Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena/Schede
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Schede
Note alle schede
Abbreviazioni: h altezza; lung. lunghezza; larg. larghezza; spess. spessore; l. linea; ll. linee.
Le misure, salvo diversa indicazione, sono espresse in centimetri.
Autori:
Nicoletta Giordani (schede n. 6-8, 25)
Silvia Pellegrini (schede n. 1-5, 9-14, 16— 24)
Roberto Tarpini (scheda n. 15)
Milena Ricci ha curato la trascrizione, traduzione e commento di tutti i testi epigrafici (schede n. 1, 2, 4-7, 9, Il, 14, 15, 18-20, 22— 24)
1. Stele di Publius Seppius Faustus
- inizi I secolo d.C.
La stele, del tipo a timpano, presenta alcune sbeccature in corrispondenza del lato sinistro del frontone e dello specchio epigrafico. E leggermente rastremata verso l’alto ed è levigata soltanto nella parte superiore, mentre la parte inferiore da fissare nel terreno è rozzamente sbozzata. La stele è sormontata da un basso frontone ritagliato a spioventi riquadrati da un sottile listello, che racchiude anche lo specchio epigrafico ribassato.
La stele è stata rinvenuta, insieme a quella di Caius Betilienus Sila, nel 1965 in viale Gramsci-angolo via Toniolo, durante gli scavi per le fondazioni di un edificio.
Testo epigrafico:
V(ivus) P(ublius) Seppius P(ublz) l(ibertus) /Faustus sibi et suis / v(ivis) P(ublio) Seppia P(ubli) l(iberio) Lepido / et Severae concub(inae) / in agr(o) p(edes) XII in fi(onte) p(edes) XI
Ancor vivo Publio Seppie Fausto, liberto di Publio, (posa il monumento) per se stesso e per i suoi ancora vivi: Publio Seppio Lepido, liberto di Publio, e la concubina Severa. (L’area sepolcrale misura) in profondità 12 piedi (m 3,5), sul lato principale 11 piedi (m 3,2) (= mq 11,5).
Ductus a sezione triangolare, caratteri di forma regolare, con ricerca d’eleganza. Le P hanno occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, le S hanno occhielli simmetrici.
Publius Seppius Faustus, che dedica il monumento a se stesso, al compagno di manomissione Lepidus e alla concubina Severa, nel nome denuncia 1a propria provenienza: infatti il gentilizio Seppius, documentato per la prima volta nella Regione VIII da questo personaggio, risulta maggiormente diffuso nel Sannio, nell’Irpinia,nel Molise e nel Matese, zone di reclutamento dei soldati contadini italici premiati da Augusto con assegnazioni di terre nella fertile campagna emiliana. I cognomi Faustus, Lepidus e Severa, semplici nomi da schiavi, potrebbero riflettere il carattere
dei tre personaggi.Misure
h 204; larg. 68; spess. 30
Lettere: l.l h 6; l.2 h 4,8; l.3 h 4,5; l..4 h5; l..5 h 4-4,5
Inventario
n. 6034
Bibliografia
Rebecchi 1968, p. 285, nota 9; Rebecchi 1969, pp. 267-269; Mutina 1988, II, p. 449, scheda ’ MOU 340 (N. Giordani); Mutina 2001, rinvenimento 340.
2. Parte di monumento funerario a corpo cilindrico di Publius Aurarius Crassus
- fine I secolo a.C.
Lastra curvilinea originariamente inserita nel paramento del corpo cilindrico del monumento. La parte esterna è levigata mentre quella posteriore è solo sbozzata; il blocco è stato danneggiato probabilmente in fase di recupero e presenta solchi e numerose sbeccature. I lati brevi e le due corone orizzontali sono accuratamente rifiniti lungo i bordi. Negli spigoli superiori, a circa 10 centimetri dalla fronte, si trovano gli incavi per le grappe. La curvatura del blocco consente di ipotizzare che il tamburo del monumento avesse un diametro di circa m 5,30. Il reperto è stato recuperato prima degli anni Settanta in occasione di interventi di natura imprecisata in viale Gramsci, si è ipotizzato nelle vicinanze dell’ex Mercato Bestiame.
Testo epigrafico:
P(ublius) Aurarius P(ubli) f(ilius) Pol(lia tribu) Crass[us]/ tr(ibunus) mil(itum) (sex)vir aid(ilis)
Publio Aurario Crasso, figlio di Publio, iscritto alla tribù Follia, tribuno dell’esercito, seviro, edile.
Ductus a sezione triangolare, regolare e profondo, con belle lettere in capitale quadrata, leggermente apicate; da notare la caratteristica forma delle P ad occhiello aperto; le R incurvano il piede d’appoggio, le lettere tonde recano al centro il segno del compasso; compare la sopralineatura del numerale nell’indicazione del sevirato.
L’iscrizione conserva il ricordo della carriera percorsa da Publius Aurarius Crassus, di nascita libera e appartenente alla tribù Pollia: ufficiale di una coorte ausiliaria, o forse anche di una legione, dopo la honesta missio, ovvero il congedo, rientrò in patria e ottenne per i suoi meriti la carica di edile, una delle più importanti funzioni amministrative municipali. Il grado militare di seviro, raggiunto forse durante le guerre civili, gli consentì di accedere alla carriera equestre. Tornato in patria, si occupò probabilmente dell’addestramento del corpo degli iuvenes, giovani dediti ad attività atletiche e paramilitari, destinati ad entrare nella classe dirigente a sostegno della politica imperiale. 11 gentilizio Aurarius è raro, ma conosciuto anche nella Cisalpina; appartiene probabilmente a quella classe di nomi che risalgono alle attività artigianali.
Misure
h 75; larg. 163; spess. 30
Lettere: ll.1-2h 9,5
Inventario
n. 169793
Bibliografia
Rebecchi 1975, pp. 216-219; Bergonzoni, rebecchi 1976, pp. 225-236; Rebecchi 1976, pp. 238-243; Ortalli 1986, p. 114; Mutina 1988, 11, pp. 449-450, scheda MOU 341 (D. Labate); Rebecch1 1988, pp. 378-379; Ortalli 1997, p. 364; Mutina 2001, rinvenimento 341.
3. Parte di basamento di monumento funerario a corpo cilindrico
- fine I secolo a.C. - prima metà I secolo d.C.
I due blocchi, ricomponibili, sono pertinenti alla base modanata di un monumento funerario a corpo cilindrico. Sono ornati da un kyma lesbio stilizzato. I due frammenti erano in origine collegati da grappe di piombo, di cui restano gli incavi alle estremità superiori di ognuno. Il monumento funerario era di notevoli dimensioni, con un diametro ricostruibile di metri 3,20.
I due elementi sono stati recuperati nel 2001 in seguito agli scavi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo, tra via Emilia Est e via Pelusia.
Misure
h 51; larg. 115; spess. 115;
h 51;1arg. 98; spess. 48
Inventario
n. 169794
4. Stele di Caius Purpurarius Nicephor
- fine I secolo d.C.
Stele parallelepipeda decorata da un timpano. Lo specchio epigrafico corniciato è profondamente ribassato. La parte inferiore della stele, destinata all’infissione nel terreno, è appena sbozzata.
La stele è stata rinvenuta ancora in posto nel 2001 in seguito agli scavi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo, tra via Emilia Est e via Pelusia.
Testo epigrafico:
V(ivus) f(ecit)/ C(aius) Purpura/rius Nicephor/ sibi et uxoribus /filisfiliabus/ libertis liber/tab(us) servis ser/vab(us)/ in fi(onte) p(edes) XV in a(gro) p(edes) XXX
Ancor vivo fece Caio Porporario Niceforo, per sé e per le mogli, per i figli e le figlie, per i liberti e le liberte, per i servi e le serve. (L’area sepolcrale) misura sulla fronte 15 piedi (m 4,4) e in profondità 30 piedi (m 8,8) (= mq 39,4).
Caratteri in capitale quadrata e ductus a sezione triangolare; ricerca coloristica nelle apicature e nell’esecuzione delle I e delle l’ leggermente più alte delle altre lettere; le P hanno occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, anche in prossimità della cornice dello specchio epigrafico; le B hanno occhielli dissimili quando compaiono in caratteri di corpo maggiore, nelle parti del testo volutamente evidenziate, mentre presentano occhielli simmetrici nei caratteri di corpo minore (ll. 6-7). Da notare l’uso del nesso PH in Nicephor.
