Instituzioni di Gajus, vol. 1 (1857)/Introduzione

Introduzione, ossia Discorso Storico - critico intorno a Gajus ed alle sue Istituzioni

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Introduzione, ossia Discorso Storico - critico intorno a Gajus ed alle sue Istituzioni
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INTRODUZIONE


Ad veram civilem sapientiam, id erit maxime necessarium, res quasque quam altissime posse repetere, et cum jura civilia non omnia simul ac semel enala et absoluta fuerint, sed primo ortum, dein tempore et rerum usu ita volente, frequenter incrementa, mutationes, et non, nisi sensim perfectionem acceperint, eorum occasiones, causas, origines, progressus, vicissitudines, consummationes comperta habere; hoc non ipsa tantum rerum natura evidentissime evincit, sed et veterum sapientum probat auctoritas, qui ipsi sane hunc eundem in tradendo jure ordinem ubivis tenuerunt.
Schultingius.
Jurisprudentia vetus antejustinianea
     Prefatio
. —


Lo studio della classica Giurisprudenza non è nei tempi che corrono coltivato in Italia quanto dovrebbe; locchè fu avvertito dal celebre Savigny, del resto ammiratore così grande dell’antico italico senno civile, e poscia da Lerminier e da altri, nè le opere di Romagnosi, Carmignani e Rossi valgono a redimerci dalla taccia di trascurare discipline prestanti anzi necessarie alla società ed all’incivilimento progressivo.

V’ha penuria fra noi di lavori teoretici elementari, di opere preparatorie allo studio profondo del diritto [p. viii modifica]e di acconce istituzioni giuridiche; la lingua latina in pregio fra li giuristi, e li giovani mancano di quei validi sussidj (copiosi in Germania ed in Francia) che ravvicinano la Giurisprudenza alla Filologia e alla Storia; sono dunque desideratissime delle guide sincere o manuali che dire si vogliano composti di buoni principj scientifici, non inconditi o rozzi, ma bensì adorni di quella soda bellezza che viene dalla lucidità e dall’ordine, in tutto come si addice a ragionamenti indirizzati a giovani d’ingegno elegante che sieno di una succosa brevità, a livello delle scoverte e del sapere moderno, lontani dalle astrazioni, dominio dei filosofi speculativi e dalla congerie dei casi minuti, che scortino coll’autorità del vero dai teoremi non dubitabili dell’umana sapienza a conclusioni certe di pratica applicazione, che inducano negli animi un sentito ossequio alle leggi sorte dai rapporti dei tempi e dei luoghi, e che mediante nessi rigorosi e affinità logiche severissime facilitino la integrale profonda cognizione del diritto, delli suoi fattori, degli elementi che lo compongono, delle loro successive esplicazioni nella storia, e degli ultimi suoi risultati.

Il più maraviglioso esemplare di questi utili libri che ci mancano lo vide Roma nella felice epoca degli Antonini; è l’opera di Gajus col titolo d’Istituzioni, ammirata dall’antichità, e rinvenuta in Verona ai giorni nostri. Il celebre Jacopo Gotofredo deplorava che le Istituzioni di Gajus fossero venute così stranamente deformate dai Goti cioè da quel loro Aniano che per ordine di Alarico ne fece l’Epitome in due libri, inseriti nella raccolta conosciuta col titolo di Lex Romana o Breviarium Alaricianum, ed esprimeva poi [p. ix modifica]il desiderio che questo stesso Epitome già edito in Germania da Sichard, in Francia da Bourcard, stampato in Lovanio nel 1570, quindi in Venezia con annotazioni di Aleandro nel 1600, venisse migliorato coi frammenti di dette Istituzioni che si leggono nelle Pandette, nella Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, e nelle opere di Boezio, di Prisciano, e di Diomede1.

L’onesta domanda di Gotofredo fu esaudita da Jacob Oisellus, e meglio poscia da Antonio Schultingio, il quale nella sua Jurisprudentia vetus Antejustinianea pubblicò l’Epitomes Institutionum Libri II, adjectis genuinis Caji fragmentis undique collectis. Lipsiae 1737.

Ma il compendio di Aniano inelegante, incompleto, inesatto, anche coi pochi genuini frammenti compenetratigli valse a fare sentire vieppiù la gravità della perdita dell’aureo lavoro originale di Gajus che doveva esprimere lo stato delle dottrine giuridiche nell’epoca del massimo loro culto e splendore. Aniano del resto procedette con Gajus nel modo istesso che Giustiniano praticò con esso e con altri celebrati prudenti di Roma, lo ha sfigurato, a tale da non essere più riconoscibile; per cui a buon diritto lo Schultingio disse: utinam in solo numero imminuendo peccasset Anianus et non etiam passim verba et mentem Caji corrupisset! Giustiniano prese a modello le Istituzioni ossieno li elementi della scienza del diritto composti dai vecchi Giureconsulti, e specialmente quelle di Gajo2, e [p. x modifica]compilò le proprie, nel mentre delle Gajane si accontentò di porre alcuni pochi frammenti nelle Pandette le quali contengono ben 355 brani raccolti dalle varie opere di questo insigne e fecondissimo scrittore, maestro di quei sommi che furono Paolo, Ulpiano e Papiniano.

In modo straordinario s’era conservato in Verona nella Biblioteca Capitolare un Codice rescritto in cui erano le genuine Istituzioni di Gajus, sconosciute per altro fino ai giorni nostri, attesochè fossero ove una volta, e ora ben due volte coperte dall’Epistole di S. Gerolamo. Questo palimsesto in pergamena consta di pag. 251, ognuna di linee 24, in cattivo stato, giacchè fu in altri tempi dimenticato in una cantina, ov’era con infiniti altri libri e codici in casse riposti; le lettere sono di quella forma che li diplomatici chiamano unciale. Abbiamo osservato che le due pag. 235, e 236 non hanno che la scrittura antica senza sovrapposizione alcuna, ma parecchie pagine sono a tale ridotte oggidí, da rendere quasi disperata ogni ulteriore, per quanto pazientissima, indagine che intorno a quelle si faccia.

Già il celebre Scipione Maffei ed anche il Bibliotecario Don Masotti avevano rilevato, e pubblicato che questo Codice col N. XIII dovesse contenere importante materia giuridica, il primo aveva fatto un facsimile benchè incompleto del foglio XCVII de praescriptionibus et de interdictis, e fu dietro le loro indicazioni che Haubold stampò a Lipsia nel 1816 la sua

[p. xi modifica]notitia fragmenti veronensis de interdictis, e che Niebhur nell’anno medesimo inviato essendo dal Re di Prussia a Roma si è soffermato espressamente qualche giorno in Verona, ove valendosi di mezzi chimici molto efficaci riuscì a discoprire meglio del Maffei ciò che nel foglio XCVII era tuttavia coperto dalle grosse lettere dell’Epistole di S. Girolamo. Egli dunque ne trasse copia che spedì a Savigny e questi riconobbe il brano de praescriptionibus et de interdictis siccome parte dell’opera desideratissima di Gajus, di cui si avevano già ab antiquo li sopr’accennati frammenti, e l’Epitome di Aniano. Le quali cose appena in Germania furono palesi, si levò fra quei dotti una cotanta aspettazione circa il Codice Veronese e la preziosa sua materia che fu d’uopo soddisfarla, e la Regia Accademia Prussiana delle Scienze ha inviato per ciò in Verona li proprj soci Bekker, e Göschen, col mandato di procedere oltre nelle indagini e di recare a qualche termine quanto era stato così bene iniziato dal Niebhur.

