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VIII | introduzione |
e di acconce istituzioni giuridiche; la lingua latina in pregio fra li giuristi, e li giovani mancano di quei validi sussidj (copiosi in Germania ed in Francia) che ravvicinano la Giurisprudenza alla Filologia e alla Storia; sono dunque desideratissime delle guide sincere o manuali che dire si vogliano composti di buoni principj scientifici, non inconditi o rozzi, ma bensì adorni di quella soda bellezza che viene dalla lucidità e dall’ordine, in tutto come si addice a ragionamenti indirizzati a giovani d’ingegno elegante che sieno di una succosa brevità, a livello delle scoverte e del sapere moderno, lontani dalle astrazioni, dominio dei filosofi speculativi e dalla congerie dei casi minuti, che scortino coll’autorità del vero dai teoremi non dubitabili dell’umana sapienza a conclusioni certe di pratica applicazione, che inducano negli animi un sentito ossequio alle leggi sorte dai rapporti dei tempi e dei luoghi, e che mediante nessi rigorosi e affinità logiche severissime facilitino la integrale profonda cognizione del diritto, delli suoi fattori, degli elementi che lo compongono, delle loro successive esplicazioni nella storia, e degli ultimi suoi risultati.
Il più maraviglioso esemplare di questi utili libri che ci mancano lo vide Roma nella felice epoca degli Antonini; è l’opera di Gajus col titolo d’Istituzioni, ammirata dall’antichità, e rinvenuta in Verona ai giorni nostri. Il celebre Jacopo Gotofredo deplorava che le Istituzioni di Gajus fossero venute così stranamente deformate dai Goti cioè da quel loro Aniano che per ordine di Alarico ne fece l’Epitome in due libri, inseriti nella raccolta conosciuta col titolo di Lex Romana o Breviarium Alaricianum, ed esprimeva poi