Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XIV
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[Anno 1848]
Che l’anno 1848 ci presentasse le più strane e inaspettate cose lo abbiam veduto in gran parte, e in parte lo vedremo; ed è appunto per ciò che ci facemmo a qualificarlo in principio del presente volume, per l’anno rivoluzionario per eccellenza. E come fra i primi effetti delle rivoluzioni è quello di capovolgere, così tu vedi taluni che deprimonsi e cadono, ed altri per converso, ch’eran nel fondo, sollevarsi e prendere il posto dei caduti. Esordiremo in questo capitolo col racconto di un episodio storico comprovante queste verità.
Chi avesse detto al conte Mamiani nell’anno 1847, allorquando se gli contrastava il ritorno nei domini pontifici: «prosegui, prosegui pure le tue pratiche. Entro un anno non solo sarai rientrato negli stati della Chiesa, ma tu stesso ti assiderai al posto di colui al quale, supplice, ora ti rivolgi.1 E tu allora, per una strana combinazione, permetterai tu stesso ad un cardinale di santa Chiesa di accettar le rinuncie, ed in te infine risiederà la somma di quel potere che adesso ti ritiene in esiglio;» costui per fermo, sarebbe stato trattato poco meno che da demente.
E pure nel maggio del 1848 verificossi nel Mamiani la concentrazione del potere: ed il primo di luglio permetteva al cardinale Altieri di accettar la rinuncia del deputato Bianchini. Ecco come si esprime su questo proposito la Gazzetta di Roma del primo di luglio:
«Sua eccellenza il ministro dell’interno ha consentito che sua eminenza reverendissima il signor cardinale presidente di Roma e Comarca accetti la rinuncia già data dal signor Antonio Bianchini al nobile officio di Conservatore del municipio romano.»
A questo alto seggio era salito il Mamiani pei suoi meriti sì letterari come scientifici, ma in parte ancora per esservi stato spinto dai suoi ammiratori e partigiani. I pregi dei Mamiani però erano offuscati da quelle illusioni cui quasi tutti gli uomini della sua risma van soggetti, e mancava del senso pratico nel timoneggiar gli affari. I suoi discorsi sentivano dell’idealismo germanico; eravi ne’ suoi concetti un non so che di arcadico; mancavagli in somma qualche cosa che si richiede in un ministro di stato: cosicchè disser taluni che quel regno nelle nuvole cui rilegar voleva il pontefice, a lui più che ad altri si convenisse. Citiamone subito un esempio.
Si risolvette nella tornata dell’Alto Consiglio del 28 di giugno, che la votazione dovesse esser segreta, e segreta per verità, salvo alcuni casi eccezionali, è in quasi tutti gli stati di Europa retti a forme rappresentative.
Il Mamiani, regolatore supremo del parlamentarismo romano, non potendo tollerare questo tratto d’indipendenza dell’Alto Consiglio, pubblicò un articolo di fondo nella Gazzetta officiale del 3 di luglio, ove, biasimando la risoluzione presa dal medesimo, veniva insinuando che lo stesso Consiglio non avrebbe dovuto dipartirsi dal sistema adottato nel Consiglio dei deputati, di votare cioè per alzata e seduta, e aggiungeva persino che l’Alto Consiglio non era poi di stretta necessità per il macchinismo parlamentare. «Volgono tempi, egli diceva, non favorevoli al tutto alle istituzioni cosiffatte come è l’Alto Consiglio. L’opinione di molti, non pure tra noi, anzi se vuolsi, meno tra noi che altrove, ne mostra diffidenza, è inchinevole a credere che sia parte disutile nello stato, e posta quasi per impacciare le Camere popolari.»
Questo linguaggio del Mamiani equivaleva a dire: l’Alto Consiglio è inutile: se verrà con noi lo lasceremo stare, in caso contrario, faremo in guisa da abolirlo. Si ricordino intanto i nostri lettori che a Napoli pure non si voleva la Camera Alta, e quindi non potrà non ammettersi che l’indole del movimento italiano sia stata sempre repubblicana.
Rincrebbe talmente l’articolo del Mamiani, che nella tornata del 4 fu deciso dall’Alto Consiglio di farne soggetto di richiamo.2 Interpellatone di fatti il Mamiani, rispose esser l’articolo in discorso riportato nella parte non officiale e quindi essere come se fosse impresso in qualunque altro giornale.3
Non avendo punto soddisfatto la risposta del Mamiani, surse il principe Rospigliosi nella seduta del giorno 8, e tenne il seguente discorso:
«Mi permetto di osservare che la risposta data dal signor ministro dell’interno non è in alcun modo soddisfacente.
»Se la medesima si fosse limitata alla prima parte, si sarebbe potuto esaminare se, e sino a qual limite un articolo inserito nel foglio officiale, quantunque nella parte non officiale, possa attribuirsi al ministero. Ma ogni remoto dubbio è dissipato dopo che il signor ministro fa suo l’articolo, dichiara di rendersene responsabile, e sostiene il principio, ch’esso è in piena facoltà di esternare nel foglio officiale la sua libera opinione sopra gli atti dei due Consigli. Se questo principio si ammette, la conseguenza non è dubbiosa. Il ministero si crederà dunque permesso di sindacare, e di criticare gli atti dei due Consigli; e non indirettamente per mezzo di altri giornali, come gli sarebbe facile, ma direttamente per mezzo del giornale ministeriale. Troppo nuovo nell’esercizio del potere costituzionale per formare un voto decisivo circa l’importante articolo che ora si discute, ho però tutto il fondamento di credere, che l’opinione del signor ministro ripugni ai costituzionali principi, e che ragioni di dovere, di convenienza e di prudenza debbano mettere al coperto i Consigli deliberanti dagli attacchi non provocati del ministero.
»Cosa è l’Alto Consiglio? Esso è una parte del potere legislativo, il quale in unione al Consiglio dei deputati ed al principe forma la sovranità. Il ministero dipende dunque dai Consigli. Tanto è vero, che oltre la sua responsabilità annessa a questa dipendenza, uno dei medesimi ha diritto di porlo in istato d’accusa, e l’altro di giudicarlo.
»Posto ciò, come si potrà convenire che uno dei ministri possa disapprovare fuori di questo recinto, e a faccia scoperta le loro deliberazioni, qualunque esse siano, e di criticarle amaramente? Ma ciò non basta. Nell’articolo della Gazzetta officiale del giorno 3, il signor ministro dell’interno (che lo fa suo), per dare un peso alla sua critica, e dirò così, per giustificarla, discende a rendere problematico il vantaggio dell’esistenza dell’Alto Consiglio: e quantunque per verità egli si decida per l’affermativa, non ostante il dubbio è formulato, l’impressione è prodotta, e l’eco di una opinione già esternata da altri, acquista un rimbombo autorevole dalla voce ministeriale. Senza immaginare nemmeno una dicussione qualunque sopra un punto non soggetto a disputa, mi limiterò a dire, che se lo statuto fondamentale è legge per il potere legislativo, lo è molto più per i ministri; e che quando il medesimo ha parlato, è irriverenza il porne, le basi in questione.
»Sarebbevi molto a dire sopra ciò che ha formato il soggetto primario dell’articolo officiale. Non sarebbe difficile di accumulare argomenti a sostegno dell’utilità del voto segreto a preferenza del voto pubblico. Si potrebbero corredare questi argomenti con gli esempi di altre nazioni, di altre Camere rappresentative; ma la deliberazione fu presa, essa è definitiva, e l’Alto Consiglio non deve renderne conto che a se medesimo.
»Molto più potrebbe dirsi sopra il dispiacevole tema, oggetto di queste meschine osservazioni; ma per non dilungarmi soverchiamente, concluderò che il processo verbale della seduta di oggi confermi la disapprovazione dell’articolo della Gazzetta di Roma, e il reclamo avanzato.»4
Rispose il Mamiani e fu sostenuto dal conte Pasolini: dopo di che, presa la parola il dottor de Mattheis, disse francamente che i ministri son ministri e non maestri dei corpi legislativi e che non devono dar lezioni; essere sta una indecenza da non potersi sopportare. Disse inoltre esser ciascuno padrone di disputare perchè tutto è disputabile, ed essere una vera indecenza che una opinione esternata dall’intero Alto Consiglio venisse criticata così senza moderazione da una gazzetta che passava per officiale. Non doversi poi fare tanto clamore perchè tendente a diminuire la fiducia del popolo nei corpi legislativi.