Nel mese di Maggio 1817 adunque quei due eletti mossero da Berlino ed arrivati in Verona furono accolti alla Biblioteca Capitolare, ove usando mezzi chimici ed ottici, con inenarrabile industria, perseveranza ed acutezza di continuo lavorando a questo unico intento fino alla metà dell’Ottobre successivo, poterono ricuperare alla luce a linea per linea, a lettera per lettera, e a frammenti di lettera, circa otto none parti del Codice; ne fecero dessi un facsimile che recarono seco loro ritornando in patria onde potere a bell’agio proseguire nello studio e nelle indagini, fino al punto di chiarire coll’eletta dei filologhi e giuristi Alemanni ansiosi tutti di cooperare al pieno risultato di questa [p. xii modifica]inaspettata scoperta li punti ancora dubbj o quasi indiscernibili. —

Se consideriamo quanta fosse stata la celebrità delle Istituzioni di Gajus nell’epoca stessa in cui il diritto era giunto alla massima perfezione; se consideriamo che finalmente il diritto classico andava ad essere ai giorni nostri disvelato nella sua purezza e senza le alterazioni recatevi dai barbari compilatori e dai bizantini; se consideriamo che tante opere di faticosa erudizione anche moderne si sarebbero vedute crollare dalle fondamenta dietro forse una sola parola di Gajus, e così non poche false teoriche contraditorie involute od oscure per insufficienza di dati; e che più coerenti dottrine avrebbero potuto risplendere agl’ingegni cupidi del retto e del vero; se consideriamo la luce ch’era d’attendersi da una tale pubblicazione eziandio riguardo ai costumi ed alla società di quei tempi, e l’interesse massimo di conoscere a fondo le alterazioni nelle singole materie subite dal diritto fino alla compilazione Giustinianea, e in quali modi ciascuna istituzione si fosse cangiata o modificata a seconda dei movimenti sociali, e delle circostanze, se teniamo conto di tutto ciò, non faremo le meraviglie della febbrile impazienza e del permanente ardore pel capo lavoro Gajano presso una nazione come la Germanica, ove questi nobili studj sono grandemente coltivati ed onorati, e costituiscono per la medesima un titolo ben giusto all’ammirazione del mondo.

Proseguiamo nella intrapresa narrazione. Un giovane studente di Diritto, divenuto poi celebre, Hollveg, volle associarsi spontaneo nella laboriosa missione, e [p. xiii modifica]Bekker potè così recarsi all’Ambrosiana di Milano a fare altre ricerche su quei Codici.

I tre dotti Prussiani (seguiti fino ai nostri giorni da tanti altri che vengono tuttavia, quai pellegrini della scienza, da ogni parte d’Allemagna a contemplare con emozione il codice, dalle fatiche e dagli studj dei loro nazionali mirabilmente dicifrato ed illustrato) si lodarono molto degli uffici e delle cortesie dei Monsignori Canonici, nonchè dell’abate Giuseppe Zamboni Professore di Fisica, e del Conte Ignazio Bevilacqua Lazise; incaricato quindi Göschen dall’Accademia Berlinese di pubblicare l’opera colla stampa, ciò egli eseguì in Berlino nell’anno 1820 presso G. Reimer col titolo seguente: Gaii Institutionum Commentarii IV, e codice rescripto bibliothecae Capitularis Veronensis, auspiciis Regiae Scientiarum Academiae Borussicae nunc primum editi, accedit Fragmentum veteris jurisconsulti de jure Fisci ex aliis ejusdem bibliothecae membranis transcriptum cum tabulis aereis.

La riconoscenza degli Accademici di Berlino verso li Reverendissimi Canonici proprietarj della Biblioteca si è poi palesata con lettera del Novembre 1820, il cui tenore non è senza qualche importanza per le particolarità che contiene, e perchè indica in quanto pregio fossero tenuti ognora piú dall’insigne Accademia la fatta scoperta ed il conquistato tesoro; epperciò stimiamo che ai lettori nostri non rincrescerà di leggerla in nota3. [p. xiv modifica]

È singolare cosa che di un Giureconsulto tanto celebre, poco o nulla ci fosse tramandato, sia riguardo [p. xv modifica]al cognome, sia alla patria e al tempo in cui visse e fiorì. —

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Si vuole generalmente che Gajus fosse il prenome e che così all’usanza dei Greci venisse indicato, com’egli stesso usa parlando del suo amico Pomponius, che cita semplicemente dal nome Sextus. Meglio siamo informati del tempo in cui visse, e intorno agli scritti suoi, giacchè nella L. 7. p. D. de rebus dubiis egli stesso ci narra di una donna d’Egitto, che al suo tempo si era presentata ad Adriano con cinque suoi figli avuti in un solo parto, nostra quidem aetate mulier ad divum Hadrianum perducta est cum quinque liberis quos uno fetu enixa est. Nelle Istituzioni (Comment. I §. 7) si riporta ad un rescritto divi Hadriani, ch’è come dire del defunto Adriano. — Le Istituzioni appariscono scritte sotto li Antonini, giacchè nel Commentario I §. 53 indica una Costituzione Sacratissimi Imperatoris Antonini, e nel Comment. II. §. 195 fà cenno di una Costituzione divi Pii Antonini; dal che risulta che prima fosse in vita quell’Imperatore e poi ne fosse uscito. Inoltre nel Commentario II SS 177 e seguenti non è mentovata la importante Costituzione di Marco Aurelio de effectu gestionis pro herede, di cui si veda in questa Biblioteca il Frammento di Ulpiano XXII § 34. Le Istituzioni le furono dunque anteriori.

Dittmar nella dissertazione che pubblicò de nomine, aetate, studiis, ac scriptis Gaii, dietro li superiori dati ed altri ancora deduce, ci sembra con buoni fondamenti, che sia nato, vivente Adriano Imperatore, che abbia cominciato a scrivere verso la fine del regno di Antonino Pio, e che l’epoca della maggiore sua celebrità sia stato il regno di Marco Aurelio.

Del resto anche Ulpiano, Paolo, Fiorentino e Mar[p. xvii modifica]ciano composero altre Istituzioni del diritto; sembra però che quelle di Gajus mantenessero il primato, e fossero rimaste per molto tempo nell’Impero il Manuale classico degli studiosi.

Nell’Indice annesso alle Pandette Fiorentine si citano le seguenti opere di Gajus: Ad Edictum Provinciale; Ad leges Juliam et Papiam Poppaeam; Ad Edictum Urbicum; Aureorum sive rerum quotidianarum; Ad L. XII Tabularum; De verborum obligationibus; De manumissionibus; Fideicommissorum; De Casibus; Regularum; De re uxoria; Ad formulam hypothecariam. — Altri scritti di Gajus si vedono indicati nel Digesto: Ad edictum aedilium curulium; Ad Legem Gliciam; De tacitis fideicommissis; Ad S. C. Tertullianum; Ad S. C. Orfitianum.

