Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena/Le necropoli di Mutina

Nicoletta Giordani

Le necropoli di Mutina ../Un nuovo Lapidario per Mutina ../Schede IncludiIntestazione 3 aprile 2024 75% Da definire

Un nuovo Lapidario per Mutina Schede
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Le Necropoli di Mutina



Lo stato della ricerca

È
 stato più volte lamentato lo stato estremamente lacunoso delle testimonianze archeologiche riferite alla città romana. Questo fatto deriva dalla casualità della ricerca resa ancora più episodica e complessa per la profondità del paleosuolo che si attesta, in alcune zone, a 11 metri dal piano attuale, occultato da sedimentazioni a carattere alluvionale di spessore variabile da 0,50 a 7 metri (Cardarelli et al. 2001). La situazione geomorfologica ed in particolare paleoidrografica del sito urbano antico ha favorito la formazione di tali depositi, documentati già dalla prima età imperiale, e più consistenti e diffusi tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, in concomitanza con peggioramenti climatici associati ad un generale dissesto ambientale del territorio.

Le circostanze che consentono di raggiungere quote così significative nel centro storico sono pertanto relativamente scarse e limitate ad interventi di particolare entità. Ne deriva che la ricostruzione dell’impianto urbano antico, allo stato attuale delle ricerche, è affidata alla localizzazione dei rinvenimenti, all’individuazione di alcuni tratti di strade e di una piazza lastricata, presumibilmente connessa al foro, dove sono documentate statue imperiali dal II al IV secolo (Giordani 2000). Sono del tutto carentile conoscenze nei settori dell’architettura sia pubblica che privata. Per quanto concerne l’edilizia privata, sono attestati alcuni resti di pavimentazioni musive. Ad un complesso termale di uso pubblico appartenevano elementi murari e pavimentali, mirabilmente illustrati dalle sezioni e piante di uno scavo condotto nella seconda metà del XIX secolo, mentre resta a tutt’oggi del tutto indiziaria l’esistenza di un edificio per spettacoli, con ogni probabilità un anfiteatro (Lippolis 2000, Giordani 2000). L’arte colta è rappresentata dai pregevoli oggetti d’arredo provenienti da una domus, localizzata nell’isolato tra via Università e via S. Cristoforo e dalla lastra con bassorilievo raffigurante l’uccisione dei Niobidi (Rebaudo 1988; Lippolis 2000a).

Le uniche attestazioni sulle quali è possibile impostare un discorso organico restano quelle di ambito funerario, dalle quali si possono trarre elementi di conoscenza sulla topografia urbana, sulla cultura figurativa, sulle manifestazioni di carattere cultuale e sul tessuto socio-economico. Per impostare un’analisi di carattere generale a riguardo, affrontata solo per cenni nel presente contributo, è necessario considerare l’insieme delle testimonianze note attualmente conservate in varie sedi museali, tra le quali si distingue, per consistenza numerica e qualitativa, il Museo Lapidario Estense. Altri reperti sono reimpiegati nella Cattedrale e nella Torre Ghirlandina o collocati presso il Museo Lapidario Diocesano ed il Museo Civico Archeologico Etnologico.

Le circostanze che favorirono il recupero di tali testimonianze si datano a partire dalla costruzione del Duomo e della Ghirlandina, che alimentò la ricerca intenzionale delle “belle prede” provenienti dalle zone sepolcrali urbane (Parra 1988). I materiali lapidei, già oggetto di riutilizzo puramente funzionale in età antica, divennero ispirazione e modello per gli apparati scultorei della Cattedrale, dove i simbolismi pagani venivano ripresi e caricati di un nuovo significato cristiano (Rebecchi 1984). Le scoperte più consistenti si collocano, tuttavia, tra il XIV e gli inizi del XIX secolo, in relazione alle successive opere di costruzione ed abbattimento della cinta difensiva. Nel periodo tra l’immediato dopoguerra e gli anni [p. 16 modifica]’60 e ’70 del Novecento l’espansione dell’edilizia urbana ha portato al rinvenimento fortuito di resti archeologici.

Solo recentemente, grazie alle normative di tutela inserite nel Piano Regolatore Generale del Comune di Modena, le opere pubbliche di particolare entità (posa di collettori fognari, ammodernamento della linea ferroviaria Modena-Sassuolo) sono state precedute da indagini archeologiche.