Il dedicante volle accomunare nella stessa sepoltura le mogli e tutta la sua famiglia allargata fino agli schiavi. Da notare l’omissione del patronimico e del patronato, nel tentativo forse di adombrare il passato servile, di cui il cognome Nicephor è comunque un indizio. Il gentilizio del personaggio potrebbe derivare dalle attività artigianali, in questo caso legate alla lavorazione della lana, una delle principali risorse economiche di Mutina, ricordata da Strabone, Columella, Plinio e Marziale. A Modena sono quattro le iscrizioni che nominano i vestiarii (fabbricanti e commercianti di abiti) ed una sola che testimonia la presenza di lanarii (lavoranti e commercianti di lane). Marziale ricordava anche un fullo, ovvero il titolare di un laboratorio specializzato nel lavaggio e tintura dei tessuti, tanto ricco da dare a Modena spettacoli pubblici a proprie spese.
Il purpurarius si occupava principalmente della tintura, dopo le fasi della sgrassatura e del candeggio delle lane.
Misure
h 152,5; larg. 65; spess. 33
Lettere: l.l h 5,5-6,5; l.2 h 6,5-7; l.3 h 5-6 (la 0 h 2,5); l.4 h 5-5,5; l.5 h 5-6; l.6 h 5 (la B di lib h 4,5; la I h 6); l.7 h 4,5; l.8 h 5; l.9 h 4,5-5
Inventario
n. 169795
5. Stele di Domitia Nicarium
- I secolo d.C.
Stele parallelepipeda, priva di corniciatura, culminante a timpano. Conserva un frammento del piede per l’infissione nel terreno.
Rinvenuta ancora in sito nel marzo 2000, in seguito agli scavi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo, tra via Emilia Est e via Pelusia.
Testo epigrafico:
Domitia C(aiae) l(iberta)/Nicarium sibi et/ T(ito) Propertio T(iti) l(iberta) Acanta/ viro suo fecit/ In f(ronte) p(edes) XII, in ag(ro) p(edes) XII
Domizia Nicario, liberta di Caia, fece a se stessa e a suo marito Tito Properzio Acanto, liberto di Tito. (L’area sepolcrale misura) sul lato principale 12 piedi (m 3,5) e in profondità 12 piedi (m 3,5) (= mq 12,6).
Ductus a sezione triangolare, caratteri in capitale quadrata. Da notare l’uso del nesso NT nel cognome Acantus e della C rovesciata per l’indicazione del matronato.
I gentilizi dei personaggi sono noti nella Regione VIII; il cognome Nicarium, diminutivo di Nike, e il cognome Acantus rimandano ad un’origine greca. Marito e moglie sono entrambi liberti, ma evidentemente sono stati liberati da patroni diversi.
Misure
h 156; larg. 69; spess. 18
Lettere: l.l h 7-7,5; l.2 h 7 (la T di et h 8,5); l.3 h 6 (la T di et h 8); l.4 h 5,5 (la T di fecit h 6,5); l.5 h 6
Inventario
n. 169796
Bibliografia
Mutina 2001, rinvenimento 350.
6. Stele di Lucius Rubrius Stabilio Primus
fine I secolo a.C. - prima metà I secolo d.C.
La stele a pseudoedicola su basamento è ricomposta da due frammenti, lacunosa nell’angolo acroteriale sinistro e alla sommità del timpano, ornato con ogni probabilità da un elemento decorativo a pigna. Poggia su di un basamento quadrangolare al quale è ancorata da due grappe fissate con colature di piombo sui due lati brevi. La fronte è ripartita in tre zone distinte: in alto il timpano con gorgoneion reso a rilievo schiacciato, sotto i ritratti di due coppie di defunti, più in basso lo specchio epigrafico. I ritratti del padre e della madre del dedicante sono scolpiti all’interno di due nicchie evidenziate da archetti. Nella sottostante cavità rettangolare è raffigurato il dedicante, Lucius Rubrius Stabilio Primus accanto alla compagna. I nomi dei personaggi sono incisi sulle fasce risparmiate in alto e sotto i ritratti. Nelle cornici laterali sono scolpiti girali vegetali stilizzati.
I ritratti sono contraddistinti da una certa caratterizzazione fisiognomica. I genitori di Stabilio rivelano una espressione severa, accentuata dalla fissità dello sguardo, dalle sopracciglia inarcate e dalla cavità orbitale fortemente chiaroscurata. I busti femminili hanno il collo cilindrico, acconciatura a ondulazioni longitudinali e scriminatura centrale. La donna più anziana ha le ciocche raccolte ai lati del viso. Lo specchio epigrafico sottostante contiene l’iscrizione inquadrata da due colonnine tortili con capitello corinzio.
Nei due lati brevi un elegante girale di foglie d’acanto è delimitato da una sottile lesena sormontata da capitello corinzio stilizzato. In alto, si trovano altri due ritratti, uno femminile ed uno maschile, appartenenti ai due fratelli del dedicante. La nicchia laterale destra, che racchiude il busto femminile, è sormontata da un frontoncino corniciato e fiore quadripetalo con bottone centrale nel campo. La capigliatura del personaggio maschile ha il volto triangolare incorniciato da una corona di riccioli. Rinvenuta a Modena, in via Emilia Estangolo via Pelusia, nel 1999, nel corso di indagini archeologiche preliminariLa tipologia si confronta con attestazioni di età giulio-claudia, note in Cisalpina (Arte e Civiltà romana, 1, tav. XXIV, 52; tav. XLI, 85; tav. XCVI, 195). Stele a edicola con ritratti sono particolarmente diffuse, oltre che in ambito regionale, soprattutto nell’area ravennate e deltizia, nelle zone del Veneto e dell’alto adriatico, territorio collegato a Mutina da una rete itineraria che favoriva i percorsi commerciali e la circolazione di materiali e modelli artistici (Mansuelli 1967, nn. 1-2, 5-6, 8, 11-12; Sena Chiesa 1997, p. 302, fig. 15).
Testo epigrafico:
L(ucio) Ru(brio) Stabil(ioni) (pat)ri / Iuliae Gratae matri/ L(ucius) (Ru)brius L(uci) fi(ilius))/ Stabilio/ Primus tonsor/ Mutin(ae) Apal(linuris)/ sibi et Methen(ae)/ libert(ae)/ et suis v(ivus) f(ecit)/p(edes) q(uaquoversus) XII)
Sul fianco destro:
Iuliae Friso/ae soror(i)
Sul fianco sinistro:
C(aio) Iulio Sp(urii) f(ilio)/ Tertio frati
Al padre Lucio Rubrio Stabilione (e) alla madre Giulia Greta fece ancor vivo Lucio Rubrio Stabilione Primo, figlio di Lucio, tonsore, Apollinare di Modena, per sé e per la liberta Methena. Su entrambi i lati (l’area misura) 12 piedi romani (= mq 12,6). _
Sul fianco destro: alla sorella Giulia Prisca (fece).
Sul fianco sinistro: al fratello Caio Giulio Terzo, figlio di Spurio (fece).
L’ordinamento del testo è abbastanza curato, anche se il lapicida ha dovuto trovare soluzioni di adattamento (come la riduzione di altezza della parola tonsor in fine di riga) a spazi abbastanza limitati rispetto al corpo dei caratteri prescelto, piuttosto grande e appariscente; la ricerca coloristica è nel ductus & sezione triangolare, nell’interpunzione a coda di rondine, nelle lettere slanciate, con le T prolungate oltre il binario superiore e le P ad occhiello aperto, le B e le S ad occhielli non simmetrici. Da notare l’uso dei nessi TH nel nome Methena (l.7) e RT nell’appellativo liberta (l.8).
Lucius Rubrius Stabilio Primus, figlio di Lucio, erige il monumento ancor vivo a tutta la sua famiglia: ai genitori, alla liberta e compagna Methena, e anche ai fratelli, ritratti sui fianchi della stele. L’onomastica di questi due ultimi personaggi, appartenenti entrambi alla gens Iulia, la stessa della madre, sembra suggerire una paternità diversa per questi ultimi, figli di Grata e di Spurius, prenome usato anche per indicare la nascita illegittima. Il dedicante assume in toto l’onomastica paterna, e si distingue per il cognome Primus, che richiama la primogenitura.
