Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XV
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[Anno 1848]
Saremmo ben lieti se un giorno la nobilissima nazione inglese (a molti individui della quale non crediamo essere ignoti) leggerà queste pagine.
Vedrà e toccherà con mano che la costituzione in Roma è del tutto impossibile. Ov’è qualche scoglio può evitarsi navigando; ma ove son tutti scogli, come si può mai navigare? La costituzione in Roma è la via che conduce difilato alla repubblica, perchè in Roma, non dobbiamo dissimularlo, non possono aversi che ordine e floridezza col papa, disordine e rovina colla repubblica. A Roma insomma niun altro governo è possibile: o papa o Cola di Rienzo.
Ci siamo rivolti agl’inglesi, perchè essendo essi i costituzionali per eccellenza, ed essendo la lor nazione prospera e potente in grazia della medesima, han ragione di andarne lieti e superbi. Ma quell’opinione che presso di loro ha invalso, che cioè nessuno stato, nessuna nazione potrà mai esser felice e prosperosa se non è retta da governo costituzionale, ci sembra da non doversi comportare, perchè avversata dai fatti, riprovata dalla esperienza.
La costituzione per gl’inglesi è un farmaco non solo, ma una panacea che guarisce tutti i mali; e simili al dottor Dulcamara, ne consigliano a tutti l’uso e ne propongono l’apprestamento, poco curandosi d’investigare se ai vari temperamenti sia o no confacente. È certo che tutte le nazioni hanno un temperamento lor proprio: e quegli stimolanti che al Germano ed al Britanno profittano, possono il più delle volte riescir fatali alle meridionali popolazioni.
Gl’Inglesi son nati colla costituzione figlia dei loro usi, de’ lor bisogni, dei loro costumi. Presso di loro conservasi ancora il rispetto tradizionale per l’autorità, e vi bastano pochi uomini della polizia per tenere in freùo le moltitudini. La costituzione del paese è l’opera dei secoli e della esperienza, e quindi essa vi è radicata, amata e rispettata.
Presso di noi al contrario si amano alcune cose sia per ispirito d’imitazione sia perchè si ama ciò che sente di pompa o di spettacolo, ma non vi scarseggiano la derisione, la maldicenza e l’intolleranza. I Romani in ispecie hanno molto genio e attitudine per lo scherzo e per la satira, amano i divertimenti in grado eminente; e fra l’economia e la parsimonia, o la dissipazione e lo scialacquamento, hanno a vile quelle, e propendon piuttosto per queste.
In Inghilterra si conserva il rispetto per certe consuetudini che sentono di ridicolo: e nella società moderna in genere, salvo gl’inglesi, chi parlasse di voler rispettare le consuetudini antiche, ecciterebbe a bene andare la ilarità. Chi poi dicesse parole romorose o pungenti, o per lo meno che accogliessero un epigramma, finirebbe per aver ragione e salirebbe in popolarità. Un motto contro i grandi, i ricchi, i monopolisti farebbe furore: una parola in favore dei popoli oppressi sarebbe una meraviglia: un’apologia poi agl’italiani per la superiorità del loro ingegno o del loro valore, ovvero un’aspirazione pel ritorno delle romane grandezze, procaccerebbe all’oratore un’apoteosi. Queste sono in gran parte le tendenze attuali, ma sarebbe stupidità il dire che gl’italiani stante la superiorità incontestabile del loro genio (oseremmo dire in tutte le cose) non possan pervenire a tal grado di maturità un giorno, da potersi reggere a costituzione. Per ora ci sembra che le fantasie siano ancor troppo fervide e accese, e forse più inchinevoli alla poesia che alla politica, a quella politica, intendiamoci bene, che non è dissolvitrice soltanto, ma fondatrice di uno stato durevole e permanente.
Aggiungi che in Italia abbiamo le sette politiche che prendono l’indirizzo dei movimenti. Ora queste aggregazioni politiche o non si conoscono in Inghilterra o non vi hanno una influenza perniciosa. Non giusti giudici son pertanto gl’inglesi delle cose nostre, e non abbiamo difficoltà di affermare che volendoci far del bene, stante la loro indole generosa, sono stati in gran parte i fomentatori delle nostre politiche agitazioni, e lo saranno tuttavia, a meno che la loro stampa, eccitatrice dei nostri bollori, non tacciasi a nostro riguardo, e la tribuna si scordi di noi e ci lasci in pace. Ma queste sono vane speranze...... In merito agl’italiani, è incontestabile ch’essi possiedono doti infinite, e tutte le avrebbero se fra queste potessero annoverarsi il senno pratico e lo spirito di unione.
Proseguendo la narrazione delle cose occorse in Roma nel luglio del 1848, rammenteremo che in seguito della capitolazione di Vicenza, non essendo permesso ai nostri legionari di battersi per tre mesi, vennero richiamati, ed eran sul punto di trasferirsi in Roma.
A tale effetto il principe Doria: ministro delle armi, emise un ordine del giorno col quale prescriveva loro, ritornati che fossero, di rientrare nelle lor case.1 Questo ordinava il principe Doria: ma siccome l’obbedire ai capi non era allora in costume, vedremo fra poco che ritornati che furono, fecero tutt’altro; e trasgredendo i comandi legali, obbedirono piuttosto alle volontà illegali e perturbatrici.
