’hai avuta, è segno che qualcosa di vero dev’esserci! — Era pallido? Sorrideva triste?

L’altra. Mi parve cosí.

La prima. Non dovevo lasciarlo partire. Ah, il cuore me lo diceva! Gli tenni la mano fino alla porta. Era già lontano d’un passo fuori della porta e ancora gli tenevo la mano. Ci eravamo baciati, lasciati, ed esse no, le nostre mani non si volevano staccare. Rientrando, caddi, come rotta dal pianto. — Ma dimmi un po’, dimmi: nessuna allusione?

L’altra. Allusione a che?

La prima. No, dico, se — cosí, parlando in generale — come tante volte si fa... [p. 151 modifica]

L’altra. No, non parlava: stava ad ascoltare ciò che dicevano gli altri.

La prima. Eh, perché lui lo sa! Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare. Finché dentro di noi c’è un’incertezza, si dovrebbe stare con le labbra cucite. Si parla; non sappiamo neanche noi quello che diciamo... Ma era triste? Sorrideva triste? Non ricordi che cosa dicessero gli altri?

L’altra. Ah, non ricordo. Non vorrei, cara, che ti facessi qualche illusione. Sai com’è? Ci s’inganna. Era forse indifferente e mi parve che sorridesse triste. Aspetta, sí: quando uno disse --

La prima. - che disse?

L’altra. — una frase: aspetta... «Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti».

La prima. Non la disse lui, questa frase?

L’altra. No, no.

La prima. Ah Dio mio! Intanto, non so se sbaglio o non sbaglio. Io che mi sono vantata d’aver fatto in ogni occasione a mio modo! — Sono buona, ma posso diventar cattiva; e allora guaj a lui!

L’altra. Vorrei, cara, che tu non rinunciassi a essere come sei.

La prima. E come sono? Non lo so piú! Ti giuro che non lo so piú! Tutto mobile, labile, senza peso. Mi volto di qua, di là, rido; m’apparto in un angolo per piangere. Che smania! Che angoscia! E continuamente mi nascondo la faccia, davanti a me stessa, tanto mi vergogno a vedermi cambiare!

Sopravvengono a questo punto altri invitati: due giovanotti annojati, molto eleganti, e Diego Cinci.

Il primo. Disturbiamo?

L’altra. No no: tutt’altro. Venite avanti.

IL secondo. Questa è la cappella delle confessioni.

Diego. Già. Donna Livia dovrebbe tenere qua a disposizione dei suoi invitati un prete e un confessionale.

Il primo. Ma che confessionale! La coscienza! La coscienza!

Diego. Sí, bravo! E che te ne fai?

Il primo. Come? Della coscienza? [p. 152 modifica]

Il secondo (con solennità). «Mea mihi conscientia pluris est quam hominum sermo».

L’altra. Come come? Lei parla in latino?

IL Secondo. Cicerone, signora. Me ne ricordo ancora dal liceo.

La prima. E che significa?

Il secondo (c. s.). «Fo piú conto della testimonianza della mia coscienza, che dei discorsi di tutto il mondo».

Il primo. Modestamente ognuno di noi dice: «Ho la mia coscienza e mi basta».

Diego. Se fossimo soli.

Il secondo (stordito). Che vuol dire, se fossimo soli?

Diego. Che ci basterebbe. Ma allora non ci sarebbe piú neanche la coscienza. Purtroppo, cari miei, ci sono io e ci siete voi. Purtroppo!

La prima. Dice purtroppo?

L’altra. Non è gentile!

Diego. Ma perché dobbiamo fare i conti con gli altri, sempre, signore mie!

IL Secondo. Ma nient’affatto! Quando ho la mia coscienza!

Diego. E non vuoi capire che la tua coscienza significa appunto «gli altri dentro di te»?

Il primo. I soliti paradossi!

Diego. Ma che paradossi!

Al Secondo:

Che vuol dire, scusa, che «hai la tua coscienza e ti basta»? Che gli altri possono pensare di te e giudicarti come piace a loro, anche ingiustamente; che tu sei intanto sicuro e confortato di non aver fatto male. Non è cosí?

IL Secondo. Mi pare!

Diego. Bravo! E chi te la dà, se non sono gli altri, codesta sicurezza? Codesto conforto chi te lo dà?

IL Secondo. Io stesso! La mia coscienza appunto! Oh bella!

Diego. Perché credi che gli altri, al tuo posto, se fosse loro capitato un caso come il tuo, avrebbero agito come te! Ecco perché, caro mio! E anche perché, fuori dei casi concreti e particolari della vita... sí, ci sono certi principii astratti e generali, su cui possiamo essere tutti d’accordo (costa poco!). Intanto, guarda: se tu ti chiudi [p. 153 modifica]sdegnosamente in te stesso e sostieni che «hai la tua coscienza e ti basta», è perché sai che tutti ti condannano e non t’approvano o anche ridono di te; altrimenti non lo diresti. Il fatto è che i principii restano astratti; nessuno riesce a vederli come te nel caso che ti è capitato, né a veder se stesso nell’azione che hai commessa. E allora a che ti basta la tua coscienza, me lo dici? A sentirti solo? No, perdio. La solitudine ti spaventa. E che fai allora? T’immagini tante teste, tutte come la tua: tante teste che sono anzi la tua stessa; le quali, a un dato caso, tirate per un filo, ti dicono sí e no, e no e sí, come vuoi tu. E questo ti conforta e ti fa sicuro. Va’ là, va là che è un giuoco magnifico, codesto della tua coscienza che ti basta!

La prima. È già tardi, oh. Bisogna andare.

L’altra. Sí sí. Se ne vanno via tutti.

A Diego, fingendosi scandalizzata:

Ma che discorsi!

Il primo. Andiamo, andiamo via anche noi.

Ritorneranno nel salone per salutare la padrona di casa e andar via. Nel salone, ormai, saranno rimasti pochi invitati che già si licenziano da Donna Livia, la quale alla fine si farà avanti, molto turbata, trattenendo Diego Cinci. Lo seguiranno il Vecchio amico di casa che abbiamo veduto in principio e un Secondo vecchio amico.