La professione di tonsore era evidentemente abbastanza considerata se, grazie ad essa, Primus poté accedere alla corporazione modenese degli Apollinares, importante collegio addetto al culto imperiale in ambito municipale.
Probabilmente il tonsor svolgeva un’attività di mediazione tra produttori, artigiani e commercianti di lane, industria fiorente nel territorio compreso tra Parma e Modena. Appare meno convincente l’ipotesi, anche se non ci sono ragioni per escluderla, che il personaggio fosse un barbiere, attività che veniva svolta nelle botteghe e nelle terme.
Misure
Stele: h 221; larg. 60; spess. 27-30
Basamento: h 76; larg. 110; spess. 79
Lettere sulla fronte: 1.1 h 5; 12 h 5; 1.3 h 6; 1.4 h 68; 1.5 h 6 (la 0 h 2,5); 1.6 h 6 (la T h 7,5); 1.7 h 6,5-7 (la T h 8); 1.8 h 4,5-5; 1.9 h 4,5-5 (la T h 5,5); 1.10 h 6,5-7; sul fianco destro: 1.1 h 2,8; 1.2 h 2,5-2,6; sul fianco sinistro: 1.1 h 3-3,5; 1.2 h 2
Inventario
n. 169797
Bibliografia
Giordani 2000, pp. 431-432; Mutina 2001, rinvenimento 350.
7. Stele di Caius Fadius Zethus
Stele monumentale centinata. L’arco e lo specchio epigrafico sono riquadrati da cornice modanata. Nello spazio sommitale è scolpita una rosetta a doppia corolla quadripetala con bottone centrale, affiancata da due rosette più piccole con corona semplice a cinque petali. Al di sotto, entro riquadro compreso tra l’arco e lo specchio epigrafico, sono raffigurati due grifi affrontati ai lati di un kantharos. Questi elementi figurati rappresentano un richiamo simbolico al mondo dell’oltretomba. Ai lati dello specchio epigrafico due sottili paraste con capitello corinzio stilizzato sono rese a rilievo bassissimo. La stele è infissa sul proprio basamento quadrangolare al quale è ancorata da grappe di piombo. Sulla superficie lapidea si colgono evidenti tracce di lavorazione.
Dal punto di vista stilistico la finezza degli elementi lineari della cornice e delle esili paraste eil delicato naturalismo dei fiori contrasta coni grifi, scolpiti con una durezza che poco concede ai particolari, e con i contorni sommari del kantharos. Forse questi ultimi elementi si possono considerare una integrazione richiesta dalla committenza, applicata da maestranze locali su di un monumento il cui apparato decorativo di serie era già realizzato.
Rinvenuta nel 1998 in via Bonacini, durante la costruzione del collettore fognario di Levante. Si trovava in sito nell’area della necropoli orientale di Mutina a circa 10 metri dal fronte nord di via Emilia Est, che in quel tratto coincide con la strada consolare romana (Giordani 1998).
La stele rappresenta un unicum, per tipologia ed insieme decorativo, nel pur vasto panorama dell’architettura funeraria di Mutina. Le attestazioni note fino ad ora sono riferibili ad elementi angolari di recinto funerario, come i cippi gemelli di Visinia Baccis (CIL XI, 947;
Giorgi 1938, nn. CXXI, CXXIII) e di Publius Clodius (Mutina 1988, II, pp. 451-453, scheda MOU 344 (N.Giordani). Sono documentati inoltre esemplari di ridotte dimensioni, come laTesto epigrafico:
V(ivus) f(ecit) / C(aius) Fadius Zethus/ sibi et / Dis Manib(us) Faltoniae / Dorcadis uxoris/ piissimae / fil(iis) fil(iabus) lib(ertis) lib(ertabus) / in fronte p(edes) XXIII! / in agr(o) p(edes) XXVIII
Caio Fadio Zeto dedica il monumento ancor vivo a se stesso e agli Dei Mani della moglie piissima Faltonia Dorcas, ai figli e alle figlie, ai liberti e alle liberte. (L’area sepolcrale misura) sulla fronte 24 piedi (m 7), in profondità 28 piedi (m 8,2) (= mq 58,8).
Ductus a sezione triangolare, regolare, ma non molto approfondito; caratteri capitali quadrati, apicati, stretti e allungati, regolari alle ll. 1-2, più approssimativi alle linee successive.
Interpunzione a coda di rondine. Le P hanno occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, le S hanno occhielli simmetrici.
La notevole estensione dell’area sepolcrale risulta proporzionale allo stato sociale ed economico raggiunto dal dedicante, probabilmente un liberto, dal cognome abbastanza diffuso in area emiliana, e dal gentilizio recentemente confermato anche nell’epigrafia mutinense (cfr. CIL XI, 845).
Il cognome della moglie è di origine greca; il nome ricorre con alcune varianti nella Regione VIII.
Misure
Stele: h 253; larg. 74; spess. 24
Basamento: h 32; 1arg. 103,5; spess. 91,5
Lettere: l.1 h 8; l.2 h 7,5; ll.3-5 h 5; l.6 h 4; ll.7-8 h 2,5
Inventario
n. 169792
Bibliografia
Giordani 1998; Aemilia 2000, pp. 435-436, scheda N. Giordani, M. Ricci; Mutina 2001, rinvenimento 358.
8. Parte di monumento funerario con raffigurazione di prora di nave
fine I secolo a.C.
Il blocco lapideo è lavorato a forma di prora di nave rostrata. Sormonta i rostri una protome ferina, forse di lupo, che tiene tra i denti un anello. Ai lati dei rostri sono raffigurate armi corte da taglio del tipo in uso in età repubblicana (Feugère 1993, p. 79, fig. 2,1). La prora poggia su di un basamento modanato, desinente in due pulvini, sottolineati da un listello a rilievo; nelle volute è raffigurato un volatile che stringe nel becco una lucertola. Una fila di astragali ed un giro di semiovoli con fiocchetto al centro decorano la modanatura. La superficie lapidea è rifinita sommariamente sulla fronte e presenta evidenti tracce di strumenti di lavorazione; il retro non è lavorato.
La resa plastica della protome emerge con particolare evidenza sulla decorazione scultorea accessoria, resa a rilievo bassissimo, con tecnica estremamente raffinata, che richiama i lavori a sbalzo su metallo diffusi in età augustea.
Rinvenuto nel 1998 in via Emilia Est, all’incrocio con via Bonacini e via Cucchiari, insieme ad altri resti di monumenti funerari romani di età protoimperiale riutilizzati come massicciata o banchina ai lati di un ripristino della via Aemilia di epoca tardoantica. L’area gravitava sulla necropoli orientale di Mutina, alla quale si riferiscono irecuperi di materiale lapideo (Giordani 1998)
La prora di nave con rostri è un’immagine particolarmente diffusa nel mondo romano: evocatrice di vittorie determinanti nella storia politica di Roma (Zanker 1989, pp. 88-91, fig. 63; Aemilia 2000, p. 228). Il motivo compare anche in apparati decorativi a valenza puramente ornamentale. Nel repertorio della scultura funeraria può assumere una connotazione personale,“quale richiamo all’attività svolta in vita dal defunto. Sono noti elementi di navi rostrate appartenenti a monumenti funerari a Ostia, Cirene (Ostia 1958, pp. 202, 206-207, tav. XXXII, 1,3; tav. XLII, I) ed Aquileia (Ostia 1958, tav. XXXII, 4; Scrinari 1972, pp. 192-193, n. 599, fig. 599). Una delle navi rostrate aquileiesi sorreggeva un cinerario marmoreo ed è stata posta in relazione con la statua in nudità eroica, appoggiata a corazza, riferita ad un navarca, membro del senato cittadino (Scrinari 1972, p. 28, n. 31; Verzar Bass 1983, pp. 214-215, tav. XXI). Sulla base dell’affinità iconografica si può supporre che anche l’esemplare modenese facesse parte di un monumento funerario dedicato ad un comandante di flotta. Un significato funerario si riconosce anche nel motivo del volatile, che compare su altri monumenti modenesi. Ad esempio i due volatili scolpiti a rilievo nei pulvini dell’ara marmorea rinvenuta nella necropoli orientale (n. 10 in questo catalogo; Mutina 1988, II, pp. 451-452, fig. 507, scheda MOU 344, N. Giordani) e quelli incisi sulla fronte dell’ara di Q. Sosius Georgius (CIL XI, 915), conservata nel Museo Lapidario Estense di Modena. La prora di nave modenese si distingue tuttavia dalle altre attestazioni note per il vigore della realizzazione scultorea e per la particolare finezza dell’insieme decorativo.