Assetto topografico delle necropoli

La scelta degli spazi a destinazione funeraria dovette procedere insieme alla definizione della forma urbis. La distribuzione dei rinvenimenti indica che le zone sepolcrali, come dettavano le norme in materia, erano situate nel suburbio. Le strade in uscita dalla città rappresentavano gli assi generatori delle necropoli, allineate lungo il loro percorso con ampie espansioni in agro.

Localizzazione delle necropoli di Mutina (fine I secolo a.C. - Il secolo d.C.) [p. 17 modifica]Nuclei di sepolture erano distribuiti, seguendo una pianificazione urbanistica anche al loro interno, nel suburbio orientale ed occidentale, lungo la via Aemilia, asse di attraversamento urbano in direzione Est-Ovest con funzione di decumanus maximus. A settentrione le testimonianze si concentrano in due zone distinte, presumibilmente lungo i percorsi che conducevano a Mantua/Verona e da qui alle provincie nordorientali dell’impero. A Sud della via Emilia indagini di scavo recenti hanno consentito l’esplorazione sistematica di un settore della necropoli allineata lungo il collegamento con la viabilità transappenninica diretta in Toscana, forse identificabile con l’asse Mutina/Pistoria (Parra 1988). Un altro nucleo di sepolture era allineato lungo il presunto percorso del cardine massimo.

Pur nella lacunosità delle attestazioni è possibile ricostruire a grandi linee l’espansione e le caratteristiche delle aree sopracitate. La necropoli orientale è quella meglio documentata, anche a seguito di scavi recenti. Si diramava lungo la via Aemilia all’altezza di viale Trento Trieste/viale Ciro Menotti. Proseguiva fino all’incrocio con via Saliceto Panaro, dove sono stati recuperati in sito un ollarium con cinerario vitreo (n. 17) e parti di monumenti funerari reimpiegati a lato di un canale che fiancheggiava la via Aemilia. Il limite orientale è stato finora localizzato all’incrocio con via Luca Giordano, dove sono state individuate tombe ad incinerazione entro fossa. A Nord si addentrava fino a via Pelusia e a Sud nelle vicinanze di via Scanaroli. Queste attestazioni, presumibilmente, corrispondono a nuclei, più o meno consistenti, distribuiti con soluzione di continuità lungo il percorso della via consolare ed in agro.

Purtroppo le testimonianze riferite alle fasi più antiche di età repubblicana sono pressoché inesistenti, con ogni probabilità a causa della selezione operata nei passati recuperi, che privilegiavano le attestazioni di carattere monumentale o epigrafico. Ad età pre-protoaugustea si riferisce presumibilmente un nucleo di sepolture ad inumazione all’interno di uno spazio delimitato da una cortina muraria laterizia. Si segnala una situazione analoga nella necropoli extraurbana rinvenuta lungo la via Aemilia, a Cittanova (MO), dove deposizioni collocate entro fosse e prive di corredo sono riferibili al primo periodo di uso dell’area sepolcrale.

La monumentalizzazione della necropoli, come presumibilmente avviene anche per l’area urbana, è documentata, a partire dall’età tardoaugustea, dal nucleo di sepolture localizzate nel quartiere S. Lazzaro. Appartengono a questa fase i mausolei del tipo a edicola cuspidata. Facevano parte dell’apparato decorativo di uno di questi edifici i leoni funerari ora collocati ai lati del portale maggiore del Duomo, se è corretta l’interpretazione del recupero avvenuto nel 1209 e citato in una copia cinquecentesca della cronaca di S. Cesario (Farra 1988). Anche altre attestazioni riconducono ai naiskoi di origine ellenistica come l’elemento di balaustra decorato a finta grata (n. 16) e l’epistilio ornato da tralci floreali alternati ad elementi fogliati (n. 12).

Una semplificazione delle forme architettoniche è attuata nei monumenti a corpo cilindrico e a dado, rispettivamente documentati dal basamento con kyma lesbio (n. 3) e dall’elemento di trabeazione con mensole (n. 13).