Donna Livia (a Diego). No no, caro, non ve ne andate. Siete l’amico piú intimo di mio figlio. Sono tutta sossopra. Ditemi, ditemi se è vero ciò che mi hanno riferito questi miei vecchi amici.

Primo vecchio amico. Ma sono solo supposizioni, Donna Livia, badiamo!

Diego. Su Doro? Che gli è accaduto?

Donna Livia (sorpresa). Come? Non sapete nulla?

Diego. No. Nulla di grave, suppongo. Lo saprei.

Secondo vecchio amico (socchiudendo gli occhi quasi per attenuare la gravità di quello che dice). Lo scandalo di jersera —

Donna Livia. — in casa Avanzi! La difesa di... di quella... come si chiama? - di quella donnaccia!

Diego. Scandalo? Che donnaccia? [p. 154 modifica]

Primo vecchio amico (c. s.). Mah! La Morello.

Diego. Ah. È per Delia Morello?

Donna Livia. Voi dunque la conoscete?

Diego. E chi non la conosce, signora mia?

Donna Livia. Anche Doro? Dunque è vero! La conosce!

Diego. Oh Dio, la conoscerà. Ma che scandalo?

Donna Livia (al Primo Vecchio Amico). E voi che dicevate di no!

Diego. — come la conoscono tutti, signora. Ma che è accaduto?

Primo vecchio amico. Ecco. Io ho detto: «senza che forse abbia mai parlato con lei!».

Secondo vecchio amico. Già! Per fama.

Donna Livia. E ne prendeva le difese? Fin quasi a venire alle mani

Diego. — con chi?

Secondo vecchio amico. — con Francesco Savio —

Donna Livia. è incredibile! Arrivare fino a questo punto! In una casa per bene! Per una donna come quella!

Diego. Ma forse, discutendo —

Primo vecchio amico. — - ecco, nel calore della discussione —

Secondo vecchio amico. — come tante volte avviene.

Donna Livia. Per carità, non cercate d’ingannarmi!

A Diego:

Dite, ditemi voi, caro! Voi sapete tutto di Doro —

Diego. — ma stia tranquilla, signora —

Donna Livia. — no! Il vostro obbligo, se siete amico vero di mio figlio, è dirmi francamente quello che sapete!

Diego. Ma se non so nulla! E vedrà che non sarà nulla! Vuol far caso di parole?

Primo vecchio amico. No, questo no —

Secondo vecchio amico. — che abbia fatto un gran senso a tutti, non si può negare — Diego. — ma che cosa, in nome di Dio? —

Donna Livia. — questa difesa scandalosa! Vi par poco?

Diego. Ma lo sa lei, signora mia, che da una ventina di giorni non si fa altro che discutere di Delia Morello? Se ne dicono di cotte e di crude, in tutti i ritrovi, salotti, caffè, redazioni di giornali. Ne avrà letto anche lei qualche cosa sui giornali. [p. 155 modifica]

Donna Livia. Sí. Che un uomo s’è ucciso per lei!

Primo vecchio amico. — un giovane pittore: il Salvi —

Diego. — Giorgio Salvi, sí —

Secondo vecchio amico. — che pare facesse sperare tanto di sé —

Diego. — - e pare che non sia neanche il primo.

Donna Livia. Come? Anche qualche altro?

Primo vecchio amico. — sí, era stampato in un giornale —

Secondo vecchio amico. — che già un altro s’era ucciso per lei? —

Diego. — un Russo, qualche anno fa, a Capri.

Donna Livia (dando in ismanie e nascondendosi la faccia tra le mani). Dio mio! Dio mio!

Diego. Non tema, per carità, che Doro debba essere il terzo! Creda, signora, che se si deve compiangere da tutti la fine sciagurata d’un artista come Giorgio Salvi; poi a conoscere bene i fatti come si sono svolti si può, si può anche tentare la difesa di quella donna.

Donna Livia. Anche voi?

Diego. Anch’io, sí... perché no?

Secondo vecchio amico. Sfidando l’indignazione di tutti?

Diego. Sissignori! Vi dico che si può difendere!

Donna Livia. Il mio Doro! Dio mio, sempre cosí serio!

Primo vecchio amico. Riserbato.

Secondo vecchio amico. Contegnoso.

Diego. Può darsi che, contradetto, abbia un po’ ecceduto, si sia lasciato andare.

Donna Livia. No no, non me la date a intendere! non me la date a intendere! È un’attrice, codesta Delia Morello?

Diego. Una pazza, signora.

Primo vecchio amico. Ha fatto però l’attrice drammatica.

Diego. S’è fatta cacciare per le sue stravaganze da tutte le compagnie; tanto che non trova piú da scritturarsi. «Delia Morello» sarà un soprannome. Chi sa come si chiama, chi è, di dove viene!

Donna Livia. È bella?

Diego. Bellissima.

Donna Livia. Tutte cosí, queste maledette! Doro l’avrà conosciuta a teatro?

Diego. Credo. Ma avrà parlato con lei poche volte nel [p. 156 modifica]{{Pt|camerino, se pure. E in fondo non è cosí terribile come tutti si figurano, signora; stia tranquilla.

Donna Livia. Con due uomini che si sono uccisi per lei?

Diego. Io non mi sarei ucciso.

Donna Livia. Avrà fatto perdere la testa a tutti e due!

Diego. Io non l’avrei perduta.

Donna Livia. Ma io non temo per voi! Temo per Doro!

Diego. Non tema, signora. E creda che se male ha fatto agli altri quella disgraziata, il piú gran male l’ha fatto sempre a se stessa. È di quelle donne fatte a caso, sempre fuori di sé, fuggiasche, che non sapranno mai dove andranno a parare. Eppure, tante volte, sembra una povera bambina impaurita che cerchi ajuto.

Donna Livia (impressionatissima, afferrandolo per le braccia). Diego, queste cose ve l’ha dette Doro!

