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vimento preconcertato, conosceva l’indirizzo, e non giudicava pericoloso il primo, qualificava d’innocuo il secondo.

Intanto la verità è questa. Roma si trovò in quel giorno in un vero inferno. Fu verissimo del tentativo per occupare le porte ed il castello. Il Ciceruacchio era l’agente principale del movimento, e si dovette alla fermezza ed alla energia di un dei Borghese, se non si ridusse ad effetto tanta esorbitanza.

Si volle pure in segno di allarme far battere la generale, ma non riuscì; si volle dare l’assalto al quartiere civico alla Pilotta per procacciarsi le armi, e si seppe impedirlo.

Questi tre tentativi abortiti, che si dissero romanescamente i tre fiaschi della rivoluzione, suggerirono al saporito scrittore del Cassandrino l’abate Ximenes un articolo intitolato i Tre fiaschi. Piacque l’articolo, ma il suo scrittore si trovò pugnalato qualche giorno dopo nelle vicinanze del Gesù, in olocausto non già alla libertà della stampa, ma al trionfo della tirannia.1

La civica stava sotto le armi; era un andirivieni continuo. Le transazioni sociali sembrarono per un momento sospese: tanto era lo scompiglio e lo sbigottimento che invase tutte le classi della società. L’allarme era divenuto generale, e non si sapeva nè che cosa fosse nè che si volesse. Erano da per tutto piccoli assembramenti; le pattugli civiche perlustravano la città in tutti i sensi; vedevi da per tutto confusione e incertezza. La sera poi il Corso brulicava di gente; ma se vi erano i sommovitori, vi eran pure i pacifici ed i curiosi.

Trova vasi in Roma, in quel tempo, monsignor Chanche vescovo di Natchez città della nuova Orleans in America, città cui gli aurei scritti del visconte di Chateaubriand dettero una certa celebrità. Era egli in compagnia del dottore Gardner irlandese, raccomandati entrambi al banco Torlonia.


  1. Vedi il Cassandrino, n. 8, del 20 Luglio 1848.