Risoluto quindi che questo incidente venisse posto nel processo verbale, si passò all’ordine del giorno.5
Il discorso dei Rospigliosi produsse tale una impressione, che disser molti essere stato non solo una vittoriosissima difesa delle prerogative dell’Alto Consiglio, ma una lezione acconciamente data al Mamiani. Dopo di ciò i due Consigli proseguirono a votare a piacer loro.
E giacchè la occasione ci chiama a parlare della vita parlamentare in Roma, non possiamo a meno di rilevare alcune specialità, le quali tendono a provare che il primo saggio di vita pubblica che dettero i Romani o chi per essi non fu al certo dei migliori.
La prima e piò essenziale cosa che si richiede nei Consigli legislativi è la libertà ed indipendenza delle opinioni; e nello svolgimento generico di un reggimento costituzionale questa libertà di opinioni emesse sì a voce come in istampa dev’esser sacra ed inviolabile, senza di che Statuto, Camere, votazione e leggi, null’altro sarebbero che finzioni ed inganno.
Ed a questo proposito, dobbiam dirlo con dispiacere, in Roma non esisteva nè una cosa nè l’altra: poichè quanto alla votazione la Camera dei deputati, cui solo attribuì vasi l’indirizzo della cosa pubblica, volle rendersi singolare e darsi l’aria di franchezza e d’indipendenza; e non si avvide che facevasi imporre dalla tirannia delle opinioni popolari, la quale sia che venga dal su in giù, o dal giù in su, è sempre cosa detestabile e funesta.
Volle il Consiglio dei deputati introdurre la votazione aperta, e così accadde, che qualcuno dei deputati avendo voluto dar prova d’indipendenza, restò seduto quando gli altri si alzavano, perchè così gli dettava la sua coscienza; ma le grida e i sibili dalle tribune lo costrinsero ad uniformarsi agli altri, a discapito della libertà e indipendenza dei suffragi. A ciò si deve quell’essere sempre apparso nelle votazioni non la maggiorità soltanto ma la unanimità. Ciò spiega pure il non essersi vedute da noi nè le frazioni della sinistra nè quelle della destra o del centro, come vedonsi in tutte le Camere degli stati costituzionali.
Noi avremmo potuto avere la destra costituita da coloro cui era in animo di sostenere il papa e i suoi diritti; il centro dai ministeriali o ligi al potere del giorno; e la sinistra o l’opposizione da coloro che propendevan per la repubblica: e di questi ne avevamo evidentemente un buon numero.
Avemmo in vece un’assemblea di un solo colore, la quale o per sua elezione o per forza o per timore si mostrò sempre docile e condiscendente versò il ministero. Con una simile assemblea il ministero sentivasi assicurato sui suoi seggi; ma ciò, lungi dall’essere la espressione sincera delle volontà individuali, era il frutto dell’inganno, della ipocrisia e della intimidazione che tiranneggiava il Consigliò dei deputati.
Libertà di stampa non si ebbe in Roma; e il papa, il papa stesso non era padrone di fare inserire ciò che voleva nella Gazzetta officiale. Di ciò querelavasi un giorno col conte Ludolf, e questi lo disse a noi, autorizzandoci a farne menzione nelle nostre memorie. Non l’ebbe il partito così detto clericale, al quale mai non fu dato di estollere il capo. Si tollerò il Labaro, e a malincuore si tollerava il Costituzionale quantunque, stante il timore, ayesse pochissimi abbonati; e il Cassandrino perchè volle provare co’ suoi frizzi mordaci di avversare troppo apertamente la rivoluzione, ebbe nel suo scrittore l’abate Ximenes una vittima della tirannia rivoluzionaria.6
Sull’attentato contro la indipendenza dell’Alto Consiglio, coll’aver discorso dell’articolo del Mamiani e riportato la risposta del principe Rospigliosi, abbiam detto abbastanza.
Narrando l’assassinio dell’abate Ximenes e pubblicando ciò che ci asserì il conte Ludolf abbiamo dato un saggio delle violenze contro la libertà della stampa. Circa poi agli altri sfregi e violenze contro la libertà in genere, avremo occasione di parlare in seguito.
Ritornando ai fatti occorsi, giova rammemorare che fin dal giorno 3 di luglio accettavasi la rinuncia del Cardinal Ciacchi legato di Ferrara e venivagli sostituito il conte Francesco Lovatelli pro-legato di Ravenna, surrogandogli in questo officio il conte Francesco Manzoni.7
Venne a conoscersi in quel tempo che il tristamente famoso padre Gavazzi, contro il quale più di una volta l’autorità ecclesiastica aveva alzato la voce per la sua riprove voi condotta e pel suo empio linguaggio, stando in Firenze, permettevasi la sera di arringare il popolo dalle finestre di una locanda, e da colà disseminare errori perniciosissimi per la quiete pubblica; sicchè la sera del 5 nasceva un tafferuglio fra quei che volevano e quei che non volevano che parlasse. Fu d’uopo che la guardia civica intervenisse per far cessare quello scandalo, e imporre silenzio al frate spudorato.8 Non avremmo parlato di costui se non fosse stato uno dei campioni esagerati del movimento romano, e se non avesse figurato la sera del 21 marzo come quello che bandiva dal Colosseo la crociata contro gli Austriaci. Basti su ciò.
Lo stesso giorno 5 di luglio decreta vasi in Venezia la fusione col Piemonte.9
Il 14 poi le soldatesche austriache, dopo aver posto impedimento alla navigazione ad ai transiti sul Po, dopo di avere attentato alla vita ed alla libertà di alcuni battellieri, e sequestrato i battelli pontifici, irrompevano di nuovo nel Ferrarese.
Causa di questo atto di violenza fu il rifiuto del Lovatelli di somministrare gli approvigionamenti per la cittadella. Contro questo atto di violenza protestò in appresso il Cardinal Soglia in nome di Sua Santità, con una circolare che diresse a tutto il corpo diplomatico, come meglio diremo in seguito.10
Era questa una nuova complicazione alla quale associavasene un’altra ancora: imperocchè mentre gli Austriaci avanzavansi da un lato verso Bologna, si manifestavan dall’altro sintomi di ribellione in quella città. Sulle mura della medesima si trovavano cartelli scritti per invitare il popolo a formare un governo provvisorio.
Informato di ciò il marchese Massimo d’Azeglio che era colà, vi si oppose risolutamente, e pubblicò un indirizzo ai Bolognesi che venne inserito in quella gazzetta officiale. In esso fra le altre cose diceva: «Governo provvisorio! Ma possibile che tanti secoli di calamità, di lacrime, di vergogne; possibile che la dura esperienza di circostanze attuali che da ogni parte ci stringono con mano di ferro; possibile che Faver l’acqua alla gola e l’esser presso a sommergerci ancora non abbia insegnato all’Italia l’unione? Possibile che non le abbiano insegnato ch’è meglio soffrir tutto piuttosto che dividersi! Che ogni contrasto, che ogni guerra intestina è il più fatale, il più stolto, il più deplorabile degli errori, è dei litto di lesa patria, di lesa nazionalità!
» Governo provvisorio! Ma a qual futuro accenna questo titolo di provvisorio? Si bisbiglia di una dedizione al re Carlo Alberto. Ma in qual cervello ha potuto nascere l’idea che il re Carlo Alberto potesse farsi complice di chi che sia per ispogliare il suo alleato, per ispogliare il pontefice, per ispogliare Pio IX?»11 Dunque in quel tempo si riteneva dagli Albertisti, o si voleva far credere che si ritenesse, come un grave delitto l’aspirare alla corona d’Italia, e più grande ancora quello di voler spogliare il papa delle sue provincie. Almeno il discorso del d’Azeglio così dice.
