Il nemico (Oriani)/Parte prima/II

II

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II.

Due giorni dopo il conte Ogareff era nel proprio salotto bianco, quando un servo venne ad annunziargli la visita di Olga Petrovna.

Quantunque non fosse che d’autunno, il freddo nelle vie era molto intenso: aveva nevicato largamente nella notte, e un’aria fumida e greve [p. 45 modifica]rendeva più triste quella stagione, già per sè stessa poco gradevole in Russia per la violenta alternativa di venti, che raggelano e sgelano con pericolosa rapidità immense zone di neve e di acqua. Il giovane sibarita aveva preso allora un bagno di vapore e, ravvolto in un’ampia veste da camera di grossa lana bianca del Tibet, stava assaporando con voluttuosa lassitudine una sigaretta, lungo disteso sopra un divano. Il salotto, tutto bianco, aveva una strana fisonomia, pura e selvaggia. Le sue pareti tappezzate di pelli di orso bianco, dalle quali penzolavano qua e là come gemme le unghie inargentate, si confondevano colla volta parata di un’indefinibile stoffa bioccosa, che si riuniva capricciosamente nel mezzo per sostenere un antico lampadario di vetro carico di candele trasparenti. Un tappeto bianco, grosso e duro, le formava sotto un piano quasi troppo rigido, mentre due divani ricoperti in pelle d’orso, larghi e bassi, sembravano due letti, cui i cuscini delle spalliere ricamati di ceniglia e d’oro dessero un significato d’amore. Sopra un tavolino in metallo bianco, dalla forma bizzarra di tripode, presso la finestra velata da una doppia tenda, un samovar d’argento gorgogliava tenuemente nel silenzio caldo del salotto, già aromatizzato dal fumo della sigaretta. In un angolo, sopra un paravento giapponese, chiuso in una cornice di ramoscelli di una flora sconosciuta, passava per un cielo di argento opaco un gran volo di uccelli [p. 46 modifica]azzurri, rapidi e languidi, colle gambine penzolanti e nel lungo becco roseo un insetto verde.

Olga Petrovna, respinta dal calore intenso di quell’atmosfera, s’arrestò sotto la portiera restandovi incorniciata come un ritratto.

— Che vuoi, bella Olga? chiese il giovane conte senza levarsi dal divano, tendendole indolentemente una mano molle e robusta.

Ella venne famigliarmente a sedergli presso la testa, sulla quale lasciò errare la mano guantata. Il suo abito bruno pareva funebre fra tutto quel bianco, mentre la sua faccia, rossa ancora dalle sferzate del freddo nella strada, stentava a riacquistare tutta la propria delicatezza.

— Nemmeno tu ci sei stato? domandò con voce quasi rauca.

— No.

— Non c’era che lui.

— Me lo sono immaginato; poi dopo una pausa: e Rodion?

— Sublime! Ha mostrato come Rissakoff i polsi rotti dalla tortura. Non c’era quasi nessuno: già era presto.... freddo.

Olga si levò: forse la visione del patibolo le riappariva più terribile fra quel bianco, del quale il tepore le saliva sotto gli abiti e su per il volto a riscaldarle il sangue. A quell’ora Rodion doveva essere disteso, col collo rotto, sopra una panca nella camera funeraria: si sapeva che i medici dell’università dovevano fargli la necroscopia. [p. 47 modifica]

Mosse qualche passo su e giù pel salotto, poi si fermò davanti ad Ogareff, che si era seduto quasi compostamente.

— Abbiamo disobbedito.

— Disobbedito?!

— Sì, all’ordine di Loris: avremmo dovuto trovarci tutti nel campo.

— Una sua guasconata, che ti ha fatto molta impressione, disse Ogareff. Via, non pensiamoci più. Povero Rodion! ha saputo morire nobilmente; verrà forse anche per noi l’occasione, e allora ci ricorderemo di lui per imitarlo, se non saremo riusciti prima a vendicarlo. Adesso viviamo. Lo Czar può interrompere la nostra vita, ma non toglierle la primavera.

Nullameno la sua voce restava malinconica: afferrò Olga per la vita e, costringendola a sedersi sul divano, le cinse un braccio al collo.

— Sei stata a cena con Ossinskj l’altra sera? È dunque così forte, mia bella Olga, che abbia potuto fissarti? Raccontami la tua notte bianca fra questo bianco polare, che una volta ti piaceva tanto.

Olga alzò le spalle.

— Stanca pure di Ossinskj! esclamò l’altro.

— Di tutto.

Una profonda mestizia le apparve sul volto: si abbandonò sulla spalliera del divano e, sostenendosi la fronte sopra una palma, si mise a pensare. Le sue scarpine umide avevano lasciato un’orma [p. 48 modifica]sucida sul tappeto. Ogareff le si sdraiò a fianco; passò del tempo.

— Perchè sei venuta? le chiese improvvisamente.

Invece di rispondere Olga disse:

— È strano. Nessuno di noi conosceva il povero Rodion, eppure ci siamo compromessi sino all’ultimo per salvarlo; nessuno di noi conosce ancora Loris, ed è già il nostro capo.

— Tu pensi a lui: ti avrebbe già affascinata? Perchè no? proseguì tagliandole la risposta; l’amore è libero nella nostra teoria.

Ma ella senza levargli gli occhi in viso mormorò:

— L’amore libero non è forse che la libertà senza l’amore.

— Sei innamorata, Olga: tu sei venuta da me per chiedermi qualche cosa di Loris. Sciaguratamente ne so quanto te. Mi pare che posi.... è misterioso. Ho pranzato l’altra sera con lui al Caffè Inglese. Le sue maniere sono aristocratiche, ma vi si sente ancora un po’ di sforzo: nullameno, lo riconosco, è un uomo superiore. Stassera pranzeremo assieme.

— M’inviti?

— Pranzeremo ancora al Caffè Inglese con Kriloff; tu potresti destare sospetti. Poi chi sa se Loris, aggiunse con lieve sorriso d’ironia, ne fosse contento. Mi pare che non ami le donne; gli ambiziosi come lui sono senza cuore. [p. 49 modifica]

— Lo credi ambizioso?

— Tremendamente. È rivoluzionario per rabbia di conquista: mi piace per questo.

— Come te; ti sei fatto rivoluzionario per odio della aristocrazia, che serve lo Czar. Tu sei uno scettico, ti arrischi per il piacere di comprometterti. Ma Loris non ti ha detto nulla dei propri disegni? Slotkin, che lo conosceva qualche anno fa, non ha voluto raccontarmi niente della sua vita: parla di lui con molta ammirazione.

— Vuoi che ti accompagni da lui? Ho il suo indirizzo: abita piazza Isaac N. 20, ha tutto un piccolo appartamento. Solamente non so se ci riceverà. Ma tu stai male! esclamò improvvisamente: il supplizio di Rodion ti ha sconvolta; aspetta, prendi una tazza di the.

