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introduzione | XXXI |
sarebbe augurabile che molti lasciassero la traduzione pel testo, e persuasi che saremo scusati, in grazia della buona intenzione, abbandoniamo questo fatto alla di screzione degli Umanisti.
cipue laborantes. Vedansi anche Leibnitz Nova methodus, Morhofius de Latinitate in Digestis, Kirchmajerus Elogia latinitatis jurisconsultorum, Moshemius De lingua latina, Brucknerus de latinitate corporis juris. — Il laudatore Valla fece però non pochi appunti alli lodati suoi, sull’uso di certe frasi e parole, special mente ad Ulpiano, e a Paolo; ma quanto a Gajus (appartenne desso all’epoca precedente in cui la lingua si era mantenuta pura ed incontaminata ), fra tanti scritti che di lui sono nel Digesto appena tre leggiere ineleganze stimò rinvenirvi, e secondo noi poco ragionevolmente. Gajus disse: mulieris appellatione etiam virgo viripotens continetur (D. L. 50 tit. 16. 13). Alciato difende Gajus ed osserva, che in genere poteva così intitolarsi anche la donna non maritata, giacchè mulier viene da mollitie, e può aversi come significante la donna, ond’è che la censura di Valla svanisce.
In altro luogo (D. De Verb. signif. L. 235) Gajus distinse: ferri, proprie dicimus quae corpori suo bajulat, portari ea quae quis jumento secum ducit, agi ea quae animalia sunt. La critica di Valla batte sulla nessuna logica differenza fra il ferri e il portari. Però presso i Latini giuristi, accuratissimi nella distinzione delle voci, si usava ferre per recare seco, portare per tra sferire col giumento, ed anche qui il fiero grammatico sembra un sofista.
Infine, secondo Gajus nella parola victus sono comprese tutte quelle cose quibus vivendi curandique corporis nostri gratia utimur. Valla stabilisce che victus viene a vivendo, e che per esempio in Etiopia si può vivere senza bisogno di vesti, curandique corporis gratia; quasichè Gajus scrivesse non pei Romani civilissimi, ma per gl’ignudi e barbari Etiopi.
Fra le opere che sorsero nel secolo XVIII in lode dei Giureconsulti quanto alla purezza dello stile è rimarchevole quella, oggidì assai rara, di Duckerus: Opuscula varia de Latinitate