Diego. No, signora!

Donna Livia (incalzando). Siate sincero, Diego! Doro è innamorato di questa donna!

Diego. Ma se le dico di no!

Donna Livia (c. s.). Sí, sí; ne è innamorato! Le parole che avete detto sono quelle d’un innamorato!

Diego. Ma le ho dette io, non Doro!

Donna Livia. Non è vero! Ve le ha dette Doro! Nessuno me lo leva dalla testa!

Diego (stretto cosí da lei). Oh Dio mio...

Con estro improvviso: voce chiara, lieve, invitante:

Signora, e lei non pensa... che so, a un calessino per una strada di campagna — aperta campagna in una bella giornata di sole?

Donna Livia (restando). A un calessino? e come c’entra?

Diego (con ira, commosso sul serio). Signora, sa come mi sono trovato io, vegliando di notte mia madre che moriva? Con un insetto sotto gli occhi, dalle ali piatte, a sei piedi, caduto in un bicchier d’acqua sul tavolino. E non m’accorsi del trapasso di mia madre, tanto ero assorto ad ammirare la fiducia che quell’insetto serbava nell’agilità dei suoi due ultimi piedi piú lunghi, atti a springare. Nuotava disperatamente, ostinato a credere che quei due piedi fossero capaci di springare anche sul liquido e che intanto [p. 157 modifica] cosina attaccata all’estremità di essi li impacciasse nel salto. Riuscendo vano ogni sforzo, se li nettava vivacemente con quelli davanti e ritentava il salto. Stetti piú di mezz’ora a osservarlo. Vidi morir lui e non vidi morire mia madre. Ha capito? — Mi lasci stare!

Donna Livia (confusa, stordita, dopo averguardato gli altri due, anch’essi confusi, storditi). Io vi chiedo scusa ma non vedo che relazione...

Diego. Le sembra assurdo? Lei domani riderà — gliel’assicuro io — di tutta codesta vana costernazione per suo figlio, ripensando a questo calessino che ora le ho fatto passar davanti per frastornarla. Consideri che io non posso ridere ugualmente, pensando a quell’insetto che mi cadde sotto gli occhi mentre vegliavo mia madre che moriva.

Pausa. Donna Livia e i due vecchi amici, dopo questa brusca diversione, torneranno a guardarsi tra loro, piú che mai imbalorditi, non riuscendo, per quanta buona volontà ci mettano, a far entrare quel calessino e quell’insetto nell’argomento del loro discorso. D’altra parte Diego Cinci è veramente commosso dal ricordo della morte della madre; per cui Doro Palegari, che entrerà in questo momento, lo troverà del tutto cambiato d’umore.

Doro (sorpreso, dopo aver guardato in giro tutti e quattro). Che cos’è?

Donna Livia (riavendosi). Ah! Eccoti qua! Doro, Doro, figlio mio, che hai fatto? Questi amici mi hanno detto...

Doro (scattando, irritatissimo).... dello scandalo, è vero?... che sono cotto, fradicio, pazzo di Delia Morello, eh? Tutti gli amici che m’incontrano per via, mi fanno l’occhietto: — «Eh, Delia Morello?» — Ma perdio, dove siamo? in che mondo viviamo?

Donna Livia. Ma se tu —

Doro. — io, che cosa? È incredibile, parola d’onore! È già, subito, diventato uno scandalo!

Donna Livia. Hai difeso —

Doro. — non ho difeso nessuno! — Donna Livia. — in casa Avanzi, jersera —

Doro. — in casa Avanzi jersera ho sentito esprimere da Francesco Savio un’opinione che non m’è sembrata giusta [p. 158 modifica]sulla fine tragica del Salvi di cui tutti parlano; e l’ho combattuta. — Questo è tutto!

Donna Livia. Ma hai detto cose — Doro. — avrò anche detto un cumulo di sciocchezze! Quello che ho detto, non lo so! Una parola tira l’altra! Ma può ciascuno pensare a suo modo, sí o no? sui fatti che accadono. Si può, mi pare, interpretare un fatto in una maniera o in un’altra, come ci sembra; oggi cosí e domani magari diversamente? — Io sono prontissimo, se domani vedo Francesco Savio, a riconoscere che aveva ragione lui, e torto io.

Primo vecchio amico. Ah, benissimo, allora!

Donna Livia. Fallo, sí, fallo, Doro mio! — Secondo vecchio amico. — per tagliar corto a tutte queste chiacchiere!

Doro. Ma non per questo! Me ne infischio, io, delle chiacchiere. — Per vincere in me stesso l’irritazione che provo — Primo vecchio amico. — è giusto! sí sí, è giusto! —

Secondo vecchio amico. — a vedersi cosí frainteso!

Doro. Ma no! Per le esagerazioni a cui mi sono lasciato andare vedendo bestialmente incornato su certe false argomentazioni Francesco Savio, il quale poi sí — aveva ragione lui, sostanzialmente. Ora, a mente fredda, sono pronto — ripeto a riconoscerlo. E lo farò, lo farò davanti a tutti, perché si finisca di gonfiare questa famosa discussione! Non ne posso piú!

Donna Livia. Bene, bene, Doro mio! E sono contenta che tu riconosca fin d’ora, qua davanti al tuo amico, che non si può difendere una donna come quella!

Doro. Perché anche lui diceva che si può difendere?

Primo vecchio amico. Già — lo diceva; ma... cosí; lo diceva — Secondo vecchio amico. — accademicamente — per tranquillare tua madre...

Donna Livia. Ah, sí, bel modo di tranquillarmi! Fortuna che m’hai tranquillato tu, ora. Grazie, Doro mio!

Doro (scattando al ringraziamento). Ma dici sul serio? Mi fai crescere piú che mai l’irritazione, vedi?

Donna Livia. Perché ti ringrazio? [p. 159 modifica]

Doro. Eh sí, scusa! Perché mi ringrazi? Hai potuto credere anche tu, dunque? — Donna Livia. — no! no! — Doro. — - e allora perché mi ringrazi e ti dichiari tranquilla «ora?» — Farei cose da pazzi, farei!