Lo stesso Gajus poi nelle Instituzioni Commentario I §. 188 ci dice di avere scritto un’Opera sopra un’altra di Q. Mucio; locchè è confermato da Pomponius che, commentando esso pure Q. Mucio, nella L. 39 D. de stipulatione servorum riferisce così l’opinione di Gajus: et non sine ratione est, quod Gajus noster dixit, condici id in utroque casu posse domino.

Quale fu la patria di Gajus? Nessuno fra li eruditi, che pure vediamo sempre così animosi in fatto di congetture, ha osato fino ad ora neppure per approssimazione attribuirgliene una come probabile4. Lasciando [p. xviii modifica]queste curiose e poco proficue ricerche diremo ora con qualche dettaglio delle Istituzioni, indicando le varie ristampe succedutesi in Germania dalla scoperta fino ad oggi, e dell’intrinseco loro valore; ragioneremo [p. xix modifica]pure del modo tenuto in questa nostra pubblicazione del Gajus, che per la prima volta vede la luce in Italia5.

Benchè la prima edizione di Göschen fosse stata arricchita delle osservazioni e degli studj, oltrechè di questo valent’uomo tanto benemerito verso Gajus, di Hugo, Savigny, Haubold, Hollweg, e Biener, nondimeno il dotto Blume, essendosi recato a Verona pochi anni dopo, fece una nuova collazione del Codice Capitolare e ne riportò delle varianti e delle aggiunte che furono ammesse dallo stesso Göschen, il quale ne fece quindi a Berlino nel 1824 una seconda edizione assai migliorata in confronto della prima.

Succedettero poscia le importanti pubblicazioni di Augusto Guglielmo Heffter, che nel 1827 in Berlino illustrò il quarto Commentario di Gajus: Gaji jureconsulti Institutionum Commentarius quartus sive de actionibus, e nel 1830 diede fuori in Bonna l’intiera opera di Gajo con uso d’induzioni ingegnose per riempiere alcuni vuoti del testo, che in gran parte accogliemmo in questa nostra edizione.

In quel torno di tempo li professori Klenz, e Böcking stamparono nel Giornale critico di Tubinga Gaji et Justiniani Institutiones juris Romani.

Vennero in seguito le prime edizioni del solo Böcking che fu desso pure, pellegrino della scienza, in Verona, con ulteriori successive emende, la celebre pubblicazione di Carlo Lachmann sulle note manoscritte [p. xx modifica]lasciate da Göschen frattanto defunto, la quale si può quindi considerare la terza edizione di lui, una novella ristampa di Heffter (1841, 1842, 1844), ed infine le ultime edizioni di Böcking (1850, 1855).

In Francia si hanno le edizioni oggimai vecchie ed incomplete di Laboulaye, di Pellat, di Boulet, di Blondeau e di altri, oltre quella del 1822 sulla prima edizione di Göschen col titolo Juris Civilis Ecloga, dei Professori delle Facoltà di Diritto di Parigi, ristampata poi a Bruxelles nel 1837; ma non ne conosciamo alcuna che sia ivi uscita dopo la terza edizione di Göschen, e gl’importanti studj di Lachmann e di Böcking, perlocchè questa prima edizione italiana non sarà inferiore a qualsiasi delle francesi.

In Germania poi, nel Belgio, ed in Francia si sono veduti sorgere tanti Manuali, Dissertazioni, e Prontuarj sopra Gajus, che sarebbe opera lunga tesserne solo il catalogo; ma non possono lasciarsi sotto silenzio le sapienti esposizioni di Hugo, di Haubold, di Walter, di Savigny e di altri valentissimi dei principj e delle nozioni contenute in questo purissimo fonte, per la più precisa determinazione delle teoriche, e delle antichità romane, come ognuno può scorgere nelle celebri Opere loro. Neppure vogliamo ommettere d’indicare a vantaggio degli studiosi le seguenti Monografie intorno ad alcune delle materie trattate da Gajus. —

Haubold. Oratio quantum fructum ceperit jurisprudentia romana et universa antiquitatis cognitio e recens inventis Gaji Institut. genuinis. Lipsia 1820.

Bethmann Hollweg. De causae probatione. Berlino 1820.

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G. F. Hartmann. De titulo pro herede. Celle 1823.

G. Elben. De Usucapione pro herede. Tubinga 1823.

A. W. Schroeter. De sponsoribus, fidepromissis, et fidejuss. Iena 1823.

Ed. Gans. Scolj sopra Gajus. Berlino 1821.

Dircksen. Critica di diversi luoghi delle istituzioni di Gajus. Lipsia 1823.

Huschke. Commentarj alla critica e alla interpretazione di Gajus. Breslavia 1830 e 1835.

Ed. Puggè. Observationes duae de jure civili. Bonn. 1831.

G. F. Puchta. Verisimilium cap. VI. Lipsia 1839.

C. W. Pöschmann. Studj sopra Gajus. Lipsia 1854.


Fu già di qualche profitto in Germania, ove il diritto Romano s’insegna sulle Istituzioni di Gajus, il ricco dizionario di Elvers intitolato Promptuarium Gajanum, Gottinga 18246, e vie più preziose ci sembrano le Tabulae delineationem systematis Gajanarum Justinianarumque Institutionum inter se et cum Ulpiani libro singulari regularum comparati, exhibentes ex arte, in formam indicis redactae. Da queste Tavole a colpo d’occhio si scorge, come le Istituzioni di Gajus contengano materie importanti del Diritto classico neppure accennate nelle Istituzioni di Giustiniano, e come tale diritto si possa perciò dire [p. xxii modifica]ora soltanto con Gajus conosciuto perfettamente nella sua quasi integrità. Sarebbe utile ristampare in Italia queste eccellenti tavole, che fanno le veci di un co pioso indice ragionato, colle note postevi in fine da Lachmann, e l’interessante Opera di Ed. Schra der Corpus juris civilis etc. Berlino 1836, ove sono poste in acconci paralleli le materie singole di ambe due le Instituzioni, di Gajo cioè, e di Giustiniano.

Non deve però tacersi come la divisione di Gajus del Diritto Civile, adottata poi da Giustiniano: Omne autem jus quo utimur, vel ad personas pertinet, vel ad res, vel ad actiones, sia poco seguita nei Trattati sistematici che numerosi si succedono in Germania.

Già Connanus ha sostenuto, che Gajus per actio dovesse intendere piuttosto il fatto generatore del diritto che la domanda in Giudizio, locchè non emerge dalla lezione del testo. Leibnitz biasimò esso pure nella famosa sua Nova Methodus detta classificazione in quanto che la Giurisprudenza tutta versa sui di ritti, e questi suppongono sempre una persona che li eserciti e una cosa che ne sia l’oggetto; epperciò sostenne che li diritti dovessero studiarsi in loro stes si, e nelle loro differenze intrinseche.

Tutti li Autori moderni d’Allemagna convengono nel dividere la trattazione del diritto in due parti, Generale, e Speciale; la prima che s’aggira sulle leggi, sui diritti considerati in sè, sulla parentela, sulla distinzione delle cose; la seconda che abbraccia li diritti applicati, proprietà, contratti, matrimonio, prescrizione.

Forse non tutti li Giovani Giuristi, pei quali scri viamo, hanno piena notizia dei due più celebri sistemi [p. xxiii modifica]seguiti ora in Germania nella trattazione del Diritto classico, quello di Mühlenbruch Doctrina Pandectarum. 3 Vol. Halae 4 ed. 1855, e l’altro di Savigny Sistema del Diritto Romano moderno, Berlino 1840, 1841.