Lo stesso giorno 15 luglio il re di Napoli emetteva una protesta contro l’atto deliberativo dei Palermitani del giorno 11, col quale chiamavasi al trono della Sicilia il duca di Genova, figlio secondogenito del re Carlo Alberto.12
Ma altro e più singolare episodio era occorso in Roma in quei giorni, che reputiamo nostro debito il ricordare.
Fin dal giorno 5 trovossi affisso, non si sa come nè da chi, per le vie di Roma, un dispaccio in cifra del Cardinal Soglia segretario di stato e presidente del Consiglio dei ministri, portante la data del 15 di giugno e diretto a monsignor Viale-Prelà nunzio in Vienna. Detto dispaccio era stato estratto dalla Gazzetta del Popolo del 30 ch’era il giornale di Mazzini che in allora pubblicavasi a Milano.
Fu grande lo stupore in tutti perchè una pubblicazione di questa natura implicava necessariamente la violazione del segreto postale, che è cosa sacra e rispettata in tutti i governi civili.
Prima del dispaccio in cifra ossia in soli numeri, leggevasi nel foglio stampato altro dispaccio in lettere che diceva quanto appresso:
- «Illustrissimo e reverendissimo signore,
»Sono stati contestualmente ed in originale rassegnati al Santo Padre i due fogli di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima del 27 del prossimo passato mese, diretti a monsignor sostituto della segreteria di stato. Non posso esprimerle abbastanza quale sia la consolazione provata da Sua Santità nel leggerne il contenuto, e sopra tutto nel rilevare i sentimenti manifestati dal signor ministro degli affari esteri, in occasione del colloquio ch’egli tenne con esso lei sull’opportunità di seguire S. M. I. R. Apostolica, a forma dell’invito ricevutone. Eguale consolazione ebbe pure a sperimentare il Santo Padre osservando il savio modo di vedere del signor ambasciatore d’Inghilterra. Dopo di che non poteva non approvarsi pienamente la risoluzione da lei presa conforme all’invito.
»Quali siano le relative istruzioni, ella le conoscerà dal mio dispaccio contemporaneo in cifra. A chiarimento poi dell’animo suo mi valgo di questa opportunità per confermarle che il linguaggio del ministero non è a confondersi affatto col volere del Santo Padre già solennemente palesato nella sua allocuzione, e fosse piaciuto a Dio che le paterne di lui insinuazioni avessero avuto ascolto! Non si deplorerebbero ora tante vittime di sudditi pontifici nei fatto d’arme testè avvenuto nel Vicentino! Rispettiamo però in simili eventi la mano della divina Provvidenza, nella quale riponiamo la fiducia del sollecito ritorno di una tranquillità cotanto sospirata.
- » Con sensi di stima distinta mi confermo
- »Roma 15 giugno 1848, »Di V. S. illustrissima e reverendissima
»Servitore |
» Monsignore Viale-Prelà Nunzio apostolico
- »presso S, M. I. R. A.
» Innspruck.»13
Il Labaro del 7 pretese di dare la spiegazione della lettera in cifra, ed altrettanto fece il Costituzionale. Il governo li lasciò dire e si tacque, perchè fin dall’8 di giugno comparve un giornale d’ordine del papa stesso, o di certo colla sua approvazione, intitolato il Giornale romano, il cui scopo si era di dare ragguaglio delle feste e cerimonie religiose, delle promozioni ed altri cambiamenti nel personale che sia alle congregazioni religiose, o altro si apparteneva, e di somministrare anzi tutto il testo esatto e veritiero delle risposte, dei discorsi o altri atti emananti dal pontefice. Di cotal guisa e sotto certi rispetti, il Giornale romano poteva considerarsi siccome il giornale officiale.
Non si fece parola veruna dal detto giornale della lettera in cifra, conservando su ciò il più stretto silenzio. E bene si operò, perchè il fatto fu una infrazione flagrante delle regole in uso fra i popoli civili. O la lettera era falsa, e commettevasi una iniquità, o era vera, e col palesarla si veniva a far conoscere ch’era stato violato il segreto postale, ciò che costituisce una iniquità anche maggiore.
Del resto fummo assicurati da persona autorevolissima e più di tutte informata su queste faccende, che la lettera in cifra non altro conteneva se non che l’approvazione del Santo Padre al nunzio di Vienna pel modo col quale erasi condotto onde mantenersi in buoni rapporti con quella corte, ed eliminare lo scandalo che sarebbe accaduto, se (com’era mente del gabinetto austriaco dopo aver veduto i soldati del papa combattere contro quelli dell’impero in Lombardia) il nunzio pontificio fosse stato allontanato dalla corte di Vienna.14
Dopo questa disgressione sulla famosa lettera in cifra, ove i nostri lettori avranno trovato tali dilucidazioni che dagli altri scrittori non avevan potuto attingere, riprendiamo il filo della narrazione delle cose nostre. Ricorderemo pertanto che il giorno 6 di luglio vennero aggiunti, per formar parte dell’Alto Consiglio, i seguenti:
- Principe don Filippo Andrea Doria
- Duca don Pio Braschi Onesti
- Principe don Giovanni Ruspoli
- Don Sigismondo Chigi principe di Campagnano
- Cavalier Prospero Bernini
- Avvocato Giuseppe Vannutelli
- Conte Giuseppe Rondinini.15
Intanto il governo francese, quantunque repubblicano, sentiva che per consolidarsi era d’uopo di star bene con Roma, e quindi il giorno 7 di luglio non un incaricato di affari soltanto o un ministro residente, ma un ambasciatore, in persona del duca di Harcourt, presentava al Santo Padre le sue credenziali.16
Noi rammentiamo ciò con vera compiacenza, perchè quel governo, quantunque surto fra lo strepito del cannone e la polvere delle barricate, aveva uomini di cuore e di senno alla testa, e bene lo provò cercando di onorare colla presenza di un ambasciatore colui che, mentre era il sovrano degli stati pontifici, era pure il capo venerato e venerando dei cattolici sparsi per tutto il mondo. Fu questo un savissimo divisamento di chi reggeva in Parigi la somma delle cose, perchè colle testimonianze di ossequio verso la corte di Roma, si veniva amicando il clero francese, clero che per la sua dottrina e per la sua irreprensibile condotta erasi conciliato la stima e l’ossequio di una grandissima parte delle francesi popolazioni. E quando ciò accadeva, lacrimavasi ancora quel degno rappresentante del clero di Francia monsignor Affre arcivescovo di Parigi, morto sulle barricate mentre a nome della religione e dell’umanità compieva i nobili offici del suo ministero, il 26 di giugno.
Parigi lo pianse, lo piansero i cattolici tutti, e il mondo ne ammirò le sublimi virtù, ma in pari tempo deplorò l’aberrazione fatale che spinse tante vittime al sepolcro.
A suffragare pertanto le anime degli estinti in quella deplorabilissima occasione, fra i quali lo stesso monsignor arcivescovo, fu celebrata il 10 di luglio una messa funebre nella chiesa di san Luigi de’ Francesi, alla quale assisterono l’ambasciatore, gli addetti alla Legazione, il direttore e gli alunni dell’accademia di Francia, non che il Cardinal Soglia ed il duca di Rignano.17
Ora tornando a parlare del ministero Mamiani dobbiamo dire che finalmente quel buio misterioso ed impenetrabile che fin da’ primordi appariva sul dissenso fra il pontefice ed il conte Mamiani (ad onta de’ suoi dinieghi), si venne man mano schiarendoci punto, che il dubbio convertivasi in evidenza; ed a ciò contribuirono prima di tutto le insinuazioni del deputato Orioli nelle tornate del 26 e 27 di giugno e 3 di luglio, non che gli articoli del Labaro, e poscia le espressioni della lettera intercettata del Cardinal Soglia. Ma la risposta che il papa dette il giorno 10 all’indirizzo della Camera dei deputati in replica a quello del cardinale Altieri, pronunziato il 5 di giugno in nome di Sua Santità, squarciò il velo e fece palese la verità. Il ministero Mamiani apparve in tutta la sua evidenza un ministero di separazione, come dall’Orioli era stato qualificato.
