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Nella sala da pranzo alcuni bicchieri dimenticati sulla tavola, un piccolo vaso da caffè sopra la credenziera, della quale gli sportelli erano socchiusi, testimoniavano che l’appartamento era abitato. In un’altra camera, più vasta, parata di carta turchina, con quattro divani alle pareti, parecchie poltrone in mezzo, presso un piccolo tavolo di lacca, sul quale sorgeva un samovar, e due grandi specchi incastrati nel muro formavano come un salone. Il pavimento in legno era lustrato a cera, molti bracci di bronzo dorato ai muri erano carichi di candele, un lampadario con lumi a petrolio, ravvolto in un velo verde, scendeva nel mezzo.

Trepof si appressò allo specchio di sinistra, premè con un dito sopra una modanatura, e lo specchio girando su sè stesso scoperse un vano buio. Egli vi si inoltrò tenendo alta la candela; era un piccolo corridoio; si fermò ad una porticina, la spinse, e si trovarono in una saletta.

Trepof depose la candela sopra una sedia.

— Aspettatemi qui.

Quando rimasero soli, Loris guardò Kriloff sorridendo.

— Lo specchio girante come nei romanzi! Tu lo conoscevi già?

— È la terza volta che vengo qui.

— Saranno mascherati.

— Senza dubbio.

Un lampo passò nelle pupille verdi di Loris, che si volse esaminando la saletta.