Il municipio poi preparava una festa pel loro ritorno, ed il giorno 24 ne avvertiva il pubblico mediante una notificazione colla quale davansi le disposizioni all’oggetto.2
Il Canino poi, ciarliero sempre, faccendiero e romoreggiante parte per natura e parte per progetto, emetteva ancor esso in quel giorno una circolare per diffidare gli associati al giornale il Contemporaneo, premunendoli a non prestar fede agl’inesatti ragguagli che venivansi dando dallo Sterbini dei discorsi dell’Assemblea e di quelli in ispecie del Canino stesso, contro il quale (com’egli dice) lo Sterbini abbonda di acre umore.3
Finalmente il 25 luglio giunse la prima legione romana. Erano alla testa della medesima, a cavallo:
- Il colonnello Bartolomeo Galletti
- Il maggiore Agneni
- Ercole Morelli.
- Vi si associò pure il principe Aldobrandini.
Il senato romano erasi recato ad incontrarla, non che una deputazione del Consiglio dei deputati col presidente Sereni alla testa. Dell’Alto Consiglio non si parlò. Mamiani già lo aveva dichiarato un fuor d’opera, e quindi si lasciò in disparte. Un distaccamento di ciascun battaglione civico e gli aggregati ai circoli co’ loro stemmi e bandiere facevan parte della pompa.4 Il Corso era parato a festa, e grande era il concorso di popolo per osservarli. Roma volle onorarli e n’ebbe ragione, perchè eransi mostrati valorosi, ma si eccedette nei modi. Avresti detto essere i Romani che ritornavano dopo avere espugnato Cartagine.
Entrati per la porta del Popolo, percorsero interamente la via del Corso, e sulla piazza di Venezia sostarono: quindi, recatisi subito al Gesù, preser possesso di quella casa professa. E tutto ciò facevasi in Roma imperante Pio IX e disvolendolo il suo ministro delle armi principe Doria.
Ci sarà lecito quindi di richiedere se in Roma comandava il sovrano co’ suoi ministri, o non piuttosto apertissimamente la rivoluzione?
Pubblicaronsi in quella occasione due foglietti stampati in nome dei Romani, uno dei quali portava per titolo Ai militi della gloriosa legione romana, e l’altro Militi generosi.5
La inobbedienza agli ordini del ministro delle armi e la infrazione scandalosa della militare disciplina, fecer sì che il principe Doria rinunziasse il giorno 27 e gli venisse sostituito il conte Pompeo di Campello.6
Due giorni prima eran giunti in Roma, reduci dalle Calabrie ove eransi battuti contro le truppe regie,
- Giuseppe Ricciardi
- Benedetto Musolino
- Luigi Miceli
- Stanislao Lupinacci
- Nicola la Piane
- Giuseppe Sardi
- Pasquale Musolino
- Luigi Caruso
- Rocco Susanna.7
E pubblicarono giunti appena, una protesta che venne inserita nel Contemporaneo, e stampata ancora separatamente contro il giornalismo che gli aveva accusati di avere abbandonato i Siciliani sbarcati a Paola.8
Il Ricciardi ne fu il compilatore come esso stesso ci racconta in un’opera che pubblicò nei 1849.9
Per l’intelligenza dei nostri lettori diremo ch’egli era tenuto comunemente per il capo del carbonarismo riformato, ed è l’autore de’ seguenti scritti:
Ricciardi Giuseppe Conforti all’Italia ovvero preparamenti alla insurrezione. Parigi 1846, in-12.
Detto. Alcune poesie inserite nell’opuscolo intitolato Cracovia, carmi ec. Losanna 1847 in-12..
Detto e Rossetti. Per la festa secolare da celebrarsi dagl’Italiani in memoria della cacciata degli Austriaci da Genova del 1746, rime di due fuorusciti. Parigi 1846, in 16.
Detto. Cenni storici intorno agli ultimi casi d’Italia. Italia 1849, in-12.
Detto. Memorie autografe di un ribelle. Parigi, un volume in-12.
È probabilissimo che abbia pubblicato delle altre cose, ma elleno non son pervenute alla nostra conoscenza.
Oltre i personaggi memorati di sopra ne giunsero pure dal 25 al 27 luglio degli altri e tutti Calabri o Napolitani. Ancor essi eran fuggiti dalle Calabrie in seguito dell’aver prevalso le armi dei regi sopra quelle dei rivoluzionarî.10 Eccone i nomi:
Gennaro Bomba
Giuseppe Carbonelli
Felice Colantoni
Pietro Foti
Pietro Leopardi
Giovanni Nicoteros
Cesare Oliverio
Ferdinando Petruccelli
Alessandro Paone
Achille Parisi
Agostino Plutino
Antonio Plutino
Carlo Persico
Giovanni Romeo
Pietro Romeo
Stefano Romeo
Silvio Spaventa
Tommaso Solari
Aurelio Saliceti
Antonio Torricelli
Paolo Vacatello.
Tutti questi personaggi essendo stati capi o partecipanti nei comitati rivoluzionar! delle Calabrie ed essendo rimasti in Roma per vari mesi, ebbero agio di esercitarvi tutta la loro influenza, nel senso ben inteso del movimento italiano. Allora o noti si seppe o non si avvertì in città il concentramento di tanti elementi rivoluzionari, che uniti a quelli non pochi che già vi esistevano, posero la Città totalmente alla mercè di un partito, che salvo pochissime eccezioni, costava di elementi tutt’altro che romani. Ad esonerazione pertanto dei Romani abbiam creduto di farne una speciale avvertenza.
Ritornando per un momento al prete Ximenes rammenteremo che corse la voce essere stato ucciso da uno dei legionari testè rientrati in città. Noi non garantiamo di ciò che il semplice si disse; questo sì aggiungiamo, che gli scrittori del Labaro presi da spavento, sospesero le pubblicazioni di quel giornale.11
Intanto la guerra della indipendenza proseguiva ad eccitar l’interesse e le simpatie di una parte non solo della popolazione ma eziandio delle eleganti Romane. In prova di che quattro di esse adoperaronsi, in guisa, che riuscirono a dare un’accademia musicale nel teatro Argentina a profitto dei feriti nella guerra. Ciò ebbe luogo la sera del 27, ma il concorso non corrispose alla generosità ed alla gentilezza del pensiero perchè vi fu pochissima gente. Il principe Torlonia proprietario del teatro volle accordarlo gratis.12
Lo stesso giorno vennero nominati:
Il conte Francesco Lovatelli a prolegato di Bologna.