Infatti Olga diventata pallida aveva le labbra tremanti e gli occhi gonfi.

Una crisi di pianto la sollevò.

— Povero Rodion.... morto come mio padre!

Ogareff, che le aveva già offerto la tazza del the, vedendola sollevata sorrise, e come per distrarla domandò:

— Perchè lo chiami questa volta tuo padre?

— Non lo so, è vero. Io non l’ho conosciuto, mia madre, parlando di lui, dice sempre mio marito: ella lo amava come uomo, non come mio padre. Io non ho nessuno. Mia madre vive della memoria di lui, e mi ha insegnato ad odiare lo Czar, ma non mi ama. [p. 50 modifica]

— Così sei più libera: la tua stessa professione ti da una indipendenza assoluta.

Ella s’alzò.

— Ho qualche visita da fare, rispose ad una sua occhiata.

— Non sei dunque venuta per me? le disse prendendole galantemente le mani e attirandosela sul petto senza che ella resistesse.

— Tu sei innamorato della principessa ora.

— Saresti gelosa? Quale complimento! esclamò dandole un bacio.

Ella lo lasciò fare. Il calore del gabinetto li ravvicinava: erano tutti due biondi, cogli occhi azzurri, rosei e giovani. Egli con quella lunga veste bianca stretta alla cintura da un grosso cordone, il collo dolce che gli si vedeva sotto la camicia smollata, sarebbe parso quasi una donna senza quell’aria quasi fiera della faccia: ella era più piccola, coll’abito che le guantava le spalle e il petto, i riccioli che le sfuggivano sotto il berrettino di martora, un po’ fredda e rigida come un uomo.

— Non sederai? esclamò ricadendo sul divano e traendosela sulle ginocchia, mentre con un braccio le stringeva più vivamente la vita e coll’altra mano le tormentava i bottoni del corsetto. Ella ebbe ancora un istante d’indifferenza, poi gli piegò il capo sopra una spalla nascondendogli il viso nel collo.

Nel gabinetto bianco il samovar seguitava a gorgogliare. [p. 51 modifica]

Quando Olga se ne andò, gli disse:

— Mi racconterai poi che cosa ti ha detto Loris.

— Gli dirò che sei innamorata di lui.

— Per carità! gridò congiungendo le mani vivamente, con atto così femminile che l’altro ebbe un lampo di vera meraviglia negli occhi, e riassicurandola con un sorriso pieno di bontà le gettò un ultimo bacio per saluto.

Ma rimase pensieroso.

Le poche parole di Olga su Loris gli avevano richiamato alla mente il problema di questo sconosciuto, che presentatosi in mezzo a loro con Kriloff aveva subito assunto una specie di comando. Nè Kriloff nè Slotkin avevano saputo dire gran cosa sul conto suo: lo avevano conosciuto studente cinque anni prima alla università di Kazan, senza famiglia, non ricco, potente di pensiero e di coraggio; quindi era scomparso. Più tardi aveva scritto loro dall’estero; altri nichilisti lo avevano conosciuto in Francia giudicandolo con criteri opposti, ma riconoscendogli una indiscutibile superiorità. Nessuno lo aveva mai sospettato spia del governo, sebbene mostrandosi rivoluzionario non avesse mai voluto appartenere ad alcun gruppo.

Ora pareva ricco. Perchè era tornato?

Ogareff attratto verso di lui da una simpatia, nella quale resisteva segretamente un orgoglio di rivalità, aveva già accettato un invito al Caffè Inglese, e nella sera doveva ritornarvi a pranzo [p. 52 modifica]senza che Loris imponendoglisi nella conversazione gli avesse ancora rivelato alcun disegno. Il suo temperamento rimasto aristocratico malgrado l’assurda intrattabilità di tutte le idee nichiliste gli faceva sentire in Loris il tipo ideale del rivoluzionario dominatore e signorile. Loris lo trattava quasi con rigidezza inglese, mentre con Kriloff sembrava usare la famigliarità sottilmente umiliante di un superiore, che nessun caso di guerra o di lavoro potrà mai livellare coi gregari. Adesso le prime parole di Olga gli tornavano alla memoria: ella gli aveva chiesto subito perchè avesse mancato all’impiccagione del povero Rodion malgrado l’invito di Loris; la giovinetta lo aveva preso per un ordine, ed aveva obbedito. Loris era stato presente a quel supplizio, solo, impassibile. Perchè? Non era dunque una guasconata? Perchè assistere a quel martirio, che tutta la loro imprudente generosità non era riuscita ad impedire?

Ogareff perduto in queste riflessioni si scordava di essere aspettato al club e di avere un appuntamento colla bella principessa Strogonoff, una delle dame più eleganti di Pietroburgo.

Passando in victoria lungo la prospettiva Newsky vide Loris vestito con severa eleganza, a piedi, che gli fece un cenno. Ogareff rattenne tosto i cavalli, Loris gli si avvicinò. La fila delle carrozze arrestata un momento oscillò: i due giovani egualmente belli e signorili attrassero l’attenzione di molti passanti. [p. 53 modifica]

— Perchè non salite meco?

— Avrò l’onore di aspettarvi a casa mia sulle cinque, rispose l’altro inchinandosi.

Alle cinque Ogareff, in marsina e cravatta bianca, era nel salotto di Loris, che lo ricevette egualmente vestito.

— Avete fatto benissimo a vestirvi così. Il nostro pranzo al Caffè Inglese non potrà essere sospettato.

Ogareff si inchinò freddamente aspettandosi quasi un rimprovero per non avere assistito alla impiccagione del povero Rodion, ma s’ingannò.

— Ho dovuto affrettare l’ora del pranzo per un convegno importante, che potrò forse comunicarvi domani. Troveremo Kriloff per strada; vi ho fatto venir qui perchè è bene che il dwornik vi conosca. Io stesso verrò ad una cena, che voi darete ad alcuni amici del vostro club: così li conosceremo ed avremo relazioni sicure nel campo avversario. La vostra tattica di non ravvisare altrove gli amici, coi quali vi trovai da Andrea Petrovich, non è assolutamente buona, quantunque la vostra posizione sociale vi proibisca apparentemente simili relazioni. Però stamane avete ricevuto Olga Petrovna. È donna, e si crederà ad un capriccio di libertino: nullameno ella è già sospetta alla polizia; dovrete in seguito modificare le vostre relazioni.

— Come lo sapete?

— Lo so. Ora possiamo uscire: permettete che vada a mettermi la pelliccia. [p. 54 modifica]

Il conte Ogareff, rimasto solo, si girò gli occhi intorno esaminando. Il salotto aveva quel lusso volgare ed impersonale degli appartamenti, che si affittano; sullo scrittoio nero, senza libri, entro una sottile cornice di metallo bianco s’alzava un ritratto. Ogareff ebbe la curiosità di guardarlo. Era una litografia di un uomo, che sorgeva in piedi come per rispondere ad un interlocutore invisibile: un lembo di tavola gli arrivava al petto prolungandosi oltre la cornice assurdamente.

