Monete della Repubblica, inedite varianti, ristabilite e corrette
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APPUNTI
di
NUMISMATICA ROMANA
V.
MONETE DELLA REPUBBLICA
INEDITE VARIANTI, RISTABILITE E CORRETTE
nella collezione gnecchi a milano
Se rimangono ancora alcune incertezze d’attribuzione o di data nella numismatica della Repubblica Romana, è però certo che quanto ai tipi, questa serie è assai più completamente conosciuta che non la imperiale, e le scoperte di monete nuove e di tipi ignoti ormai sono estremamente difficili e rare. Ciò va attribuito all’essere la serie imperiale immensamente abbondante e varia di tipi; mentre nella serie repubblicana i tipi sono assai meno numerosi e più costanti. Parecchi fra i nomi delle antiche famiglie romane sono rappresentati da un’unica moneta, come ad esempio, l’Alliena, la Cipia, la Critonia, la Decia, la Decimia, la Hirtia, la Plancia, la Renia, la Sergia, la Statia e la Ventidia; altri da poche, le cui varianti, per quanto numerose, non sono costituite che da numeri, lettere o simboli, mantenendo però sempre inalterato il tipo. Tali sono le monete della Calpurnia, della Thoria, della Crepusia, della Maria ecc.
Nessuna famiglia poi, anche fra le più numismaticamente ricche, ha un numero di tipi che si avvicini a quello delle copiosissime serie imperiali.
Le poche monete che qui presento sono il frutto di parecchi anni di ricerche, il che non sarà difficile ammettere dopo quanto ho premesso. Alcune di queste furono anzi da me già anteriormente pubblicate, ma ho voluto qui riunire quanto offriva di nuovo la mia collezione in monete repubblicane, avendo l’opportunità, che non ebbi altre volte, di accompagnare la descrizione delle monete con una tavola illustrativa, che serva a decifrarle e ad autenticarle.
Il che, se è sempre un buon corredo, forma addirittura un elemento indispensabile, quando l’interpretazione è basata sulla lettura di un segno poco chiaro, sulla forma di una lettera, sulla somiglianza di un ritratto e via dicendo.
È troppo naturale che oggi si prenda come punto di partenza o se si vuole come pietra di paragone l’opera di Babelon: Description historique des Monnaies de la République romaine, la quale, riassumendo e completando tutte le antecedenti, è certamente la migliore che possediamo.
Alcune delle monete che si descrivono sono veramente nuove, parecchie sono semplici varianti, qualche altra la chiamo ristabilita perchè, pubblicata già da autori più antichi venne poi trascurata dai successivi per la poca fede che ai detti autori si prestava, e perchè mancava un esemplare che ne comprovasse l’esistenza; altre infine sono corrette perchè finora inesattamente descritte.
ABURIA.
C. Aburius Geminus.
(Anno 129 a. C).
1. Quadrante. — Dopo il N. 3 di Babelon.
D/ — Testa d’Ercole a destra coperta della pelle del leone. Sotto la clava. Dietro tre globetti.
R/ — GEM • (Geminus). Prora di nave a destra.
(Tav. III. N. 12).
Al disotto della prora io non vedo assolutamente traccia di lettere. L’esemplare non è bellissimo, come si può vedere alla Tavola, ma pure è in tale stato che se ci fossero state delle lettere (che dovrebbero essere o roma o abvri) qualche traccia dovrebbe apparirvi ancora. — Babelon al suo N. 3 descrive un quadrante simile al mio, colla leggenda gem in alto e abvri al basso; e siccome cita tassativamente il Museo di Milano, ho potuto osservare tale moneta, la quale è in istato assai peggiore della mia. Si legge il gem in alto; ma chi la pubblicò pel primo, e fu credo il Riccio, leggendovi abvri in basso non ve l’ha certo potuto leggere che cogli occhi della fede.
ACILIA.
Augustus — Manius Acilius Glabrio.
(Anno 26 a. C).
2. Gran bronzo. — Dopo il N. 11 di Babelon.
D/ — M. ACILIVS GLABRIO PRO COS.
Due teste affrontate, maschile, nuda e giovanile (Tiberio) quella che è volta a. destra, femminile (Livia) l’altra, diademata e colla pettinatura a coda.
R/ .... leggenda consunta. Testa d’Augusto a destra e davanti ad essa una Vittoria che lo incorona.
(Tav. III, N. 16).
Lo stato estremamente deplorevole di conservazione in cui si trova questa moneta, che potrebbe avere grande interesse, non mi consente di darne una più completa descrizione. Il diritto, quantunque consunto dalla lunga circolazione è ancora in istato da permetterne con certezza la lettura: ma il rovescio venne tanto malmenato, che le parole sono affatto scomparse e la rappresentazione quale sopra descritta si può piuttosto indovinare che vedere; certo m’ha ajutato e guidato in tale difficile interpretazione la descrizione di questa identica moneta o almeno di una molto simile, data dal Riccio, nel Supplemento alla 2° Edizione delle Monete delle Antiche famiglie di Roma, stampata in Napoli nel 1843.
A Cohen e Babelon questo Gran Bronzo è affatto sconosciuto; ma gli illustri autori francesi, non avendo sottocchio un esemplare della moneta, la quale certo deve essere di estrema rarità, non prestarono fede, — e con ragione, — alla semplice asserzione del Riccio, tanto più che questi non accenna neppure a quale collezione il bronzo appartenesse. Alla sua no di certo perchè non figura né nel suo Catalogo, né in quello della sua vendita fatta a Parigi nel 1868. E del resto che una semplice asserzione del Riccio debba essere ritenuta poco autorevole è troppo naturale, attesa la copia di monete false da lui ingenuamente o maliziosamente descritte per genuine. Questa volta però credo che avesse ragione e descrivesse una moneta realmente esistente e genuina; ma siamo sempre alla vecchia e famosa per quanto semplice storiella del lupo... Chi suole mentire non è creduto neppure quando dice la verità.