I segnacoli ad altare sono documentati dal monumento eretto per Publius Clodius (n. 11), dall’elegante ara anepigrafe (n. 10), e da quella con raffigurazione dei contubernales Marcus Numisius Castor e Quintus Velucius Verus (n. 9).

Con ogni probabilità era parte di un monumento collocato nella necropoli orientale il blocco in calcare scolpito a forma di prora di nave (n. 8), rinvenuto in via Cucchiari— angolo Via Emilia Est. L’elemento lapideo era riutilizzato, insieme ad altre parti di monumenti funerari, come materiale da costruzione sul lato Nord della via Aemilia per una manutenzione o ripristino della sede stradale e delle sue pertinenze riferibile ad età tardoantica.

Alla medesima necropoli appartenevano la stele monumentale centinata di Caius Fadius Zethus, quella a pseudoedicola di Lucius Rubrius Stabilio Primus (n. 6) e quella parallelepipeda di Numicia Pyrallis (n. 15). Nel medesimo contesto si trovavano sepolture ad incinerazione in fossa o in cassa laterizia, a volte con copertura alla cappuccina, e, a partire dalla fine del II - prima metà del III secolo, inumazioni entro cassa laterizia e/o lignea.

L’uso prolungato di quest’area sepolcrale fino all’altomedievo è stato supposto dai [p. 18 modifica]rinvenimenti di via Crespellani: la stele di età antonino— severiana di Titus Vettius Primigenius, reimpiegata come copertura di una tomba a cassa laterizia e la lastra con scena figurata della strage dei Niobidi, forse destinata alla medesima funzione di reimpiego. Una conferma viene dall’attestazione di una zona a destinazione funeraria lungo viale Trento Trieste, dove sono documentate varie tipologie di sepolture databili tra il IV ed il VI/VII secolo: inumazioni plurime entro sarcofagi a cassa liscia e coperchio a tetto displuviato con acroteri angolari, inumazioni entro cassa laterizia e lignea ed in anfora. Le tombe erano distribuite a gruppi, forse pertinenti a nuclei famigliari. Gravitava nel medesimo ambito la sepoltura di guerriero longobardo della metà del VII secolo, scoperta in via Valdrighi (Gelichi 1988).

La necropoli occidentale si sviluppava dalla zona di largo S. Agostino/largo Aldo Moro e si estendeva lungo la via Aemilia, almeno fino alla zona dell’attuale Parco Ferrari, dove recentemente sono state individuate sepolture ad incinerazione. Le attestazioni più antiche, finora note, si datano alla seconda metà del I secolo a.C., epoca a cui risale la stele di Sextus Allius rinvenuta in via Castel Maraldo. Altri rinvenimenti sono localizzati nell’area di Porta S. Agostino, dove i lavori di costruzione e ripristino della cinta muraria restituirono un numero consistente di monumenti: sarcofagi, altari, stele, oltre ad una tomba alla cappuccina. Anche questa necropoli ebbe una fase d’uso protratta in epoca tardoantica. Nell’area di Palazzo Europa la stele di Marcus Pupius Rufus (n. 20) risulta riadattata quale copertura di sarcofago. Inoltre è documentato il riuso del sarcofago di Bruttia Aureliana databile al III secolo e rilavorato nel IV e di quello della famiglia Valentini di età severiana, rilavorato in epoca tetrartica. Appartengono a questa fase anche sepolture in cassa di piombo, tipologia diffusa a partire dal IV secolo. Particolari dei lati della stele di Lucius Rubrius Stabilio Primus rinvenuta in Via Emilia Est, angolo via Pelusia (n.6).

In corrispondenza del limite urbano settentrionale nuclei di sepolture concentrate all’incrocio tra via S. Giovanni del Cantone e viale Caduti in Guerra identificano un’altra area di [p. 19 modifica]necropoli riferibile al percorso Mutina-Colicaria-Hostilia-Verona. Da qui provengono alcuni rinvenimenti cinquecenteschi ricordati dal Lancellotti: una stele, due sarcofagi, fra cui quello di Sosia Herennia, databile alla fine del III secolo d.C., tombe a cassa laterizia. Poco più a Nord, nell’area dei Giardini Pubblici fu recuperato il sarcofago di Marcus Aurelius Processanus, appartenente al medesimo ambito cronologico. Lo sviluppo della necropoli lungo la direttrice Modena—Verona è meglio definito dai rinvenimenti di viale Gramsci e della zona dell’ex Mercato Bestiame, ai quali si riferiscono le stele di Caius Betilienus Silo e di Publius Seppius Faustus (n. 1), oltre al monumento a corpo cilindrico di Publius Aurarius Crassus (n. 2).