Loris rientrando lo sorprese intento in quel ritratto.

— Vi piace?

— Francamente, no: pare una faccia di assassino.

— Infatti è il più illustre assassino della storia, Giuda Iscariota. Un amico mio, a Parigi, ebbe l’idea di staccare la sua figura dalla cena degli Apostoli di Leonardo da Vinci. Guardate, seguitò togliendogli di mano il ritratto ed appressandosi al lume: Leonardo racconta d’aver girato lungo tempo pei vicoli di Milano cercando fra la plebe più abbietta il tipo di Giuda. Evidentemente dalle sue parole traspare l’intenzione d’ingiuriarlo, ma il genio del pittore ha invece trionfato della piccineria del cattolico. Osservate quanta durezza sulla faccia di questo uomo, che ha dovuto resistere alle illusioni di tutte le speranze umane e divine per vendere Cristo a trenta denari, annullando per sempre col ridicolo del prezzo il valore [p. 55 modifica]del nuovo Dio. Era impossibile rispondere più superbamente alla promessa di un paradiso, che ingannava i poveri lasciando sulla terra tutti i privilegi ai ricchi. Giuda ha saputo uccidere Cristo, il cristianesimo non è riuscito ad inventare una pena adeguata al deicida.

Quando uscirono tutti i fanali erano già accesi: nelle vie passava gran gente. Kriloff, che li aspettava, finse di imbattersi in loro ad una cantonata; era egli pure in marsina e pelliccia. I tre giovani allungarono il passo, e furono presto al Caffè Inglese già affollato dei soliti avventori; traversarono due grandi sale, dietro un cameriere che li condusse in uno dei molti gabinetti, ove non era posto che per due o tre tavole.

Il servizio era elegante, il cameriere parlava correttamente francese.

Sul principio i tre giovani rimasero soli.

Kriloff sembrava preoccupato, Ogareff diventava ogni tanto pensoso, solamente Loris conservava la propria fredda tranquillità. A mezzo il pranzo, un signore alto entrò nel loro gabinetto per farsi servire: aveva l’aspetto contegnoso di un funzionario, con due lunghe fedine rosse, la fronte un po’ calva, gli occhi bianchi e gelidi; gettò uno sguardo sui tre giovani fissando per un momento Loris. Questi ebbe un sussulto impercettibile, che forse non sfuggì all’altro. Infatti, scegliendo il tavolo, andò a porsi di fronte a Loris in modo da poterlo guardare senza farne le viste. [p. 56 modifica]

La conversazione per un momento fu sospesa, ma Loris senza cangiare il tono della voce si mise a parlare del povero Rodion: lo sconosciuto involontariamente drizzò il volto ascoltando. Kriloff gettò a Loris di sottecchi uno sguardo imprudentemente meravigliato; Ogareff anche più imprudentemente esaminò lo sconosciuto. Era più di quanto bastava a Pietroburgo per destare sospetti.

Loris affettando molta dottrina parlò della nuova scuola criminale positivista, citò un autore italiano, raccontò di avere assistito ad altre esecuzioni capitali a Parigi e di essere andato nel mattino a quella di Rodion per farsi un’idea del sistema e del carattere russo. Ne era rimasto contento. Non vi era gran folla: evidentemente il popolo non osava assistere a tali spettacoli per timore della polizia, che riempiva tutte le strade e il campo; così era impossibile formarsi un concetto esatto delle impressioni del popolo a queste scene tanto ripetute di supplizio politico.

Loris parlava adagio, con voce limpida e tagliente. La sua faccia, quasi femminea, aveva una serietà aristocratica, dalla quale non trapelava alcuna passione: qualche volta alzava la mano in un gesto compassato.

— Avete mai visto morire sul patibolo? chiese improvvisamente ai due amici.

Ogareff, che indovinava un’intenzione riposta in questo discorso e seguitava a sbirciare lo sco[p. 57 modifica]nosciuto apparentemente occupato della propria minestra, rispose:

— No.

— Eppure bisogna vederne. Occorrerebbe una rivoluzione come quella del 93 per compiere studi interessanti sulla differenza dei coraggi umani, fra quello del gentiluomo e del mugik, del malfattore volgare e del delinquente politico, che avendo perduta la battaglia viene immolato come prigioniero. Sciaguratamente viviamo in tempi troppo calmi. Tutti i criminali sono coraggiosi in faccia al patibolo, ma il loro coraggio è fatto d’insensibilità o di iattanza, più spesso di questa che di quella; generalmente è un complimento alla bestiale curiosità della plebe accalcata nella piazza. Quando invece il condannato, come nel caso di Rodion... non ho ritenuto che questo nome, sapete voi quello della sua famiglia? si volse interrogando ad Ogareff: pare fosse uno studente; nel caso di Rodion il coraggio viene dalla esaltazione; è una forma religiosa dello spirito, e quindi l’esecuzione diventa martirio.

— Questa è la vera parola, rispose Ogareff compromettendosi, come se il discorso di Loris tendesse unicamente a provare la loro intrepidezza.

— Forse! Non ho conosciuto Rodion: il suo attentato, come lo narrano i giornali, fu una puerilità; in simili condizioni è quasi impossibile uccidere uno czar. Più la selvaggina è importante e più è facile sbagliarla; aggiungete, seguitò con [p. 58 modifica]un sorriso, che non si può essere regicida di professione e farsi la mano a simili colpi. Ma quando il patibolo s’innalza sopra un’idea, è sempre più alto di qualunque trono.

Quest’ultima frase fu pronunziata con tale accento di calma che fece levare la testa allo sconosciuto: il suo sguardo s’incrociò nuovamente con quello di Loris.

— Voi Kriloff, che siete economista, proseguì Loris mescendosi un bicchiere di bordeaux, sapreste dirmi quanto costino al governo quegli otto metri, li ho misurati coll’occhio, di corda colla quale è stato impiccato Rodion, tenendo calcolo di tutte le spese di polizia, della Terza Sezione e del resto? Quanti chilometri di ferrovia si farebbero con quegli otto metri di corda?

— Non imitando lo czar Nicolò, che disegnò la prima ferrovia russa tirando colla matita un rigo sulla carta geografica e moltiplicando così tutte le difficoltà del terreno per costrurre la più stupida linea ferroviaria del mondo, credo che con tutti gli altri metri serviti alla impiccagione degli czaricidi negli ultimi vent’anni si costruirebbero quasi tutte le linee, di cui il nostro commercio interno abbisogna. Non vi è paese in Europa, ove le ferrovie costino meno che in Russia.

