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ciascuno a suo modo | 151 |
L’altra. No, non parlava: stava ad ascoltare ciò che dicevano gli altri.
La prima. Eh, perché lui lo sa! Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare. Finché dentro di noi c’è un’incertezza, si dovrebbe stare con le labbra cucite. Si parla; non sappiamo neanche noi quello che diciamo... Ma era triste? Sorrideva triste? Non ricordi che cosa dicessero gli altri?
L’altra. Ah, non ricordo. Non vorrei, cara, che ti facessi qualche illusione. Sai com’è? Ci s’inganna. Era forse indifferente e mi parve che sorridesse triste. Aspetta, sí: quando uno disse —
La prima. — che disse? —
L’altra. — una frase: aspetta... «Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti».
La prima. Non la disse lui, questa frase?
L’altra. No, no.
La prima. Ah Dio mio! — Intanto, non so se sbaglio o non sbaglio. Io che mi sono vantata d’aver fatto in ogni occasione a mio modo! — Sono buona, ma posso diventar cattiva; e allora guaj a lui!
L’altra. Vorrei, cara, che tu non rinunciassi a essere come sei.
La prima. E come sono? Non lo so piú! Ti giuro che non lo so piú! Tutto mobile, labile, senza peso. Mi volto di qua, di là, rido; m’apparto in un angolo per piangere. Che smania! Che angoscia! E continuamente mi nascondo la faccia, davanti a me stessa, tanto mi vergogno a vedermi cambiare!
Sopravvengono a questo punto altri invitati: due giovanotti annojati, molto eleganti, e Diego Cinci.
Il primo. Disturbiamo?
L’altra. No no: tutt’altro. Venite avanti.
IL secondo. Questa è la cappella delle confessioni.
Diego. Già. Donna Livia dovrebbe tenere qua a disposizione dei suoi invitati un prete e un confessionale.
Il primo. Ma che confessionale! La coscienza! La coscienza!
Diego. Sí, bravo! E che te ne fai?
Il primo. Come? Della coscienza?