Mühlenbruch colloca nella Parte Generale le se guenti materie: leggi, diritti considerati subbiettiva mente, modi di acquistarli, di conservarli, e di perderli, delle azioni, dell’eccezioni, delle prove, della cosa giudicata, del concorso dei creditori, dell’azione Pauliana etc.

Savigny nella Parte Generale discorre ampiamente dei rapporti di Diritto, del modo con cui nascono, e si estinguono, e delle persone alle quali competono. Nella Parte Speciale pone 1. il diritto delle cose. 2. il diritto delle obbligazioni. 3. il diritto della famiglia. 4. il diritto di Successione. V. il Discorso sulla vita scientifica e sulle Opere di F. C. De Savigny Pag. 57 e successive Vol. I di questa Biblioteca Giuridica7 [p. xxiv modifica]

Il Trattato di Diritto Romano che verrà alla luce in uno delli successivi Volumi di questa Biblioteca, sarà pure diviso nelle due Parti, Generale e Particolare, ma preceduto dalle Fonti del Diritto Civile, e dalla Storia del Diritto, attesochè, secondo l’intendimento nostro, tale Trattato deve poggiare sulle fonti, e sulle successive loro esplicazioni, ed offrire li teoremi più accettati in logica coordinazione, di maniera che il diritto attuale sia riconosciuto l’ultimo prodotto delle prime fonti mediante il lento lavoro della storia e della dottrina; nè con diverso processo potrebbe il Trattato riuscire d’intelligenza piana e praticamente utile oggidì. —

Siamo da lunga pezza convinti, che nella presente situazione della Scienza del Romano Diritto a fronte dei Codici moderni, e coi costanti bisogni di applicazione ognora più lata coll’estendersi dei rapporti civili, [p. xxv modifica]sia questa la migliore forma metodica. Ciò non pertanto la classificazione di Gajus non cessa di avere anch’essa il suo pregio, perchè semplice, e filosofica sotto il punto di vista romano che tutto riferiva alle persone, adottata da Ulpiano, e da Giustiniano, dai Glossatori e dai Repetenti, e seguita nei tre Codici moderni Prussiano, Francese ed Austriaco.

Dobbiamo ora dire del modo con cui credemino di condurre questa edizione, acciò riuscisse, per quanto era in noi, una non fallace guida degli studiosi.

Primieramente ci parve non solo opportuno ma necessario ricavare tutto il partito possibile dalle più celebrate stampe del Gajus che sono: la seconda di Göschen, Berlino 1824 colle correzioni di Blume insertevi; la terza, che può dirsi dello stesso Göschen, ma che fu pubblicata dopo la sua morte da Lachmann Bonna 1841; ed infine l’ultima (quarta) di Böcking Lipsia 1855, nella quale, come avvertimmo, sonosi rifuse le emende suggerite dal celebre Huschke e da altri. Ricorremmo eziandio pei luoghi dubbj all’ispezione del Codice Capitolare, benchè dopo gli studj di tanti uomini insigni che ci precedettero, e nello stato deplorabile in cui questo ora si trova, sarebbe stata in noi temerità presumere di aggiungere gran fatto ai lavori, che meravigliati vedemmo con infinita diligenza condotti8. [p. xxvi modifica]

Nella Biblioteca Capitolare abbiamo eziandio esaminato li due Fogli non rescritti de Jure Fisci, e ne collochiamo la copia a guisa di Appendice nella fine di questo stesso Volume.

A Niebhur era riuscito di trascrivere oltre che una parte del Codice N. XV (Istituzioni di Gajus) li detti due fogli uniti fra loro (che parimenti reclamarono l’uso dei mezzi chimici benchè non fossero rescritti), imperfettamente, attesa l’angustia del tempo, e la pessima condizione di essi due fogli, i quali contenevano ognuno un frammento staccato di Opera di antico Giureconsulto, (che da alcuni si crede il celebre Paolo), sulla materia dei diritti Fiscali, (De Jure Fisci), e già stati raccolti con altri in un Volume di piccola mole da Monsignor Donisi che vi pose il seguente [p. xxvii modifica]titolo: Vetera paralipomena Mss. Codicum Capituli Veronensis a Joh. Jacobo De Dionisiis Veronensi Canonico in unum collecta 1758. Ad essi si riferiscono le parole di Scipione Maffei: carte lacere di antico majuscolo... pare fossero di un’opera di antico Giureconsulto. V. il Vol. I. di questa Bibl. Giurid. pag. 53.

Ci sembrò che tali Frammenti, connettendosi colla scoperta delle Istituzioni di Gajus, potessero a vere qui la loro sede, e fra le edizioni pubblicate in Germania, la migliore essendo certamente quella data dai Professori della Università di Bonna nella loro Collezione Corpus Juris Romani Antejustinianei Bonna apud A. Marcum 1841 Fasciculus I, l’abbiamo seguita fedelmente.

Göschen, Hollweg, Savigny, ed altri ancora studiarono accuratamente sull’antico manoscritto o sul facsimile, e restituirono alcune parti poco o nulla leggibili; molti delli supplimenti da loro proposti furono accettati dal Professore Böcking, notati in corsivo, e qui riprodotti. Le lacune poi sono indicate con asterischi o con linee a seconda della loro estensione, come fecimo nel testo del Gajus.

Oltrecchè li due fogli del manoscritto appariscono assai disgiunti l’uno dall’altro quanto alla materia discorsiva, locchè accerta che vi fossero fra mezzo altri fogli ora perduti; manca eziandio buona parte dell’ultima colonna del secondo foglio, che si arresta a metà pronome.

Nondimeno tali quali vengono esibiti questi brani di Giurisprudenza Fiscale d’incerto Autore, devono ritenersi oramai ridotti al loro migliore stato possibile. [p. xxviii modifica]Che appartengano poi ad uno dei Giureconsulti classici, non può dubitarsi, e per lo stile, e per essere la materia tutta di diritto antico. Quanto all’epoca si scorge nei detti frammenti che le porzioni caduche lasciate nei testamenti, e nei legati andassero allora al Fisco; ciò fu ordinato da Caracalla (Ulpiano XVII), mentre anteriormente cadevano a quelli fra li chiamati nello stesso testamento che avessero figli (Gajus Com. II. §. 206 ).

Comunque le indicate tre cospicue edizioni, di Göschen colla recensione di Blume, di Lachmann sulle note postume di Göschen, e di Böcking colle emendazioni di Husckke e di altri, ci sieno state scorta perenne nella formazione di questa nostra, e soltanto ci fossimo nelle discrepanze fra quelle attenuti di preferenza alla lezione che secondava meglio le apparenze scritturali del testo Capitolare, il senso logico, e lo stile di Gajus, pure in qualche caso credemmo di accogliere alcuna variazione, o perchè suffragata da più convincenti argomenti, o perchè reclamata dal testo, come nelle Annotazioni viene giustificato.