Misure
h 66; larg. 75; spess. 26
Inventario
n. 169791
Bibliografia
Aemilia 2000, pp. 227—228 (scheda N. Giordani); Mutina 2001, rinvenimento 358.
9. Ara di Marcus Numisius Castor
II secolo d.C.
Ara a corpo parallelepipedo con base corniciata, composta da zoccolo, toro e gola rovescia, e modanatura superiore aggettante. L’ara era forse originariamente collocata su di un basamento formato da una o più lastre parallelepipede sovrapposte. Sulla fronte è l’iscrizione dei contubernales Marcus Numisius Castor e Quintus Velucius Verus.
Sui lati sono raffigurati i due personaggi vestiti di lunga toga, con un rotolo in mano; ai piedi delle due figure si trovano una capsa (contenitore per manoscritti) e un bacile. Il retro è sbozzato. Sul monumento poteva essere stato fissato un elemento decorativo verticale, probabilmente una pigna, come rivela l’incavo scolpito sulla sommità.
Fu recuperata, insieme ad altri monumenti funerari, trail 1963 e il 1964 in occasione degli scavi per la costruzione del Palazzo Alleanza Assicurazioni, in via Emilia Est 297, ad una profondità compresa tra metri 3,50 e metri 5.
L’ara trova numerosi confronti in area veneta (Ghedini 1980, nn. 69-70, pp. 159-161) e tra i monumenti di Aquileia (Scrinari 1972, n. 379, p. 129).
Testo epigrafico:
M(arcus) Numisius / Castor sibi et / Q(uinto) Velucio Vero/ contubern(ali) / t(estamento) p(onere vel poni) i(ussit)
Sul fianco sinistro:
M(arcus) N(umisius) C(astor)
Sul fianco destro:
Q(uintus) V(elucius) V(erus)
(Marco Numisio Castore ordinò con disposizione testamentaria di destinare (il monumento) a se stesso e all’amico e collega Quinto Velucio Vero.
Sul fianco sinistro:
Marco Numisio Castore.
Sul fianco destro:
Quinto Velucio Vero.
Il testo è inciso con lettere capitali quadrate di ottima fattura; interpunzione a foglia d’edera, ductus a sezione triangolare con ricerca coloristica nell’esecuzione dei caratteri, leggermente apicati; da notare la P ad occhiello aperto e la Q con coda discendente. Alla 1.3 la O finale risulta tuttavia più piccola delle altre lettere, spostata in alto per mancanza di spazio.
Il gentilizio Numisius è documentato a Mutina solo da un’altra iscrizione; resta isolato il gentilizio Velucius.
L’appellativo di contubernales fa riferimento al legame fra i due defunti, forse due veterani vissuti nello stesso corpo di truppa e uniti da una salda amicizia ed intimità anche nella vita civile.
Misure
h 158; larg. 102,5; spess. 98
Lettere sulla fronte l.1 h 8,5; l.2 h 6; l.3 h 6,5 (la O finale h 3,5); l.4 h 6,5; l.5 h 6; sul fianco destro: h 2; sul fianco sinistro: h 2
Inventario
n.169800
Bibliografia
Bermond Montanari 1965; Benedetti 1967, pp. 195—207; Gentili 1967; Bermond Montanari 1968; Gelichi, Malnaii, Ortalli 1986, pp. 608-610, scheda 69 (N. Giordani); Mutina 1988,11, pp. 450-452, scheda MOU 344 (N. Giordani); Rebecchi 1988, p. 383; Mutina 2001, rinvenimento 344.
10. Ara anepigrafe
metà I secolo d.C.
Ara a corpo parallelepipedo priva di iscrizione, con base sagomata su alto zoccolo e modanatura superiore aggettante composta da una cornice ad ovoli e fiocchetti tra cornici lisce. Sul piano superiore sono scolpiti due pulvini fasciati di lauro con testata decorata da un fiore centrale affiancato da un uccello con fiore nel becco. L’ara poggia su un basamento parallelepipedo.
Fu recuperata, insieme ad altri monumenti funerari, tra il 1963 e il 1964 in occasione degli scavi perla costruzione del Palazzo Alleanza Assicurazioni, in via Emilia Est 297, ad una profondità compresa tra metri 3,50 e metri 5.
Misure
Basamento: h 37; larg. 97; spess. 94
Ara: h 136; larg. 73,5; spess. 74,5
Inventario
n.5125
Bibliografia
Bermond Montanari 1965; Benedetti 1967, pp. 195-207; Gentili 1967; Bermond Montanari 1968; Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, pp. 608-610, 11. 69 (N. Giordani); Mutina 1988, II, pp. 450-452, scheda MOU 344 (N. Giordani); Rebecchi 1988, p. 382; Mutina 2001, rinvenimento 344.
11. Monumento funerario di Publius Clodius
primo venticinquennio del I secolo d.C.
Il monumento di Publius Clodius, databile alla tarda età augustea, era costituito da un recinto formato da quindici blocchi di pietra a sezione trapezoidale che probabilmente sormontavano un muretto di mattoni. Gli elementi lapidei recintavano il monumento su tre lati, lasciando libero il lato posteriore per l’accesso all’interno dell’area funeraria. Quelli disposti sulla fronte e iprimi due laterali sono dotati di fori a sezione circolare per l’inserimento di un elemento decorativo di bronzo o ferro, ora perdu— to. Iblocchi lapidei sono ricomponibili e restituiscono esattamente le misure del lotto sepolcrale riportate nelle iscrizioni dei cippi. Entro il recinto funerario era collocata l’ara parallelepipeda, che presenta alcune scalfitture nello spigolo destro della fronte e del retro, oltre a sbeccature sulla superficie epigrafica e sul retro, dovute probabilmente al recupero. Sulla fronte e sui lati del monumento corre un elegante kyma ionico ad ovoli bordati superiormente da un fregio continuo a girali d’acanto. Sul retro, lungo il margine superiore, si svolge un fregio dorico con metope, triglifi, bucrani e fiori. Sulla fronte del recinto funerario erano collocati due cippi, con identica iscrizione, che riportano le misure dell’area sepolcrale espresse in piedi romani. I cippi sono centinati e leggermente rastremati verso l’alto. Uno è quasi integro ed è danneggiato sulla superficie epigrafica da diverse solcatore dovute al recupero nel corso dello scavo, l’altro è conservato per oltre due terzi e presenta una sbeccatura sulla sommità.
Tutti gli elementi del complesso funerario furono recuperati, insieme ad altri monumenti sepolcrali, tra il 1963 e il 1964 in occasione degli scavi per la costruzione del Palazzo Alleanza Assicurazioni, in via Emilia Est 297, ad una profondità compresa tra m 3,50 e m 5.
Testo epigrafico:
Ara
P(ublio) Clodio M(arci) f(ilio) Pol(lia tribu) / centurioni / Iucundus l(ibertus) patrono et / sibi
Il liberto Giocondo (dedica il monumento) a se stesso e al patrono Publio Clodio, figlio di Marco, della tribù Follia, centurione.
Lo specchio epigrafico è levigato e molto curato. L’ordinamento e l’allineamento delle lettere denunciano l’alto grado di perizia raggiunto dal lapicida, così come l’esecuzione dei caratteri, in capitale quadrata, con ricerca coloristica nell’adozione del ductus a sezione triangolare ed interpunzione a coda di rondine. Le P recano l’occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, la T alla 1.3 è montante, in una ricerca stilistica d’eleganza, adeguata allo stile del monumento.
Cippi
V(iventis) /P(ubli) Clodi M(arci) f(ili) / Pol(lia tribu) / in fr(onte) p(edes) XV / in agr(o) p(edes) XXX
(Il monumento è di) Publio Clodio, figlio di Marco, della tribù Follia, ancora vivente. (L’area sepolcrale misura) sul lato principale 15 piedi (rn 4,4), in profondità 30 piedi (rn 8,8) (= mq 32,4).
La sigla V è attraversata da una sbarretta obliqua, un segno di troncamento abbastanza comune.