Donna Livia. Per carità, non ci pensare piú!

Doro (voltandosi a Diego). Come credi che sia da difendere, tu, Delia Morello?

Diego. Lascia andare! Ora che tua madre è tranquilla!

Doro. No, vorrei saperlo, vorrei saperlo.

Diego. Per seguitare a discutere con me?

Donna Livia. Basta, Doro!

Doro (alla madre). No, per curiosità!

A Diego:

Per vedere se le tue ragioni sono quelle stesse che portavo io contro Francesco Savio.

Diego. E in questo caso? Cambieresti di nuovo?

Doro. Ti pare che sia una bandieruola? — - «Non si può dire» sostenevo io — - «che Delia Morello abbia voluto la rovina del Salvi per il fatto che, quasi alla vigilia delle nozze, si mise con quell’altro, perché la vera rovina del Salvi sarebbe stata a ogni modo il suo matrimonio con lei».

Diego. ECCO! Benissimo! Ma sai com’è una torcia accesa, al sole, in un mortorio? La fiamma non si vede; e che si vede invece? come fúmiga!

Doro. Che intendi dire?

Diego. Che son d’accordo con te: che la Morello lo sapeva; e che appunto perché lo sapeva, non volle il matrimonio! Ma tutto questo non è chiaro, forse neanche a lei stessa; e appare invece a tutti il fumighío della sua cosí detta perfidia.

Doro (subito, con foga). No, no, caro mio! Ah, la perfidia c’è stata; è innegabile; e raffinatissima! Ci ho ripensato bene tutt’oggi. Ella si mise con quell’altro con Michele Rocca per seguitare fino all’ultimo la sua vendetta sopra il Salvi; come sosteneva Francesco Savio jersera.

Diego. Oh! E dunque statti adesso in buona pace con codesta opinione del Savio, e non parlarne piú. [p. 160 modifica]

Primo vecchio amico. Ecco! È il meglio che si possa fare su un simile argomento! E noi ce n’andiamo, Donna Livia

le bacerà la mano.

Secondo vecchio amico (seguitando). — felicissimi che tutto si sia chiarito!

Le bacerà la mano; poi, rivolgendosi ai due giovani:

Buona sera, cari.

Primo vecchio amico. Addio, Doro. Buona sera, Cinci.

Diego. Buona sera.

Se lo tirerà un po’ in disparte e gli dirà piano, maliziosamente:

Congratulazioni!

Primo vecchio amico (stordito). Di che?

Diego. Noto con piacere che in lei c’è sempre, sotto sotto, un di piú, che per fortuna non viene mai fuori.

Primo vecchio amico. In me? Ma no! Che cosa?

Diego. Eh via! Ciò che pensa, lei se lo tiene per sé, e non se ne fa accorgere. Ma siamo d’accordo, sa!

Primo vecchio amico. Uhm! Non ci arrivo, che vuole che le dica!

Diego (tirandoselo un po’ piú in disparte). Io me la sposerei perfino! Ma ho appena quanto basta a me, e non di piú. Sarebbe come ad accogliere un altro sotto l’ombrello quando piove, che ci si bagna in due.

Donna Livia (che se ne sarà stata frattanto a conversare, rassicurata, con Doro e l’altro vecchio amico: rivolgendosi al primo che riderà). E allora, amico mio... — Che avete da ridere cosí?

Primo vecchio amico. Niente: capestrerie!

Donna Livia (seguitando e avviandosi a braccetto di lui e seguita dall’altro verso il salone, da cui parlando scompariranno per la destra). — se domani andrete da Cristina, ditele che si tenga pronta per l’ora fissata...

Via Donna Livia coi due vecchi amici. Doro e Diego resteranno perun buon pezzo in silenzio. Il salone vuoto e illuminatofarà, alle loro spalle, una strana impressione.

Diego (aprendo le dita delle due mani a ventaglio e intrecciandole [p. 161 modifica] tra loro in modo daformare una grata o una rete e appressandosi a Doro per mostrargliela). È cosí guarda-proprio cosí —

Doro. Che cosa?

Diego. la coscienza di cui si parlava poc’anzi. Una rete elastica, che se s’allenta un poco, addio! scappa fuori la pazzia che cova dentro ciascuno di noi.

Doro (dopo un breve silenzio, costernato e sospettoso). Lo dici per me?

Diego (quasi a se stesso). Ti vagano davanti sconnesse le immagini accumulate in tanti anni, frammenti di vita che forse hai vissuta e che t’è rimasta occultata perché non hai voluto o potuto rifletterla in te al lume della ragione; atti ambigui, menzogne vergognose, cupi livori, delitti meditati all’ombra di te stesso fino ai minimi particolari, desiderii inconfessati: tutto, tutto ti riviene fuori, ti sbòmica, e ne resti sconcertato e atterrito.

Doro (c. s.). Perché dici questo?

Diego (con gli occhi fissi nel vuoto). Dopo nove notti che non dormivo...

S’interromperà per voltarsi di scatto a Doro.

Provati, provati a non dormire per nove notti di fila! — Quella tazzina di majolica, sul comodino, con un solo righino azzurro. — E tèn-tèn, che morte, quella campana! Otto, nove... le contavo tutte: dieci, undici — la campana dell’orologio — dodici — e poi ad aspettare quella dei quarti! Non c’è piú nessun affetto che tenga, quando hai trascurato i bisogni primi che si debbono per forza soddisfare. Rivoltato contro la sorte feroce che teneva ancora lí, rantolante e insensibile, il corpo, il solo corpo ormai, quasi irriconoscibile, di mia madre — sai che pensavo? pensavo che — ah Dio, poteva finalmente finire di rantolare!

Doro. Ma è morta, scusa, da piú di due anni, tua madre, mi pare.