Abbiamo seguito il metodo adottato da Göschen di segnare con asterischi, e con linee le lacune a seconda che fossero minori o maggiori, ma alcune di esse lacune non esitammo di colmare, accogliendo quelle induzioni che vedemmo fondate sulle andature, o resti di parole o di lettere che tuttavia appariscono nel Manoscritto Veronese; però furono queste inserzioni, come le parole desunte dal Digesto ai luoghi di Gajus, distinte sempre in carattere corsivo, al pari delle lettere o delle parole poste quali riempitive del testo. Ove le parti illeggibili del testo erano di maggior [p. xxix modifica]estensione ci parve bene indicarle col novero delle linee vacue; e sebbene la divisione a §§ fatta da Göschen sia opera arbitraria di Lui, nè sempre a nostro avviso felice, abbiamo creduto di non alterarla, e soltanto ripetemmo il numero del § precedente con aggiunta la lettera a, ogni qualvolta ci accadde di poter formare un novello inciso dai resti letterali, sussidiati induttivamente.

Nelle dette migliori edizioni tedesche che abbiamo preferito, a piè di pagina si scorge una folla d’indicazioni di luoghi paralleli, così delle altre parti del diritto Romano, come dei classici scrittori; fummo lungamente in forse se dovessimo mantenere, oppure lasciare questi copiosi riferimenti, tanto più che ad uno studioso assai paziente riescono profittevoli; ma abbiamo poi deliberato di smetterli del tutto pei seguenti riflessi. Fra noi lo studio profondo del diritto Romano non ha più grande numero di cultori; questa Biblioteca Giuridica è d’altronde diretta ai Giovani Giuristi, i quali assai di rado sono posti in grado di ricorrere a tante svariate fonti, e più di tutto potè sull’animo nostro il desiderio che l’opera riuscisse di breve mole, ed accessibile quindi al maggior numero: pateat tam ditioribus quam tenuioribus minimo praetio magna prudentia comparata. Justin. Constit. Tanta circa § 13.

Della versione italiana che tentammo, non senza trepidazione, trattandosi di un grande scrittore, anzi diremo di un sommo artista di stile9, forse ci si [p. xxx modifica]terrà in debito almeno per ciò che concerne la fedeltà, di venire a qualche dettaglio; ma siccome ognuno è in grado di formarne migliore giudizio di per sè, e

[p. xxxi modifica]sarebbe augurabile che molti lasciassero la traduzione pel testo, e persuasi che saremo scusati, in grazia della buona intenzione, abbandoniamo questo fatto alla di screzione degli Umanisti.

[p. xxxii modifica]È nostra ferma opinione, che il Diritto Romano, (italico per ogni titolo, essendo stato qui prodotto in origine; e poscia risorto lo studio colla civiltà nuova, insegnato dai Glossatori alle nazioni d’Europa) sia da troppo tempo tenuto da noi in poco pregio con danno di queste legali dottrine e della civiltà; e che quindi occorra per la restaurazione delle discipline giuridiche e della pratica scientifica meditarlo nelle sue fonti, nella sua storia, e nelle sue teoriche, non quanto suol venire in Germania (che sarebbe richiedere di soverchio), almeno un poco più di quello che ora sia in molte parti d’Italia. Nessuno meglio di Savigny avendo saputo rappresentare il sommo merito dei Giureconsulti Romani e il profitto ritraibile anche oggidì dalla loro lezione, preghiamo i lettori nostri a voler leggere, siccome merita, il profondo Capo VII. della Vocazione nel I. Volume di questa Biblioteca.

Lo stesso immegliamento della pratica, per non dire

[p. xxxiii modifica]che questo, reclama urgentemente che gli spiriti del diritto antico vengano a nutrirla e a rianimarla. Ora nessuno potendo contendere che il vero Caput della Romana Giurisprudenza sia l’Opera di Gajus, è strano che siasi fin qui trascurata, anche perchè è opportunissima a porci in grado di rilevare più speditamente li concetti di molti brani del Digesto; ma il possesso della lingua del Lazio è così pieno, o almeno così universale presso li Giuristi nostri, che non meriti facilitarne ad alcuni di essi il senso, nei luoghi che loro paressero meno intelligibili? Al postutto, la versione fà le veci di quelle note di chiarative in volgare, che nelle varie edizioni dei classici latini vediamo essere tuttogiorno tanto usate. Crediamo anzi, che poche annotazioni grammaticali o esegetiche abbiano il difetto di non bastare a tutte le capacità, quando una completa versione giova eziandio alli digiuni di latine lettere, i quali pure dovessero penetrare a fondo i principj della loro arte, e volessero giustamente conoscere o richiamarne alla mente le nozioni genuine, non essendovi chi in questa facoltà possa presumere di procedere a caso o all’impazzata. Si dirà forse, che tutte le fila del nostro ragionamento vogliono riuscire al punto di stabilire, che sia utile, per rilevare la pratica, per nobilitarla, e per estenderla, lo studio delle fonti; ma si soggiungerà del pari, che cotesta medesima pratica, senza tanto previo apparato procede pure nel suo cammino, che d’altronde li affari ci assorbono tutto il tempo, e che infine la nuova società essendo ben altrimenti foggiata, dalla notizia delle vecchie istituzioni, gradito pascolo delli eruditi, non possa essere gran fatto agevolata la soluzione delle [p. xxxiv modifica]difficoltà, e dei casi rinascenti dalli attriti dei presenti interessi, che escono da un fondo così fattamente diverso, a paragone dell’antico.

A questa obbiezione più speciosa che solida va risposto, che le dottrine civili e le teorie legali che abbiamo negli attuali codici o nei libri recenti sono figlie delle antiche, e che male si conoscerebbero senza lo studio della genesi e delli esplicamenti successivi; studio che si verifica colla lezione della Storia del diritto, parte essa stessa integrante della scienza, e delle Fonti.

L’opera di Gajus la più dettagliata che si abbia sull’antico diritto romano, ha pure una importanza pratica, in quanto serve a dilucidare molte idee giuridiche ed istituzioni civili che prima della scoperta erano ravvolte nell’oscurità, e perchè riferendo il diritto antico, dimostra istoricamente come sia stato poscia depurato, mitigato, ed ingrandito dalli Editti dei Pretori, dai Plebisciti, dai Senatus consulti, dalle Costituzioni dei principi, e dalla Dottrina, il che tutto è ivi esposto ai debiti luoghi colla maggiore perspicuità.

Circa la Dottrina, li Romani Giureconsulti, quibus permissum est jura condere (Gajus I, 7.), assumevano le funzioni legislative, ossia erano teorici e pratici insieme, e i loro responsi sono tanto più rimarchevoli ed istruttivi, che sono insieme leggi e teoriche. Non ignoriamo però quanta sia la riluttanza dei meri pratici ad ammettere la necessità di risalire agli scritti dei prudenti di Roma, ma non sarà malagevole persuadere gli studiosi che le legali materie siano dominate tuttavia, anche contro nostra voglia dai principi, [p. xxxv modifica]e dalle massime di quelli, e che per la retta conoscenza delle nostre leggi vigenti (elaborate secondo una certa situazione della scienza) si esiga la notizia piena delle fonti, e delle subite trasformazioni loro fino al nostro tempo.