Lo schema dell’indirizzo dei deputati può leggersi nel Giornale romano, nel Farini, e negli Atti dell’Assemblea, e noi lo riportiamo per intiero in Sommario.18 La risposta di Sua Santità fu la seguente:19
«Accettiamo le espressioni di gratitudine che il Consiglio ci dirige, e riceviamo la risposta al discorso pronunciato a nostro nome dal cardinale da noi espressamente delegato all’apertura de’ due Consigli, dichiarando di accoglierla unicamente in quella parte che non si allontana da quanto è stato prescritto nello Statuto fondamentale.
»Se il pontefice prega, benedice, e perdona, egli è altresì in dovere di sciogliere e di legare. E se come principe coll’intendimento di meglio tutelare e rafforzare la cosa pubblica chiama i due Consigli a cooperare con lui, il principe sacerdote abbisogna di tutta quella libertà che non paralizzi la sua azione in tutti gl’interessi della religione e dello stato; e questa libertà gli resta intatta, restando intatti, siccome devono, lo statuto e la legge sul Consiglio dei ministri, che abbiamo spontaneamente conceduto.
»Se i grandi desideri si moltiplicano per la grandezza della nazione italiana, è necessario che il mondo intero novamente conosca che il mezzo per conseguirla non può essere per parte nostra la guerra. Il nostro nome fu benedetto su tutta la terra per le prime parole di pace che uscirono dal nostro labbro: non potrebbe esserlo sicuramente se quelle uscissero della guerra. E fu per noi grande sorpresa quando sentimmo chiamata la considerazione del Consiglio su questo argomento in opposizione alle nostre pubbliche dichiarazioni, e nei momento nel quale abbiamo intraprese trattative di pace. L’unione fra i principi, la buona armonia fra i popoli della penisola, possono sole conseguire la felicità sospirata. Questa concordia fa sì che tutti noi dobbiamo abbracciare egualmente i principi d’Italia, perchè da questo abbraccio paterno può nascere quell’armonia che conduce al compimento dei pubblici voti.
»Il rispetto ai diritti ed alle leggi della Chiesa, e ìa persuasione dalla quale sarete per essere animati, che la grandezza specialmente di questo stato dipende dalla indipendenza del sovrano pontefice, farà sì che nelle vostre deliberazioni rispetterete sempre i limiti da noi segnati nello Statuto. In questo principalmente si palesi la gratitudine che noi vi domandiamo per le ampie istituzioni concedute.
»Nobile è il vostro proposito di occuparvi degl’interni nostri negozi; e noi vi confortiamo con tutto l’animo all’intrapresa. Il commercio e l’industria debbono essere ristorati, e principale nostro desiderio, che siamo sicuri essere anche il vostro, quello è non di aggravare, ma di sollevare i sudditi. L’ordine pubblico reclama grandi provvedimenti e ad ottenerli è indispensabile che il ministero cominci a consecrarvi i suoi pensieri e le sue cure. La pubblica amministrazione delle finanze esige grandi e solleciti provvedimenti. Dopo questi elementi vitali il governo vi proporrà per i municipi quei miglioramenti che si credono più utili e più conformi ai presenti bisogni.
»Alla Chiesa e per essa ai suoi Apostoli concedette il suo divin Fondatore il grande diritto e il debito d’insegnare.
»Siate concordi fra voi, coll’Alto Consiglio, con noi e coi nostri ministri. Rammentatevi spesso che Roma è grande non pel dominio suo temporale, ma principalmente perchè è la sede della cattolica religione. Questa verità la vorremmo scolpita non già sul marmo, ma sul cuore di tutti quelli che partecipano alla pubblica amministrazione, affinchè ognuno rispettando questo nostro primato universale, non dia luogo a certe teorie limitate, e talvolta anche ai desideri di parte. Chi sente alto della religione, non può pensare diversamente. E se voi, come crediamo, siete ahimati da queste verità, voi sarete nobili istrumenti nelle mani di Dio per arrecare veri e solidi vantaggi a Roma e allo stato, primo de’ quali sarà quello di spegnere il seme della diffidenza e il terribile fomite dei partiti.»
Questo discorso notevolissimo venne pronunziato avanti la Commissione del Consiglio inviata al pontefice. Il presidente del medesimo annunciando semplicemente il fatto aggiungeva che le parole del pontefice sarebbero lette nella Gazzetta officiale. — Nulla più se ne disse in proposito.
E pure da questo discorso del Santo Padre, ch’esso avrebbe voluto che restasse scolpito nel cuore, e che noi avremmo desiderato che venisse scolpito in tavole di bronzo, appariva palese il disaccordo esistente fra il pontefice e il ministero perchè, quantunque copertamente, accennava che il ministero degli affari esterni secolareschi gli era stato imposto, e che egli (il papa) ripudiava recisamente qualunque provvedimento guerresco. E tale, e così palese era già questo discorso, da dover necessariamente provocare le più serie riflessioni, aprire gli occhi alle moltitudini illuse e ingannate, sia qui da noi, sia altrove; e pure, ripetiamo, come se il papa non avesse parlato, un perfetto silenzio si mantenne nè si fece commento veruno.
Così bene erano state ingannate e pervertite queste moltitudini, così docilmente lasciavansi guidare e signoreggiare dagli agitatori spertissimi che avevamo in Roma, che poco o nulla se ne parlò, nulla se ne scrisse, tutto passò inosservato; e con questo sistema d’inganni e di delusioni si proseguì ad andare innanzi come se nulla .fosse stato. Si vide allora, e noi pure l’osservammo, che sia per effetto dello sbigottimento facente velo alla ragione, o della paura prepotente sul coraggio civile, quelli stessi Romani cui si era sciolto lo scilinguagnolo quando trattavasi di vituperar Gregorio XVI prima del 1846, durante il ministero Mamiani si eran posta la museruola alla bocca per guisa, che qualunque cosa eccentrica dicesse o facesse quel ministero, le lingue erano sciolte sempre per lodare, incatenate per criticare.
S’incontrò pure non ostante fra i Romani un coraggioso, e fu il conte Ranghiasci Brancaleoni di Gubbio, il quale, lo stesso giorno 10 di luglio, attaccò vivamente il ministero con una interpellanza ove riscontravansi le parole seguenti:
«Ma non meno sventurata della giustizia è la libertà che spesso in alcuni luoghi veggio convertita in licenza.
»Codesta santa parola, seppur qui mi è lecito valermi di tale aggettivo, non si è presa da ognuno nel filosofico e naturale suo senso, ma si è interpretata per facoltà di operare tutto ciò che venisse a talento.
»L’ordine e la tranquillità sono stati non di rado in gravissimo pericolo: nè altrimenti poteva avvenire, quando alcuni pochi male intenzionati, cui solo favoreggiava il disordine, col mentito nomedi libertà, di progresso, hanno posto in movimento masse numerosissime, le hanno infiammate con ogni maniera di argomenti a lusinghiere speranze, le han tolte dalle loro abitudini, le han gittate nell’ozio, loro han fatto disistimare i probi cittadini, e si è sciolto così quel salutevole freno che pur troppo è necessario, acciocché si mantenga l’ordine, ed in conseguenza la quiete e la legalità.
»Che n’è da ciò conseguito? I lavori abbandonati, i sussidi sospesi, il commercio esinanito, l’oro scomparso, la carta sostituita, le tasse accresciute, le proprietà non più sicure: ia una parola, un avvenire incerto, oscuro, terribile.
»Si è curato il male appena comparso, o non più tosto si è lasciato divenir maggiore?
»Gustino sì, gustino i popoli il soave, il prezioso dono della libertà, dell’eguaglianza; ma non siano essi vani nomi. Se ne faccia loro appieno comprendere la forza, e non si pascolino, il ripeterò, di speranze, parto solo di una poetica immaginazione.