Diego. Sí. Sai come mi sorpresi, a una momentanea sospensione di quel rantolo, nel terribile silenzio sopravvenuto nella camera, voltando non so perché il capo verso lo specchio dell’armadio? Curvo sul letto, intento a spiare da vicino, se non fosse morta. Proprio come per farsi vedere dame, la mia faccia conservava nello specchio l’espressione [p. 162 modifica] con cui stava sospesa a spiare, in un quasi allegro spavento, la liberazione. La ripresa del rantolo m’incusse in quel punto un tale raccapriccio di me, che mi nascosi quella faccia come se avessi commesso un delitto; e mi misi a piangere come il bambino ch’ero stato per la mia mamma, di cui sí, sí volevo ancora la pietà per la stanchezza che sentivo, che mi faceva cascare a pezzi; pur avendo finito or ora di desiderare la sua morte; povera mamma che ne aveva perdute di notti per me, quand’ero piccino e malato...

Doro. Ma mi dici perché, all’improvviso, codesto ricordo di tua madre?

Diego. Non lo so, perché. Lo sai tu forse perché ti sei tanto irritato del ringraziamento che tua madre t’ha fatto per averla tranquillata?

Doro. Perché aveva potuto supporre per un momento anche lei...

Diego. Va’ là, che noi c’intendiamo a guardarci!

Doro (scrollando le spalle). Ma che vuoi intendere!

Diego. Se non fosse vero, avresti dovuto riderne, non irritartene.

Doro. Ma come? pensi sul serio anche tu?

Diego. — io? tu lo pensi!

Doro. Se do ragione al Savio adesso!

Diego. Lo vedi? Da cosí a cosí. E anche contro te stesso ti sei irritato, delle tue «esagerazioni»!

Doro. Perché riconosco —

Diego. — no! no! leggi chiaro, leggi chiaro in te stesso!

Doro. Ma che vuoi che legga, fammi il piacere!

Diego. Tu dài ragione adesso a Francesco Savio... sai perché? per reagire contro un sentimento, che covi dentro, a tua insaputa.

Doro. Ma nient’affatto! Mi fai ridere!

Diego. Sí! sí!

Doro. Mi fai ridere, ti dico!

Diego. Nel ribollimento della discussione di jersera t’è venuto a galla e t’ha stordito e t’ha fatto dir cose «che non sai». Sfido! Credi di non averle mai pensate! E invece le hai pensate, le hai pensate —

Doro. — come? quando? [p. 163 modifica]

Diego. — di nascosto a te stesso! — Caro mio! Come ci sono i figli illegittimi, ci sono anche i pensieri bastardi!

Doro. I tuoi, sí!

Diego. Anche i miei! Tende ognuno ad ammogliarsi per tutta la vita con un’anima sola, la piú comoda, quella che ci porta in dote la facoltà piú adatta a conseguir lo stato a cui aspiriamo; ma poi, fuori dell’onesto tetto coniugale della nostra coscienza, abbiamo tresche, tresche e trascorsi senza fine con tutte le altre nostre anime rejette che stanno giú nei sotterranei del nostro essere, e da cui nascono atti, pensieri, che non vogliamo riconoscere, o che, forzati, adottiamo o legittimiamo, con accomodamenti e riserve e cautele. Questo, tu ora lo respingi, povero pensiero trovatello! Ma guardalo bene negli occhi: è tuo! Tu ti sei davvero innamorato di Delia Morello! Come un imbecille!

Doro. Ah! ah! ah! ah! Mi fai ridere, mi fai ridere.

A questo punto entrerà dal salone il cameriere Filippo.

Filippo. Permesso? C’è il signor Francesco Savio.

Doro. Ah, eccolo qua!

A Filippo:

Fallo entrare.

Diego. Io me ne vado.

Doro. No, aspetta che ti farò vedere come mi sono innamorato di Delia Morello!

Entrerà Francesco Savio.

Doro. Vieni, vieni, Francesco.

Francesco. Caro Doro! — Buona sera, Cinci!

Diego. Buona sera.

Francesco (a Doro). Sono venuto a esprimerti il mio rammarico per il diverbio nostro di jersera.

Doro. Oh guarda! Mi proponevo anch’io di venirti a trovare questa sera per esprimerti allo stesso modo il mio rammarico.

Francesco (lo abbraccerà). Ah! Mi togli un gran peso dal petto, amico mio!

Diego. Siete da dipingere tutti e due, parola d’onore!

Francesco (a Diego). Ma sai che per un punto non abbiamo guastata per sempre la nostra vecchia amicizia? [p. 164 modifica]

Doro. Ma no! ma no!

Francesco. Come no? Ci sono stato male tutta la notte, credi! A pensare come mi fosse potuto rimanere oscuro il sentimento generoso —

Diego (di scatto). — benissimo! — che l’ha spinto a difendere Delia Morello, eh?

Francesco. — davanti a tutti — coraggiosamente — mentre tutti le gridavano la croce addosso.

Diego. Tu prima di tutti!

Francesco (con calore). Ma sí! Per non aver considerato a fondo le ragioni, una piú giusta e piú valida dell’altra, addotte da Doro!

Doro (con dispetto e restando). Ah sí? tu, ora? —

Diego (c. s.). — benissimo! In favore di quella donna, è vero? —

Francesco. — sfidando lo scandalo! Imperterrito contro le risa sguajate con cui tutti quegli sciocchi accoglievano le sue risposte sferzanti!

Doro (c. s. prorompendo). Senti! Tu sei un pulcinella!

Francesco. Come! Vengo a darti ragione!

Doro. Appunto per questo! Un pulcinella!

Diego (a Francesco). Voleva darti ragione — lui, a te!

Francesco. A me?

Diego. A te! a te! per tutto quello che hai detto tu contro Delia Morello!

Doro. E ora ha il coraggio di venirmi a dire in faccia che avevo ragione io!

Francesco. Ma perché ho riflettuto su quello che dicesti jersera!

Diego. Eh già! Capisci? Come lui su quello che dicevi tu!

Francesco. E ora lui dà ragione a me?

Diego. Come tu a lui!

Doro. Ora, già! Dopo avermi reso jersera lo zimbello di tutti, il bersaglio di tutte le malignità, e aver qua turbato mia madre —

Francesco. — io?