— Ma la polizia vi costa troppo.

Allora parlarono della ferrovia trancaucasea, della quale il generale Annenkoff stava occupandosi: la conversazione deviò. [p. 59 modifica]

Ogni tanto Ogareff e Kriloff consultavano Loris con un’occhiata; ma questi fingeva di non accorgersene. Il pranzo era alla fine. Anche l’altro aveva già ordinato il caffè e il cognac.

— Saremo in tempo? disse Loris a Kriloff abbassando la voce in modo da essere inteso dall’altro e lasciandosi apparire sul volto una improvvisa preoccupazione. Consultò l’orologio. Kriloff affermò di sì: parve che un imbarazzo si aggravasse improvvisamente sui tre giovani. Si affrettarono, chiesero il conto; adesso si dicevano qualche parola a mezza voce guardando con sospetto verso lo sconosciuto.

Il cameriere infilò loro le pelliccie. Appena fuori del caffè Loris si volse e vide lo sconosciuto che s’incamminava dalla loro parte. Alcuni fiaccheri vuoti erano a poca distanza; quindi Loris si fermò salutando Ogareff. Lo sconosciuto si avvicinava: egli mostrò di non vederlo.

— Ci vedremo dopo, mormorò Loris; lasciatevi trovare sulla piazza del teatro: e voltandogli le spalle salì con Kriloff sul primo fiacre.

Ogareff era tornato indietro.

Allora lo sconosciuto montò sopra un altro fiacre e li seguì: per mezz’ora fu una caccia. Le strade erano affollate, il freddo cresceva d’intensità perchè la notte si veniva facendo limpidissima; a un dato punto il fiaccheraio dei due giovani parve aumentare di velocità lasciando la grande strada del Maneggio. Si sarebbe detto che fug[p. 60 modifica]gisse; l’altro pure accelerò il proprio trotto, ma non abbastanza per non perderlo di vista ad una svoltata.

— Sferza, gridò lo sconosciuto al fiaccherista.

Ma quando questi lanciando a tutta corsa il cavallo girava lo stesso angolo, il primo fiacchero tornava indietro vuoto e al passo; lo sconosciuto si drizzò sui cuscini e credette di scorgere i due giovani allontanarsi lentamente a piedi lungo il muro a sinistra. Allora ordinò al cocchiere di rimettersi al trotto, li oltrepassò senza guardarli, lo fece voltare alla terza strada, nella quale scese licenziandolo e ordinandogli di proseguire. Egli invece ritornò nell’altra, accese uno sigaro e seguitò lentamente.

La distanza fra lui e i due giovani scemava.

Loris e Kriloff, che non lo perdevano di vista, si erano accorti di essere pedinati; ma in faccia a questo nuovo pericolo non avevano ancora scambiato alcuna parola. Il loro passo strideva sulla neve. Ogni tanto Kriloff sbirciava il compagno aspettando un ordine.

— Allunghiamo il passo; non lo guardare quando gli passeremo dinanzi.

Lo sconosciuto invece non resistè alla curiosità di osservarli. Loris svoltò a sinistra. I fanali della piccola strada erano più radi, sembrava vuota; improvvisamente si mise a cantarellare con voce tenorile il racconto di Lohengrin all’ultimo atto, pigliando Kriloff sotto il braccio. Nessuno di loro aveva angora rivoltata la testa. [p. 61 modifica]

— Ci segue, disse Loris, distinguendo il suo passo sulla neve; canta tu ora, e sta attento.

Si fermò sbottonandosi la pelliccia per cercare il porta-sigari nella marsina.

— Sei pur stonato? esclamò ad alta voce; se ti sentisse Ewlampia in questo momento saresti perduto.

— Non mi sentirà, con lei parlo non canto.

— Credi che ci guadagni molto così?

Lo sconosciuto era a pochi passi.

— Hai un fiammifero? chiese Loris guardando Kriloff in modo così strano che questi comprese.

— No, li ho dimenticati sulla tavola.

— Per Sant’Elia non fumeremo dunque sino a casa tua: un anno della mia giovinezza per un fiammifero!

Lo sconosciuto li aveva sorpassati senza guardare.

— Perdono, signore, lo richiamò Loris salutando del cappello e andando verso di lui colla pelliccia sbottonata, così che si vedeva il piastrone bianco della camicia. La strada faceva un gomito, era deserta.

— Mille perdoni, avreste la bontà di darmi un fiammifero?

L’altro si volse, e prima ancora d’aver risposto trasse di tasca una mano tendendogliela, ma la luce era così scarsa che la scatolina non si vedeva. Loris gli si avvicinò due altri passi: aveva un sigaro fra i denti, sporse la mano sinistra [p. 62 modifica]guantata, mentre coll’altra si riadattava il gibus sulla testa.

— Volentieri, disse lo sconosciuto.

Loris vibrò il colpo.

Lo sconosciuto cadde senza gettare un grido. Kriloff sbalordito non si muoveva; Loris proseguiva già senza voltarsi: allora Kriloff spiccò un salto guardandosi addietro, e lo raggiunse.

— Loris...

— È già morto, ne sono sicuro. Non allunghiamo troppo il passo, sarebbe imprudenza.

E dopo una pausa:

— Vedi, seguitò mostrandogli un lungo spillo, che rimise con flemma entro un fodero bruno, è un grosso ago scanalato. L’idea è mia, mi è venuta dalla siringa del Pravatz; il fodero impermeabile è pieno di acido prussico, e chiude ermeticamente mediante un anello di gomma. Ho fatto molte esperienze sopra dei cani: non uno che sia riuscito ad urlare.

Kriloff atterrato abbassò la testa allungando inconsciamente il passo: poi si guardò indietro, spiò davanti, tese in sè medesimo tutti i sensi per cogliere un rumore di qualcuno, che si avvicinasse. Fortunatamente la strada era vuota, ma l’altra, che la tagliava a un cento metri, pareva più frequentata.

— Accendi dunque uno sigaro per darti un contegno, disse Loris con accento ironico. Un’altra volta ti spiegherò il metodo di Lacenaire per [p. 63 modifica]uccidere: è ancora il migliore che si sia trovato. Uccidere subito, senza una precauzione, senza una paura, e nessuno può accorgersene. Credi tu che domani mattina si sarebbe saputo alla Terza Sezione se io avevo chiesto un fiammifero ad un signore, che passava per strada? Ebbene non sapranno nemmeno che io lo abbia ucciso, perchè le due azioni si sono compite colla stessa indifferenza.

Kriloff tornò a voltare la testa.

— Siamo in guerra, vita per vita.

Adesso un’immensa distanza li divideva, mentre il pericolo di prima li aveva avvicinati. Loris, che se ne accorse, si fermò all’imboccatura della nuova strada cercando cogli occhi un fiacre: lo vide, ma lungi; si affrettarono alla sua volta.