»I popoli allora saranno tranquilli, allora avranno la vera nozione della libertà, quando insieme alla giustizia, all’ordine, all’educazione, sarà solidamente provveduto ai loro reali bisogni.»20
Savissimo fu il linguaggio del Ranghiasci, e il suo discorso portò l’impronta di un carattere serio. Ma se ne avea talvolta di genere comico, e fra questi ne scegliamo uno del principe di Canino, meritevole per la sua originalità di essere riportato, quantunque fosse stato pronunziato tre settimane prima. Ciò facciamo non già per l’interesse del discorso stesso sotto l’aspetto politico, ma sì bene perchè i lettori giudichino di quali elementi era composto il Consiglio. Esso incominciava così:
«Armi! armi! Colleghi italianissimi, armi! Non più pietose! Armi spietate!!!»; e terminava lodando il ministero piemontese colle parole seguenti:
»E senza dire di un Ricci, di un Balbo, di un Franzini, basti il solo nome di Pareto! e parlo di Lorenzo Pareto, non della turba dei Pareti che servono ancora il trono sabaudo, come servirono sotto l’assolutismo (segni di riprovazione), di Lorenzo Pareto primo repubblicano d’Italia, il quale si è dato lealmente al re Carlo Alberto, perchè vede che in lui è la sola speranza dell’unità italiana. 21
A questo discorso assisteva, ascoltandolo dalle tribune, uno dei Pareto criticati dal Canino, ed era niente meno che il rappresentante di Carlo Alberto presso la corte di Roma.
Ritornando ora sul disaccordo fra il pontefice e il ministero Mamiani, diremo che i discorsi che abbiam fatto conoscere del Rospigliosi e del conte Ranghiasci Brancaleoni avevano già svelato delle grandi verità sulla situazione del paese, cui si aggiunsero le pubblicazioni del Labaro, e sopratutto la risposta dignitosa e risentita del Santo Padre più sopra riportata. Ma ciò che mise il suggello fu un articolo del Costituzionale che divulgossi a profusione per le vie di Roma il giorno 15 di luglio, e che portava per titolo: Ingannare il popolo è un sacrilegio.22 Veniva per esso chiarito che il ministero Mamiani non solo non riposava su solide basi, ma accoglieva in se stesso i germi della sua dissoluzione.
Che restava allora a farsi dagli amici del Mamiani? Non altro che metter su una di quelle dimostrazioni di piazza per illudere o atterrire il popolo; e questa si feoe la sera di domenica 16 luglio.
Già fin dalla mattina eransi diramati gli avvisi stampati, coi quali il circolo popolare invitava i Romani a recarsi la sera in sulla piazza di Spagna ove alloggiava il ministro Mamiani, in casa del dottor Pantaleoni:23 «per dare una testimonianza di adesione e simpatia ai liberali principi che informano l’attuale ministero, recandosi presso il signor conte Mamiani come quegli che lo compone, e che riè la mente ed il centro.»24
La riunione ebbe luogo ad un’ora di notte, come dice la Pallade, movendo dalla piazza del Popolo. Era preceduta dagli ascritti ai circoli ed ai casini con numerose faci e bandiere, e giunta al luogo convenuto, presentò per mezzo de’ suoi delegati un indirizzo al conte Mamiani, il quale anche in nome de’ suoi compagni porgeva ringraziamenti all’affollata moltitudine.25
Coll’aver noi rammentato questo episodio, abbiamo somministrato una nuova prova della prepotenza dei circoli, e della ressa costante che facevano sugli uomini ch’erano al potere. Intanto il giorno 17 l’Alto Consiglio seguendo le formalità d’uso, pronunziava per mezzo del suo presidente monsignor Muzzarelli il suo discorso al cospetto del Santo Padre, in risposta a quello del cardinale Altieri delegato del papa, che potrà leggersi nel nostro Sommario.26
E il Santo Padre replicava al medesimo con queste parole:
«È sempre dolce al nostro cuore di vederci circondati da uoinini che animati dal desiderio del pubblico bene, hanno stabilito di coadiuvare il sovrano nella difficile impresa di migliorare la cosa pubbblica. Noi pertanto vi manifestiamo la nostra gratitudine per i sentimenti che ci avete espressi a nome dell’Alto Consiglio, e confidiamo che voi di pieno accordo col Consiglio dei deputati e appoggiati sempre sulle basi e sulle forme legali da noi stabilite, giungerete ad ottenere il nobile scopo che vi siete prefisso. Voi già conoscete le nostre paterne intenzioni. Quantunque i tempi corrano più che mai difficili, pure noi ci sentiamo rinfrancati quando possiamo vederci sostenuti da persone che amano il proprio paese, e che sanno che fra gli elementi che lo costituiscono, l’elemento religioso è quello che merita a preferenza degli altri il loro amore, e le loro gravi riflessioni. Noi intanto confidiamo di veder sempre meglio fiorire l’ordine e là tranquillità, che sono i fonti della pubblica fiducia, e preparano tutte le risorse del bene. Ma per ottenere tutto questo, alziamo in alto il cuore e gli sguardi, chè da Dio solo potremo ottenere l’appoggio forte, i lumi necessàri, e la costanza e il coraggio per toccare la meta.»
Dovrà convenire ognuno che in tutte le risposte del pontefice, in tutti i discorsi, nelle allocuzioni, ne’ motu-propri, nelle encicliche, ha conservato esso solo un carattere di dignità, di unità, d’interno convincimento e di rispetto per la supremazia del sentimento religioso, come anima, vita, e fondamento esclusivo di qualunque politico ordinamento.
La verità e la sincerità che animavan le sue parole, hanno impresso ai suoi detti costantemente un carattere di naturalezza e di spontaneità che manca in tutti i discorsi o gl’indirizzi che i Consigli, i municipi e le deputazioni sia di Roma, sia degli stati italiani ed esteri diressero al pontefice. Trapelava da questi, sotto frasi ben forbite e studiate, il desiderio di blandire, idoleggiare, e fra le proteste di ossequio, rispetto e venerazione pel papa e pel papato, indebolirne il potere, alterarne l’essenza, scalzarne le fondamenta.
Nelle risposte il pontefice viceversa si appella sempre alla esperienza del passato, alla natura irrequieta e vagante degli uomini; e mai non dimentica d’insinuare e raccomandare il sentimento religioso, siccome quello che, insegnatrice la storia, ha servito sempre di base a qualunque politico reggimento.
Gli atti esistono, noi li riportiamo tutti, non è che ai lettori di studiarli bene: e se sono imparziali, vi rinverranno la giustezza della nostra asserzione.
Accennammo già siccome in seguito della comparsa degli Austriaci nei Ferrarese e della conseguente violazione del territorio pontificio,27 il Cardinal Soglia qualche giorno dopo emetteva una protesta in nome di Sua Santità mediante una nota circolare diretta al corpo diplomatico.
Ora giudichiamo opportuno di riportarne il tenore ch’era il seguente:
»Dopo che la Santità di nostro Signore, nell’immenso affetto col quale ha più volte dichiarato di abbracciare tutti i popoli cristiani, in mezzo al generale commovimento europeo, fra le grida e gli atti di guerra di tutta Italia, infiammata, da spiriti di nazionalità, non curando riguardi ed interessi temporali, aveva protestato di non volere far guerra in quei momenti ed in quelle circostanze; dopo che.a fine degno del suo supremo sacerdozio aveva spedito un legato a sua maestà sarda, ed alla corte austriaca, la Santità Sua apriva il cuore a speranze di vicina pace.
» Ma oggi con grave sorpresa e profondo cordoglio ha appreso come le truppe austriache, dopo avere ai passati giorni posto impedimento alla navigazione ed ai transiti sul Po, attentato alla vita ed alla libertà di alcuni battellieri pontifici, e sequestrati battelli pontifici, abbiano passato il Po nella notte dei 13 ai 14 corrente; ed abbiano senza verun preventivo ufficio, violato l’indipendenza del territorio della Chiesa.