Doro. — tu! tu! sí! cimentandomi, compromettendomi, facendomi dir cose che non m’erano mai passate per la mente!

Parandoglisi di fronte, aggressivo, fremente;

[p. 165 modifica]Non t’arrischiare, sai, d’andar dicendo che ho ragione io adesso!

Diego (incalzando). — perché riconosci la generosità del suo sentimento

Francesco. — ma se è vero!

Doro. Sei un pulcinella!

Diego. Farai credere che sai anche tu, ora, la verità: che è innamorato di Delia Morello, e che l’ha difesa per questo!

Doro. Diego, finiscila, perdio, o me la piglio con te!

A Francesco:

Un pulcinella, caro mio, un pulcinella!

Francesco. Me lo gridi in faccia per la quinta volta, bada!

Doro. E te lo griderò per cento volte di fila, ora, domani e sempre!

Francesco. Ti faccio notare che sono in casa tua!

Doro. In casa mia e fuori, dove tu vuoi te lo grido in faccia: pulcinella!

Francesco. Ah sí? Sta bene. Quand’è cosí, a rivederci!

E andrà via.

Diego (facendo per corrergli dietro). Oh, non facciamo scherzi!

Doro (trattenendolo). Lascialo andare!

Diego. Ma dici sul serio? Tu cosí finisci di comprometterti!

Doro. Non me n’importa un corno!

Diego (svincolandosi). Ma tu sei pazzo!... Lasciami andare!

Scapperà via per tentare di raggiungere Francesco Savio.

Doro (gli griderà dietro): Ti proibisco d’intrometterti! (Non vedendolo piú s’interromperà e andrà in su e in giú per il salotto, masticando tra i denti). Ma guarda un po’! — Ora! — Ha il coraggio di venirmi a dire in faccia che avevo ragione io, ora! — Pulcinella... — Dopo aver fatto credere a tutti...

Sopravverrà a questo punto Filippo, un po’ smarrito, con un biglietto da visita in mano.

Filippo. Permesso?

Doro (arrestandosi, brusco). Che cosa c’è?

Filippo. C’è una signora che domanda di lei. [p. 166 modifica]

Doro. Una signora?

Filippo. Ecco.

Gli porgerà un biglietto da visita.

Doro (dopo aver letto il nome sul biglietto, turbandosi vivamente). — Qua? Dov’è?

Filippo. È di là che aspetta.

Doro (si guarderà attorno, perplesso; poi domanderà, cercando di nascondere l’ansia e il turbamento): E — la mamma è uscita?

Filippo. Sissignore, da poco.

Doro. Falla passare, falla passare.

Andrà verso il salone per accogliere Delia Morello.

Filippo si ritirerà e ritornerà poco dopo per accompagnarefino alle colonne Delia Morello che apparirà velata, sobriamente vestita, ma elegantissima. Filippo tornerà a ritirarsi, inchinandosi.

Doro. Voi qua, Delia?

Delia. Per ringraziarvi; per baciarvi le mani, amico mio!

Doro. Ma no, che dite!

Delia. Sí, ecco

Chinerà il capo come se volesse veramente baciargli la mano che tiene ancora tra le sue.

— davvero! davvero!

Doro. Ma no, che fate! Debbo io, a voi —

Delia. Per il bene che mi avete fatto!

Doro. Ma che bene! Ho solo —

Delia. — no! credete per la difesa che avete satto di me? Che volete che m’importi di difese, di offese! — Mi dilanio da me! — La mia gratitudine è per quello che avete pensato, sentito; e non perché l’abbiate gridato in faccia agli altri!

Doro (non sapendo come regolarsi). Ho pensato... sí, quel che — - conoscendo, come conoscevo, i fatti — m’è... m’è parso giusto.

Delia. Giusto o ingiusto — non m’importa! È che mi sono riconosciuta, capite, «riconosciuta» in tutto quello che avete detto di me, appena me l’hanno riferito! [p. 167 modifica]

Doro (c. s. ma non volendo parere smarrito). Ah, bene — perché... — ho ho indovinato dunque?

Delia. Come se foste vissuto in me, sempre; ma intendendo di me quello che io non ho potuto mai intendere, mai, mai! Mi sono sentita fendere le reni da brividi continui; ho gridato: «Sí! sí! è cosíl è cosí!»; non potete immaginarvi con che gioja, con che spasimo, vedendomi, sentendomi in tutte le ragioni che avete saputo trovare!

Doro. Ne sono... ne sono felice, credetemi! Felice perché mi sono apparse cosí chiare nel momento in cui — veramente — «le trovavo», senza rifletterci, come... come per un estro che mi si fosse acceso, ecco, per una divinazione insomma del vostro animo — e poi, vi confesso, non piú –

Delia. — ah, non piú?

Doro. Ma se voi ora mi dite che vi ci siete riconosciuta!

Delia. Amico mio, vivo da stamattina di codesta vostra divinazione, che è apparsa tale anche a me! Tanto che mi domando come abbiate potuto fare ad averla, voi che mi conoscete cosí poco, in fondo; e mentr’io mi dibatto, soffro — non so — come di là da me stessa! come se quella che io sono, debba andarla sempre inseguendo, per trattenerla, per domandarle che cosa voglia, perché soffra, che cosa dovrei fare per ammansarla, per placarla, per darle pace!

Doro. Ecco: un po’ di pace, sí! Voi ne avete veramente bisogno.

Delia. L’ho sempre davanti, come me lo vidi in un attimo cadere ai piedi, bianco, di peso, dacché m’era sopra come una vampa; mi sentii — non so — estinguere, estinguere — protendendomi a guardare, dall’abisso di quell’attimo, l’eternità di quella morte improvvisa, là, nella sua faccia in un momento smemorata di tutto, spenta. E sapevo io sola, io sola la vita ch’era in quella testa che s’era là fracassata per me; per me che non sono niente! Ero pazza; figuratevi come sono adesso!