Nell’onomastica di Publius Clodius, di nascita libera, la funzione del cognome è assolta dal titolo di centurione, massima carica ricoperta da Clodius, messa in evidenza dal liberto Iucundus; anche questo personaggio rinuncia alla menzione completa del proprio nome, evidentemente ritenendo sufficiente l’indicazione del patronato. La gens Clodia è ampiamente rappresentata nella Regione VIII; a Mutina compare per ben cinque volte. I due cippi riportano il nome del dedicatario dell’ara, Publius Clodius, figlio di Marco della tribù Follia, e le misure dell’area sacra. Sui cippi è ripetuta l’onomastica del dedicatario, ma i caratteri sono eseguiti più grossolanamente, nel rispetto comunque dell’ordinamento del testo.
Misure
Ara: h 106; larg. 180; spess. 58
Cippo a: h 67; larg. 50; spess. 16
Cippo b: h 90; larg. 46; spess. 17
Lettere: ara l.1 h 12; l.2 h 11; l.3 h 10; l.4 h l;
cippo a: ll.1-2 h 8; l.3 h 7,5; ll.4— 5 h 6;
cippo b: l.l h 9; l.2 h 8; l.3 h 7; ll.4-5 h 6
Inventario
Ara: 5122; cippo a: 5124; cippo b: 5123;
elementi del recinto: 5127-5138
Bibliografia
Violi 1964-65, p. 230; Bermond Montanari 1965; Benedetti 1967, pp. 195-207; Gentili 1967; Bermond Montanari 1968; Mansuelli, 1971, p. 197; Rebecchi 1971, pp. 207, 210-212, fig. 8; Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, pp. 608- 610, n. 69 (N. Giordani); Mutina 1988, II, pp. 450-452, scheda MOU 344 (N. Giordani); Rebecchi 1988, pp. 3813-8;2 Ortalli 1997, pp. 345-347, 358-360, figg. 16, 17; Mutina 2001, rinvenimento 344.
12. Parte di epistilio di monumento funerario a edicola
fine I secolo a.C.
I due frammenti ricomponibili facevano parte probabilmente dell’epistilio di un edificio funerario a edicola, come lascia supporre il confronto con i monumenti rinvenuti nella necropoli di Pian di Bozzo di Sarsina, dedicati a Murcius Obulaccus e a Aefionius Rufus (Ortalli 1997, pp. 322-327). La parte superiore è decorata da un motivo vegetale tra due listelli: da un cespo d’acanto centrale dipartono simmetricamente tralci vegetali con fiori e foglie. Al di sotto del fregio la superficie dei blocchi è decorata da una serie di fasce aggettanti delimitate superiormente da una modanatura. Nella parte superiore si conservano gli incavi per il fissaggio mediante grappe di piombo.
I blocchi sono stati recuperati, insieme ad altri frammenti di monumenti funerari, all’incrocio tra via Emilia Est, via Bonacini e via Cucchiari, a circa 4,50 metri di profondità, durante gli scavi per la posa del collettore fognario di Levante nel 1998. Erano stati reimpiegati come massicciata di contenimento o come banchina transitabile della via Aemilia di età tardoantica.
Misure
h 58; larg. 131; spess. 27;
h 58; larg. 54; spess. 27
Inventario
n. 169798
13. Parte di trabeazione di monumento funerario
seconda metà I secolo a.C.
Elemento di cornice rettilinea, composto da due blocchi, originariamente inserito nella trabeazione di un monumento funerario, probabilmente del tipo a dado. La corona compresa tra due fasce modanate ha nella parte inferiore un ornato a cassettoni incorniciati su tre lati da un motivo a semiovoli e fiocchetti. Sostengono la corona mensole lievemente aggettanti lisce. Dal lato più breve del frammento si stacca un timpano corniciato, di cui resta l’angolo dello spiovente di sinistra.
Il timpano sormontava la fronte del monumento, a costituire una sorta di quinta scenografica. Sulla sommità del blocco maggiore, al centro, è un incavo per l’inserzione di una grappa a sezione rettangolare (cm 10 X 2,8), mentre lungo i lati corti e sul margine del lato lungo posteriore si trovano due incavi a sezione quadrata (cm 2 x 2). Sulla sommità del blocco minore, sul margine del lato lungo posteriore è un incavo a sezione quadrata (cm 3 x 3).
I due blocchi sono stati recuperati, insieme ad altri frammenti di monumenti funerari, a circa 4,50 metri di profondità, durante gli scavi per la posa del collettore fognario di levante all’incrocio tra via Emilia Est, via Bonacini e via Cucchiari nel 1998. Erano stati reimpiegati come massicciata di contenimento o come banchina transitabile della via Aemilia di età tardoantica.
Misure
h 23; spess. 117,5; larg. 73;
h 23; spess. 86; larg. 73
Inventario
n. 169799
14. Stele di Caius Petronius Mantes
seconda metà I secolo d.C. - inizi II secolo d.C.
Stele parallelepipeda corniciata, dotata di piede di infissione frammentario, mancante di parte della cornice nelle estremità inferiori e dello spigolo destro. È stata ricomposta in corrispondenza delle spigolo inferiore sinistro. All’interno del frontone è inserito un fiore a quattro petali con bottone centrale; nei semiacroteri compare un motivo a palmetta affiancato da racemi.
La stele fu recuperata, insieme ad altri monumenti funerari, tra il 1963 e il 1964 in occasione degli scavi per la costruzione del Palazzo Alleanza Assicurazioni, in Via Emilia Est 297, ad una profondità compresa tra metri 3,50 e metri 5.
Testo epigrafico:
C (aius) Petronius/Montes aurifex/ decurio Mut(inae) / aurificibus et coniugibus / eorum et qui inter nos sunt locum / long(um) p(edes) XXVI lat(um) p(edes) XVI/ cum titulo et solea de suo dedit
Caio Petronio Mantes, orefice, decurione di Modena, agli orefici, alle loro mogli, e a coloro che esercitano (l’arte della oreficeria in Modena), uno spazio lungo 26 piedi (rn 7,9) e largo 16 piedi (m 4,7) (= mq 37), insieme al titulus (la dedica ed il complesso monumentale epigrafico, ovvero il titolo di possesso dell’area funeraria) e al suolo, con atto liberale donò.
Ductus regolare e ben curato, a sezione triangolare, interpunzione a coda di rondine. Epigrafe elegante, adeguata al classicismo della decorazione. I caratteri risultano variati per forma ed altezza, a seconda del rilievo assegnato alle parti del testo, con tendenza alla scrittura attuaria, più funzionale agli spazi ridotti (ll.4,5,7): le A presentano aste più o meno ricurve (ll. 2,4,7), le P hanno occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, le E e le F riducono le dimensioni dei tratti mediani, che si allungano obliquamente verso l’alto (ll. 4,5,7). E stato in ogni caso ottenuto l’effetto calligrafico.
Il collegio degli orefici, dopo quello dei lunari et carminatores di Brescello, èla seconda testimonianza nella Regione VIII di un collegio con finalità eminentemente funerarie.
Caius Petronius Montes, grazie alla ricca professione esercitata, pervenne alla massima carica municipale, quella di decurione, cioè di membro dell’ordo Mutinensium, che si occupava del governo della città. Non dimenticando gli obblighi derivanti dalle norme del collegio professionale d’appartenenza, eresse il monumento funerario a sue spese, per i colleghi e le loro famiglie, e per gli orefici che si trovassero a Mutina al momento della morte. Il gentilizio Petronius ricorre in altre sei epigrafi mutinensi. Il cognome Mantes è di origine greca.
Misure
h 152; larg. 61,5; spess. 17
Lettere: l.l h 5; l.2 h4; l.3 h 5; l.4 h 4; l.5 h 3; l.6 h 5; l.7 h 3,5
Inventario
n. 5126
Bibliografia
Violi 1964-65, pp. 229-230; Bermond montanari 1965; Benedetti 1967, pp. 195-207; Gentili 1967; Bermond Montanari 1968; rebecchi 1972, p. 189, fig. 3; Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, pp. 608-610, n. 69 (N. Giordani); Mutina 1988, II, pp. 450—452, scheda MOU 344 (N. Giordani); Mutina 2001, rinvenimento 344.
15. Stele di Numicia Pyrallis
fine I-inizi II secolo d.C.