Ecco la descrizione che dà il Riccio della moneta e le note di cui l’accompagna:
N. 12. D/ — M • ACILIVS GLABRIO PRO • COS • Due teste nude in riguardo, una maschile, l’altra femminile.
R/ — IMP • CAESAR DIVI F • AVGVST • COS • IX • Testa d’Augusto nuda a diritta. Davanti Vittoria che lo incorona.
rrr 15 piastre.
(Tav. 50).
“Marco Acilio Glabrione nel 728 in cui impresse questo pregievole nummo, fu proconsole della Sicilia nel nono consolato d’Augusto. Elogia tutta la famiglia dell’imperatore, cioè esso stesso coronato dalla Vittoria, allusiva a quelle riportato dai suoi Legati Vinicio de’ Germani, Antistio degli Asturi e Cantabri e Varrone de’ Salassi; non che la moglie Livia e il figlio Tiberio.”
Quanto al diritto siamo perfettamente d’accordo, notando solo che la leggenda sul mio esemplare è chiarissima riguardo al nome m. acilivs glabrio mentre la qualifica pro cos. è quasi scomparsa, e solo la si può intravedere, conoscendo la lettura che ne diede il Riccio.
Quanto poi al rovescio ci dobbiamo fidare quasi completamente al Riccio, il mio meschinissimo esemplare non accennando che in nube a quello che vi dovrebbe essere rappresentato. Ma, se dalla concordanza della parte nota possiamo arguire quella della parte ignota, e se si è potuto controllare una faccia della moneta con un esemplare di autenticità incontestabile, come mi pare il mio e come lo prova per di più il miserrimo stato di conservazione — non ho mai veduto una moneta falsa in simile stato — credo si debba accettare anche l’altra quale la dà il Riccio, tanto più che vi si trova anche la perfetta concordanza fra la data del dritto e quella del rovescio, le quali ambedue riferiscono la coniazione della moneta all’anno 26 di C.
Anche l’attribuzione delle teste mi pare sia da accettare quale è data dal Riccio. Della testa d’Augusto io non posso parlare non esistendo quasi affatto ilei mio esemplare; ma quella di Livia invece vi è ancora assai bene riconoscibile e così pure quella del giovinetto Tiberio. Il che formerebbe una nuova combinazione di teste da aggiungere alle molte già conosciute sulle monete di quest’epoca.
ANTONIA.
M. Antonius, M. Nerva, Octavius.
(Anno 41 a. C).
3. Denaro. — Dopo il N. 51 di Babelon.
D/ — M • ANT • IMP • AVG • IIIVIR R • P • C • M • NERVA • PROQ • P • (Marcus Antonius, imperator, augur, triumvir reipublicae constitiiendae. Marcus Nerva proquaestor provincialis).
Testa nuda di M. Antonio a destra.
R/ — CAESAR IMP • PONT • IIIVIR R • P • C • (Caesar imperator, pontifex, triumvir reipublicae constituendae).
Testa nuda d’Ottavio a destra. Dietro il bastone di augure.
(Tav. III, N. 1).
M. Antonius, M. Antonius filius.
(Anno 32 o 33 av. C).
4. Aureo. — Dopo il N. 91 di Babelon.
D/ — ANTON • AVG • IMP • III ― COS • ∆ES • III • III • V • R • P • C • (Antonius augur, imperator tertio, consul designatus tertio, triumvir reipublicae constituendae).
Testa nuda di M. Antonio a destra. Sotto un punto o globetto.
R/ — M • ANTONIVS • M • F • F • (M. Antonius Marci filius, filius).
Testa nuda di Antillo a destra.
(Tav. III, N. 2).
L’interessante e rarissimo aureo di M. Antonio col figlio merita che ci soffermiamo a fare qualche osservazione più paleografica che storica, e che ritorniamo su di una questione d’interpretazione già più volte sollevata e dibattuta, la quale ora, grazie ad altro esempio trovato a caso e che accennerò più innanzi, mi pare si possa considerare come definitivamente sciolta.
La prima delle due osservazioni è quella relativa al δ greco, in sostituzione del d latino nella leggenda del dritto e che costituisce la differenza (oltre a quel punto o globetto sotto la testa di M. Antonio, che non sembra fatto a caso, per quanto io non riesca a indovinarne il significato), tra il mio esemplare e quello descritto da Cohen e da Babelon. Non è però un caso nuovo, giacché il δ non solo come sigla, ma come semplice lettera frammista alle latine nelle leggende monetarie di quest’epoca lo troviamo in parecchie altre monete, specialmente della stessa famiglia Antonia, che pare si compiacesse di tali affettazioni ellenistiche. Lo troviamo ancora in un denaro della Julia 1 e un esempio ancora più vicino al nostro, l’abbiamo nell’altro tipo dell’aureo di M. Antonio e Antillo, posseduto dal Museo di Berlino (Bab. N. 92) sul cui rovescio, ossia sulla faccia che rappresenta Antillo, così continua la leggenda relativa a M. Antonio padre:
COS • ITER • AESIGN • TERT • III • VIR • R • P • C •
Ma è l’altra questione, quella delle due lettere finali della leggenda d’Antillo, che diede luogo a tante incertezze d’interpretazione, senza che si potesse venire ad una conclusione la quale conciliasse la paleografia coll’interpretazione della leggenda stessa. Se si leggeva: F • E • oppure E • E •, mancava l’interpretazione o conveniva accontentarsi di una un po’ stiracchiata. Se si leggeva invece: F • F •, l’interpretazione scaturiva assai naturale, e corroborata da altri esempii epigrafici, quantunque nuova nella numismatica; ma bisognava vincere l’offesa che si arrecava o per dir meglio che si credeva d’arrecare alla paleografia. E da questo bivio non si poteva uscire, finché le due lettere finali apparivano veramente come due E, e finché nessun altro esempio provasse che le F potevano essere scritte a quel modo.