Nel XVII secolo la costruzione della Cittadella portò al rinvenimento di un tratto di selciato stradale, di alcune stele e di un leone funerario riferibili all’altro percorso della Mutina-Mantua. Questo asse partiva dal suburbio all’altezza di S. Cataldo e si sviluppava, lungo i centri di Ganaceto, Soliera, Limidi, Carpi. Alla necropoli ad esso riferita appartengono i due sarcofagi reimpiegati dalle famiglie Boschetti e Bellincini, rinvenuti forse durante la costruzione delle mura trecentesche tra corso Cavour e via Ganaceto.

Particolare del sarcofago di Bruttia Aureliane con scena di banchetto. 250-270 d.C. Modena, Museo Lapidario Estense. Stele tardorepubblìcana di Sextus Allius rinvenuta nelle necropoli occidentale. Fine I secolo a.C. Modena, Museo Lapidario Estense.

Nel suburbio meridionale si collocano due nuclei di rinvenimenti, di cui quello al momento meglio definito ed indagato si situa all’altezza di viale Moreali. Da questa vasta zona provengono i segnacoli delle sepolture ad incinerazione di Marcus Vettius Clarus (n. 18) e di Caius Fadius Amphio (n. 19). L’utilizzo di queste zone sepolcrali giunge fino all’età tardoantica/altomedievale, epoca nel corso della quale si riscontra nell’area urbana un mutamento nella funzionalità degli spazi (Cattani 1998; Giordani 2000). Ad una contrazione delle aree a carattere residenziale e al degrado di quelle a destinazione pubblica, evidente negli edifici termali e nella piazza lastricata [p. 20 modifica]vicina al foro, si associa l’espandersi delle zone a connotazione funeraria a Nord e a Sud della via Aemilia, in corrispondenza di piazza Mazzini, piazza Matteotti, via Taglio, piazza Roma, piazza Grande, piazza XX Settembre (Rebecchi 1983; Gelichi 1988; Giordani 1999; Giordani 2000). In questi sepolcreti, come in quello di viale Trento Trieste, coesistono tipologie tombali diverse. Sarcofagi databili al II-III secolo d.C. sono riutilizzati e spesso modificati nel testo epigrafico o nell’apparato decorativo; nel contempo si diffondono le nuove tipologie a cassa liscia con coperchio ad acroteri angolari pure privi di ornamentazioni.

Disegno ricostruttivo di
un monumento a edicola.
La necropoli che assumerà una più chiara connotazione cristiana è quella di piazza Grande, sorta intorno alla basilica ad corpus, dove si veneravano le spoglie di S. Geminiano e alla quale apparteneva la sepoltura con lastra tombale iscritta dedicata a Gundeberga, donna di stirpe gota e di religione cristiana (Gelichi 1988).

In area extraurbana consistenti concentrazioni di sepolture sono ben documentate lungo l’asse della via Emilia, a Est in località Fossalta e ad Ovest in località Cittanova (Giordani 1998). Si tratta di necropoli sorte in corrispondenza di aggregati demici, ubicati lungo importanti percorsi itinerari, e ai quali si riconosce una funzione di luogo di sosta.

Al percorso Mutina-Mantua si ricollegano presumibilmente le testimonianze recuperate in località Ganaceto: la stele parallelepipeda di Cuius Samius Crescens con i raffinati elementi decorativi a rilievo schiacciato (n. 22), il segnacolo con più semplice decorazione frontonale di Quintus Sevius Hermes (n. 23) e la lastra appartenente al monumento, forse del tipo a dado, di Marcus Milius Alexander (n. 24).

Altri documenti, come il capitello italo-corinzio rinvenuto in via Galilei (n. 25), appartengono a sepolture isolate a carattere prediale, connesse all’insediamento rurale sparso, distribuito nel territorio della colonia. Anche in questo caso venivano privilegiate collocazioni lungo transiti frequentati, soprattutto nel caso di monumenti di particolare prestigio. Il rinvenimento di via Galilei è ricollegabile ad una villa, gravitante sulla fascia extraurbana tra Modena, Cognento e Cittanova, ricca di attestazioni di carattere residenziale e funerario sorte in relazione alla via Aemilia.