Quando vi furono saliti, e Loris ebbe costretto Kriloff a rompere il silenzio dando l’indirizzo al fiaccheraio, si sentirono spiritualmente più vicini. Quel fiacchero, che li conduceva al maggiore appuntamento della loro vita, li appaiava di nuovo.

— Ti comprendo, disse Loris piantandogli gli occhi in faccia così che il suo sguardo lo dominò subitamente: la morte di quell’uomo ti ha fatto paura. L’ho riconosciuto appena è entrato nel nostro gabinetto; era una spia del governo. Mi fu segnalato dal colonnello Lavrof a Zurigo: credo che a Ginevra una sera si sia tentato di ucciderlo.

— Davvero? rispose Kriloff, che quelle spiegazioni rasserenavano. [p. 64 modifica]

— Se non l’avessi ucciso, avrebbe forse indovinato dove andiamo, e domani mattina saremmo stati tutti e due chiusi nella fortezza Pietro e Paolo. In guerra si contano le battaglie non i morti. Adesso pensa tu a che punto vuoi lasciare il fiacre. Credi che le adiacenze della casa saranno sorvegliate dai loro?

— Non credo.

— Nemmeno vi saranno ridicole formalità massoniche alla iniziazione?

— Trepof me lo ha assicurato.

— Ne dubito: il nichilismo è un’ultima forma romantica.

Ma Kriloff non poteva distrarre la mente da quella uccisione:

— Il tuo ago è così sicuro? È stata la prima esperienza sopra un uomo? Dove lo tieni?

— Qui, nella tasca della pelliccia: la puntura è fine, ma vi cascano dentro tre o quattro goccie di acido prussico e la morte è istantanea.

Loris indovinando il desiderio di Kriloff trasse il pugnaletto di tasca. Non era più lungo di quindici centimetri, sottile come un ago da materassaio; una profonda scanalatura ne faceva quasi un tubetto che finiva a lingua. Bisognava dare il colpo verticalmente, perchè l’acido scendesse nella punta rigata da minimi solchi. Il manico era di osso nero, come il tubetto; si sarebbe potuto portarlo nella tasca esterna dell’abito, che tutti l’avrebbero creduto un termometro da medico. [p. 65 modifica]

Licenziarono il fiacre.

Erano le nove. La strada s’allungava davanti ai loro sguardi punteggiata dai fanali nel gran silenzio della neve, sulla quale i riverberi del gas accendevano tratto tratto come delle fiammelle: quasi tutte le botteghe erano chiuse; passavano poche carrozze. Dal secondo piano di una casa signorile, con cinque finestre illuminate, scesero gli accordi di un pianoforte.

I due giovani si strinsero al muro affrettando il passo.

— Ecco la casa, disse Kriloff mostrando a Loris un vasto fabbricato ricco, nel quale s’aprivano alcune botteghe. Da quella del tabaccaio e dall’altra del caffè prorompeva un gran lume.

Quando traversarono la strada, un signore uscì dalla bottega del tabaccaio e venne loro incontro.

— Siete pedinati? chiese a Kriloff senza nemmeno salutare l’altro.

— No.

— Allora andiamo.

Entrarono nell’andito: il dwornik li vide passare dal proprio casotto, fingendo di leggere un giornale. Salirono in silenzio quattro rami di scale; una porta si aperse innanzi a loro, penetrarono in un’anticamera quasi buia.

— Potete trarvi le pelliccie.

Colui, che li aveva introdotti, sembrava un popolano, basso e tarchiato, con una larga faccia e la voce di una grande bonarietà. [p. 66 modifica]

Kriloff e Loris, dominati da una indefinibile preoccupazione, si cavarono nervosamente le pelliccie rimanendo nell’eleganza delle loro marsine, poi schiacciarono i gibus, e si tastarono involontariamente i piastroni inamidati delle camicie. Si sarebbe detto che stessero per entrare in una sala da ballo. Kriloff, che doveva introdurre Loris presso il Comitato Esecutivo, col quale aveva avuto altre volte contatto, era adesso di un pallore eccessivo: l’assassinio, commesso dall’amico per strada con sangue freddo così spaventevole, gli faceva temere di un’altra scena. Perchè aveva egli voluto essere presentato al Comitato Esecutivo? Kriloff non lo sapeva ancora: Loris gli aveva parlato confusamente di un accordo da tentarsi fra il nuovo partito nichilista, che veniva reclutandosi fra i giovani, e l’altro caduto nell’impotenza dopo l’uccisione di Alessandro II.

L’anticamera non aveva altro mobile che una cassapanca, sulla quale ardeva una piccola candela. Quando Trepof ebbe accuratamente ripiegato le loro pelliccie, prese il candelliere senza trarsi la propria, e disse loro:

— Venite.

Traversarono due salotti, una sala da pranzo, due camere da letto: pareva un modesto appartamento borghese. In una camera da letto videro sospesi ad un attaccapanni alcuni abiti, un cappellino da donna; i porta-catini avevano le salviette, l’armadio delle sante iconi era aperto. [p. 67 modifica]Nella sala da pranzo alcuni bicchieri dimenticati sulla tavola, un piccolo vaso da caffè sopra la credenziera, della quale gli sportelli erano socchiusi, testimoniavano che l’appartamento era abitato. In un’altra camera, più vasta, parata di carta turchina, con quattro divani alle pareti, parecchie poltrone in mezzo, presso un piccolo tavolo di lacca, sul quale sorgeva un samovar, e due grandi specchi incastrati nel muro formavano come un salone. Il pavimento in legno era lustrato a cera, molti bracci di bronzo dorato ai muri erano carichi di candele, un lampadario con lumi a petrolio, ravvolto in un velo verde, scendeva nel mezzo.

Trepof si appressò allo specchio di sinistra, premè con un dito sopra una modanatura, e lo specchio girando su sè stesso scoperse un vano buio. Egli vi si inoltrò tenendo alta la candela; era un piccolo corridoio; si fermò ad una porticina, la spinse, e si trovarono in una saletta.

Trepof depose la candela sopra una sedia.

— Aspettatemi qui.

Quando rimasero soli, Loris guardò Kriloff sorridendo.

— Lo specchio girante come nei romanzi! Tu lo conoscevi già?

— È la terza volta che vengo qui.

— Saranno mascherati.

— Senza dubbio.

Un lampo passò nelle pupille verdi di Loris, che si volse esaminando la saletta. [p. 68 modifica]

Trepof tornò.

— Potete entrare, disse a Kriloff, e senza attendere risposta se ne andò per dove erano entrati.

Kriloff titubava.

— Andiamo, esclamò Loris, sul cui viso traspariva come un’impazienza di combattimento.

— Sii prudente, mormorò l’altro, e abbassando la testa quasi dinanzi ad un pericolo inevitabile lo precedette.