La stele di semplice forma parallelepipeda, lunga e stretta, senza comice ed altra decorazione architettonica, presenta nella parte superiore una testa di gorgone scolpita in bassorilievo su superficie di fondo ribassata. Il volto appare piuttosto schiacciato, coni capelli che si espandono di lato. Un grosso foro circolare passante nella parte inferiore per— metteva l’inserimento di un paletto che aveva lo scopo di rendere più stabile l’infissione nel terreno.
La stele fa parte dei monumenti funerari recuperati negli anni 1963-1964 durante gli scavi per la costruzione del Palazzo Alleanza Assicurazioni, in via Emilia Est 297.
Testo epigrafico:
Numicia Pyr/allis locum / sibe et suis / filis filiabus lib(ertis) / lib(ertabus) servis servab(us)/ in fronte ped(es) XII/ in acrum p(edes) XII
Numicia Pyrallis (dedica) il luogo a se stessa e ai suoi familiari, figli e figlie, liberti e liberte, servi e serve. (L’area sepolcrale misura) sul lato principale 12 piedi (m 3,5), in profondità 12 piedi (m 3,5) (= mq 12,6).
Caratteri incisi con ductus a sezione triangolare, ma fortemente influenzati dalla scrittura corsiva.
Interpunzione mista, a coda di rondine e a foglia d’edera. Le lettere sono apicate e di forma allungata: le E, le F e le L accorciano i tratti mediani, le C sono lunate, le P hanno occhielli chiusi; sussiste comunque una ricerca di effetto calligrafico come è ben evidenziato dalla apertura dei bracci della Y alla l. 1. Gli occhielli della P e della R sono tracciati a doppio solco. Non è corretta la lezione sibe al posto di sibi, e di acrum al posto di agrum, ma anche il formulario fisso risente dell’influenza della lingua parlata.
L’onomastica della donna non riporta il prenome, che ufficialmente non compare mai, ma che veniva imposto anche alle bambine l’ottavo giorno dopo la nascita. Il gentilizio Numicius, Numisius è documentato a Mutina. Il cognome Pyrallis è di origine greca. L’omissione del patronato e del patronimico suggerisce la volontà della donna di adombrare la propria nascita e condizione.
Misure
h 90; larg. 20; spess. 9
Lettere: l.l h 4; Il. 2-7 h 3,5
Inventario
n. 15213
Bibliografia
Benedetti 1967, pp. 204-205, n. 22; Gentili
1967, p. 243; bermond montanari 1968;
Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, pp. 608-610, n.
69 (N. Giordani); Mutina 1988,II, pp. 451-452,
fig. 508, scheda MOU 344 (N. Giordani);
Aemilia 2000, pp. 223—224, n. 37 (R. Tarpini);
Mutina 2001, rinvenimento 344.
16. Parte di balaustra di monumento funerario a edicola
fine I secolo a.C. - metà I secolo d.C.
La lastra, decorata da un motivo a finta grata, faceva parte probabilmente di un monumento ad edicola prostila, di cui costituiva la balaustra collocata sul lato sinistro. Il frammento conserva parte della cornice che chiudeva la balaustra sulla sommità.
In epoca tardoantica / altomedievale il monumento venne reimpiegato nella sistemazione di un canale che fiancheggiava la via Aemilia. A Modena sono noti altri elementi di transenna di edicole prostile decorati a finta grata, come quello rinvenuto da Celestino Cavedoni e Cesare Costa fra il 1858 e il 1862 in via C. Battisti (Rebecchi 1988, p. 380, fig. 303; Mutina 1988, 11, p. 381, MOU 125).
Il frammento è stato recuperato alla profondità di metri 3-3,50 nel 1989 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, in seguito a lavori di ristrutturazione edilizia in via Emilia Est-angolo via Saliceto Panaro. Nello stesso intervento sono venuti in luce anche una dozzina di frammenti lapidei, di cui alcuni corniciati, riferibili a diversi monumenti funerari.
Misure
h 104; larg. 55; spess. 22
Inventario
n. 91436
Bibliografia
Giordani et al. 1993, p. 58; Mutina 2001, rinvenimento 322.
17. Ollario
fine I secolo a.C. - inizi I secolo d.C.
Ollario di marmo a base quadrata con coperchio a sezione triangolare.
Soltanto un lato è lavorato in modo da ottenere una superficie levigata, mentre gli altri sono appena sbozzati. Ai lati, sulla base e sul coperchio restano gli incavi per l’inserimento delle grappe di piombo per la sigillatura. All’interno dell’ollario sono state ricavate, nella base e nel coperchio, due cavità emisferiche complementari per l’alloggiamento dell’urna cineraria, costituita da un’olla di vetro azzurro.
Il reperto è stato recuperato nel 1989 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, in seguito a lavori di ristrutturazione edilizia in via Emilia Est - angolo via Saliceto Panaro. Nella medesima circostanza sono venuti in luce anche una dozzina di frammenti lapidei di cui alcuni corniciati, riferibili a diversi monumenti funerari.
Misure
Base: h 29; larg. 44; spess. 43
Coperchio: h28; larg. 44; spess. 43
Diametro incavo 29
Inventario
n… 91584
Bibliografia
Ortalli 1991, p. 172, nota 41; Giordani et al. 1993, p. 58; Mutina 2001, rinvenimento 322.
18. Stele di Marcus Vettius Clarus
II secolo d.C.
Stele centinata iscritta, priva di corniciatura. La parte superiore è stata ricomposta in seguito al restauro. La stele è stata realizzata con un blocco di reimpiego, probabilmente una soglia. Una profonda scanalatura a sezione rettangolare (lung. 95, larg. 5, spess. 3) è visibile sul lato sinistro. Il lato destro non sembra essere stato rilavorato e presentava già in origine una superficie levigata. Il blocco è stato scalpellato sulla sommità per ottenere il profilo centinaio.
Il monumento è stato rinvenuto ancora in sito nel 1999 in seguito agli scavi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo, all’incrocio con viale Moreali.
Testo epigrafico:
[M(arcus)] Vettius M(arci) / lib(ertus) Clarus / [s]ibi et suis / et Floreiae / P(ubli) lib(ertae) Lillusae / concubinae/ et libertis/ libertabus/ in agr(o) p(edes) XIIII / in f(ronte) p(edes) XII
Marco Vezio Claro, liberto di Marco, (fece) per sé e per i suoi, e per Floreia Lillusa, liberta di Publio, concubina, per i liberti e le liberte. (L’area sepolcrale misura) sulla fronte 14 piedi (rn 4), in profondità 12 piedi (rn 3,5) (= mq 14,7).
Caratteri regolari, tendenti alla scrittura corsiva, con ductus poco approfondito, a sezione triangolare; da notare alla 1.5 l’uso della C rovesciata al posto della S finale (libertis).
Misure
h 109; larg. 20; spess. 23,5
Lettere: l.1 h 3; l.2 h 2,5; l.3 h 2; l.4 h 2—2,5; l.5 h 2,5
(la O di concubina h 1,8); l.6 h 2-2,5; ll.7-8 h 2—2,5; ll.9-10 h 2-3
Inventario
n. 169801
19. Stele di Caius Fadius Amphio
I secolo d.C.
Stele parallelepipeda priva di corniciatura, sbeccata lungo il margine superiore e ai lati dell’iscrizione. Lo specchio epigrafico è leggermente ribassato. La parte superiore della stele è levigata, mentre quella inferiore, più larga, presenta la superficie appena sbozzata ed il foro per il fissaggio nel terreno a sezione circolare (diametro cm 15).
La stele è stata rinvenuta nel 1999 durante gli scavi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo all’incrocio con viale Moreali, insieme a sepolture ad incinerazione e ad altri monumenti funerari.
Testo epigrafico:
V(ivus) / C(aius) Fadius C(ai) [l(ibertus)] /Amphio sibi et / Decimiae Iollae (vel Pollae) l(ibertae)/ Iucunda[e]/ suisque omnibus / in fr(onte) p(edes) XII in agr(o) p(edes) XIIII
Da vivo (fece) Caio Fadio Anfione, liberto di Caio, per sé e per Decimia Gioconda, liberta di Iolla (o Polla) e per tutti i suoi. L’area sepolcrale misura sulla fronte 12 piedi (m 3,5), e in profondità 14 piedi (m 4) (= mq 14,7).