Conviene tener nota che l’aureo è estremamente raro e non è quindi che su di un numero assai limitato d’esemplari che l’occhio indagatore del numismatico può fare le sue ricerche.
Eckhel ne vide due esemplari, quello del Gabinetto di Vienna e quello del Gabinetto del Re di Francia; ma per una fatale combinazione ambedue avevano un guasto precisamente alla fine della leggenda controversa, coincidenza che lo indusse anzi a mettere in dubbio l’autenticità stessa della moneta. E così il giudizio del sommo numismatico ci manca. Io non ho sottocchio che due esemplari, quello della collezione Trivulzio e il mio, ambedue se non a fior di conio pure in buonissimo stato di conservazione. Di più posseggo rimpronta di un esemplare appartenente al Gabinetto imperiale di Vienna, certo acquistato posteriormente ad Eckhel, perchè esso pure di eccellente conservazione.
Ebbene in tutti e tre questi esemplari — vedasi il mio riprodotto al N. 2 della Tavola — le due lettere finali hanno decisamente la forma di e, ossia l’asta verticale è munita al basso di una lineetta orizzontale quasi egualmente visibile che quella di sopra. Se facciamo una ispezione di tutte le lettere equivalenti sulle monete contemporanee, troviamo che l’asta verticale delle f finisce sicuramente e francamente senza alcuna appendice a destra di chi la guarda, parallela e simile a quella superiore. Talvolta anzi la prima asta verticale di alcune lettere, p. es. delle m e delle n, ha un piccolissimo tratto a sinistra, ma a destra non se ne vedono mai; e a prova di ciò si osservino le f nell’aureo di M. Antonio e P. Clodio (Bab. Antonia N. 19) e di M. Antonio e Mussidio Longo (Baib. Antonia N. 24), nell’aureo della Munatia, nel denaro di Cajo Antonio e in quello di M. Antonio e Cleopatra. Degli e poi assai più numerosi se ne trovano parecchi in cui il tratto inferiore è di qualche cosa più breve del superiore, avvicinandosi così alle due lettere finali tanto discusse dell’Aureo in questione, i cui tratti inferiori vanno per così dire perdendosi in una sfumatura, come avviene del resto quantunque in grado minore anche dei tratti superiori.
Era dunque assai naturale che per questi motivi e in seguito a questi confronti si venisse generalmente alla conclusione che quelle due lettere fossero veramente due e o per lo meno tale fosse l’ultima, e anche Cohen aveva lasciata la cosa in forma dubitativa. Nella prima ipotesi si rinunciava a spiegarle non trovandosi una spiegazione soddisfacente; nella seconda poteva accettarsi la spiegazione m. antonivs marci filivs eqves, la quale se non si può dire che si reggesse centum pedibus, aveva però una certa quale apparenza di verità e qualche analogia con leggende simili, p. es. con quella di Nerone: equester ordo.
Malgrado tutto ciò a Cavedoni parve che se si fosse letto f • f • l’interpretazione sarebbe corsa assai più naturale, e lesse appunto f • f • colla voce filivs ripetuta onde distinguere il figlio dal padre omonimo e pure figlio di un Marco. Questa interpretazione fu adottata anche da Babelon, il quale però, onde accrescer forza a tale opinione, ha creduto opportuno di fare una piccola correzione al disegno della moneta, amputando i due piccoli tratti inferiori delle due lettere finali.
Chi osserva il disegno dell’aureo — è l’identica incisione adoperata per la seconda edizione delle monete imperiali di Cohen (Vol. I, pag. 58) — si accorge facilmente che, passando da questo volume a quello delle Monete Repubblicane di Babelon (Voi. I pag. 193), perdette nelle due lettere finali i due tratti inferiori, che prima erano forse eccessivamente marcati, e le due lettere divennero decisamente due f . . . il che prova che le riproduzioni dal vero sono sempre di gran lunga preferibili, perchè dove ha a che fare la mano dell’uomo, l’interpretazione individuale esercita sempre la sua influenza...
Ma le appendici a quelle due lettere finali ci sono e non si possono togliere. Il che non impedisce che si possano ed anzi si debbano interpretare due f in luogo di due e, perchè in altra moneta di indubbia autenticità, che riproduco al N. 17 della Tavola, una lettera che deve necessariamente essere un f è scritta precisamente a guisa di un e. È un asse della famiglia Tituria, la cui leggenda deve essere: l. titvri l. f. Orbene l’f finale ha tutta l’apparenza di un e; anzi, letto come tale, mi aveva lungamente lasciato perplesso sull’attribuzione di quell’asse, che m’era sembrato potesse appartenere alla Turillia; e non credo di andare errato supponendo si tratti precisamente di quell’asse già attribuito alla Turillia e che Cavedoni in una lettera a Mommsen (V. Babelon, Vol. II, pag. 498) restituisce alla Tituria. Ma l’esemplare esaminato da Cavedoni mancava d’una porzione della leggenda, la quale invece è nel mio completa, almeno nella parte che ci interessa. — Ora, fermandomi a studiare quella lettera che come e non aveva significato, mi persuasi che la lettura corretta dell’asse è quale l’ho data e quale la intravvide Cavedoni. E, richiamando la questione dell’aureo d’Antillo, mi parve che una moneta potesse servire a chiarir l’altra, cosicché cambio ben volentieri, come sempre davanti al fatto, l’opinione già da me espressa a proposito di quell’aureo2 quando, non conoscendo alcun altro esempio di f scritta a guisa di e, non potevo rassegnarmi a fare una eccezione pel solo motivo di trovarne l’interpretazione, e ossequente al vero o a quello che tale mi appariva, mi accontentavo di rinunciare a spiegarla.
E cosi, concludendo, le due lettere si devono leggere positivamente per due f, e si deve accettare la spiegazione piana e naturale di Cavedoni e di Babelon: M • ANTONIVS MARCI FILIVS FILIVS, con pieno accordo dell’epigrafia della paleografia della storia.