Le Instituzioni di Gajus non vengono per fermo pubblicate quasi fossero un manuale contenente la soluzione delle tesi d’oggidì; ma piuttosto come un addentellato fra il sistema formalistico antico già moderato dall’equità pretoria, e la più larga e benefica giurisprudenza cristiana dei Codici Teodosiano e Giustinianeo, nè si saprebbe donde meglio ripetere li elementi del jus genuino che da quell’ epoca, in cui fù rischiarato dalla filosofia, e ridotto a perfezione, intendiamo parlare della felice êra degli Antonini. Le Opere di Gajus al pari di quelle di Papiniano, di Ulpiano, di Paolo, e di Modestino acquistarono forza di legge per la nota Costituzione di Valentiniano III (Cod. Theod. de resp. prud.), ed ebbero autorità fino a che Giustiniano le assorbì nella propria legislazione, e poscia per virtù di questa stessa legislazione.

Nella giovinezza di Gajus, Salvio Juliano, quel Pretore così amante del sapere che disse: etsi alterum pedem in tumulo haberem non pigeret aliquid addiscere, aveva composto l’Editto perpetuo, la di cui importanza fu certo esagerata primà che si conoscesse Gajus, ma che nei frammenti raccolti da Haubold (Magazzino Civile Tomo II pag. 288) presenta nondimeno grande interesse ed istruzione.

Nello stesso tempo Auctore Hadriano sono stati emanati più Senatusconsulti che favorirono nelle varie [p. xxxvi modifica]materie del Diritto la libertà civile; e così fu nelli successivi Editti dei Magistrati (jus edicendi habent magistratus populi), e nelle sententiae et opiniones dei prudenti; non è quindi meraviglia, se Gajus che apparteneva alla scuola delli Sabiniani seguaci dell’equità (Com. I. §, 196. Com. II. §. 15. 195) criticasse severamente in alcune parti le leggi delle XII Tavole colle parole strictum jus, hae juris iniquitates (Com. III. §§ 18. 25), se applaudisse alle riforme; non è meraviglia se avversasse il sofisma della imbecillitas mulierum (Com. I. § 44), pretesto per sottoporle a perpetua tutela, e riprovasse li mali trattamenti degli schiavi lodando le leggi repressive della sbrigliata potestà dei padroni (Com. I. §. 53)10 [p. xxxvii modifica]Le Gajane Istituzioni posero in chiaro molti enigmi del diritto romano, e li moderni Storici di questo in gran parte non fecero che parafrasarle. Vedansi: Gustavo Hugo, Storia del Diritto Romano, Ediz. XII; Ferdinando Walter Storia del Diritto di Roma fino ai tempi di Giustiniano, traduzione dell’Avvocato Bollati, Torino 1852 Vol. II.; Ortolan Histoire de la Legislation Romaine; alle quali opere rimettiamo i lettori.

Avendo detto quanto ci sembrava opportuno, perchè queglino a cui cadessero in mano queste Instituzioni possano leggerle con qualche preparazione, e persuasi che dalle persone competenti e discrete saranno con benignità risguardate le cure da noi postevi, ci rivogliamo ora ai giovani per consigliarli ad intraprendere lo studio profondo del diritto classico, istoricamente, e dalle fonti, giacchè ciò che la scienza produce nelle diverse epoche costituisce un tutto solo, e nessuna parte può bene conoscersi, se non si sappiano li di lei rapporti con le altre. Se mal non ci apponiamo, tutto dovrebbe invitarli a questa scienza, la moltiplicità ed il pregio dei lavori contemporanei, le recenti scoperte, le pure gioje che arreca e ai potenti di spirito, e ai volonterosi, la legittima ambizione di con tribuire ai di lei progressi, l’amore del paese e di loro medesimi, che coll’esercizio della vera e non affettata sapienza facendo l’altrui bene procurano eziandio il proprio.

Se al concetto fossero rispondenti le forze, saremmo bene lieti di poter contribuire a spianare da qualche malagevolezza la difficile via ai giovani giuristi, a indi care loro li tesori della nazionale e della straniera [p. xxxviii modifica]erudizione, ad accrescere così il numero dei commensali al banchetto della scienza, e a ridestare infine fra noi una natura di studj grave, vera, efficacissima, tale insomma che valga all’indirizzo degli animi e degl’intelletti verso il progresso civile. —


Avv. G. Tedeschi.

Note

  1. Jacobus Gothofredus in manuali juris, in Bibliotheca juris civilis Romani capite 11 §. 2. —
  2. Quas ex omnibus antiquorum Institutionibus et praecipue ex commentariis Caji nostri, tam Institutionum, quam rerum quotidianarum, aliisque multis commentariis compositas etc. Proemium Institutionum Justiniani §. 6.
  3. Eccovi restituito il vostro Gajus, Reverendissimi, Illustrissimi ed Egregi Canonici del Capitolo della Chiesa Vescovile di Verona, che affidaste alle nostre cure ed alla nostra fede, tale quale abbiamo sperato che dovesse riuscirvi meglio accetto, giacchè padroni e dispensatori essendo per divino potere e per virtú dei maggiori vostri di una ricca e abbondante letteraria suppelletile, non tenete occulti tali tesori che ponno essere di cosí grande profitto all’universale, e nemmeno invidiate a coloro che sono abili a disvelarli, ma ponete in conto di onore vostro, se ora piuttosto che poi vengano pubblicati, acciò se ne raccolgano presto buoni frutti a gloria di Dio immortale, per l’incremento degli studj, e per l’istruzione dei validi ingegni. Egli è perciò che transitando per la Città vostra, ora sono passati quattro anni, B. G. Niebhur nostro socio e tanto benemerito per dottrina e per zelo degli studj, nella occasione che recavasi a Roma quale inviato del Re nostro al Sommo Pontefice, ed avendo manifestato desiderio di conoscere la celebratissima vostra Biblioteca, voi gli avete acconsentito, come se fosse stato dei vostri, dandogli licenza di farvi entro accurate indagini, copiando pure ciò che gli avesse meglio piaciuto; onde avvenne che di questo preziosissimo Codice (di cui una parte aveva fatto conoscere Scipione Maffei, onore di Verona, quasi abbia voluto egli offrirne al mondo le primizie) si sono potute rilevare altre parti, mercè la sagacia e la pazienza di quell’uomo sommo, ch’erano da sovrapposti caratteri prima coperte. Nè qui si ristettero le benemerenze vostre; giacchè non celaste per questo il mirabile palimpsesto, (altri forse lo avrebbero occultato) nè per un male inteso amore patrio l’avete, affidandolo a mani inesperte, voluto premurosamente pubblicare, ma avendo risaputo invece che presso noi vi fossero uomini dediti a questi studj dell’antico diritto, i quali s’affaticano dopo la dejezione in cui caddero nel passato secolo, a riporli in onore, non esitaste a permettere, secondo la grandezza del vostro animo, che stranieri, quali erano quelli da noi raccomandativi, penetrassero pure nei vostri recessi, esaminassero con loro comodo questo Volume unico nel genere suo in tutto l’universo, e vi studiassero addentro tanto da poter trascrivere tutto quello che non era affatto guasto dall’ingiuria del tempo. I quali sogliono spesso ripetere le cortesie, l’assiduità e la benevolenza del vostro Bibliotecario Reverend.mo ed Illustrissimo Conte Bartolammeo Guarienti che a lui così ci ha legati tutti quanti di viva riconoscenza. Finalmente dando loro onorevole, commiato avete acconsentito benignamente che recassero seco la detta scrittura preziosa non meno dell’oro e delle gemme, acciò venisse meglio rischiarata nella quiete, e potesse così, quale ora la vedete, essere fatta degna della pubblica luce.
         A voi pertanto, o Uomini Sommi, è dovuto, se quest’Opera di Gajo, (con cui già tempo, quando stava l’Impero Romano, dai maestri s’insegnavano li elementi del diritto) dopo che s’era stimata perduta irreparabilmente, ora sia invece adottata a porgere li buoni principj della importantissima scienza legale nelle nostre scuole; vostro merito è del pari se questa discoperta si annoveri fra le maggiori che siensi fatte dalla restaurazione delle lettere fino ad oggi; merito vostro, se tanta luce siasi diffusa da ciò su queste discipline civili, e se quasi una novella êra sia sorta per la Romana Giurisprudenza. Tollerate adunque che li ringraziamenti a voi dovuti da tutta la repubblica letteraria vi sieno da noi primamente espressi, tanto più che li nostri socj che vi furono da noi inviati onoraste di un ufficio glorioso, e con modi di tanta benevolenza e liberalità.
         Quanto grande non sarebbe stata la nostra bramosia di retribuirvi in ragione dell’alta vostra benemerenza! Questo solo fare possiamo di almeno pubblicare l’espressione dei nostri sentimenti, e di spedirvi a guisa di dono quell’oggetto che voi già ci avete donato, e che nondimeno vi supplichiamo di benignamente accettare.»
    Berlino Novembre 1820.
    Paolo Ermann. — F. D. E. Schleiermacher.
    I. G. Tralles. — Ph. Buttmann.