Ductus a sezione triangolare, con caratteri che diminuiscono in altezza dall’alto al basso; interpunzione & coda di rondine; P con occhiello aperto e E ad occhielli diversi, con ricerca coloristica nelle apicature.
L’iscrizione ricorda i nomi di due personaggi, legati da rapporto coniugale, oltre che dalla comune origine servile: Caius Fadius Amphio denuncia nel cognome di origine greca la propria provenienza. Il gentilizio Fadius è documentato a Mutina anche da recenti rinvenimenti. Decimia Iucunda è liberta di una donna, Iolla o più probabilmente Polla, prenome che allude al rapporto di matronato. Tuttavia il lapicida trascrive Iollat, confondendo le lettere iniziali e finali del nome.
Misure
h 215; larg. 44,5; spess. 29
Lettere: l.l h 6; l.2 h 5,7-6; l.3 h 5,5; l.4 h 4,5; l.5 h 3,8-4; ll.6-7 h 3,5-4
Inventario
n. 169802
Bibliografia
Mutina 2001, rinvenimento 326.
20. Stele di Marcus Pupius Rufus
I secolo d.C.
Stele parallelepipeda, danneggiata probabilmente durante il recupero, con scalfitture sullo specchio epigrafico e sheecature nella parte di infissione. E decorata da un timpano corniciato; all’interno del timpano e negli acroteri compare come unico motivo decorativo un fiore. Al di sotto del timpano è lo spazio riservato all’iscrizione, non riquadrate da alcuna cornice. Nella parte inferiore si trova un foro passante a sezione rettangolare per l’inserzione di un paletto stabilizzatore (cm 8 x 4). La stele fu probabilmente reimpiegata in epoca tardoantica come coperchio di sarcofago. Sul lato posteriore si notano infatti segni di rilavorazione a formare un blocco a sezione triangolare, alle cui estremità sono visibili i fori per l’inserimento di grappe metalliche, uno a sezione circolare (diametro cm 4), l’altro rettangolare. Anche la fronte della stele è stata scalpellata ai lati, tagliando gli angoli del frontone e il margine destro dell’iscrizione.
La stele è stata recuperata in via Rainusso 70-100 nel 1973, durante gli scavi per fondazioni nell’area di Palazzo Europa, alla profondità di circa metri 4,50 insieme ad altri reperti riferibili a monumenti funerari.
Testo epigrafico:
V(ivus) f(ecit) / s(ibi) e(t) s(uis) / M(arcus) Pupius M(arci) f(ilius) Rufus / Catienae Sp(urii) f(iliae) Secundae matr(i) / Catiena Sp(uriz) f(ilio) Obsequenti consob(rino)/ Allarme C(aiae) l(ibertae) Heuronomae conc(ubinae)/filis filiabus lib(ertis) libert(abus)/ in fro(nte) p(edes) XII in agr(o) p(edes) XII
Marco Pupio Rufo, figlio di Marco, ancor vivo (pose il monumento) per se stesso e per i suoi: per la madre Catiena Seconda, figlia di Spano, per il cugino Catieno Ossequiente, figlio di Spurio, per la concubina Allena Euronoma, liberta di Gaia, per i figli e le figlie, per i liberti e le liberte. (L’area sepolcrale misura) sul lato principale 12 piedi (m 3,5), in profondità 12 piedi (m 3,5) (= mq 12,6).
Tracce di ordinamento e di linee di guida, ma scarsa valutazione dello spazio da parte del lapicida o ripensamento da parte del committente: gli interlettera tendono a ridursi (cfr. ll.4-6) e il corpo dei caratteri diminuisce sul lato destro (cfr. l.5), tendendo a degradare dall’alto in basso. Ben cinque lettere compaiono negli spazi riservati all’ornato ed è frequente l’uso dei nessi (cfr. l.4). Da notare l’adozione della C rovesciata per l’indicazione del matronato. Ricerca di eleganza ed effetti coloristici nell’adozione del ductus a sezione triangolare, nelle lettere leggermente apicate e allungate (T montante), e nelle forme della P ad occhiello aperto, della R con piede incurvato, della S a curve simmetriche, della V con bracci di diversa inclinazione (cfr. ll. 3 e 8).
Il gentilizio Pupius è già noto nell’epigrafia modenese; gli altri due gentilizi, Catienus e Allenus, sono ricordati solo da questa lapide. Il cognome Heuronoma è di origine greca.
Misure
h 131; larg. 72; spess. 28
Lettere: (ai lati del timpano e al centro) h 5; l.1 h 7; l.2 h 5,2; l.3 h 5; l.4 h 5; l.5 h 4,5; l.6 h 4,5
Inventario
n. 15223
Bibliografia
Benedetti 1973, pp. 223-235; Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, p. 610, n. 71; Mutina 1988,11, pp. 448-449, scheda MOU 338 (N. Giordani); Mutina 2001, rinvenimento 338.
21. Parte di pulvino
fine I secolo a.C.
Il frammento di pulvino, probabilmente collocato alla sommità di un monumento funerario a dado, ha terminazione curvilinea a voluta, affiancata da una foglia di quercia a rilievo. Nella parte superiore è conservato l’incavo per l’inserimento della grappa di fissaggio.
Il blocco è stata recuperato in via Rainusso 70-100 nel 1973, durante gli scavi per le fondazioni di Palazzo Europa, alla profondità di circa metri 4,50 insieme ad altri elementi architettonici e stele.
Misure
h 28,5; larg. 49; spess. 43
Inventario
n. 15224
Bibliografia
Benedetti 1973, pp. 223-235; Mutina 1988, 11, pp. 448-449, scheda MOU 338 (N. Giordani); Ortalli 1997, p. 355, fig. 25; Mutina 2001, rinvenimento 338.
22. Stele di Caius Samius Crescens
fine II secolo d.C. - inizi III secolo d.C.
Stele parallelepipeda dotata di piede per l’infissione; presenta sbeccature lungo la cornice ai lati e negli spigoli inferiori. Nella parte superiore, entro un frontoncino, è resa a bassorilievo un’aquila; ai lati del timpano sono due delfini contrapposti. In basso, sotto l’iscrizione, è scolpito un motivo architettonico ad archi che racchiudono trofei militari: a sinistra un elmo e una spada, a destra uno scudo con incise due folgori e dietro una lancia. Gli elementi decorativi sono resi a rilievo bassissimo.
La stele fu recuperata nel 1961, in seguito a lavori di aratura, a poche centinaia di metri a sud della Pieve di Ganaceto, nel Podere Vaccari. Al di sotto della stele si rinvenne una sepoltura ad inumazione con corredo costituito da alcune monete, tra le quali due degli Antonini, e da alcuni vasi.
Testo epigrafico:
D(is) M(anibus)/ C(aius) Samius f(rater)/ Crescens mil (es)/ coh(ortis) XII urb(anae) (centuriae) Ma/terni/ vixit annos /XXXXII militavit ann(os) / XIX t(estamento) f(ieri) i(ussit)/ C(aius) Samius Fortis/ frater mil(es) coh(ortis) VIII/praet(oriae) faciund(um) curav(it)
Agli Dei Mani fece, per volontà testamentaria, Caio Samio Crescente, fratello (di Forte), soldato della dodicesima coorte urbana, della centuria di Maternio: visse quarantadue anni e militò per diciannove. Caio Samio Forte, fratello (di Crescente), soldato della ottava coorte pretoriana, curò l’erezione del monumento.
Ductus a sezione triangolare, non molto profondo. Caratteri apicati ed eleganti: le P hanno occhiello aperto, le R incurvano il piede d’appoggio, le S hanno occhielli simmetrici, le lettere tonde rivelano l’uso del compasso.
Il monumento ricorda due fratelli, Caius Samius Crescens e Caius Samius Fortis, entrambi militari a Roma, anche se in corpi di truppa diversi; Crescens morì avendo già dato disposizioni per la propria sepoltura; al fratello che gli sopravvisse, Fortis, spettò la cura dell’esecuzione testamentaria.
