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con cui stava sospesa a spiare, in un quasi allegro spavento, la liberazione. La ripresa del rantolo m’incusse in quel punto un tale raccapriccio di me, che mi nascosi quella faccia come se avessi commesso un delitto; e mi misi a piangere come il bambino ch’ero stato per la mia mamma, di cui sí, sí volevo ancora la pietà per la stanchezza che sentivo, che mi faceva cascare a pezzi; pur avendo finito or ora di desiderare la sua morte; povera mamma che ne aveva perdute di notti per me, quand’ero piccino e malato...

Doro. Ma mi dici perché, all’improvviso, codesto ricordo di tua madre?

Diego. Non lo so, perché. Lo sai tu forse perché ti sei tanto irritato del ringraziamento che tua madre t’ha fatto per averla tranquillata?

Doro. Perché aveva potuto supporre per un momento anche lei...

Diego. Va’ là, che noi c’intendiamo a guardarci!

Doro (scrollando le spalle). Ma che vuoi intendere!

Diego. Se non fosse vero, avresti dovuto riderne, non irritartene.

Doro. Ma come? pensi sul serio anche tu?

Diego. — io? tu lo pensi!

Doro. Se do ragione al Savio adesso!

Diego. Lo vedi? Da cosí a cosí. E anche contro te stesso ti sei irritato, delle tue «esagerazioni»!

Doro. Perché riconosco —

Diego. — no! no! leggi chiaro, leggi chiaro in te stesso!

Doro. Ma che vuoi che legga, fammi il piacere!

Diego. Tu dài ragione adesso a Francesco Savio... sai perché? per reagire contro un sentimento, che covi dentro, a tua insaputa.

Doro. Ma nient’affatto! Mi fai ridere!

Diego. Sí! sí!

Doro. Mi fai ridere, ti dico!

Diego. Nel ribollimento della discussione di jersera t’è venuto a galla e t’ha stordito e t’ha fatto dir cose «che non sai». Sfido! Credi di non averle mai pensate! E invece le hai pensate, le hai pensate —

Doro. — come? quando?