Tipologie dei monumenti
e aspetti cultuali

Le testimonianze analizzate rivelano la presenza nelle necropoli mutinensi di una elevata percentuale di sepolture a carattere monumentale. Si tratta di tipologie documentate in altre aree della Regione VIII e che presentano stringenti affinità con le testimonianze note in area veneta ed altoadriatica, anche in relazione alle vie di approvvigionamento dei materiali [p. 21 modifica]dei (Arte e Civiltà romana; Rebecchi 1988; Rebecchi 1989; Ortalli 1997).

La diffusione della monumentalità nell’architettura funeraria si coglie in Regione a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. Il momento politico, di transizione tra la repubblica e l’impero, vede l’affermarsi di nuove forze sociali accanto a quelle della vecchia aristocrazia municipale: personaggi della classe imprenditoriale, spesso liberti, e militari in congedo. I mutamenti nell’assetto socio— economico si riflettono anche nell’ideologia funeraria e si manifestano nel passaggio da una concezione strettamente privata al diffondersi del desiderio di autocelebrazione. La creazione architettonica che meglio corrisponde alle nuove concezioni è quella espressa nei monumenti a edicola cuspidata. L’edificio, raramente agibile all’interno, si sviluppa seguendo una concezione ascensionale dal basamento quadrangolare ad un corpo mediano, che occupa la cella templare, fino al coronamento a cuspide piramidale. Il modello architettonico di riferimento, felicemente espresso nel monumento di Mausolo di Alicarnasso, ha origine in Asia Minore, nella tarda classicità e nell’ellenismo. Viene elaborato in ambito italico e giunge al mondo romano, affermandosi nella capitale tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. L’ampia diffusione nella Cisalpina orientale di questa tipologia architettonica lascia supporre una ricezione diretta del modello dal mondo ellenistico (Ortalli 1997).

Disegno ricostruttivo di un monumento a
corpo cilindrico.
Nel tardo I secolo a.C. si diffondono anche i monumenti a dado realizzati nella forme architettoniche di maggiore impegno, che richiamano il modello templare, e in quelle minori ad altare. L’elemento decorativo che compare abitualmente in questa classe di monumenti è il fregio dorico con bucrani, ben rappresentato tra i materiali modenesi provenienti dalle località Bruciata ed Albareto e da Castelfranco Emilia, questi ultimi conservati nel Museo Lapidario Estense. L’altare di Publius Clodius rappresenta nella stilizzazione estrema del fregio dorico, relegato nel retro, difforme dall’elegante tralcio vegetale presente sulla fronte e sui fianchi, un caso di transizione verso nuove soluzioni decorative, diffuse in età post— augustea, sulla suggestione dell’Ara Pacis.

Un’altra classe monumentale, quella dei sepolcri a corpo cilindrico, che richiama concettualmente le sepolture a tumulo di età arcaica, ebbe la massima diffusione in Cisalpina in età giulio-claudia, seguendo il modello del mausoleo di Augusto, eretto nel 27 a.C.

Le stele funerarie rappresentano il segnacolo più diffuso e tipologicamente più vario. La forma e la decorazione architettonica richiamano frequentemente la fronte templare. Le stele a pseudoedicola con nicchie entro le quali si affacciano i busti-ritratto emulano, con architetture non funzionali, i monumenti a edicola cuspidata. Le [p. 22 modifica]realizzazioni cisalpine hanno un riferimento nelle statue di defunti all’esterno delle tombe, documentate nella necropoli pompeiana di Porta Nocera (Rebecchi 1997). Una semplificazione del tipo si avverte nelle stele corniciate con timpano e pseudoacroteri nello spazio frontonale. Il processo di stilizzazione estrema risulta compiuto nelle stele diffuse dal II secolo in poi, dove linee di contorno incise emulano la sagoma del fianco dei coevi sarcofagi.