» Alla quale manifesta lesione dei diritti di cui Sua Santità è geloso custode, hanno tenuto dietro atti di aperta ostilità e nimicizia. Perchè agli abitanti di Lagoscuro è stato dal maggiore austriaco del 4° reggimento dragoni, in nome del principe generale de Lichtenstein, fatta minaccia d’incendio in quattro punti del paese, se avessero fatto prova di resistenza; perchè in ordinanza guerriera, da tre punti le truppe austriache hanno invaso lo stato della Santa Sede in numero di sei in sette mila; occupati Pontelagoscuro e Francolino; ed in fine si sono avanzati, nelle ore pomeridiane del giorno 14, fino alla spianata posteriore della pontificia fortezza di Ferrara. Quivi giunti, gli atti di violenza hanno assunto gravità maggiore, essendo diretti contro il rappresentante superiore del nostro governo in quella provincia; al quale il principe Lichtenstein ha militarmente imposto di mandare vettovaglie, e di prepararsi a dare ogni altra cosa di cui si faccia richiesta; facendo intendere che se quel preside credesse opporsi, come sarebbe del suo diritto, non si asterrebbe da ulteriori ostilità. Ed a qual segno sia giunta la violenza, ognuno può conoscerlo dai termini del presente paragrafo della lettera del principe Lichtenstein, trascritto testualmente:
»A monsieur le comte de Lovatelli, Pro-Legat de la ville de Ferrare.
»D’après le refus que vous m’avez fait de vous prêter à me livrer l’approvisionnement de deux mois pour la citadelle, je me vois dans la nécessité de vous déclarer que j’attends incessamment la réponse décisive sur ce point, ayant disposé qu’en cas de refus j’aurais recours aux mesures coercitives pour obtenir mon but par tous les moyens qui sont en mon pouvoir.
»Ferrare, 14 Juillet à minuit.
»Pei quali atti di flagrante violazione dei legittimi diritti della Santa Sede, Sua Santità ha già ordinato, che nei modi e forme legali si faccia solenne protesta alla corte austriaca, da comunicarsi a tutti i governi; riserbandosi a prendere tutte quelle deliberazioni che secondo le circostanze stimerà opportune ed efficaci per tutela della conservazione e della indipendenza degli stati pontifici.
»Dopo queste dichiarazioni che faccio a vostra eccellenza per ordine espresso della Santità di Nostro Signore sono persuaso ch’ella ne renderà consapevole la sua corte.
»Ed intanto con sentimenti di distinta considerazione mi dichiaro,
»Di vostra eccellenza,
»Roma, 18 luglio 1848.
Anche il ministro Mamiani emise una circolare per riscaldare le popolazioni, eccitandole alla resistenza, ed a respingere gagliardamente lo straniero invasore.29
Il giornale l’Epoca poi, fin dal giorno innanzi, aveva mosso questa preghiera: «Se un umile nostro voto, se una fervida nostra preghiera è lecito innalzare al trono pontificio, noi scongiuriamo l’autorità del Capo venerato della Chiesa cattolica, ad aggiungere tutta intera la sua potenza morale a quelle materiali dello stato contro il barbaro conculcatore del suolo italiano, contro l’invasore di queste nostre terre, l’invasore dei pontificale dominio. La santa di lui mano scagli il fulmine spirituale sul capo dell’Austriaco; l’anatema sia pronunziato; si ammanti a lutto il maggior tempio di Pietro, il cereo acceso si lanci simbolo di maledizione; anatema; guerra guerra guerra.»30
Queste parole dicono chiaro che la rivoluzione in allora credeva o fingeva di credere alla efficacia della scomunica papale, perchè le tornava conto.
I provvedimenti presi in quei frangenti dall’autorità per contenere gli Austriaci eran tutto quello che legalmente e doverosamente poteva farsi, senza che i moti di piazza vi si dovessero mescolare; ma come abbiamo detto replicate volte, il governo della piazza aveva già preso il sopravvento, e di più questo governo era solidale col Mamiani; e come Minerva era uscita dai cranio di Giove tutt’armata, così il Mamiani sbucciò ministro già formato e con tutte le sue capacità, dall’assembramento tumultuario del primo di maggio sotto il palazzo Theodoli.
Gli agitatori di piazza in allora costituivano una specie di automa, il quale avendo in sè la forza motrice, non si aveva che a dargli un leggerissimo impulso per dirigerlo ove volevasi, e così fu diretto al palazzo della Cancelleria, dov’erano i deputati.
Dappresso i documenti che abbiamo, i moti occorsi in Roma in questa occasione si protrassero per tre giorni dal 18 al 20 di luglio, e furon provocati in gran parte dal principe di Canino, sebbene l’avvocato Ciccognani in uno scritto che stampò e divulgò, venne insinuando che lo stesso dottor Pantaleoni, amico intimo del Mamiani, non vi fosse stato estraneo. Da ciò nacque che il Pantaleoni respinse non solo l’accusa, ma la qualificò d’indegna menzogna.31
Comunque si voglia, sentano i nostri lettori in che consisterono questi moti che misero per la terza o quarta volta Roma in iscompiglio più assai di quello che si disse e si fece credere all’estero, perchè lutto ciò che sentiva di disordine o di scandalo si procurava per quanto fosse possibile di occultare o attenuare.
La mattina del 19 trovavansi affissi in Roma dei cartelli così concepiti:
«Questa mattina alle ore undici e mezzo il popolo romano si aduna sulla piazza di san Lorenzo in Lucina allo scopo di presentare alla Camera dei deputati un indirizzo.
»Roma, 19 luglio, 1848.»32
La riunione ebbe luogo non solo, ma venne appoggiata da una frazione delle guardie civiche che ordinatamente difilaron pel Corso, piazza di Venezia, via Papale, e fecero sosta sulla piazza di Pasquino, e quindi recaronsi tutti sulla piazza della Cancelleria. I deputati erano in quel momento dissertando, ed il principe di Canino parlava appunto della petizione del popolo romano, ove dicevasi che la patria era in pericolo; e mentre ne faceva l’apologia, proponeva di mandarla al sovrano. Prima però che terminasse il suo discorso, una parte dei tumultuanti era già entrata nel cortile del palazzo, vociferando in un modo allarmante. Le grida di armi armi furon sentite da tutti. Poco dopo, molti irruppero nella sala, alcuni deputati esterrefatti ne uscirono, ed il presidente del Consiglio, vedendo violato l’asilo sacro alla discussione delle leggi, copertosi il capo, dichiarò sciolta la seduta.
Torna allora in iscena il Canino, e parla di torbidi in città. A tale annunzio la Camera propose di chiamare il direttore di polizia Galletti, per dare schiarimenti sul vero stato delle cose.
Giunto il Galletti, fece sua possa per calmar la Camera ansiosa e trepidante, lodò la civica, lodò il popolo; accennò che fin dal giorno innanzi una parte della guardia civica avesse in animo di occupare il forte sant’Angelo e le porte della città. Disse che il fatto, considerato in genere, nulla aveva di cattivo, perchè le guardie civiche erano il palladio della nostra difesa. Se ne dimise il pensiero, ma essere risorto nella mattina attuale, ed essersi gridato: andiamo al forte sant’Angelo. Convenne il Galletti di aver conosciuto in antecedenza una parte del movimento; non averlo però impedito non credendolo pericoloso. Aver conosciuto pur anche l’indirizzo, ma averlo giudicato innocuo, perchè emanante da un’associazione il cui scopo era pacifico e legale. — Il discorso del Galletti in complesso sentiva di apologia, anzichè di disapprovazione della sommossa.
Lo scompiglio fu immenso. Il Farini, coerente sempre alla sua avversione per le dimostrazioni, qualificò ciò ch’erasi fatto d’illegalità e di morale violenza deturpatrice di libertà. Tutti gli uomini assennati furono della opinione del Farini. Mamiani andava gridando: noi moriremo al nostro posto.33
La Pallade mise in ridicolo le paure del Mamiani, e qualificò d’esagerazione e caricatura l’allarme del Farini.34 Ciò dice chiaro che la Pallade propendeva per gli eccessivi, anzichè pei moderati.