Doro. Calmatevi, calmatevi.

Delia. Mi calmo, sí. E appena mi calmo — ecco qua — sono cosí — come insordita. In tutto il corpo, insordita. Proprio. Mi stringo e non mi sento. Le mani — me le guardo — non mi sembrano mie. E tutte le cose — Dio mio, le cose da fare — non so piú perché si debbano fare. Apro la [p. 168 modifica] borsetta; ne cavo lo specchio; e nell’orrore di questa vana freddezza che mi prende, non potete immaginarvi che impressione mi facciano, nel tondo dello specchio, la mia bocca dipinta, i miei occhi dipinti, questa faccia che mi sono guastata per farmene una maschera.

Doro (appassionato). Perché non ve la guardate con gli occhi degli altri.

Delia. Anche voi? Sono proprio condannata a odiare come nemici tutti coloro a cui m’accosto perché m’ajutino a comprendermi? Abbagliati dai miei occhi, dalla mia bocca... E nessuno che si curi di ciò che piú mi bisogna!

Doro. Del vostro animo, sí.

Delia. E io allora li punisco, là, dove s’appuntano le loro brame; e prima le esaspero, codeste brame che mi fanno schifo, per meglio vendicarmi; facendo getto all’improvviso di questo mio corpo a chi meno essi s’aspetterebbero.

Doro farà segno di sí col capo; come a dire: «Purtroppo!»

Cosí, per mostrar loro in quanto dispregio io tenga ciò che essi sopratutto pregiano di me.

Doro farà ancora segno di si col capo.

Ho fatto il mio danno? Sí. L’ho sempre fatto. Ah, ma meglio la canaglia — la canaglia che si dà per tale; che se rattrista, non delude; e che può avere anche qualche lato buono; certe ingenuità talvolta, che tanto piú rallegrano e rinfrescano, quanto meno ce l’aspettiamo in loro!

Doro (sorpreso). Ho detto proprio cosí, io! Proprio questo —

Delia (convulsa). — sí, sí —

Doro. — ho spiegato cosí, proprio cosí, certi vostri inopinati —

Delia. — traviamenti — già! — balzi — salti mortali...

Resterà d’un tratto con gli occhi fissi nel vuoto, come assorti in una lontana visione.

— Guarda!...

Poi dirà come a se stessa:

Pare impossibile... Già... I salti mortali...

E di nuovo assorta:

Quella ragazzetta, a cui gli zingari insegnavano a farli — [p. 169 modifica]

in una spianata verde verde, vicino alla mia casetta di campagna, quand’ero bambina... —

c. s.

Pare impossibile che sia stata anch’io bambina...

Farà, senza dirlo, il grido con cui la madre la chiamava:

— «Lilí! Lilí!» — Che paura di quegli zingari; che levassero d’improvviso le tende e mi rapissero! —

Rivenendo a sé:

Non mi hanno rapita. Ma i salti mortali ho imparato a farli anch’io, da me, venendo dalla campagna in città qua — fra tutto questo finto, fra tutto questo falso, che diventa sempre piú finto e piú falso — e non si può sgombrare; perché, ormai, a rifarla in noi, attorno a noi, la semplicità, appare falsa — appare? è, è — falsa, finta anch’essa. — Non è piú vero niente! E io voglio vedere, voglio sentire, sentire almeno una cosa, almeno una cosa sola che sia vera, vera, in me!

Doro. Ma codesta bontà che è in fondo a voi, nascosta; come io ho cercato di farla vedere agli altri —

Delia. — sí, sí; e ve ne sono tanto grata, sí — ma cosí complicata anch’essa — complicata — tanto che vi siete attirate l’ira, le risa di tutti per aver voluto chiarirla. Anche a me l’avete chiarita. Sí, malvista da tutti, come avete detto voi, trattata con diffidenza da tutti, là a Capri. — (Credo che ci fosse anche chi mi sospettava spia). — Ah, che scoperta vi feci, amico mio! Sapete che cosa significa «amare l’umanità»? Significa soltanto questo: «essere contenti di noi stessi». Quando uno è contento di se stesso «ama l’umanità». Pienissimo di questo amore — oh, felice! — dopo l’ultima esposizione dei suoi quadri a Napoli, doveva esser lui, quando venne a Capri —

Doro. — Giorgio Salvi? —

Delia. — per certi suoi studi di paese. Mi trovò in quello stato d’animo —

Doro. — ecco! proprio come ho detto io! Preso tutto dalla sua arte, senza piú altro sentimento. [p. 170 modifica]

Delia. Colori! Per lui i sentimenti non erano piú altro che colori!

Doro. Vi propose di sedere per un ritratto —

Delia. — dapprima, sí. Poi... Aveva un modo di chiedere quello che voleva... un modo... — era impudente, pareva un bambino. E gli feci da modella. Voi l’avete detto benissimo: nulla irrita piú che il restare esclusi da una gioja —

Doro. — viva, presente innanzi a noi, attorno a noi, di cui non si scopra o non s’indovini la ragione —

Delia. — giustissimo! Ero una gioja — pura soltanto per i suoi occhi — ma che mi dimostrava che anche lui, in fondo, non pregiava e non voleva da me altro che il corpo; non come gli altri, per un basso intento, oh!

Doro. Ma questo a lungo andare non poteva che irritarvi di piú —

Delia. — ecco! Perché se m’ha fatto sempre sdegno e nausea non vedermi ajutata nelle mie smaniose incertezze da quegli altri; il disgusto per uno che voleva anch’esso il corpo, e nient’altro, ma solo per trarne una gioja —

Doro. — ideale! —

Delia. — esclusivamente per sé! —

Doro. — doveva essere tanto piú forte, in quanto mancava appunto ogni motivo di nausea —

Delia. — e rendeva impossibile quella vendetta che almeno ho potuto prendermi d’improvviso contro gli altri! — Un angelo, per una donna, è sempre piú irritante d’una bestia!