Il conte Francesco Manzoni a prolegato di Ferrara.
L’avv. Giovanni Zannolini a prolegato di Ravenna.13
Il ministero Mamiani intanto reggevasi sui trampoli, perchè il pontefice malcontento del medesimo, faceva ogni sua possa per liberarsene. E di fatti il Farini narra che cadde in mente a taluno di giovarsi dell’opera e del senno di Pellegrino Rossi il quale in grazia delle utopie repubblicane di Francia, non solo non era stato accarezzato siccome a tant’uomo convenivasi, ma era stato destituito dall’ufficio di ambasciatore. Assentì il pontefice e fece la proposta al Rossi, il quale quantunque obiettasse alcune ragioni plausibili, avrebbe accettato a patto però che alcuni designati da lui per far parte nel nuovo ministero, volessero giovarlo dell’opera loro. Ma fosser le loro esitazioni, fosse qualche freddezza sopraggiunta nel papa, fosse in fine l’antipatia per Rossi del demagogo Sterbini (che in piazza e nei circoli era tuttavia potente) o le mene occulte del partito repubblicano che attraversassero cosiffatto progetto, i negoziati venner rotti, ed il Rossi sottraendosi dai calori estivi e dalla temperie vulcanica degli spiriti si ridusse in Frascati a respirare Varia più fresca dei colli Tusculani lasciando negl’imbarazzi il pontefice.
L’Epoca, giornale devoto al Mamiani, con sarcastico fiele e con traboccante esultanza ne comunicò l’annunzio al pubblico.14
Pochi giorni dopo, e precisamente il 29, annunziava il Mamiani nel Consiglio dei deputati che: «la crisi ministeriale per al presente è cessata. Soggiungeva poi: «Quindi prima cura del Ministero sarà di compire e pubblicare la lega, e stringere col re Carlo Alberto un tal patto, che mentre egli tuteli quanto può meglio con le sue truppe le nostre frontiere, noi dal lato nostro cooperiamo all’impresa sua con quanti sussidi d’uomini e d’armi ci riuscirà di mandargli.»
Fece precedere il Mamiani questo annunzio da una dichiarazione, che il ministero aveva iteratamente supplicato il principe ad accettare la sua rinuncia; che da quaranta e uno giorni i portafogli eran rimasti. sempre sènza nuovi occupatoti; e che ciò era avvenuto dall’avere ognuno scorto essere i seggi ministeriali veri letti di Procuste, e su que’ portafogli non istare corone di rose ma di pungentissime spine.15
Noi troviamo giusto ciò che disse il Mamiani e crediamo che salvo l’ambizione appagata, e la persuasione di servire abilmente ad un partito politico, non fosse cosa molto piacevole di perseverare al potere, in disaccordo col proprio sovrano. Che anzi restiamo stupiti, come trovandosi sempre in una falsa posizione, abbia saputo reggersi per tre mesi al timone degli affari. Ma la causa di questo disaccordo secondo noi non era già nell’abilità o incapacità del ministro, nell’asprezza o amabilità de’ suoi modi (che anzi sapeva essere insinuante e pieghevole), sì bene nella impossibilità assoluta, o per lo meno nella somma difficoltà di un governo costituzionale in Roma, e di quelli massimamente foggiati alla moderna i quali, salvo l’Inghilterra, il Belgio e qualche stato di minor conto, non ci sembra che abbian dato di sè il miglior saggio. Quanto al Mamiani personalmente, dobbiam rammentare che esso non fu scelto liberamente dal pontefice a ministro, perchè gli venne imposto dalla piazza e dai circoli. Qual meraviglia per tanto se la origine non essendo stata pura, non felici ne fossero i risultati?
Erano le cose in questo stato, quando gli avvenimenti della guerra ne fecero inopinatamente cambiar l’aspetto.
Il giorno 30 di luglio giunsero al ministero varie staffette recanti notizie di battaglie sanguinose accadute contro gli Austriaci e colla peggio dei medesimi. Il governo non indugiò un istante in farne pubblicare un bollettino straordinario.16
La sera poi giunse altro espresso al conte Mamiani portante l’annunzio della disfatta degli Austriaci a Custoza e Sommacampagna.
Giunto appena, si recò ai Quirinale ov’erano i ministri. Essi riunironsi subito, e sulla scorta dei dispacci, combinarono un bullettino pel pubblico da stamparsi immediatamente. Dopo di che l’avvocato Borgatti, uno degli ufficiali del ministero, uscì fuori e lesse ad alta voce lo schema del bullettino ad una ventina o trentina di persone affluite al Quirinale per ricevere le notizie genuine. Fra queste mi trovava ancor io, essendone stato pregato dalla contessa Marchetti, moglie del ministro degli affari esteri secolareschi. Esse diceva cosi:
«Ultime notizie officiali giunte ieri sera per via straordinaria
ad un'ora e tre quarti di notte.
»Un distinto italiano partito da Milano ieri alle due pomeridiane, oltre al recarci il bollettino che precede, ci è stato largo dei seguenti dettagli che riferiamo colla maggiore possibile esattezza che per noi si possa.