  4. Senza concedere gran fatto importanza ad una semplice congettura nostra, e benchè non ci crediamo punto animati da vano municipalismo, ci piace nondimeno riferire intorno alla patria di Gajus alcuni indizi, perchè altri giudichi, se abbiano per avventura nella concorrenza loro qualche virtù persuasiva. Gajus siccome non vorrebbe ritenersi un equivalente del nome romano Cajus, si fece da alcuni, fra i quali Cujaccio, derivare da voce Greca, ed avrebbe significato o terra, o gaudio, o mercenario. Nelle Pandette li altri Giureconsulti sono indicati sempre col nome di famiglia e gentilizio, e non soltanto con quello troppo comune della persona, e così deve ritenersi anche del Gajus nostro, che sia cioè il cognome. Neppure oggidì si potrebbe credere che colle appellazioni Gio. Domenico, Pellegrino e Nicola ognuno dovesse riconoscere li nostri celebri Giureconsulti Romagnosi, Rossi, e Nicolini.
         Se Gajus fosse stato il nome della persona ed uno scambio di Cajus, non si doveva ommettere il nome di famiglia o il gentilizio, come si vede praticato in altri, C. Cassius Longinus, C. Juventus etc.
          Nelle Iscriptiones del Gruterus una ne leggiamo dedicata a un M. Gavius Giureconsulto, e nelle Notti Attiche di Aulo Gellio Libro II Cap. 17 si cita un libro vii di Gavius intitolato de origine verborum.
          Ora, a pochi è noto che sotto gl’Imperatori fosse in Verona una illustre famiglia dei Gavii, di cui era l’arco vicino a Castel vecchio demolito nel 1805. In Verona si è rinvenuto l’antico manoscritto delle Istituzioni, unico in tutto il mondo, benchè le Istituzioni di Gajus fossero così popolari nell’orbe romano che li Grammatici stessi non di rado le citavano. Del prenome Cajus e del cognome Gavius si compose forse per brevità Gajus invece di usare la cacofonia Cajus Gavius? Conveniamo che tuttavia la congettura è alquanto arrischiata, e che si hanno troppo deboli riscontri, ma questi potrebbero, mediante altri dati che venissero da qualche dotta persona aggiunti, conferire per avventura un’ nuovo onore a Verona, così felice nido di preclari ingegni sia dell’antica che della nuova civiltà.
  5. Il Giornale Arcadico, Tomo 13, pag. 14, prometteva che sarebbe stata pubblicata a Roma una Edizione di Gajus, che assai probabilmente non fu mai dato alla luce ivi od altrove in Italia, giacchè le più accurate nostre ricerche rimasero frustranee.
  6. Nella detta Opera che ci siamo procurata, Elvers promette in un’avvertenza preliminare la seconda edizione, resa, com’egli dice, necessaria dopo le correzioni di Blume, uscite contemporaneamente; ma non ci consta che il detto Vocabolario Gajano sia stato più ristampato.
  7. Ecco in quale modo Savigny ragiona intorno alla classificazione di Gajus, nell’Opera: Sistema del Diritto Romano moderno Cap. I del Libro II. «Se esaminiamo il merito intrinseco della classificazione di Gajus la troviamo nel suo aspetto generale conforme alla realtà, ma poco soddisfacente nelle applicazioni di dettaglio, giacchè concede a parecchie istituzioni importanti un posto secondario; così il matrimonio non figura che come l’origine della patria potestà, e nondimeno il matrimonio merita di essere considerato in sè stesso; il diritto di successione viene esposto quale mezzo d’acquisto della proprietà, mentre il diritto di successione può benissimo applicarsi anche dove non siavi proprietà da trasmettere. Questi difetti dipendono dall’abuso della forma logica delle divisiones, abuso che condusse Gajus a più di una transizione forzata. Però queste imperfezioni nella forma non influirono sul fondo stesso dell’Opera, ed ogni amante della scienza deve riconoscere la ricchezza dei suoi materiali e l’eminenza del suo merito.» Ortolan (Histoire de la Legislation Romaine, Paris 1848 p. 294) apprezza così il valore di Gajus: «Sa decouverte, rectifiant des idées fausses, donnant des idées nouvelles, a eclairé un grand nombre des points obscurs ou tout à fait inconnus. Il est du reste aujourd’hui dans les mains de tous ceux qui étudient serieusement le droit romain.
         Gustavo Hugo in un luogo della celebre sua Storia del Diritto romano dichiara: «Le Instituzioni di Gajus sono infinitamente più ricche delle migliori fonti di cui potemmo fino ad oggi disporre; ed altrove: Il libro di Gajus mi fu di grande profitto per la composizione di questo, e non solo me ne valsi per tutti li dettagli fin qui esposti, ma eziandio per quelli intorno ai quali devo tuttavia versare.»
  8. Siamo in debito di attestare quì la nostra riconoscenza all’Ottimo e Dotto Monsignor Girardi Canonico di questa Cattedrale, il quale con esimia bontà e tolleranza ci lasciò fare ogni più minuto esame e riscontro del palimpsesto coi testi stampati; e ricordiamo con animo grato qui pure l’Egregio e Chiarissimo Signor Conte Bonifacio Fregoso in cui vanno del pari dottrina, amore dei buoni studj e la più squisita cortesia, che ci fu largo di protezione nelle nostre ricerche. Ci fu data ampia licenza di fare esami di Codici nella Biblioteca Capitolare e di studiarli a piacere, benchè sieno giustamente con somma cura custoditi; la nostra attenzione è ora destata da un Codice di Giustiniano con postille antiche in greco. Il fatto dileguerà sempre più la calunniosa imputazione di ostacoli che si dicevano ivi frapposti alle indagini delle persone discrete e studiose; nè già si suole d’ordinario censurare un proprietario qualunque, se procedesse con qualche diligenza prima di porre in mano altrui cose sue pregiate, uniche o rare, e sono pur troppo comuni li guasti recati ai Codici o per malizia o per negligenza. Il manoscritto del Gajus, l’altro de jure Fisci non erano sconosciuti prima di Niebhur; solo rimasero silenti atte sa la difficoltà di rilevare le parole scritte originariamente; e noi non potemmo che ammirare sommamente la straordinaria pazienza in ciò usata dai giuristi Tedeschi, sstenuti però nelle loro lunghe e penose fatiche dal plauso della loro nazione, e dalla coscienza del sommo pregio dell’Opera che andavano a restituire al mondo.