Doro (raggiante). Oh guarda! Le mie parole! io ho detto proprio — precisamente cosí! —

Delia. Ma io ripeto le vostre parole, appunto, come mi sono state riferite: che mi hanno fatto luce —

Doro. — ah, ecco! — per vedere la ragione vera —

Delia. — di quello che ho fatto! Sí, sí: è vero: per potermi vendicare, io feci in modo che il mio corpo a mano a mano davanti a lui cominciasse a vivere, non piú per la delizia degli occhi soltanto —

Doro. — e quando lo vedeste come tant’altri vinto e schiavo, per meglio assaporare la vendetta, gli vietaste che prendesse da esso altra gioja che non fosse quella di cui finora s’era contentato — [p. 171 modifica]

Delia. — come unica ambita, perché unica degna di lui!

Doro. E basta! — Basta! — Perché la vostra vendetta, cosí, era già fatta! Voi non voleste affatto che egli vi sposasse, è vero?

Delia. No! no! Lottai tanto, tanto, per dissuaderlo! Quando corrivo, esasperato per le mie ostinate repulse, minacciò di far pazzie — volli partire, sparire.

Doro. E poi gl’imponeste le condizioni che sapevate per lui piú dure — apposta —

Delia. — apposta, sí, apposta —

Doro. — ch’egli cioè vi presentasse come promessa sposa alla madre, alla sorella —

Delia. — sí, sí — della cui illibata riserbatezza era orgoglioso e gelosissimo — apposta, perché dicesse di no! — Ah, come parlava di quella sua sorellina!

Doro. Benissimo! Allora, come ho sostenuto io! — E ditemi la verità: quando il fidanzato della sorella, il Rocca —

Delia (con orrore). — no! no! Non mi parlate, non mi parlate di lui, per carità!

Doro. Questa è la massima prova delle ragioni sostenute da me, e dovete dirlo, dovete dirlo che è vero, quello che ho sostenuto io —

Delia. — sí; che mi misi con lui, disperata, disperata, quando non vidi piú altra via di scampo —

Doro. — ecco! benissimo! —

Delia. — per farmi sorprendere, sí, per farmi sorprendere da lui, e impedire cosí quel matrimonio —

Doro. — che sarebbe stato la sua infelicità —

Delia. — e anche la mia! la mia! —

Doro (trionfante). — benissimo! Tutto quello che ho sostenuto io! Cosí v’ho difesa! — E quell’imbecille che diceva di no! che tanto le repulse, quanto la lotta, la minaccia, il tentativo di sparire, furono tutte perfide arti —

Delia (impressionata). — diceva questo? —

Doro. — già! ben meditate ed attuate per ridurre alla disperazione il Salvi, dopo averlo sedotto —

Delia (c. s.). — ah — io — sedotto? —

Doro. — sicuro! — e che piú lui si disperava e piú voi vi negavate, per ottenere tante e tante cose, ch’egli altrimenti non vi avrebbe mai accordate — [p. 172 modifica]

Delia (sempre piú impressionata e man mano smarrendosi). — che cosa?

Doro. — ma prima di tutto, quella presentazione alla madre e alla sorellina e al fidanzato di lei —

Delia. — ah, non perché io sperassi di trovare un pretesto nell’opposizione di lui per mandare a monte la promessa di matrimonio? —

Doro. — no! no! per un’altra perfidia — sosteneva! —

Delia (del tutto smarrita). — e quale? —

Doro. — per il gusto di comparire vittoriosa, davanti a tutti in società, accanto alla purezza di quella sorellina — voi — la disprezzata, la contaminata —

Delia (trafitta). — ah, cosí ha detto? —

e resterà con gli occhi invagati, accasciata.

Doro. — cosí! cosí! — e che quando sapeste che ragione del prolungato ritardo di quella presentazione da voi posta per patto, era invece l’opposizione fierissima del Rocca, fidanzato della sorella —

Delia. — ancora per vendicarmi, è vero? —

Doro. — sí! perfidamente! —

Delia. — di quest’opposizione? —

Doro. — sí, attraeste e travolgeste il Rocca come un fuscellino di paglia in un gorgo, senza pensare piú al Salvi, solo per il gusto di dimostrare a quella sorella che cos’è la fierezza e l’onestà di codesti illibati paladini della morale!

Delia resterà per un lungo tratto in silenzio, fissa a guardare innanzi a sé, come insensata, poi si coprirà di scatto il volto con le mani, e resterà cosí.

Doro (dopo averla mirata un tratto, perplesso, sorpreso). Che cos’è?

Delia (resterà ancora un poco col volto coperto; poi lo scoprirà e guarderà un poco ancora innanzi a sé; infine dirà aprendo desolatamente le braccia): E chi sa, amico mio, ch’io non l’abbia fatto veramente per questo?

Doro (scattando). Come? E allora?

Sopravverrà a questo punto stravolta e agitatissima Donna Livia, gridando fin dall’interno:

Donna Livia. Doro! Doro! [p. 173 modifica]

Doro (subito alzandosi turbatissimo alla voce). Mia madre!

Donna Livia (precipitandosi). Doro! M’hanno detto a passeggio che lo scandalo di jersera avrà un seguito cavalleresco!

Doro. Ma no! Chi te l’ha detto?

Donna Livia (voltandosi a Delia, sdegnosamente). ...Ah! E trovo infatti codesta signora in casa mia?

Doro (con fermezza, pigiando sulle parole). In casa tua, appunto, mamma!

Delia. Io vado, vado. Ah, ma questo non avverrà — non avverrà, stia tranquilla, signora! Lo impedirò io! Penserò io a impedirlo!

E s’avvierà rapidamente, convulsa.

Doro (seguendola per un tratto). Non s’arrischi, signora, per carità, a interporsi. —

Delia scomparirà.

Donna Livia (gridando, per arrestarlo). Ma dunque è vero?

Doro (voltandosi e gridando esasperato). Vero? Che cosa? - Che mi batto? — Forse. - Ma perché? Per una cosa che nessuno sa quale sia, come sia: né io, né quello — e nemmeno lei stessa! nemmeno lei stessa!

TELA