»Le mosse sopra Rivoli operate dagli Austriaci avevano per iscopo di distrarre l’attenzione delle truppe italiane onde agire sulla linea del Mincio e battere i corpi staccati che colà stanziavano. Ma il senno di chi dirige la lotta italiana non si è lasciato sorprendere, e tutto prevedendo, tutto regolando secondo i dettami dell’arte, potè sventare ogni speranza nemica, e far decidere in uno o due giorni la causa dei giusti, quella di un popolo fremente per la propria indipendenza. Seimila prigionieri, di cui duemilaseicento già si trovano nella chiesa di Villafranca, quaranta cannoni e diciassette bandiere furono prese al nemico.
»Non basta; un corpo austriaco che si dice comandato da Radetzky e Nugent, forte di dodicimila uomini, è circondato dalle valorose truppe piemontesi e difficilmente potrà salvarsi. Non basta ancora; varie altre fazioni in cui presero parte con lodevolissimo ardimento e valentia le truppe lombarde, ebbero favorevole riuscita su vari punti. L’attacco fu generale, e generale la sconfitta dei nemici. I giorni ventitre, ventiquattro e venticinque luglio segnano una nuova epoca del nostro risorgimento. Osanna! Osanna!»17
In un attimo il bullettino quantunque fosse giorno di domenica, venne stampato. Intanto molta gioventù consapevole del fatto in genere e prima ancora di aver letto il bullettino, erasi riunita sulla piazza Colonna. Dei gruppi di plaudenti: si dispersero per la città gridando: viva l’Italia, viva Carlo Alberto e viva Carlo Alberto re d’Italia. Si annunziò la vittoria dal balcone del circolo romano. Molti si recaron quindi sotto quello del ministro sardo marchese Pereto per festeggiarlo. Si mostrò qualcuno al balcone e disse che quantunque la notizia non fosse officiale, era vera. Strano modo per verità di spiegarsi, ma che era all’unisono colla eccezionalità de’ tempi.
Alla mezzanotte si senti la campana di Monte Citorio sonata da mano insolita ed inesperta. I campanari in città furon tutti svegliati, e per forza o per buona voglia costretti a sonare. Ove si trovò resistenza furon forzati gl’ingressi e sfasciate le porte: cosicchè in poco d’ora sentiranni sonare a festa tutte le campane di Roma. In pari tempo udivansi qua e là innumerevoli scariche di moschetteria, e ciò durò per quasi tutta la notte.
La massima parte dei Romani essendo già andata a riposare (il basso popolo massimamente), s’immagini ognuno qual effetto dovesse produrre il sentire tutto ad un tratto scariche di fucili e rintocco di campane che avevan più l’apparenza di essere sonate a stormo che a festa. Pei conventi specialmente ed i monasteri, venerati asili di raccoglimento e di pace, lo spavento fu grande, e molti sconci ne derivarono. L’indomani difatti i ministri dell’arte salutare furono in moto continuo.
A fine di festeggiare la vittoria di Carlo Alberto in un modo più degno e rassicurante, giacchè il festeggiamento della notte trascorsa fu talmente male avvisato, e incomposto, ch’ebbe piuttosto l’aspetto di una rivoluzione in città, si pensò subito la mattina del 31 a decorare a festa tutta la via del Corso; e già gli addobbi alle finestre vedevansi fin dalle ore nove antimeridiane, quando giunto appena il corriere apportatore delle corrispondenze, si seppe che la vittoria erasi convertita in una solennissima sconfitta. Vennero in un subito ritirati i parati, ed allo strepito della notte sottentrò fa sorpresalo sbigottimento ed il più cupo silenzio.18
La vittoria degl’italiani ritenevasi talmente certa e decisiva, che dovesse portare di necessità il ritiro degli Austriaci e la pace d’Italia: quindi erasi già prevalso sull’animo del Cardinal vicario inducendolo a permettere che si cantasse il Te-Deum nella chiesa di sant’Andrea della Valle, ed a tale effetto erasi già fatta stampare una notificazióne. Così, conosciuta appena la verità dei rovesci, corse qualcuno da lui (si disse monsignor Pentini) per avvertirnelo, ed il cardinale fece ritirar subito dai cursori del vicariato non solo quelle copie della notificazione che dovevano affiggersi al pubblico, ma quelle eziandio che restar dovevano per memoria nell’archivio della tipografia camerale. Quindi l’ordine di cantare il Te-Deum venne subito contramandato.
Siccome la notificazione in discorso è un documento rarissimo e quasi unico, ritenendosi che oltre quella che possediamo non ne esista che una o due altre copie in città; e siccome inoltre conoscendo l’atto in genere senza conoscerne l’espressioni, potrebber farsi dei commenti maligni a carico del governo pontificio, giudichiamo prudente e opportuno di farlo conoscere nella sua integrità. Chiun-* que converrà dopo lettolo, che il Santo Padre, alieno mai sempre dalla guerra, intese di ordinare un rendimento di grazie all’Onnipossente, unicamente per un fatto il quale poichè era accaduto, dava luogo a sperare che avrebbe ricondotto la tanto desiderata pace.
Ecco il tenore della notificazione:
Costantino del Titolo di San Silvestro in capite, della Santa Romana Chiesa Prete Cardinale Patrizi, Arciprete della Patriarcale Basilica Liberiana, della Santità di Nostro Signore Vicario generale, della Romana Curia e suo distretto giudice ordinario ec.
«Le notizie dei gloriosi fatti di armi di sua maestà il re Carlo Alberto danno fondate speranze di veder presto allontanato dalla nostra Italia il flagello della guerra, e ricondottavi quella pace che tanto vivamente desidera la Santità di Nostro Signore papa Pio IX. Quindi ha be» nignamente annuito che si rendessero pubbliche azioni di grazie all’Altissimo per gli accennati vantaggi.