Misure
h 215; larg. 60; spess. 15
Lettere: l.l h 5,2; l.2 h 3,9; l.3 h 2,6; ll.4-7 h 2;
l.8 h 2,6; ll.9-10 h 2
Inventario
n. 14088
Bibliografia
Violi 1964-65, p. 229, fig. 2; Soffredi, Susini 1965, p. 189; Rebecchi 1968, pp. 284, 290, fig. 5; Franzoni 1983, p.108, nota 11; Gelichi, Malnati, Ortalli 1986, p. 614, n. 28 (N. Giordani); Rebecchi 1986, p. 895, fig. 6; Franzoni 1987, pp. 70-71, m. 47; Mutina 1988, II, p. 230, scheda MOT 8 (D. Labate); Rebecchi 1988, pp. 384-385; Mutina 2001.
23. Stele di Quintus Sevius Hermes
I secolo d.C.
Stele parallelepipeda corniciata con zoccolo per l’infissione nel terreno, presenta la cornice del lato destro sbeccata. Il timpano è decorato con fiore a sei petali dal quale si dipartono larghe foglie lanceolate. Negli pseudoacroteri sono inseriti girali vegetali che racchiudono due fiori a quattro petali. La fabbricazione della stele è datata intorno all’inizio del I secolo d.C., mentre l’iscrizione è dovuta ad un reimpiego databile alla seconda metà del I secolo d.C.
La stele fu recuperata nel 1971 in località Ganaceto nel Fondo Pioppa, in seguito a lavori di aratura, a circa 60 centimetri di profondità. Al di sotto della stele si osservò la presenza di un altro blocco di pietra quadrangolare, forse pertinente al basamento di sostegno, che non venne recuperato.
Testo epigrafico:
V(ivus) f(ecit)/ Q(uintus) Sevius (mulieris) l(ibertus) / Hermes/ sibi et suis/ Scantia / Gemella / c[oncubin]a / in f(ronte) p(edes) XII / in a(gro) p(edes) XII
Da vivo fece a se stesso e ai suoi Quinto Sevio Ermete, liberto di una donna, con Scantia Gemella, concubina. (L’area sepolcrale misura) sulla fronte e in profondità 12 piedi romani (m 3,5) (= mq 12,6).
La superficie dello specchio epigrafico è stata ribassata per accogliere il testo inciso su una precedente iscrizione, parzialmente erasa: sono state conservate le medesime misure dell’area sepolcrale (ll.8-9). La nuova epigrafe, cui furono aggiunte le sigle V F, subì & sua volta una correzione alla l.7, di cui sono rimaste solo una C iniziale e una A finale della parola concubina. I caratteri sono incisi con ductus triangolare, anche se il reimpiego riduce l’effetto calligrafico comunque perseguito: la coda della Q scende sotto il rigo, le V incurvano leggermente i bracci, l’interpunzione è a coda di rondine.
Il gentilizio della donna ricorre in un’altra epigrafe mutinense, e forse si tratta di una stessa famiglia, quella degli Scantii, documentata nella Regione VIII dall’età imperiale. Il gentilizio Sevius è sconosciuto a Mutina; Hermes è cognome di origine greca.
Misure
h 138; larg. 54; spess. 19
Lettere: l.1 h 4; ll.2-3 h 5,5; l. 4 h 4,5; l5 h 5; ll.6—7 h 4; ll.8-9 h 4,5
Inventario
n. 14086
Bibliografia
Rebecchi 1972, tav. 1, fig. 1; Rebecchi 1976, pp. 253-256, fig. 6; Cardarelli, Cattani, Labate 1987, n. 31; Mutina 1988, II, pp. 230-231, scheda MOT 10 (D. Labate).
24. Lastra di monumento funerario di Marcus Milius Alexander
fine I secolo a.C.
La lastra iscritta, lacunosa negli angoli inferiori, presenta la superficie esterna perfettamente levigata, mentre il lato posteriore è semplicemente sbozzato. Costituiva probabilmente uno dei conci quadrati che componevano il paramento esterno di un monumento funerario del tipo a dado e contiene la dedica del defunto.
Il reperto fu rinvenuto insieme ad altri elementi lapidei;non recuperati e forse pertinenti allo stesso monumento funerario, nell’agosto del 1973, durante lavori di copertura di un canale di irrigazione nel podere Vaccari a Villanova di Ganaceto, ad una profondità di metri 3,5-4.
Testo epigrafico:
M(arco) Milia Alexandr[o] / M(arco Milio?) M(arci) l(iberto) Liberali/ Apidia Q(uinti) l(iberta) Fausta /fecit/ [Quo]q(uoversus) p(edes) XX
Apidia Fausta, liberta di Quinto, fece a Marco Milio Alessandro e a Marco Milio Liberale, liberto di Marco. L’area sepolcrale misura su entrambi i lati 20 piedi (m 5,92) (= mq 35).
Nella parte inferiore mancano le prime lettere della quinta riga. Caratteri eseguiti in capitale quadrata; interpunzione a coda di rondine; la coda della Q scende sotto il rigo e i trattini delle E sono pari. Le I e le T sono montanti, con effetto coloristico.
Non è dichiarato il rapporto che unisce Apidia Fausta ai due liberti di Marcus Milius, ma la dedica, nella sua laconicità, sottintende un legame affettivo parentale e/o coniugale. Il gentilizio Milius è sconosciuto all’epigrafia mutinense. Il gentilizio Apidius riporta all’area molisana e sannitica, zone di provenienza di molti coloni in età triumvirale e augustea.
Misure
h 90; larg. 89; spess. 36
Lettere: l.1 h 9,5-10; l.2 h 7,5-8; ll.3-4 h 7,5; l.5 h 7,5-8
Inventario
n. 14087
Bibliografia
Rebecchi 1976, pp. 251-253; Cardarelli,
cattani, Labate 1987, n. 32; Mutina 1988, II,
p. 231, scheda MOT 11 (D. Labate); Mutina
2001.
25. Capitello italo-corinzio
prima metà I secolo a.C.
Il capitello risulta scolpito in un solo pezzo con il collarino ed ha parti fortemente 1acunose, ricomposte da più frammenti. Conserva i tre elementi architettonici ben distinguibili: collarino, kalathos, abaco. Avvolgono il kalathos due corone di foglie d’acanto, sovrapposte e sfalsate, in aggetto intorno alla costolature mediana. Al centro le elici sono sormontate dal fiore d’abaco, quasi del tutto abraso. Sopra le volute angolari, a corna di montone, è scolpita una foglia d’acanto ripiegata. La resa delle foglie carnose risulta naturalistica; solchi profondi caratterizzano le singole parti creando un effetto fortemente chiaroscurale.
Rinvenuto nel 1989 in un sondaggio effettuato in via Galilei nel sito di una Villa romana nell’agro centuriato a sudovest di Mutina. Fu recuperato all’interno di una fossa di scarico nella quale si trovavano laterizi, scarsi frammenti ceramici databili alla media età imperiale e parti di colonna scanalata (Giordani et al. 1993, p. 58).
L’origine dei capitelli italo-corinzi risale all’ambiente ellenistico della Sicilia e dell’area campano-laziale. Si diffonde in Cisalpina (Arte e Civiltà romana, II, p. 546, n. 772), in area lombarda e veneta e soprattutto nell’area nord-orientale, ad Aquileia, dove le attestazioni note sono inquadrabili tra la fine del 11 e la metà dell secolo a.C. (Scrinari 1952, pp. 25-26, n. 12; pp. 26-27, n.13; p. 31, n. 23; figg. 12-13, 23; Cavalieri manasse 1987, pp. 52-55, nn. 14-19, p. 56, n. 19). Questi modelli, impiegati nell’architettura pubblica di grande impegno ed in quella privata, prevalentemente di ambito funerario, si diffondono con elaborazioni locali a Bononia e, nell’area orientale della regione, ad Ariminum (Rimini) e Faventia (Faenza) (De Maria 1983, pp. 343-346, tav. XV,1; DE MARIA 2000, pp. 289-291, fig. 289; Aemilia 2000, pp. 318-319, scheda G. Montevecchi). L’esemplare modenese si avvicina all’ordine architettonico delle semicolonne presenti nella sala absidata del Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, datate al 10080 a.C., simili anche ad attestazioni documentate a Faenza (De Maria 1983, p. 346, XV, 2).
Misure
kalathos: h 37,5; diametro base: 38;
abaco: h 6,5; larg. 45; collarino: h 3,5
Inventario
n. 91435
Bibliografia
Giordani et al. 1993, p. 58; Aemilia 2000, p. 435, scheda N. Giordani; Mutina 2001.