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160 | francesco gnecchi |
e in seguito a questi confronti si venisse generalmente alla conclusione che quelle due lettere fossero veramente due e o per lo meno tale fosse l’ultima, e anche Cohen aveva lasciata la cosa in forma dubitativa. Nella prima ipotesi si rinunciava a spiegarle non trovandosi una spiegazione soddisfacente; nella seconda poteva accettarsi la spiegazione m. antonivs marci filivs eqves, la quale se non si può dire che si reggesse centum pedibus, aveva però una certa quale apparenza di verità e qualche analogia con leggende simili, p. es. con quella di Nerone: equester ordo.
Malgrado tutto ciò a Cavedoni parve che se si fosse letto f • f • l’interpretazione sarebbe corsa assai più naturale, e lesse appunto f • f • colla voce filivs ripetuta onde distinguere il figlio dal padre omonimo e pure figlio di un Marco. Questa interpretazione fu adottata anche da Babelon, il quale però, onde accrescer forza a tale opinione, ha creduto opportuno di fare una piccola correzione al disegno della moneta, amputando i due piccoli tratti inferiori delle due lettere finali.
Chi osserva il disegno dell’aureo — è l’identica incisione adoperata per la seconda edizione delle monete imperiali di Cohen (Vol. I, pag. 58) — si accorge facilmente che, passando da questo volume a quello delle Monete Repubblicane di Babelon (Voi. I pag. 193), perdette nelle due lettere finali i due tratti inferiori, che prima erano forse eccessivamente marcati, e le due lettere divennero decisamente due f . . . il che prova che le riproduzioni dal vero sono sempre di gran lunga preferibili, perchè dove ha a che fare la mano dell’uomo, l’interpretazione individuale esercita sempre la sua influenza...
Ma le appendici a quelle due lettere finali ci sono