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introduzione XXXIII

che questo, reclama urgentemente che gli spiriti del diritto antico vengano a nutrirla e a rianimarla. Ora nessuno potendo contendere che il vero Caput della Romana Giurisprudenza sia l’Opera di Gajus, è strano che siasi fin qui trascurata, anche perchè è opportunissima a porci in grado di rilevare più speditamente li concetti di molti brani del Digesto; ma il possesso della lingua del Lazio è così pieno, o almeno così universale presso li Giuristi nostri, che non meriti facilitarne ad alcuni di essi il senso, nei luoghi che loro paressero meno intelligibili? Al postutto, la versione fà le veci di quelle note di chiarative in volgare, che nelle varie edizioni dei classici latini vediamo essere tuttogiorno tanto usate. Crediamo anzi, che poche annotazioni grammaticali o esegetiche abbiano il difetto di non bastare a tutte le capacità, quando una completa versione giova eziandio alli digiuni di latine lettere, i quali pure dovessero penetrare a fondo i principj della loro arte, e volessero giustamente conoscere o richiamarne alla mente le nozioni genuine, non essendovi chi in questa facoltà possa presumere di procedere a caso o all’impazzata. Si dirà forse, che tutte le fila del nostro ragionamento vogliono riuscire al punto di stabilire, che sia utile, per rilevare la pratica, per nobilitarla, e per estenderla, lo studio delle fonti; ma si soggiungerà del pari, che cotesta medesima pratica, senza tanto previo apparato procede pure nel suo cammino, che d’altronde li affari ci assorbono tutto il tempo, e che infine la nuova società essendo ben altrimenti foggiata, dalla notizia delle vecchie istituzioni, gradito pascolo delli eruditi, non possa essere gran fatto agevolata la soluzione delle