AXIA.
L. Axius Naso.
(verso l'anno 69 a. C).
5. Asse. — Dopo il N. 1 di Babelon.
D/ — Testa di Giano in una corona d’alloro. Sopra I.
Ai lati nel campo NASO.
R/ — Testa di Giove a destra in un circolo di perline.
(Tav. III, N. 13).
Come giustamente osserva Babelon, e aveva già osservato Eckhel, queste monete di bronzo che la consuetudine attribuisce alla famiglia Axia, andrebbero meglio classificate fra le coloniali. Ma, seguendo l’uso, ho collocato qui anche la mia, senza intendere con ciò di provare che alla famiglia Axia veramente appartenga. — Nel Catalogue d’une collection Romaine en vente à l’amiable pubblicato da Rollin et Feuardent trovo un asse (N. 601 bis) molto simile al mio, ma attribuito alla famiglia Oppia perchè porta nel dritto la leggenda OPPI 3 — Il mio esemplare non è di bella conservazione ma, se le lettere N A alla destra della testa di Giano non sono distintissime, mi sembrano indiscutibili le altre due S O alla sinistra.
CARISIA.
Octavius — P. Carisius.
(Anno 25 a. C).
6. Denaro. — Variante del N. 19 di Babelon.
D/ — IMP • CAESAR AVGVTVS.
Testa nuda d’Augusto a destra.
R/— P • CARISIVS LEG • PROPR •
Trofeo d’armi spagnuole, appiedi del quale un prigioniero inginocchiato e colle mani legate dietro il dorso.
CONSIDIA.
C. Considius Paetus.
(Anno 49 a. C.)
7. Sesterzio. — Variante del N. 10 di Babelon.
D/ – C • CONSID •
Busto di Cupido a destra.
R/ — Doppia cornucopia con svolazzi, sovrapposta a un globo.
8. Altra variante con:
D/ — C • CONSIDIVS •
DOMITIA.
Cn. Domitius Ahenobarhus.
(Anno 114 a. C).
9. Denaro, — Variante del N. 7 di Babelon.
D/ — ROMA
Testa della dea Roma col carro alato a destra. Dietro X.
R/ — CN • DMI •
Giove in quadriga lenta a destra col fulmine e un ramo d’alloro.
(Tav. III, N. 3).
HORATIA.
(Anno. 264 a. C.?).
10. Denaro. — Dopo il N. 1 di Babelon.
D/ — Testa di Roma galeata a destra. Dietro X. Davanti COCLES
R/ — I Dioscuri a cavallo. Sul capo di ciascuno una stelletta.
(Forse sotto i Dioscuri la leggenda ROMA, la quale però sarebbe riuscita fuori della moneta).
(Tav. III, N. 7).
Questo è forse il denaro più raro della serie repubblicana romana, tanto raro che finora s’è dubitato della sua vera esistenza, non conoscendosene che esemplari di autenticità più o meno contestabile. — Borghesi non lo vide genuino e suppose che il nome COCLES fosse stato aggiunto da Trajano nella restituzione del denaro della famiglia Horatia onde identificarlo meglio che non fosse colla semplice testa di Clelia (la giovane vergine romana data in ostaggio a Porsenna, e fuggita a nuoto dal campo nemico, e a cui venne poi eretta una statua), o della dea Hora (consorte di Quirino), come vorrebbe il Cavedoni, o finalmente di Orazia (sorella di Orazio vincitore e sposa al nemico Curiazio, uccisa dal fratello per aver pianto la morte dello sposo) come, parmi con maggior fondamento, propone il Babelon.
Il Mionnet descrive la moneta, veramente senza attribuirle l’importanza che merita, e mette in guardia contro le falsificazioni. Il Riccio non avendo mai veduto il denaro originario col COCLES genuino, lo registra nella sua prima edizione, mettendone in rilievo l’estrema rarità; ma poi nella seconda dubita della sua reale esistenza; e grave è veramente il dubbio del Riccio, tanto facile ad accogliere monete di assai dubbia autenticità. — Cosi fa pure il Cohen, finché Babelon, non trovando in nessun gabinetto un esemplare degno di fede, omette addirittura il denaro nella sua serie, e si accontenta di accennarvi con queste parole:
“Cohen a enregistré avec hésitation un autre denier aux mêmes types (del denaro comune dell’Orazia) et qui porte cocles au droit; il en existe dans la collection d’Ailly au Cabinet de France un exemplaire, dont nous donnons ici le dessin. Mommsen n’a point signalé cette pièce, et nous croyons de notre coté, qu’elle est l’œuvre d’un faussaire moderne. Tous les exemplaires qui nous sont passés dans lss mains sont certainement des contrefaçons. Cohen d’ailleurs, s’exprime ainsi: — La médaille qui porte le nom de cocles et qui n’est pas restituée, est d’une telle rareté que la plupart des numismates mettent en doute son existence. Pour ma part je n’en ai jamais rencontré de parfaitement satisfaisante. Colle du Musée Britannique dont je donne le dessin, me paraît moins suspecte quo toutes les autres, quoiqu’elle ait été vendue comme fausse à Londres à la vente du cabinet Campana. — En présence d’une pareille hésitation, nous nous croyons autorisée à suivre l’esemple du Mommaen et à ne pas compter parmi les médailles de la république la pièce qui porte cocles dans la mention du la restitution de Trajan. Ajoutons que les usages monétaires à l’époque où le denier est censé, par ses types et son style, avoir été frappé, rendent la légende cocles invraisemblable.”
Io da parte mia non avevo avuto finora sottocchio che alcune falsificazioni troppo evidenti per poter avere un mezzo dubbio che non fossero tali. Ma l’esemplare di cui ora presento l’impronta (T. III, N. 7) è per me d’un’autenticità indiscutibile, al punto che se alcuno mi provasse che è falso rinuncerei per sempre a raccoglier monete. Il denaro è suberato e questo è una prova di più della sua autenticità, perchè non ho mai veduto falsificazioni moderne fatte in tal modo, e basta quindi a stabilirne resistenza.