Le tipologie tombali attestate nelle necropoli non si esauriscono coni segnacoli, ma si esplicitano nella varietà di sepolcri, in laterizio, in anfora o in cassa lignea. In questo caso il locus sepolturae, se non è indicato da elementi lapidei, viene diversamente evidenziato, spesso con l’imboccatura di un’anfora resecata alla spalla, che serviva da accesso alle offerte di cibi e bevande ai defunti.

I rituali attestati variano seguendo i mutamenti dell’ideologia funeraria: le inumazioni di età repubblicana sono quasi interamente sostituite dalle incinerazioni. Nella maggior parte dei casi il defunto veniva cremato direttamente nella fossa insieme a parte del corredo. Sono tuttavia documentate anche cremazioni indirette in fosse appositamente predisposte. In tal caso i resti venivano raccolti al termine della cerimonia funebre e deposti nel luogo della sepoltura insieme agli oggetti di corredo e alle offerte di semi e frutti. Il rito della cremazione è attestato a lungo, almeno fino al III secolo d.C., anche se l’inumazione entro sarcofago è praticata già a partire dalla fine del I secolo, con il mutare dell’ideologia, anche sotto l’influenza delle credenze cristiane. L’inumazione diventerà largamente prevalente solo dal III secolo in poi.

Il tessuto sociale ed economico

Anche facendo riferimento alle sole testimonianze del Lapidario Romano si colgono aspetti che riguardano l’area di provenienza dei personaggi ed il tessuto sociale ed economico della colonia (Giordani 2001; Giordani 2001a).Disegno ricostruttivo di un monumento a dado.

Il gentilizio Seppius (n. 1), attestato nel Sannio, Irpinia, Matese, e il gentilizio Apidius (n. 24), presente nell’area molisana e sannitica, richiamano le origini dei primi coloni inviati per decreto senatorio a Mutina dal Centro Sud. Numerosi sono i cognomina di origine greca, Nicarium ed Acantus (n. 5), Nicephor (n. 4), Dorcadis (n. 7); Mantes (n. 14), Pyrallis (n. 15), Amphio (n. 19), Heuronoma (n. 20), Hermes (n. 23), diffusi d’altronde in gran parte della Cisalpina e associabili ad un’origine servile.

Le iscrizioni funerarie elogiative della posizione sociale raggiunta in vita documentano che un ruolo particolarmente attivo venne svolto dalla classe imprenditoriale dei commercianti e degli artigiani, che da posizioni servili si è elevata, grazie ai propri guadagni, fino ad assumere cariche pubbliche e a partecipare a collegia sacerdotali o professionali. Caius Petronius Mantes (n. 14), membro della corporazione degli aurifices, ai quali donò l’area per la sepoltura, fu eletto decurione, massima carica municipale. Lucius Rubrius Stabilio Primus, tonsor, per la stessa ragione, era iscritto all’importante collegio degli Apollinares. Alla classe dei commercianti ed artigiani apparteneva il purpurarius Caius Nicephor [p. 23 modifica](n. 4), cognomen che adombra un passato servile. Un ruolo di particolare rilievo economico ebbero i personaggi che svolgevano attività connesse alla produzione, lavorazione e vendita della lana e dei tessuti, particolarmente remunerative nel Modenese (Giordani 2000; Giordani 2001a). Ugualmente avevano buone possibilità di accesso a cariche pubbliche i militari in congedo: Publius Aurarius Crassus, di nascita libera, ufficiale di rango equestre, comandante di coorte ausiliaria o di legione, ebbe il grado militare di seviro e ricoprì la carica di aedilis. Dalle fila dell’esercito provenivano anche Publius Clodius, centurione (n. 11), Caius Samius Crescens ed il fratello Caius Samius Fortis (n. 22), rispettivamente della coorte urbana e pretoriana.

Oltre alla celebrazione della carriera e delle attività svolte in vita l’esplicitazione delle dimensioni e dell’appartenenza del suolo destinato alla sepoltura manifesta il prestigio e le potenzialità economiche del committente. La delimitazione degli spazi funerari, consuetudine che trae origine dal concetto di sacralità ed inviolabilità del sepolcro, si fonde con l’intento autocelebrativo, espresso nelle iscrizioni o nella delimitazione fisica dell’area con recinti anche di impegno architettonico come quello eretto da Iucundus per sé e per Publius Clodius (n. 11).



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