»Ordiniamo pertanto che in questo medesimo giorno nella venerabile chiesa di sant’Andrea della Valle alle ore sei e mezza pomeridiane si canti l’inno ambrosiano, e in fine si comparta all’accorsovi popolo la benedizione col Santissimo Sacramento.
»Dato dalla nostra residenza li 31 luglio 184S.
»C. Cardinale Vicario. »Giuseppe canonico Tarnassi segretario. |
»Roma nella tipografia della reverenda Camera apostolica.»19
I ragguagli che proseguivano a giungere in Roma nei giorni successivi al 31 di luglio sulle cose del campo, lungi dall’avversare i rovesci sofferti dalle armi italiane, eran tutti confermatori della disfatta completa dei Piemontesi; e quindi anche i cervelli più riscaldati incominciarono a persuadersi che le fortune degl’Italiani erano in sul tramonto.
Ma se le cose della guerra volgevano in malo in Lombardia, quelle di Roma volgevano in peggio, non essendo in tutte le classi, in tutti gli ordini, che confusione e incertezza. Poichè mentre da un lato per riparare allo scandalo che produsse l’uccisione dell’abate Ximenes facevasi celebrare una messa funebre nella chiesa di san Lorenzo in Lucina dai giornalisti il 1° di agosto,20 insultavasi lo stesso giorno da una turba di esaltati il presidente del Consiglio dei deputati avvocato Sereni mentre ritornava dalla udienza del Santo Padre. Ed eravisi recato non già per implorare grazie e favori, ma per presentare al pontefice l’indirizzo della Camera dei deputati, di cui ora faremo parola.
Il Sereni rimase siffattamente sdegnato per l’offesa fatta non tanto alla sua persona quanto al carattere che rivestiva, che senza volerne di più, partivasi da Roma.21
Rinunziava pure all’ufficio di deputato il celebre professore Orioli, uno dei più eminenti personaggi dello italico movimento.22
Ed il giorno 3 ci si annunziava pure dai giornale la Speranza la rinuncia ed il ritiro del ministro Mamiani colle seguenti parole:
«Il ministro Mamiani cessa irrevocabilmente dalle sue funzioni: egli rientra nelle sue abitudini di cittadino, di filosofo, di deputato della patria; il portafoglio passa in altre mani, finora incognite, e il programma di maggio che era la più alta manifestazione dei principi nazionali, è sospeso col mancar degl’individui che l’aveano fatto pubblico e solenne.23
La Camera dei deputati in quei frangenti dichiaravasi in seduta permanente. Il terzo battaglione civico rimaneva tutto il giorno 2 agosto nel cortile del palazzo Chigi.
I legionari comandati dal colonnello Bartolomeo Galletti eran sotto le armi pronti ad appoggiare le Camere onde ottenere dal Santo Padre ciò che desideravasi ed a tal effetto il Galletti emetteva pure un indirizzo col quale la legione era posta a loro disposizione.24
Il conte Campello con lettera del 3 assicurava il Galletti che il Santo Padre non trovava difficoltà di autorizzare il suo governo a porre in atto quanto era stato deliberato dei due Consigli. La lettera del Campello si lesse al quartiere del Gesù dal Checchetelli (presenti anche i civici stabili) e fu seguita da un suo discorso.25
E mentre queste cose accadevano, il Costituzionale veniva avvisando i Romani che dopo una riunione di civici e legionari in villa Borghese la domenica 30 luglio, si udisser la sera canti orribili; ed i giornali italiani venivano insinuando che il movimento dominante fin dal 15 luglio era preparato in tutta.la penisola, e tendeva a proclamare qua e là governi provvisori per volontà e per impulso del partito repubblicano. Dicemmo già nel capitolo precedente come se ne preoccupasse il d’Azeglio quando era in Bologna, e ne combattesse con tutte le sue forze il progetto.
Avranno rilevato i nostri lettori che i civici e i legionarî intendevano appoggiare i Consigli per ciò che volevano dal pontefice. Questi corpi erano in armi, e la lor forza ed influenza non consisteva già nell’uso dell’arte oratoria, sibbene nel linguaggio eloquentissimo delle baionette. Il loro appoggio pertanto era una pressura, una gravitazione, una violenza che volevasi esercitare sulla volontà del sovrano, e parificava i legionari ai pretoriani dell’antica Roma, e ai Giannizzeri dell’oriente.
Se questo fosse uno stato di cose lusinghiero e da eccitar gli encomî delle estere nazioni, alcune delle quali (e la inglese massimamente) compiacevansi nel vedere che gli stati romani fossero entrati nella vita costituzionale, lasciamo che ogni lettore di buon senso e di buona fede lo giudichi.
Ed affinchè si possa conoscere qual fosse l’indirizzo dei deputati del 1.° di agosto, quale la risposta del Santo Padre, e l’atto del medesimo del giorno 2 per rassicurare gli animi agitati e sconvolti, li riportiamo tutti per intiero.
Estratto dal Giornale romano del 3 agosto 1848 numero 12:
«Martedì sera la Santità di Nostro Signore ammise all’udienza la commissione scelta dal Consiglio dei deputati per presentare il seguente
»Indirizzo.
- »Beatissimo Padre,
»Nelle strette della patria il Consiglio dei deputati ha ricorso a Vostra Beatitudine, nel nome di cui l’Italia si levò a difesa del diritto di sua nazionalità, consacrato da quelle divine parole che indirizzaste al Potente, il quale unicamente sul ferro mal vuole poggiare la sua dominazione.