Di parecchi tipi della serie repubblicana o per esserne stati coniati pochissimi esemplari, o per essere poi stati distrutti in una data contingenza, prima che alcuni ne fossero nascosti in quel gran mezzo conservatore che è la terra, o per altre ragioni, non ci pervenne che un numero estremamente limitato di esemplari. Cosi ad esempio il denaro della Nasidia colle quattro navi non ci è noto che per l’unico esemplare della Collezione Borghesi, quelli della Numitoria e della Ventidia sono pure in numero così esiguo, che ben raramente figurano anche nelle più ricche collezioni. Nulla dunque di strano che di altro denaro non ne fosse giunto a noi finora nessun esemplare. Sapendosi poi che di alcuni denari della Repubblica romana la maggioranza degli esemplari è costituita da quelli suberati, nessuna meraviglia che di una moneta così rara sia apparso più facilmente un esemplare suberato che uno di puro argento. E del resto potrebbe anche darsi che questo denaro non fosse mai stato coniato in puro argento, e che fosse uscito dalle officine dello stato unicamente suberato 4, come pare sia di altri che non sono a noi noti che per simili esemplari.
L’esistenza della restituzione di Trajano a me era sempre parsa una prova sufficiente dell’esistenza del denaro originario che vi aveva servito di tipo, anche quando del denaro dell’Horatia non conoscevo che falsificazioni, perchè le restituzioni repubblicane di Trajano riproducono sempre fedelmente e scrupolosamente gli antichi tipi; ma ora ne abbiamo la conferma materiale nell’esemplare presentato.
Riflettendo però su tali monete e sulle loro restituzioni, mi si presenta una osservazione, che altri non fece finora e che mi sembra una vera prova dell’esistenza del denaro in questione, anche prescindendo dal fatto. Si dice che ai tempi di Trajano si sapeva per tradizione che il denaro colla testina di Clelia o Hora o Grazia apparteneva alla famiglia Horatia e sta bene 5, e si aggiunge che Trajano, temendo forse che in seguito la tradizione avesse a perdersi, vi aggiungesse anche il nome COCLES quasi a maggiore schiarimento. Ma tale induzione, oltre che mi pare assai poco probabile, stante come dissi la scrupolosità con cui i tipi furono riprodotti, c’è anche un altro fatto che la dimostra senza fondamento. Trajano non restituì solamente il denaro col COCLES al diritto e la testina al rovescio; ma ben anco l’altro in cui la testina al rovescio6 manca, e questa sarebbe anzi la vera restituzione del mio denaro.
Ora, se la supposizione sopra accennata poteva in qualche modo reggere pel primo dei due denari, cade inesorabilmente pel secondo. Supponendo, come si pretende, che il nome COCLES non esistesse sul
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Questo ragionamento non solo rende alla famiglia Horatia il denaro che le si vorrebbe tolto, ma prova anzi che i denari della detta famiglia erano tre, di cui uno anepigrafe e due colla leggenda, ossia:
I. D/ — Testa di Roma coll’elmo alato a destra. Dietro X.
- R/ — ROMA
I Dioscuri a cavallo galoppanti a destra. Sotto una testina di donna.
Questo è il denaro comune, l’unico accettato e descritto da Babelon come originario, e di cui non esiste restituzione.
II. D/ — Testa di Roma coll’elmo alato a destra. Dietro X.
Davanti COCLES.
R/ — Come il precedente.
Denaro finora conosciuto unicamente per la restituzione di Trajano (Bab. 23).
III. D/ — Testa di Boma coll’elmo alato a destra. Dietro X.
Davanti COCLES.
R/ — ROMA
I Dioscuri a cavallo galoppanti a destra (senza la testina).
Anche questo denaro era noto finora solamente per la restituzione di Trajano (Bab. 24): oggi lo conosciamo anche per un esemplare originario.
Dei tre tipi ora descritti, Eckhel conobbe solamente l’ultimo e la relativa restituzione, il che spiega come sull’Horatia non abbia assegnato quello anepigrafe, il quale non trovò la sua attribuzione se non in seguito alla scoperta della seconda restituzione, quella colla testina.
Non è poi improbabile che altre varianti possano esistere di questo denaro per essere nel rovescio talvolta scritto il nome di roma e talvolta forse omesso. Nel mio esemplare non c’è alcuna traccia di tale indicazione; mi parrebbe anzi che non vi dovesse essere, ma potrebbe anche darsi che tale mancanza risultasse dall’essere male coniata la moneta. Aggiungerò tuttavia che anche del tipo comune dell’Horatia posseggo un bellissimo esemplare a fior di conio in cui non appare alcuna traccia del nome roma.
Ma, lasciando da parte queste piccole varianti, la serie monetaria della famiglia Horatia va definitivamente completata coi tre tipi accennati.
Quanto all’epoca in cui queste monete furono battute, essa è molto incerta, e sconosciuto è il monetario che le fece coniare 7. Generalmente se ne colloca l’emissione verso il 264 a. C, il che serve a sostenere la non esistenza del denaro originario col nome COCLES, perchè effettivamente a quell’epoca remota le monete non portavano che simboli; ed è per la medesima ragione che si nega l’esistenza del denaro della Decia, colla leggenda DECIVS MVS conosciuto per la restituzione di Trajano, denaro che sarebbe presso a poco contemporaneo a questo, collocandosi all’anno 268 a. C. — Ma non potrebbe darsi che i due denari fossero più recenti e battuti da qualche altro membro della famiglia sconosciuto alla storia anche come magistrato monetario? Il tipo del denaro della Decia, parlo di quello anepigrafe al quale probabilmente somiglierà anche quello colla leggenda, ciò che forse un giorno si potrà verificare, non mi sembra tale da non poterlo collocare anche molto più innanzi. Così pure dicasi di quello dell’Horatia, e anche qui intendo del tipo comune, perchè troppo arrischiato sarebbe il voler giudicare dello stile su di una sola moneta suberata.