Passarono in un’altra stanza egualmente senza mobili, spinsero un uscio nero.

— Avvicinatevi, disse loro una voce, mentre un uomo con una maschera nera sul volto, respingendo l’uscio, si scartava per lasciarli passare.

La stanza era nuda, imbiancata colla calce: non aveva in fondo che un largo tavolo rettangolare, al quale sedevano quattro uomini vestiti borghesemente, con una maschera nera sul viso; una sedia era vuota e doveva appartenere a colui, che era venuto ad aprire la porta.

Loris entrò il primo, a testa alta, fissando coloro che lo aspettavano seduti; altre due sedie stavano dinanzi alla tavola.

Quegli, che li aveva introdotti, ritornò al proprio posto lasciando l’uscio aperto, e con un gesto invitò i due giovani a sedere.

Nessuno aveva ancora parlato.

Loris sollevando gli occhi al di sopra di colui, che sedendo nel mezzo aveva l’aria di presiedere il comitato, vide il ritratto di Alessandro II, e [p. 69 modifica]un’impercettibile sorriso sfiorò le sue labbra a quella vanità, che aveva inspirato al comitato la bizzarra idea di sospendere il ritratto della loro vittima nella sala segreta delle sedute.

Tre di quei cinque membri avevano la fronte calva, coi capelli brizzolati; uno aveva una folta capigliatura di un biondo castano, l’altro i capelli neri, radi e pettinati piattamente sulla fronte. Evidentemente il loro travestimento non andava più in là della maschera.

Il silenzio si prolungava.

Loris seduto correttamente come nel salotto di una signora lasciava errare uno sguardo sicuro sui cinque sconosciuti attendendo: Kriloff invece si muoveva sulla scranna come incerto di alzarsi per parlare, e la sua nervosità si rivelava al modo, col quale tormentava inconsapevolmente il proprio gibus.

— Che cosa chiedete? gli si volse infine quegli, che pareva il presidente.

Kriloff balzò in piedi rispettosamente: era sempre così pallido; posò il gibus sulla tavola e con voce tremula rispose:

— Sono venuto a presentare il mio amico Loris Nicolaievich Repnine secondo il permesso, che mi avete dato.

Tutti gli occhi caddero simultaneamente sopra Loris, che rimase impassibile.

I cinque ascoltavano in atteggiamento rigido: un lume a petrolio riparato da un cupo cappello [p. 70 modifica]verde lasciava i loro corpi e le loro maschere in un’ombra fredda, che la bianchezza delle pareti sembrava aumentare; il tappeto verde, che copriva il tavolo, era qua e là macchiato d’inchiostro. Lo sguardo di Loris si fermò sul dito di uno osservandovi un sottile anello matrimoniale.

— Il vostro amico ha dunque qualchecosa di importante a comunicarci?

Poi improvvisamente con voce severa:

— Saverio Alessandrovich Kriloff, siete voi sicuro della sincerità del vostro amico? proruppe senza guardare Loris.

Questi volse il viso.

Kriloff rispose con voce ferma:

— Sì, garantisco sulla mia vita.

— La vostra garanzia non garantirebbe nulla se vi foste ingannato. Che cosa sarebbe la vostra vita in confronto degli interessi, che avreste compromesso? La punizione, che vi colpirebbe infallibilmente, soddisferebbe alla giustizia senza compensare il danno. Noi siamo sicuri della vostra onestà, la vostra intelligenza potrebbe nullameno essere stata sorpresa.

— Siete molto prudente signore, osservò Loris.

— Che cosa vuole da noi il vostro amico?

Kriloff si volse a Loris come invocando un suggerimento.

— Mi ha pregato di ottenergli questo abboccamento, che mi avete concesso sulla fede delle mie assicurazioni. [p. 71 modifica]

— E sulle nostre informazioni. Vuole egli essere dei nostri?

Kriloff cominciava a turbarsi. L’insistenza, colla quale il presidente affettava di non accorgersi di Loris, gli accresceva l’imbarazzo; temeva una parola provocante da questi, e non sapeva come rispondere a tale interrogatorio.

Ma Loris intervenne.

— Al fatto, signore. Voi mi conoscete altrimenti non mi avreste ricevuto. Se le vostre informazioni sono profonde avrete fors’anche indovinato il perchè vi abbia fatto chiedere questo colloquio.

Nessuno si mosse.

Loris proseguì:

— Anzitutto accettate i miei complimenti. Credevo che per arrivare sino a voi avrei dovuto passare per le vecchie farse di tutte le iniziazioni; siete moderni.

Loris, che s’aspettava una risposta, rimase impacciato del loro silenzio.

— Comprendo la prudenza della vostra maschera, seguitò con sarcasmo.

Il silenzio dei cinque parve diventare anche più intenso: stavano immobili. Kriloff aveva abbassata la testa. Sulla faccia di Loris passò un fremito.

— A che punto è la rivoluzione?

Il presidente si volse lentamente squadrandolo:

— A quale la desiderereste voi, che interrogate?

— Al punto che non aveste più bisogno delle [p. 72 modifica]maschere. Se il vostro Comitato, anzichè di congiura fosse di guerra, sarebbe noto a tutta l’Europa, e la rivoluzione in Russia sarebbe già cominciata. Poi girando su loro un’occhiata sicura: non venni, proseguì, a domandarvi informazioni settarie; mi sarebbero inutili, giacchè nessun vostro attentato raggiunse mai lo scopo. Quel ritratto di Alessandro II mi dice che pensate il contrario; nullameno a che servì quello czaricidio? Vi esporrò limpidamente il mio pensiero. Venni a chiedere e ad offrire alleanza. Chi sono? Dovete saperlo; i vostri amici all’estero vi avranno informato sul mio conto; se non volli mescermi alle loro conventicole, le conobbi; lasciatemi dire.

— Dite.

— A che servì lo czaricidio? Non fu che l’ultima fase di un duello durato dodici anni. Vi perdeste qualche migliaio di soldati fra morti e prigionieri, ma otteneste colla pubblicità dei processi l’apoteosi dei patiboli, eccitaste le simpatie colle fughe dalle carceri, sollecitaste le curiosità colle caccie ai gendarmi, mandaste all’estero molti emigrati, disseminaste apostoli nel popolo. A che pro? Eravate una setta contro un impero, un mollusco sopra uno scoglio. I vostri mezzi furono la propaganda coi giornali fra un popolo che non legge, l’assassinio politico fra un popolo che non si batte. I vostri emigrati che cosa fecero all’estero? Riviste e libri: i più frequentarono le università accattando diplomi per professioni. I rimasti in Russia pro[p. 73 modifica]dussero colle mine qualche guasto, che pochi muratori bastarono a riparare.

Uno dei cinque si agitò sulla scranna.