»L’indipendenza d’uno stato italiano non può farsi secura se Italia tutta non sia indipendente. Per noi trattasi oggimai di essere o non essere Italiani; per Voi principe, si tratta di moderare un popolo libero o di servire con noi allo straniero; per Voi pontefice, si tratta di difendere le proprietà della Chiesa della quale Voi siete venerabile capo. Il Consiglio dei deputati vuole risolutamente difendere sino all’estremo tutti i diritti della Chiesa, del popolo, della nazione. Oh padre santo! fidate, fidate ne’ rappresentanti del vostro popolo, eletti per quella legge che Voi stesso avete sancita; fidate nella religione nostra, nell’amore che vi portiamo, ch’è pure esso una religione: soccorrerci, soccorrete l’Italia in nome di Dio!... Noi riputiamo necessario di chiamare alle armi un sufficiente numero di volontari; di mettere in moto le guardie cittadine, di condurre sotto i vessilli di Vostra Santità una legione straniera, di fornire il tesoro dello stato di mezzi straordinari. Noi siamo risoluti ad ogni sacrifizio, perchè vogliamo risolutamente salvare a Voi lo stato e la gloria, l’indipendenza all’Italia, a tutti l’onore; e vogliamo salvarvi lo stato anche dalle intestine discordie e dall’infauste sovversioni, le quali ne minacciano, se noi non indirizziamo a bene l’entusiasmo popolare, e se Voi coll’autorità vostra non avvalorate la nostra.
»Deh ascoltate, o Beatissimo Padre, la voce dei vostri devoti figli; deh non vogliate, che regnante Pio IX, la memoria di un disastro dell’esercito italiano s’aggravi sulla nostra coscienza come un rimorso.
» G. B. Sereni |
La Santità Sua diede ai deputati la seguente risposta:
«Piacemi nelle vostre parole l’aver sentito nominare lo Statuto fondamentale, ed è appunto per questo che appellando io allo stesso Statuto, mi viene dal medesimo suggerita la risposta alle vostre domande. Voi mi richiedete grandi e straordinarie provvidenze, le quali debbono essere esaminate dall’Alto Consiglio prima che io ve ne dia la risposta. Intanto mi piace di prevenirvi o signori, che le armate non s’improvvisano. Il gran capitano del nostro secolo, che ancor viveva in tempo di mia gioventù e che tutti se non avete conosciuto di persona, certamente conoscete dalle istorie, anche nelle estreme angustie non azzardò mai di mettere sul campo di battaglia uomini accozzati poco prima e non addestrati alla militar disciplina. Voi parlate di fare appello a legioni straniere; ma questo appello richiede lungo tempo per le trattative e pei viaggi, e d’altra parte voi parlate di pericoli imminenti. Speriamo che la Provvidenza di Dio sarà per riparare ai bisogni dello stato e dell’Italia, adoperando quei mezzi che noi non conosciamo ma che dobbiamo adorare.
»Vi ha tra voi la maggior parte di Consiglieri, i quali non lasciandosi trascinare dall’impeto delle passioni, conoscono i veri bisogni del paese, trai quali il maggiore, il più urgente si è quello di ristabilire l’ordine pubblico così conculcato ed oppresso.
»Vi accompagno col mio affetto e colla mia benedizione.»
Il discorso dei deputati che abbiamo riportato prima porta l’impronta della leggerezza giovanile o l’avventatezza di fanciulli inesperti; la risposta del papa, quella degli uomini di senno e di esperienza.
A questi discorsi succedette la pubblicazione in data del 2 del seguente moto-proprio:
«L’agitazione, che presentemente si è impadronita degli animi per la diversità degli avvenimenti che vanno succedendo, richiede istantemente che per quanto è da noi venga calmata, richiamando la fiducia e la confidenza. Il ministero da lungo tempo dimissionario, ha oggi ripetuto le sue istanze pel definitivo ritiro. Non potendosi così rimanere, abbiamo chiamato ed è giunto in Roma il pro-legato di Urbino e Pesaro conte Odoardo Fabbri, che formerà parte della nuova combinazione ministeriale. Queste nostre premure debbono risvegliare negli amimi di tutti i buoni la confidenza, che meglio verrà a confermarsi per le provvidenze che il governo stesso giudicherà opportuno di adottare.
»Intanto si mena lamento da alcuni perchè circa i fatti succeduti nel Ferrarese non siansi adottate le misure opportune per ripararvi; laddove noi noti abbiamo indugiato a far conoscere i nostri sentimenti già pubblicati dal nostro segretario di stato, e ripetuti anche in Vienna. Abbiamo già detto, e lo ripetiamo anche adesso, essere nostra volontà che si difendano i confini dello stato, al qual effetto avevamo autorizzato il testè cessato ministero a provvedere opportunamente.
»Del resto è vero pur troppo che in tutti i tempi e in tutti i governi i pericoli esterni si mettono a profitto dai nemici dell’ordine e della pubblica tranquillità per turbare le menti e i cuori dei cittadini, che noi sempre bramiamo, ma più particolarmente in questi momenti, uniti e concordi. Dio però veglia a custodia dell’Italia dello stato della Chiesa, e di questa città, e ne commette la immediata tutela alla grande protettrice di Roma Maria Santissima ed ai Principi degli Apostoli: e quantunque più di un sacrilegio abbia funestato la capitale del mondo cattolico, non per questo vien meno in noi la fiducia, che le preghiere della Chiesa ascenderanno al cospetto del Signore per far discendere le benedizioni, che confermino i buoni, e richiamino i Buoi nemici nelle vie dell’onore e della giustizia.
»Datum Romæ apud Sanctam Mariam Majorem sub annulo Piscatoris, die II augusti MDCCCXLVIII, pontificatus nostri anno tertio.