Potrebbe dunque darsi che i due denari fossero di epoca più recent3 di quanto sì è finora creduto, e in tal caso cadrebbe l’ostacolo della leggenda. Dato che le monete esistano o abbiano esistito, come io non dubito, è troppo naturale che si venga a una conclusione che non sia in contraddizione col fatto.
JULIA.
Augustus.
11. Quinario. — Variante del N. 132 di Babelon.
D/ — IMP CAESAR
Galera pretoriana alla vela diretta a destra con due rematori.
R/ — DIVI F •
Vittoria a sinistra con una corona, una lunga palma e un timone.
(Tav. III, N. 4).
L’esemplare di questo raro quinario descritto da Babelon sembra di buonissima conservazione se dobbiamo giudicare dal disegno datone, eppure nella galera non c’è assolutamente traccia di rematori, i quali invece ai vedono assai distintamente nel mio esemplare proveniente dal bel ripostiglio trovato nel 1876 presso Biella.
Augustus.
12. Denaro. — Varietà del N. 141 di Babelon.
D/ — AVGVR PONTIF •
Testa di Giove Ammone a destra.
R/ — IMP • CAES ― ΔIVI • F • in due righe nel campo.•
Vittoria su di un globo, a destra, con una corona e una palma.
(Tav. in, N. 5).
La forma ellenica del D costituisce la differenza fra il mio esemplare e quello già conosciuto.
Ho conservato nella descrizione le denominazioni di Dritto e Rovescio al posto ove furono collocate da Cohen e mantenute da Babelon nelle consimili monete, quantunque mi parrebbe più naturale scambiarle, e dare il nome di Dritto alla faccia della moneta che porta la leggenda: imp . caesar divi filivs, e di Rovescio all’altra la quale non ne è che la continuazione cogli attributi avgvr e pontifex.
MARIA.
Octavius — C. Marius C. f. Trementina.
(Anno 17 a. C).
13. Denaro. — Dopo il N. 15 di Babelon.
D/ ― CAESAR
Testa nuda d’Augusto a destra.
R/ — C • MARIVS TRO • III VIR
Testa di Giulia a destra fra quelle di Gajo e di Lucio pure a destra. Al disopra una corona.
(Tav. III, N. 6).
Questo denaro è foderato, come lo sono per lo più i simili rarissimi denari della Maria colle tre teste di Cajo, Lucio e Giulia.
MATIENA.
Matienus. (?)
(verso il 234 a. C).
14. Denaro. — Varietà dei N. 1 e 2 di Babelon.
D/ — Testa galeata di Roma a destra. Dietro X.
R/ — MA (in monogr.); all’esergo ROMA
I Dioscuri a cavallo galoppanti a destra.
Le due varietà del denaro della Matiena (accetto volontieri questa nuova denominazione di Matiena proposta da Babelon invece di quella usata finora di Matia) portano i monogrammi di MATI la prima e di MAT la seconda. Il mio esemplare non ha che quello di MA, ed, essendo a perfetto fior di conio, non v’ha alcun dubbio che abbia potuto esistervi il tratto superiore che avrebbe dovuto formare il T sul vertice dell’A.
Le lettere MA potrebbero essere indifferentemente le iniziali di MAXVMVS come di MATIENVS. Nel primo caso il denaro sarebbe da attribuirsi alla famiglia Fabia; ma il tipo della moneta non permette tale attribuzione; mentre s’accorda perfettamente con quello degli altri denari della Matteria alla quale l’ho quindi attribuito come variante dei due già conosciuti.
OPPIA.
M. Antonius – Octavius — M. Oppius Capito.
(Anno 36 a. C).
15. Piccolo bronzo. — Dopo il N. 4 di Babelon (Oppia).
D/ ― M • ANT • IMP • TE R • COS • ΔESIG • ITE R • ET • TE R • III • VIR • R • P • C • (Marcus Antonius Imperator tertio, consul designatus iterum et tertio, triumvir Reipublicae constituendae).
Teste nude e accollate di M. Antonio e Ottavio volte a destra.
R/ — M • OPPIVS CAPITO PRO • PR • PRAEF • CLASS • F • C • (Marcus Oppius Capito propraetor praefectus classis flandum curavit).
Nave alla vela diretta a destra. Sotto A e la testa di Medusa (?)
(Tav. III, N. 15).
Il Babelon (Antonia N. 87, Oppia N. 4) come pure il Cchen, descrivono: “Galera alla vela. Sotto A e la Triquetra colla testa di Medusa.” Sui miei due esemplari, uno mediocre, l’altro di eccellente conservazione, tale da permettere la lettura precisa di tutti i monogrammi, a destra della lettera A al basso del campo non vedo che un globetto, il quale può interpretarsi per la testa di Medusa, ma assolutamente non vi ha alcuna traccia della Triquetra.
M. Antonius — M. Oppius Capito.
(Anno 36 a. C).
16. Medio bronzo. — Dopo il N. 5 di Babelon (Oppia corrispondente al N. 78 dell’Antonia).
D/— M • ANT • IMP • TER • COS • DESIG ITER ET TER III VIR R • P • C •
Teste affrontate di M. Antonio e Ottavia.
R/ – M • OPPIVS CAPITO PROPR • PRAEF • CLASS • F . C •
Galera alla vela diretta a destra. Nel campo i berretti dei Dioscuri. All’esergo un segno indistinto ma che parrebbe H o Y.
(Tav. III, N. 14).
Questo Medio bronzo corrisponde perfettamente al Gran bronzo descritto da Babelon al N. 88 dell’Antonia, non differendone che pel modulo. La leggenda del diritto è molto chiara, quella del rovescio è più che letta interpretata su quella del g. b.