  9. Lorenzo Valla (di cui è cenno nel Vol. I di questa Biblioteca pag. 50) fu il più grande latinista del secolo XV. troviamo nel Proemio del terzo libro della celebre sua opera Elegantiarum latinae linguae il seguente elogio dello stile dei vecchi Giureconsulti: Perlegi proxime quinquaginta Digestorum libros ex plerisque Jurisconsultorum voluminibus excerptos; et relegi cum libenter, tum vero quadam cum admiratione; primum quod nescias, utrum diligentiane an gravitas, prudentia an aequilas, scientia rerum an orationis dignitas praestet, et majori laudi danda esse videatur: deinde quod haec ipsa ita in unoquoque illorum omnia sunt egregia et perfecta, ut vehementer dubiles, quem cui praeferendum putes. Cui simile quiddam (ut de ultima tantum parte, quae ad nos pertinet, dicam) in epistolis Ciceronis admirari solebam: quae cum a pluribus scribantur, omnes tamen ab uno eodemque (audacius dixerim) si personas sustuleris, ab uno Cicerone scriptae judicentur, ita verba ac sententiae, caracterque ipse dicendi ubique sui est similis. Quod eo magis in Jurisconsultis est admirandum; quod illi eadem aetate cuncti extiterunt, in eodem quasi ludo ac schola instituti: hi vero inter se etiam seculis distant, licet omnes post Ciceronem: ideoque quibusdam in verbis ab eo differentes, quales omnes a Virgilio atque a Livio fuerunt. Nam Servii Sulpicii ac Mutii Scaevolae nihil extat, sed alterius Mutii recentioris. Et prisci illi quidem Jurisconsulti quales quantique in eloquendo fuerint, judicare non possumus: quippe quorum nihil legimus. His autem, qui inter manus versantur, nihil est, mea sententia, quod addi adimive posse videatur, non tam eloquentiae (quam quidem materia illa non magnopere patitur) quam Latinitatis atque elegantiae; sine qua caeca omnis doctrina est, et illiberalis, praesertim in Jure civili. Ut enim Quintilianus inquit lib. XII. Instit. Orat. cap. 3. Omne jus aut in verborum interpretatione positum est, aut in recti pravique discrimine. Et quantum momenti in verborum interpretatione sit,́ ipsi Jurisconsultorum libri maxime testantur; in hac re praecipue laborantes. Vedansi anche Leibnitz Nova methodus, Morhofius de Latinitate in Digestis, Kirchmajerus Elogia latinitatis jurisconsultorum, Moshemius De lingua latina, Brucknerus de latinitate corporis juris. — Il laudatore Valla fece però non pochi appunti alli lodati suoi, sull’uso di certe frasi e parole, special mente ad Ulpiano, e a Paolo; ma quanto a Gajus (appartenne desso all’epoca precedente in cui la lingua si era mantenuta pura ed incontaminata ), fra tanti scritti che di lui sono nel Digesto appena tre leggiere ineleganze stimò rinvenirvi, e secondo noi poco ragionevolmente. Gajus disse: mulieris appellatione etiam virgo viripotens continetur (D. L. 50 tit. 16. 13). Alciato difende Gajus ed osserva, che in genere poteva così intitolarsi anche la donna non maritata, giacchè mulier viene da mollitie, e può aversi come significante la donna, ond’è che la censura di Valla svanisce.
         In altro luogo (D. De Verb. signif. L. 235) Gajus distinse: ferri, proprie dicimus quae corpori suo bajulat, portari ea quae quis jumento secum ducit, agi ea quae animalia sunt. La critica di Valla batte sulla nessuna logica differenza fra il ferri e il portari. Però presso i Latini giuristi, accuratissimi nella distinzione delle voci, si usava ferre per recare seco, portare per tra sferire col giumento, ed anche qui il fiero grammatico sembra un sofista.
         Infine, secondo Gajus nella parola victus sono comprese tutte quelle cose quibus vivendi curandique corporis nostri gratia utimur. Valla stabilisce che victus viene a vivendo, e che per esempio in Etiopia si può vivere senza bisogno di vesti, curandique corporis gratia; quasichè Gajus scrivesse non pei Romani civilissimi, ma per gl’ignudi e barbari Etiopi.
         Fra le opere che sorsero nel secolo XVIII in lode dei Giureconsulti quanto alla purezza dello stile è rimarchevole quella, oggidì assai rara, di Duckerus: Opuscula varia de Latinitate Jurisconsultorum Veterum. Lugduni Batavorum. 1714, lodata nella celebre Bibliotheca Juris selecta dello Struvio pag. 11, di cui un esemplare ci fu presentato da un nostro amico, l’Avvocato Francesco Parisi. Lo stile di Gajus è sempre terso e preciso com’essere doveva di un libro all’istruzione consacrato: perlocchè non v’ha chi non lo collochi fra i classici scrittori, benchè sia venuto dopo Seneca, Plinio, e Tacito. Ai Giureconsulti, grandi ammiratori ch’erano dell’antico, stavano sempre dischiuse le prische fonti, e fra essi più a lungo si mantenne il culto del bello e del semplice; locchè non può dirsi avvenuto fra noi, ove molti scrittori di diritto sembrano a disegno staccarsi da ogni tradizione letteraria, ignorando quelli ammirabili esemplari che pure possediamo di scrivere grave, o come si dice, d’affari.
  10. Il celebre Troplong (De l’influence du Christianisme sur le droit civil des Romains, Capo XI) dice di Gajus: son coeur étail froid comme celui d’un geometre, e ciò per avere osservato nel suddetto §. 53 del Comment. I a coloro che abusano dei loro schiavi: male enim nostro jure uti non debemus, qua ratione et prodigis interdicitur bonorum suorum administratio. A noi sembra che qui parli da giureconsulto filantropo, e non già da uomo insensibile, giacchè e riprova gli eccessi, e indica la punizione che meritano, nè poteva fare Egli di più. Il nostro valente Storico Cesare Cantù si piacque invece chiamarlo Cajo Tazio, facendolo romano, come altri lo chiamò C. Flavio, o C. Livio, o C. Cassio, senza dargli almeno alcuna patria, mancando i dati. Lo stesso Cantù converte poi il benemerito Don Masotti Bibliotecario della Capitolare, di cui sono i diligenti Cataloghi che ivi si vedono, in Marzotti, e racconta che Maffei abbia dato il facsimile del palimsesto intiero senzad ecifrarlo, quando trasse il facsimile di un solo foglio, e rilevonne in buona parte il te nore (Storia degl’Italiani Cap. LII. pag. 489). -