L’indirizzo del popolo diceva così:
«La patria è in pericolo. Fatti gravissimi e permanenti nelle provincie e nei confini, che feriscono al cuore la nazionalità italiana, altamente lo attestano. Spetta a voi rappresentanti del popolo, dichiararlo solennemente, e prendere nell’istante pronte ed estreme misure, quali presso tutte le nazioni, e in tutti i tempi, nei supremi momenti del comune pericolo, furono sempre per la pubblica salvezza adottate.
» Il popolo, lungi dall’imporre al consesso de’ suoi deputati, protesta che è nella ferma intenzione di appoggiare colla invincibil sua forza tutte le loro energiche determinazioni, pronto a sfidare per ciò qualunque pericolo, a compire fin l’ultimo sacrificio.»35
Veramente è da congratularsi con la rivoluzione romana, che in sì poco tempo fece cotanto progresso, da potere andar del pari non solo, ma soverchiare gli stessi Parigini che come tutti sanno, sono maestri in cosiffatte materie. Il 15 maggio 1848 si cercò d’invadere, è vero, in Parigi la sala dei deputati e di ridurli al silenzio, ma in Parigi il sistema rappresentativo datava dall’anno 1815, mentre i nostri furono insigniti d$l dono di una rappresentanza nazionale il 14 marzo 1848. Dunque i Romani fecero in soli quattro mesi ciò che i Francesi operarono dopo trentatre anni.
Anche il tenore dell’indirizzo ci sembra incomportabile, perchè conferiva alla forza bruta della plebe il predominio sullo stesso corpo legislativo. Commettevansi queste esorbitanze in nome della libertà, da chi era indegno di pronunziarne il nome; e il ministro di polizia conosceva il movimento preconcertato, conosceva l’indirizzo, e non giudicava pericoloso il primo, qualificava d’innocuo il secondo.
Intanto la verità è questa. Roma si trovò in quel giorno in un vero inferno. Fu verissimo del tentativo per occupare le porte ed il castello. Il Ciceruacchio era l’agente principale del movimento, e si dovette alla fermezza ed alla energia di un dei Borghese, se non si ridusse ad effetto tanta esorbitanza.
Si volle pure in segno di allarme far battere la generale, ma non riuscì; si volle dare l’assalto al quartiere civico alla Pilotta per procacciarsi le armi, e si seppe impedirlo.
Questi tre tentativi abortiti, che si dissero romanescamente i tre fiaschi della rivoluzione, suggerirono al saporito scrittore del Cassandrino l’abate Ximenes un articolo intitolato i Tre fiaschi. Piacque l’articolo, ma il suo scrittore si trovò pugnalato qualche giorno dopo nelle vicinanze del Gesù, in olocausto non già alla libertà della stampa, ma al trionfo della tirannia.36
La civica stava sotto le armi; era un andirivieni continuo. Le transazioni sociali sembrarono per un momento sospese: tanto era lo scompiglio e lo sbigottimento che invase tutte le classi della società. L’allarme era divenuto generale, e non si sapeva nè che cosa fosse nè che si volesse. Erano da per tutto piccoli assembramenti; le pattugli civiche perlustravano la città in tutti i sensi; vedevi da per tutto confusione e incertezza. La sera poi il Corso brulicava di gente; ma se vi erano i sommovitori, vi eran pure i pacifici ed i curiosi.
Trova vasi in Roma, in quel tempo, monsignor Chanche vescovo di Natchez città della nuova Orleans in America, città cui gli aurei scritti del visconte di Chateaubriand dettero una certa celebrità. Era egli in compagnia del dottore Gardner irlandese, raccomandati entrambi al banco Torlonia.
Era il giorno 19 luglio, giorno m cui la temperie degli spiriti turbolenti non mostravasi al certo favorevole ai preti; e di fatti, morte ai preti furon le grida che in alcune parti, della città udironsi.
Inconsapevole monsignor Chanche di cosiffatti bollori, andavasene pacificamente passeggiando pel Corso, quando vicino al caffè delle Belle Arti un giovane lo urtò violentemente, in guisa che non pure esso, ma anche il suo compagno se ne risentì. La scusa al richiamo fu un pugnale che lor si fece vedere, e che li costrinse a rifugiarsi nel negozio di Merico Cagiati, d’onde per la cortesia di quel negoziante furon fatti accompagnare alla locanda della Minerva ove risiedevano.
Per debito di civiltà, risaputo il fatto, dovetti recarmi a fargli visita anche in nome dell’onorevole rappresentante e capo della casa, il principe Torlonia. Gradì il complimento, e venne a ringraziare il principe; e siccome l’oggetto della sua venuta in Roma era quello di ottenere soccorsi per la chiesa di Natchez che difettava di tutto, la sua visita al principe gli valse la promessa di una campana per la chiesa di nostra Donna di quella città retta dal vescovo sopra nomato.
Riuscì detta campana magnificamente bella pel disegno e per gli ornati. Venne fusa in Roma qualche mese dopo, sotto l’impero della costituente e del governo provvisorio, accaduta la partenza del papa da Roma. Rimase quindi nascosta durante la persecuzione delle campane, finchè ricomposte a ordine le cose di Roma, veleggiò per l’America.
Se avverrà un giorno che alcuno de’ nostri lettori si rechi navigando sul fiume Missisipi, solcato sempre da mille barchette, e trovisi in vista del paese di Natchez, sollevi la fronte e contempli quella campana magnifica che è sul campanile della chiesa sacra alla Vergine di Natchez, e sappia ch’essa è dovuta alle esorbitanze che vidersi in Roma, allo spirito turbolento del secol nostro infelice, ed all’incomposto svolgimento del sistema costituzionale in Roma. E con questo chiudiamo la narrazione dei fatti occorsi nel giorno 19 luglio.
L’indomani però tanto la deputazione dell’Alto Consiglio presieduta da monsignor Muzzarelli, quanto la commissione del Consiglio dei deputati con a capo il presidente avvocato Sereni, presentarono al Santo Padre ciascuna un indirizzo separato, i quali posson leggersi nel nostro Sommario.37
Ecco la risposta del Santo Padre al primo:
«Gli avvenimenti poco fa avvenuti in Ferrara hanno richiamata la nostra attenzione per adottare le misure reclamate dal dovere di garantire i domini temporali di questa Santa Sede. Voi nell’encomiare la giustizia di quest’atto, e nelle parole che adoperate per manifestarne la gratitudine, date un conforto al nostro cuore. La difesa di questi temporali domini in qualunque maniera violati sarà sempre un diritto, che noi protestiamo solennemente di volere nei debiti modi esercitare, ed accettiamo con animo riconoscente le offerte che voi ci fate per meglio poterli garantire. Anche, in questa occasione preghiamo per la prosperità dell’Italia invocando da Dio le sue benedizioni, perchè la preservi da ogni sciagura, e perchè prosegua a prediligerla mantenendo nel suo centro la Cattedra delle eterne sue verità, e in tutti i suoi confini la pratica delle medesime.»
Al Consiglio dei deputati poi rispose nel modo seguente:
«Fu sempre a cuore di questa Santa Sede difendere i diritti de’ suoi temporali domini, e gli augusti pontefici, ai quali siamo immeritamente succeduti, dettero prove replicate su ciò della loro fermezza. È per questo che noi ci siamo fatti un dovere di emulare i loro esempi, ed è questa la seconda volta che abbiamo fatto palesi i nostri sentimenti per i fatti di Ferrara. Alla prima protesta ci si fece piena ragione; tutto rimettendosi allo stata quo. E ci lusinghiamo ci sarà fatta anche nel caso presente, quantunque assai diverse siano le circostanze. Le notizie però che sopraggiungono ci fanno certi, che le truppe austriache hanno già sgombrato Ferrara.
»In ogni caso ci è grato di assicurarvi di essere disposti a dare tutti quegli ordini, che sono necessari per garantire il diritto di difesa, al quale diritto non abbiamo giammai inteso di rinunziare, che anzi ci protestiamo di mantenerlo e di volerlo inviolabile. Riceviamo in questa nuova occasione con gratitudine i sentimenti che ci manifestate, non che le offerte che ci proponete e che tendono a meglio garantire gli accennati diritti. Noi intanto ripetiamo a Dio le umili nostre preghiere, affinchè preservi l’Italia da ogni sciagura e rendendo uniti gli animi sui veri interessi suoi, vi faccia fiorire come in suolo privilegiato la religione e la pace, unici fonti della vera felicità.»