SALVIA.
Octavius Augustus — Salvius Otho.
(Anno 41 a. C).
17. Gran bronzo. — Dopo il N. 5 di Babelon.
D/ — CAESAR • AVGVST • PONT • MAX • TRIBVNIC • POT • (Caesar Augustus Pontifex maximus, tribunicia potestate).
Testa laureata d’Augusto a sinistra, dietro la quale una Vittoria tiene una cornucopia, mentre colla destra le allaccia la corona. Sotto la testa d’Augusto un globo.
R/ — M • SALVIVS OTHO III • VIR • A • A • A • F • F • (M. Salvius Otho triumvir auro, argento, aere flando feriundo).
Nel campo S • C.
In questa moneta appare per la prima volta il globo sotto la testa, che vedesi poi adottato abbastanza largamente sotto gli imperatori Nerone, Galba, Vitellio.
SEMPRONIA.
L. Sempronius Pitto.
(Anno 217 a. C).
18. Denaro. — Dopo il N. 2 di Babelon.
D/ — Anepigrafe.
Testa di Roma coll’elmo alato a destra. Dietro X, e sopra questo una Vittoria con una corona.
R/ — L • SEMP (MP in monogr.) ROMA
I Dioscuri a cavallo, galoppanti a destra.
(Tav. III, N. 8).
Il rovescio di questo denaro corrisponde precisamente a quello comunissimo descritto da Babelon al N. 2; ma il diritto è nuovo, avendo una Vittoria sopra il segno X dietro la testa di Roma, mentre nel denaro comune l’X è davanti alla testa, e dietro è scritto il nome PITIO. Che questo denaro debba attribuirsi al medesimo monetario, quantunque non vi sia iscritto il nome PITIO, oltre che lo stile, lo indica abbastanza chiaramente il prenome L SEMPRONIVS, e la Vittoria che cinge di corona la testa di Roma con tutta probabilità accenna a qualche vittoria riportata da questo personaggio il cui nome ci fu tramandato dalla numismatica, quantunque sconosciuto alla storia.
La rappresentazione figurata nel diritto di questo denaro ha un solo riscontro in tutta la lunga e ricca serie delle monete repubblicane, in un denaro quasi contemporaneo o di poco posteriore appartenente alla famiglia Terentia, e precisamente in quello di C. Terenzio Lucano, — il quale, essendo stato monetario verso il 214 a. C, parrebbe avesse copiato tale tipo dal suo antecessore, e l’avesse per così dire volgarizzato poiché i suoi denari col tipo della Vittoria, che incorona la testa di Roma, sono comunissimi, mentre quello descritto della famiglia Sempronia è il primo e l’unico finora conosciuto.
Tale diritto però al merito dell’invenzione del tipo non è indiscutibile, perchè si potrebbe anche supporre che il denaro fosse ibrido, prodotto cioè da un conio di rovescio rimasto di L. Sempronio Pizione e applicato poi erroneamente a un dritto di C. Terenzio Lucano; e così anzi la spiegazione sarebbe più semplice 8. In questo caso il tipo della Vittoria che incorona la testa, rappresentato nella moneta, resterebbe unico nella famiglia Terentia, per essere poi adottato due secoli più tardi dal triumviro Salvie Ottone nel Gran bronzo battuto per Augusto, di cui abbiamo più sopra descritto una varietà.
M. Antonius — L. Sempronius Atratinus.
(Anno 35 36 a. C).
19. Gran bronzo. Dopo il N. 14 di Babelon.
D/ — M • ANT • IMP • TER COS • DES • ITER • ET • TER • III • VIR • R • P • C (Marcus Antonius Imperator tertio, consul designatus iterum et tertio, triumvir reipublicae constituendae).
Teste accollate di M. Antonio e d’Ottavio a destra, e in faccia quella d’Ottavia.
R/ — L • ATRATINVS AVGVR COS • DES • F • C • (Lucius Atratinus augur consul designatus flandum curavit).
Galera alla vela diretta a destra. Sotto Γ e la Triquetra.
(Tav. III, N. 18).
I pochi e rarissimi bronzi conosciuti di M. Antonio e L. Sempronio Atratino portano tutti la testa di M. Antonio e d’Ottavia (V. Babelon, Sempronia N. 15 a 18). Quello ora descritto è quindi l’unico in cui appaja anche la testa di Ottavio accollata a quella di Marc’Antonio. Di straordinaria bellezza questo bronzo in confronto ai simili contemporanei, i quali generalmente ci pervennero in istato di assai cattiva conservazione, ci permette la lettura sicura e completa delle leggende sia nel diritto che nel rovescio, ciò che ne fa determinare la data dell’emissione tra Tanno 35 e il 36 a. C.; poiché Marc’Antonio porta il titolo di Imperator tertio (e fu appunto nel 36 a. C. che veniva salutato imperatore per la terza volta) mentre L. Sempronio Atratino non porta ancora il titolo di Consul (alla quale dignità fu nominato nell’anno 34), ma è semplicemente Consul designatus e non è ancor Praefectus Classis, titolo che accompagna il suo nome sulle monete posteriori, quando aveva assunto il comando della flotta di Sicilia.
La testa d’Ottavio accoppiata con quella di M. Antonio è giustificata dalla rinnovazione del triumvirato, avvenuta due o tre anni prima, ossia nel 38 a. C. e che durava tuttavia, la rinnovazione essendo stata fatta per cinque anni. Difatti le medesime teste di M. Antonio, Ottavio e Ottavia si ritrovano sui bronzi simili e quasi contemporanei appartenenti alla famiglia Oppia (Oppius Capito); a proposito delle quali monete accennerò come a qualche numismatico, fra cui al Riccio e anche al Cchen, fosse nato il dubbio che la terza testa, oltre a quelle di M. Antonio e d’Ottavia, potesse esser quella d’Antillo. Ma se tale dubbio poteva nascere non avendo sott’occhio che bronzi di cattiva conservazione, quali sono in generale, come già dissi, quelli che ci sono pervenuti di quest’epoca, non può più sussistere quando si osservi il nuovo bellissimo bronzo, nel quale i tratti e l’età della testa accoppiata a quella di M. Antonio sono riconoscibilissimi per quelli d’Ottavio. La moneta è di fabbrica Siciliana, come tutte le altre che portavano il nome di Atratino, e probabilmente dell’officina di Palermo.