»Pius Papa IX.»26
Chiaro apparisce dalle prenanàte cose che, mentre il pontefice versavasi assiduamente nelle gravi cure dello stato, veniva molestato,oltremodo dagl’irrequieti e dai fanatici veri e simulati, i quali ad ogni istante costringevamo a ricevere indirizzi e deputazioni, ed a queste o a voce o in iscritto rispondere.
Nè tralasciava pur anco di occuparsi alacremente dei gravi negozi della Chiesa; e di fatti il 3 di agosto venne sottoscritta la convenzione definitiva fra il cardinale Lambruschini pel papa, ed il conte Bloudoff per l’imperator delle Russie, colla quale si dava un regolamento stabile agli affari ecclesiastici di Russia e Polonia.27
Dicemmo più sopra che coll’atto del 2 agosto veniva annunziato dal Santo Padre di aver chiamato il conte Odoardo Fabbri per la composizione del nuovo ministero.
Non sarà quindi discaro ai nostri lettori che diamo alcuni brevi cenni biografici su quest’uomo.
Era il conte Edoardo Fabbri di Cesena. Godeva fama incontaminata per onestà ed onoratezza; ma era in voce di aver sempre professato e di professar tuttavia caldi sensi italiani.
Quanto agli antecedenti della sua vita politica ricaviamo dalle Memorie storiche della rivoluzione romana di Francesco Gigliucci che il 16 marzo del 1831 quando la rivoluzione era già al suo termine, veniva nominato dall’avvocato Vicini presidente del governo provvisorio di Bologna, a vice prefetto per Cesena;28 e che antecedentemente nella sentenza del Cardinal Rivarola era stato condannato alla detenzione perpetua: ciò che direbbe abbastanza non essere stato il Fabbri in quei tempi da annoverarsi fra i devoti del papato. Il Gualterio ancora racconta presso a poco le stesse cose.29
Rientrato però il Fabbri, come l’Orioli, il Silvani ed altri, in una sfera d’idee più moderate, fu creduto adattato dal governo di Sua Santità a coprire l’ufficio di prolegato della provincia di Urbino e Pesaro, e ne ricevette la nomina dal ministro Recchi il 10 aprile 1848.30
Lo essersi condotto lodevolmente in provincia fu senza dubbio la causa dell’essere stato prescelto dal Santo Padre a formare il nuovo ministero, della cui composizione parleremo nel capitolo seguente.
Intanto poi che queste cose accadevano qui, nell’alta Italia il rovescio delle armi piemontesi risvegliava le tristi passioni e volgeva gli animi ad estremi partiti. I popoli tumultuavano, le voci di tradimento passavan di bocca in bocca, e la truce discordia alzava ardimentosa la fronte.
Dall’altra parte i successi delle armi austriache imbaldanzivano i suoi generali, e ne diè un saggio il generale Welden col suo proclama e notificazione emessi il 3 e 4 di agosto che riportiamo in Sommario,31 e di cui torneremo a parlare nel capitolo seguente.
Dopo la battaglia di Custoza Carlo Alberto emetteva da Bozzolo un proclama per annunziare che il tentato armistizio, stante la durezza delle condizioni, venne respinto, ed invitava gl’Italiani ad armarsi per resistere ancora.
Detto proclama è del 28 di luglio.32 Si annunziava la ripresa dell’offensiva con un bullettino datato il 29 da Genova.33
Le proposte austriache per l’armistizio che si respinsero, erano le seguenti:
- 1° La linea dell’Adda.
- 2° Lo sgombramento di Venezia.
- 3° Il richiamo della flotta.
- 4° La levata del blocco di Trieste.
- 5° Lo sgombramento da Peschiera, Rocca d’Anfo e Pizzighettone.
- 6° Lo sgombramento di Modena e Parma; e per ultimo
7° L’immediata liberazione di tutti gli ufficiali ed impiegati trattenuti, ed il loro invio al quartier generale del Feld maresciallo.34
Il governo di Milano decretava il 1.° di agosto la leva in massa.35 A questo passo estremo ricorrevasi come misura necessaria in quegli estremi momenti, resi più terribili dallo sdegno e dall’ira che la durezza delle austriache proposte eccitava negli animi.
Una deputazione composta dell’arcivescovo, del podestà di Milano Paolo Bassi, e di due cittadini, recavasi al campo, ma non ne trovava migliori.36
L’armata di Carlo Alberto indietreggiando sempre, era il 3 a Milano. Avvicinavasi il generale Radetzky, chi diceva con trentacinque, chi con sessanta mila uomini, sopra quella sventurata città che l’ira delle passioni doveva rendere teatro di scene orribili e vergognose. Il 4 fuvvi un forte combattimento sotto Milano, ma i Piemontesi si ebbero la peggio. Univasi alle loro sventure la imprevidenza dei fornitori che fecer mancare il vitto. Erano i Piemontesi battuti, estenuati, scoraggiati, affannati. Per colmo di disgrazia l’indisciplina ancora si era impossessata di loro dopo la rotta.