— Dite, ripetè il presidente.

— Chiedevate allo Czar Alessandro II una costituzione; ma poteva egli darla? Lasciamo come oggi si affermi che l’avesse già firmata alla vigilia della morte: sarebbe stata come tutte le altre riforme concessa con una mano ritirata coll’altra. L’esperimento di Pio IX a Roma nel 1848 vale per tutti: czarismo e papismo sono inconciliabili colla libertà; debbono essere distrutti non modificati. Perchè chiederla ancora nel vostro manifesto ad Alessandro III? Non si mendica al figlio, di cui si uccise il padre; è assurdo domandare al proprio nemico di suicidarsi: bisogna ucciderlo. Ma nessun regicidio uccise mai una monarchia. Il nichilismo non è più che l’ultima forma del romanticismo politico.

Loris sostò, ma una lunga corrente di pensieri lo spingeva.

— Dite, ripetè ancora il presidente.

— Alessandro II emancipando gli schiavi diede loro più di quanto voi sappiate ancora promettere: bisognava quindi sollevare il popolo contro l’aristocrazia, alla quale lo Czar lo condannava a pagare il riscatto delle terre, sollevarlo coll’offa d’impossessarsi di tutte le altre; e non lo tentaste nemmeno. Il popolo capisce i fatti e non le idee. Lo Czar colla concessione di terre ai contadini [p. 74 modifica]della Polonia ha tagliato per sempre i nervi alla rivoluzione polacca dandovi una lezione di politica, di cui non sapeste profittare. La Russia è un impero, dentro al quale cova una federazione: occorreva scatenarne i popoli nell’egoismo delle loro nazionalità abbandonandoli magari alle potenze limitrofe, delle quali l’avidità vi avrebbe servito contro lo czarismo. La Prussia, l’Inghilterra, l’Austria, la Turchia dovevano essere i vostri alleati. Frangete l’impero; distruggere è creare, poichè il nulla è una astrazione. Avevate oltre cinquanta sette religiose, nelle quali il delirio del dolore aveva rinnovato tutte le forme delle antiche demenze, e non vi sforzaste di avventarle sulla Ortodossia governata da un Sinodo, che è un senato in decadenza. La Russia conta anche adesso a centinaia di migliaia i vagabondi e i pellegrini: potevano diventare un esercito; ma non avete mai pensato che una battaglia perduta vale cento attentati riusciti, perchè una strage è sempre più importante di un omicidio. Vi chiudeste nella setta, v’innamoraste del mistero, e non componeste più che un album di quadretti politici, nei quali il solito congiurato tirava sbagliandolo sullo Czar, o la solita combriccola scavava un tunnel per la dinamite. Le vostre reclute anzichè dalle università dovrebbero uscire dalle caserme. Lo Czar può chiudere tutte le università chè gli studenti non insorgeranno: essi hanno bisogno anzitutto di laurearsi per guadagnare; ma [p. 75 modifica]che un villaggio si ribelli scannando il signore o incendiando le sue case, e la rivoluzione si propagherà. I reggimenti composti di mugiks diserteranno; il primo colonnello in rivolta diverrà generale della rivoluzione, i cosacchi possono fornire una cavalleria; abbiamo dozzine di nazionalità, assorbite non fuse, che si ridesteranno: abbiamo troppo poche strade in un territorio troppo vasto perchè il governo possa agire rapidamente nelle repressioni, abbiamo frontiere che tutti possono violare; l’Inghilterra vi fornirà denaro ed armi. Complicate dunque la guerra civile colla guerra federale, spingete gli uni al saccheggio e gli altri al campo, permettete tutto a tutti. Quando avrete distrutto la Russia dell’impero, potete essere ugualmente tranquilli: l’avvenire la ricostituirà, se vi spunti davvero un’idea moderna, della quale il mondo abbia bisogno.

— Voi siete russo?

— Sono uomo: la patria nega il mondo, io lo affermo.

— Diceste che il popolo non si batte.

— Battetelo, perchè si batta. Il socialismo è per lui la terra che non possiede, dategliela; il suo Dio è lo Czar, che glie la nega: dategli dunque il paradiso, che questi gli contende, e il mugik non crederà più nello Czar. Bisogna che nessun signore possa abitare la campagna. Uccidere uno Czar a che giova per il mugik? Ammazzate i padroni delle terre, che non appartengono al [p. 76 modifica]mir, fate che tutta l’aristocrazia emigri a Mosca e a Pietroburgo, e un anno dopo tutte le terre saranno del mir. Organizzate l’assassinio: così incominciò la rivoluzione francese, così cominceranno tutte le rivoluzioni. Il vostro socialismo inintelligibile al popolo è quindi inintelligente: le vostre libertà politiche non sono che giuochi costituzionali, una maschera, che non cela nè il volto nè il pensiero, falsificandoli entrambi. La Russia ha fame: guardatevi dal distribuire soccorsi, avvelenate le sue piaghe invece di curarle; non opponete mai la ragione al delirio. La febbre invece di essere una malattia è un rimedio trovato dalla natura per ristabilire l’equilibrio, un rogo, che ogni corpo accende spontaneamente in sè stesso per bruciare i microbi che lo divorano. Siccome la Russia è un popolo essenzialmente agricolo, la rivoluzione deve farsi nelle campagne e non nelle città, alla periferia non al centro. Tutto fu errore fin qui; lo Czar riuscì più abile di voi altri.

— Siete sicuro di saper tutto per giudicare?

— So quello che ne sa l’Europa, i fatti e le intenzioni. Lo czarismo voleva appoggiarsi sul popolo contro le classi medie, e coll’emancipazione vi è riuscito; voi intendevate a sollevare il popolo contro lo czarismo, e avete fallito. La maggioranza del popolo russo crede Alessandro II un martire dei signori. Ora è tempo di mutare: ecco perchè sono venuto a voi. Il nichilismo, passato [p. 77 modifica]dallo stadio letterario a quello settario, deve cangiarsi in partito. Voi sapete che i partiti si reclutano nel grosso pubblico, e debbono assimilarsi tutti gli interessi per essere capaci di tutte le trasformazioni. Ogni setta è essenzialmente aristocratica. Aprite a tutti le vostre file e chiudete tutti i nascondigli: chi si cela ha paura.

— Giovane! disse uno dei cinque, quello che aveva al dito il sottile anello matrimoniale: ora insultate.

— Non avete voi le maschere, mentre io sono scoperto? Io sono sicuro del mio pensiero, voi dubitate del vostro. L’Europa ride del nichilismo.

Un altro sussulto scosse il Comitato, ma il presidente girando intorno un’occhiata li rattenne.