Dopo letta la surriferita risposta, il Santo Padre soggiunse:
«Due cose potete dire, cioè, che il papa ammette di pieno diritto la difesa de’ propri stati, e che la lega da lui iniziata coi principi d’Italia sarà proseguita quando non si frappongano ostacoli o condizioni non ammissibili.»38
Abbiamo estratto questi due discorsi di preferenza dal Giornale romano, perchè riveduto preventivamente dalla stessa Santità Sua quando tratta vasi specialmente di risposte o discorsi propri, affinchè il testo non ne fosse minimamente alterato. Difatti confrontando il testo riportato dal Giornale romano colla Gazzetta di Roma, vi rinvenimmo qualche piccola discrepanza.39
Risulta dai complesso delle prenarrate cose che i due Consigli offerivano appoggio, sostegno, armi, sostanze e vita al Santo Padre (come dai loro discorsi riportati in Sommario) e che il Santo Padre, mentre perseverava nel voler sostenere soltanto i suoi diritti di difesa, rispondeva colla sua solita imperturbabile calma, raccomandando la quiete, la pace e la religione .
Il giornalismo intanto consigliava la scomunica, i sommovitori gridavano armi ed alternavan le loro grida il giorno in apparente difesa del papa, la notte con quelle di morte ai preti.
Questo amalgama di contradizioni e di anomalie ci chiama alle seguenti riflessioni.
Considerando il commovimento degli animi, il quale ad ogni minima mossa degli Austriaci sul confine della pontificia dizione venivasi eccitando, si sarebbe dovuto credere che in chi più fortemente se ne risentiva fosse tale l’amore pel papato e per la integrità dei pontifici domini, tale la passione, la svisceratezza, e l’attaccamento, da confondersi quasi col delirio. Sicuramente che se sincere fossero state queste onorevoli passioni, e per una causa si giusta e sì rispettabile, noi pregheremmo altri a somministrarci le adeguate espressioni per commendarle, non sentendoci da tanto.
Ma un dubbio ci nasce, e con noi nasce in tutti quelli cui o la molta esperienza o la temperatezza delle opinioni rendon calmi e riflessivi sempre. Ecco il dubbio. — Eran desse sincere?
Queste svisceratezze partivan precipuamente (e su ciò non cade dubbio veruno, perchè parlano i nomi e le epoche) dai rivoluzionari i quali da circa quindici o venti anni e per fatti, e per discorsi, e per iscritti, ce ne han dato le prove. Bastava che si commettesse l’attentato, condannabile al certo, d’invadere un palmo di terreno dei pontifici domini, per mettere loro in sussulto i nervi ed in bollore il sangue.
Ma la storia c’insegna che coloro i quali si accendevan di più, eran sempre quegli stessi o quel partito, che nel 1831 dichiarò decaduto il papato dal governo degli stati romani, lo dichiarò decaduto nel 1849, e sta preparando lo stesso nell’anno 1859, epoca nella quale scriviamo le presenti pagine.
Questi fatti contraddittori ma incontestabili, possono non eccitar sospetti sulla sincerità delle ostentate tenerezze verso la integrità del pontificio dominio?
S’invocava la scomunica come un’arma potente contro gli Austriaci; ma quando il Santo Padre in vece la scagliò contro chi l’invocava, se ne fecer le beffe e dissero che cosiffatta moneta era fuori di corso.
Questi ravvicinamenti di fatti e di date sono l’obbligo dello storico che scrive non solo per narrare, ma per illuminare gl’ingannati da inesatte informazioni; e sicuramente non è stato con piacere che abbiam dovuto adempierlo. Saremmo stati ben più soddisfatti se in luogo di rilevare leggerezze, contradizioni ed inganni, fossimo stati messi a portata, pretessendo le nostre storie, di narrare ed encomiare azioni nobili, generose ed onorevoli, che fosser degne del nome italiano.
E con ciò poniam fine al capitolo XIV.
Note
- ↑ S’intende il segretario di stato.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 124 della Gazzetta di Roma pag. 3.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 128 della Gazzetta di Roma pag. 1.
- ↑ Vedi il Giornale dei dibattimenti del 18 luglio 1848.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 128 della Gazzetta di Roma.
- ↑ Questo fatto accadde nel luglio. Per ora si accenna, ma pii estesamente verrà narrato a suo tempo.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 3 luglio 1848.
- ↑ Vedi l’articolo della Patria di Firenze nella Gazzetta di Roma degli 8 luglio 1848.
- ↑ Vedi Montanelli, vol. II, pag. 278. — Vedi Lubienski, Guerres et révolutions d’Italie, pag. 360.
- ↑ Vedi la protesta del Cardinal Soglia nella Gazzetta di Roma del 18 luglio 1848. — Vedila nel Farini vol. II, pag. 264. — Vedila nel vol. VI, Documenti, n. 78 e 100.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 132 della Gazzetta di Bologna del 15 luglio 1848. — Vedi il vol. VI, Documenti, n. 73. — Vedi l’Epoca del 17 luglio 1848 ove si racconta che in Bologna si gridava, mentre s’instituiva un governo provvisorio, viva Carlo Alberto Re d’Italia.
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 74, A.
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 39.
- ↑ Vedi il Labaro del 7 Luglio 1848. — Vedi il Costituzionale dell’8 e del 15 detto.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 6 luglio.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 7 luglio.
- ↑ Vedi la Speranza del 10 luglio 1818. — Vedi il Giornale romano dell’11 detto.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 1 del Giornale romano. — Vedi Farini lo Stato romano, vol. II, pag. 217. — Vedi gli Atti dell’Assemblea del 3 luglio 1848, riportati nel Supplemento al n. 123 della Gazzetta di Roma. — Vedi il nostro Sommario, n. 25.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 1 del Giornale romano.
- ↑ Vedi il Labaro n. 58. — Vedi il Giornale dei dibattimenti del 19 luglio 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma, n. 113, pag. 450.
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 72.
- ↑ Quantunque l’ingresso fosso in via del Babuino al n. 107, l’appartamento e le finestre prospettavano sulla piazza di Spagna,
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 89 I.
- ↑ Vedi la Pallade del 17. — Vedi l’Indicatore del 19, non che l’indirizzo del Circolo popolare nella Pallade del 1S.
- ↑ Vedi il Sommario, n. 26. — Vedi il Giornale romano, n. 5. — Vedi il vol. VI, Documenti, n. 77.
- ↑ Ciò accadde nei giorni 13 e 14 di luglio.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 18 loglio 1848. — Vedi il Labaro del 19 detto. — Vedi il Farini, vol. II, pag. 264.— Vedi il vol. VI, Documenti, n. 78.
- ↑ Vedi il vol. I, Motu-propri etc. n. 60. — Vedi l’Epoca del 17 luglio 1848.
- ↑ Vedi l’Epoca del 17 luglio 1848, prima pagina.
- ↑ Vedi la lettera del Canino nel vol. VI, Documenti, n. 86. — Vedi la lettera del Ciccognani nel vol. VI, Documenti, n. 89, I. — Vedi nel Sommario n.i 27 e 30 tanto la lettera del Canino quanto quella del Ciccognani.
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 81.
- ↑ Vedi la Pallade del 20 luglio 1848.
- ↑ Vedi la Pallade del 20 luglio 1848.
- ↑ Vedi la Pallade del 20 luglio 1848.
- ↑ Vedi il Cassandrino, n. 8, del 20 Luglio 1848.
- ↑ Vedi al Sommario n. 28 e 29 amendue gl’indirizzi. — Vedi la Gazzetta di Roma del 20 luglio 1848. — Vedi il Giornale romano di detto giorno n. 6. — Vedi il vol. VI, Documenti, n. 85.
- ↑ Vedi il Giornale romano del 20 luglio 1848, seconda pagina.
- ↑ Vedi per il confronto la Gazzetta di Roma di detto giorno.