Mentre finalmente il 5 stipulavansi i patti della capitolazione di Milano con cui risparmiavasi la città, promettevansi riguardi, accordavansi due giorni all’armata sarda per ritirarsi, permettevasi sino all’indomani alle otto libera uscita a chi volesse partire, stabilivansi la occupazione di porta Romana e l’entrata e occupazione della città a mezzo giorno, pattuivansi il trasporto degli ammalati e dei feriti nei due giorni di tappa, e la liberazione immediata di tutti i generali, ufficiali, e impiegati austriaci;37 e mentre la maggioranza dei Milanesi accoglieva questi patti siccome schermo da maggiori iatture, e il re trovavasi alloggiato in casa Greppi, la commossa ciurmaglia si abbandonava ad atti colpevoli e ribaldi; erigevansi barricate; scariche di moschetto si dirigevano contro l’albergo reale; nè mancavan le grida e gli schiamazzi contro Carlo Alberto, che chiamavasi traditore. Si giunse perfino a porre le mani sulle sue carrozze sia per distruggerle o incendiarle, sia per rivolgerle ad uso di barricate, e così impedirgli la partenza. Il re n’ebbe l’animo lacerato: e perchè non piacque l’accordo alla parte esaltata dei Milanesi, venne stracciato, e il re disse di volere essere con loro quante volte volesser fare una disperata difesa. I magistrati però vi si opposero, e l’accordo fu mantenuto. Il colonnello d’artiglieria Alfonso La Marmora nell’intendimento di salvare la vita al re che minacciavasi seriamente, fu costretto di calarsi da un verone allo intento di raggranellare un poco di truppa che seco condusse. Il re quindi co’ suoi figli e il suo stato maggiore, fra le grida degli arrabbiati, i colpi di fucile ed il rintocco delle campane a stormo, dirigevasi a porta Vercellina, e tristamente, ma nobilmente, si allontanava dalla ingrata Milano. Ed era quello stesso che pochi mesi prima provocava le ovazioni frenetiche di quegli stessi Milanesi che ora imprecavano al suo nome ed attentavano alla sua vita. Tristi ma utili lezioni per chi governa e per chi è governato.
In un’opera recente intitolata: Delle eventualità italiane38 dicesi chiaramente che il re in quella occasione corse pericolo della vita. La ciurmaglia non si contenne e pose a ruba alcune case fra le quali quelle di un Villani e del duca Litta.
Il giorno 6 gli Austriaci entrarono in Milano, e il 9 fu sottoscritto l’armistizio Salasco, detto così dal nome del personaggio che d’ordine del re lo sottoscrisse. In tal modo finì la prima riscossa italiana.
Quell’armistizio però non essendo stato conosciuto in Roma se non il 16 di agosto, sarà riportato nel capitolo seguente.39
Note
- ↑ Vedi il vol. VI Documenti, n. 87.
- ↑ Vedi il vol. VI Documenti, n. 91.
- ↑ Vedi il vol. VI Documenti, n. 90.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 26 luglio. — Vedi la Pallade di detto giorno.
- ↑ Vedili fra i Documenti del VI vol. n 94 e 95. .
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 1 agosto n. 148.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma 28 luglio pag. 584.
- ↑ Vedi la protesta dei Napoletani nel nostro Sommario n. 31. — Il Contemporaneo del 27 luglio 1848. — Vedi Il VI vol. Documenti n. 96 A.
- ↑ Vedi Ricciardi Giuseppe, Cenni storici intorno agli ultimi casi d’Italia. Italia 1849, pag. 200.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 28 luglio 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 27 luglio 1848. —-Vedi il VI volu- Documenti n. 99.
- ↑ Vedi la Lanterna magica n. 10 ed il giornale la Donna italiana del 5 agosto 1848, ove riportasi il ringraziamento delle signore ai cantanti.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del liggosto 1S4S.
- ↑ Vedi l’Epoca del 24 luglio 1848.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 146 della Gazzetta di Roma.
- ↑ Vedilo fra i Documenti al n. 106.
- ↑ Vedi il VI vol. Documenti, n. 108.
- ↑ Sulla battaglia di Custoza vedansi i n. 95, 96, 97, 98, 101, 104, 106, 107 e 110 del VI vol. Documenti.
- ↑ Vedi la notificazione stampata dal cardinale Vicario nel volume intitolato Inviti sacri, ec. n. 44 A.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 31 luglio 1848 pagina 592.
- ↑ Vedi il Costituzionale del 3 agosto pag. 61.
- ↑ Vedi id. del 1 e del 3, pagine 57 e 61.
- ↑ Vedi la Speranza n. 135, pag. 1.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 4 agosto n. 115, pag. 4.
- ↑ Vedi entrambi i detti atti nel nostro Sommario n. 32 e 83 — Vedi nel vol. VI Documenti, quello al m. 120.
- ↑ Vedi il Giornale romano n. 12. — Vedi il VI vol. Documenti, n. 118.
- ↑ Vedi Motu-propri n. 53. — Vedi Moroni Dizionario art. Polonia pag. 76 del vol. 54.
- ↑ Vedi Gigliucci, Memorie storiche della rivoluzione romana, vol. II, pag. 65, Roma 1852.
- ↑ Vedi Gualterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani. Firenze, Le Monnier, vol. I pag. 44, 1850.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 10 aprile 1848.
- ↑ Vedi il nostro Sommario, n. 35 e 36, e il vol. VI, Documenti, n. 119 e 121.
- ↑ Vedi Documenti, n. 102.
- ↑ Vedi id. n. 104.
- ↑ Vedi Memorie ec. di un Veterano austriaco, pag. 120.
- ↑ Vedi Documenti, n. 111.
- ↑ Vedi Farini vol. II pag. 248. — Vecchi, L'Italia, storia di due anni 1848—1849, vol. I, pag. 249.
- ↑ Vedi il vol. VI, Documenti, n. 124.
- ↑ Vedi Delle eventualità italiane, considerazioni politiche. Bastia, 1856, un vol. in-8, pag. 13.
- ↑ Vedi il Farini vol. II, pag. 249, 250. — Vedi Ranalli vol. II, pag. 429. — Vedi Memorie ec. di un Veterano austriaco, vol. II, pag. 105 e seguenti. — Vedi Vecchi L’Italia, storia di due anni ec.. vol. I, dalla pag. 243 alla pag. 255. — Vedi La Gazzetta di Roma del 14 agosto pag. 639. — Vedi il vol. VI, Documenti, n. 124.