— L’Europa, proseguì Loris, gettando uno sguardo trionfante a Kriloff, mandò rappresentanti di tutte le dinastie e di tutti i giornali a Mosca per l’incoronazione di Alessandro III; quello era il momento per ucciderlo; non vi riusciste. Vi vantaste di concedergli una tregua, di cui l’Europa sorrise; non si dà quartiere al nemico, che si può uccidere. Il vostro trionfo consiste nel costringerlo a spendere mezzo miliardo all’anno nella polizia e ad uscire circondato da gendarmi. La Russia soffre.

— E voi soffrite? gli domandò il presidente con glaciale ironia.

— Sì, ma ho trasformato il mio dolore in odio; io sono armato, il problema è di armare la Rus[p. 78 modifica]sia. Finchè il dolore non diventa arma, una rivoluzione è impossibile. La Russia soffre. Da mille anni la sua vita si trascina nella penombra della storia; il suo popolo fu sempre schiavo, la sua aristocrazia sempre schiava, i suoi czar sempre schiavi. Non un’idea è russa nella storia, non un progresso è nazionale nella nostra vita. Ciò che chiamiamo progresso russo, fu un capriccio burocratico di Pietro il Grande e di Caterina II; la Russia non ebbe di vivo che l’istinto socialistico e lo mantenne nel mir, ma accerchiata dal mondo moderno la sua vita divenne tragica. Tutte le nostre sette religiose esprimono la rivoluzione: da coloro che si stordiscono nelle orgie idolatriche a coloro che si castrano, dai predicatori del suicidio agli apostoli dei roghi, nei quali le madri venivano senza piangere a gettare i bambini, tutto è dolore nella religione russa; la letteratura vi soccombe. Calcolate quanti secoli e quanta varietà di dolori dev’essere stata necessaria perchè tanti milioni di uomini possano sentire e pensare così: eppure la loro vita aumenta col loro numero. Armate dunque la loro vita dei loro dolori, gettate il popolo nella guerra perchè ne esca sano e trionfante. Sono venuto a proporvela.

— Chi rappresentate voi per parlare così?

— Io sono la giovane Russia.

— Nessuno può dire così grande parola.

— E nessuno negarla quando si è detta.

— Che faceste voi finora? [p. 79 modifica]

— Giacchè diceste di essere informato sul mio conto, dovete saperlo.

— Viveste di giuoco, ribattè con voce aspra il presidente.

A questo scoppio di tempesta Kriloff alzò sbigottito la faccia: la sua ammirazione per Loris, cresciuta a quella sovrana alterigia di attacco contro il Comitato Esecutivo ancora più temuto dagli adepti nichilisti che dallo Czar, gli toglieva d’immaginare come questa scena potesse conchiudersi.

— V’ingannate, replicò Loris: avevo duopo di una somma per i primi provvedimenti della rivoluzione, e la rubai al giuoco. Posseggo 150.000 rubli: dovetti esercitarmi sei mesi per diventare invincibile all’ecarté.

A questa confessione, spaventosamente superba, tutto il Comitato fissò Loris con ammirazione.

— Quanto avete voi in cassa, signore? Se andremo d’accordo, io sono pronto domani a fare il mio versamento.

Il presidente non rispose, e Loris appoggiando un gomito sul tavolo quasi per appressargli il volto e appesantire meglio il colpo:

— Sareste così borghese da giudicarmi un ladro?

Quindi volgendosi a Kriloff:

— Te lo avevo detto, sono vecchi!

A questo insulto il presidente si levò: la sua fronte, che saliva al di sopra della maschera, aveva impallidito, i suoi occhi neri brillavano. Loris era in piedi. [p. 80 modifica]

— Giovane! proruppe, ascoltate dunque la parola di un vecchio.

La sua voce era rauca.

— Se noi siamo fossili, perchè venite dunque a cercarci? Siete forse un geologo? Invece vi credete un politico, e non siete che un letterato. Avete elaborato un disegno nel silenzio della vostra testa, e siete tornato in Russia per la vanità di esporcelo offrendovi alleato di un partito, che in molti anni di lotta si è fatto un nome mondiale. Noi abbiamo ucciso uno czar, teniamo l’altro bloccato nel proprio palazzo, abbiamo una falange di scrittori e una moltitudine di condannati. Voi disprezzate tutto questo; la fanciullezza della vostra superbia vi fa credervi un messia per aver pensato alla guerra civile. Se foste nato uomo di Stato o di guerra, sareste rimasto in Russia per riunire intorno a voi un partito o una banda; invece emigraste, costeggiaste all’estero tutti i nostri amici senza entrare nelle loro cospirazioni, perchè non vi avreste potuto essere primo. Rubaste, lo diceste voi, al giuoco, per impossessarvi di una somma, colla quale iniziare una sommossa, ma su quella somma da molto tempo vivete con lusso. Non vi giudico, signore, vi analizzo: sono più cortese di voi. Chi siete? Uno studente che non ha studiato, il figlio abbandonato di un pope, un giuocatore, che le carte hanno arricchito e le carte possono impoverire. Il vostro ingegno, sono contento nel riconoscerlo, è di let[p. 81 modifica]terato: avete creato a voi stesso una parte fra Bazaroff e Raskolnikoff, fra l’eroe di Tourguenief e quello di Dostoiewski; se saprete scriverla, diventerete illustre nelle lettere, se non lo saprete....

E parve arrestarsi.

— Dite, proruppe Loris violentemente pallido ripetendo la stessa parola, colla quale il vecchio sembrava dianzi averlo sospinto.

— Non finirete molto meglio di quei due eroi da romanzo.

Kriloff si sentì girare la testa: gli parve che Loris si cercasse in tasca il terribile ago, ma invece intese la sua voce, improvvisamente calma e cortese per uno sforzo onnipotente di volontà, rispondere:

— Avevo prevista questa obbiezione: non facendola, signore, avreste dovuto arrendervi ai miei argomenti. Ora ci conosciamo, più tardi c’intenderemo.

Il presidente scosse il capo.

— La gioventù è talmente infallibile nel proprio istinto che la vecchiezza non può essere saggia che seguendola. Vieni, Kriloff.

— Signori, seguitò, poichè voi sarete sempre informati sul conto mio, è inutile che io vi lasci il mio indirizzo pel caso che aveste bisogno di me. Vorreste, signore, dirmi dove potrei trovarvi all’occasione?

Il presidente, sconcertato da questo sangue freddo, titubò. [p. 82 modifica]

— Siccome conserverete la vostra fiducia al mio amico Kriloff, avrò il piacere di servirmi di lui per corrispondere con voi. Egli è abbastanza forte.

Quindi, inchinandosi loro nuovamente come dinanzi ad un circolo di signore, stese la mano verso il ritratto dello Czar ucciso.

— Per la morte di Alessandro II, la più gloriosa impresa del vostro partito; noi ci ritroveremo, signori, alla guerra.

— Vieni, Kriloff.

Kriloff lo seguì dopo aver salutato goffamente il Comitato.