SEPULLIA.
M. Antonius, P. Sepullius Macer.
(Anno 44 a. C.).
20. Denaro. — Dopo il N. 3 di Babelon (Sepullia).
D/ — Anepigrafe.
Testa velata e barbata di M. Antonio a destra. Da«vanti il bastone augurale, dietro il prefericolo.
R/ — P • SEPVLLIVS MACER
Cavaliere corrente a destra con due cavalli e col frustino alzato. Nel campo una Corona.
(Tav. III, N. 9).
Babelon al N. 2 dell’Antonia e al N. 8 della Sepullia descrive un denaro molto simile a questo; ma segna nel campo del rovescio: “una palma e una corona”, il che credo un errore di descrizione, mentre nel disegno che l’accompagna non esiste che la palma. E tale, ossia colla semplice palma, è il denaro descritto da Cohen nelle sue Monete Consolari (Tav. XXXVII N. 11) concordante colla descrizione data da altri autori e coi denari esistenti. La corona appare in altri denari appartenenti alla famiglia Sepullia e precisamente in quello che porta al dritto la testa velata di G. Cesare (Bab. Julia 51 e Sepullia 6) e nell’altro pure riferentesi a Giulio Cesare col tempio al rovescio e la leggenda CLEMENTIAE CAESARIS (Babelon, Julia 52 e Sepullia 7), i quali due denari hanno un rovescio analogo al nostro, ossia il desultor corrente. Ma negli esemplari finora conosciuti colla testa di Marc’Antonio è sempre la palma che figura al rovescio. Certo che i due emblemi hanno a un di presso il medesimo significato, alludendo al premio dei giuochi, e pare che si sia adoperato or l’uno or l’altro indifferentemente.
L’accoppiamento dei due simboli in una sola moneta non lo trovo che in un denaro di Giulio Cesare col tempio, il quale appunto per questo forma una nuova variante di quello finora conosciuto. Eccone la descrizione:
J. Caesar et P. Sepullius Macer.
(Anno 44 a. C.).
21. Denaro. — Dopo il N. 7 di Babelon (Sepullia).
D/ — CLEMENTIAE CAESARIS
Tempio a quattro colonne.
R/ — P • SEPVLUVS MACER
Cavaliere corrente a destra con due cavalli e col frustino alzato. Dietro nel campo una Corona e una Palma.
(Tav. III, N. 10).
TITURIA.
L. Titurius L. F.
(Anno 88 a. C).
22. Asse. — Variante del N. 7 di Babelon.
D/ — Testa di Giano.
R/ — L • TITVRI L • F • in alto, SABN al basso (AB in nesso).
Prora di nave a destra.
23. Asse. — Altra varlante.
Il medesimo asse con SABIN (AB in nesso).
24. Asse. — Dopo il N. 7 di Babelon.
D/ — Testa di Giano.
R/ — SABINVS al basso.
Doppia prora di nave a destra. Davanti a questa il segno dell’asse.
Si potrebbe supporre che al disopra delle prore dovesse esistere il resto della leggenda L • TITVRI L • F • come negli assi precedenti, eppure dal mio esemplare quantunque battuto accentrato e di discreta conservazione non appare alcuna benché minima traccia di parole nella parte superiore. Inclino quindi a credere che la sola leggenda di questo asse sia SABINVS, nome glorioso che poteva bastare da solo a identificare la famiglia Tituria, la quale vantava come il più illustre de’ suoi antenati il re Sabino Tito Tazio.
Il tipo della doppia prora è nuovo negli assi della Tituria.
VIBIA.
C. Vibius, C. f. Pansa.
(Anno 90 a. C).
25. Denaro. — Varietà del N. 4 di Babelon.
D/ ― PANSA
Testa d’Apollo a destra coronata d’alloro. Davanti un mollusco (?).
R/ — C • VIBIVS C • F •
Pallade con uno scettro nella destra e un trofeo nella sinistra in una quadriga veloce a sinistra è coronata da una Vittoria che le vola incontro, al disopra dei cavalli.
(Tav. III, N. 11).
Questo denaro, uno dei meno comuni della famiglia Vibia, sconosciuto a Cchen, è descritto da Babelon, ma senza simbolo.
Note
- ↑ Vedi questi stessi appunti alla famiglia Julia.
- ↑ Gazzetta Numismatica di Como. Anno 1886.
- ↑ Probabilmente il medesimo che Babelon descrive al N. 8 (Oppia) come appartenente al Museo Britannico.
- ↑ Giacchè è ormai generalmente provato e ammesso che la grande maggioranza delle monete suberate, così abbondanti a certi periodi della repubblica, non sono il prodotto di privati falsarli; ma bensì una falsificazione ufficiale causata dalle strettezze del pubblico erario.
- ↑ On a donc la certitude que, dans la tradition romaine, le denier anonyme était de la gens Horatia. Babelon, Op. cit., pag. 544.
- ↑ V. Babelon, Restituzioni, N. 23 e 24.
- ↑ «Quis fuerit ille ex ejus posteris (di Orazio Coclite) qui nummum hunc feriundum curavit, divinari nequit» Eckhel. Doctrina numorum veterum. Vol. V, pag. 225.
- ↑ Babelon cita questo denaro in una nota alla famiglia Terentia e lo dà positivamente come ibrido. Non vedo però una seria ragione che impedisca di poterlo ritenere un denaro legittimo, appartenuto fors’anche a un altro L. Sempronio sconosciuto.