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Licenziarono il fiacre.

Erano le nove. La strada s’allungava davanti ai loro sguardi punteggiata dai fanali nel gran silenzio della neve, sulla quale i riverberi del gas accendevano tratto tratto come delle fiammelle: quasi tutte le botteghe erano chiuse; passavano poche carrozze. Dal secondo piano di una casa signorile, con cinque finestre illuminate, scesero gli accordi di un pianoforte.

I due giovani si strinsero al muro affrettando il passo.

— Ecco la casa, disse Kriloff mostrando a Loris un vasto fabbricato ricco, nel quale s’aprivano alcune botteghe. Da quella del tabaccaio e dall’altra del caffè prorompeva un gran lume.

Quando traversarono la strada, un signore uscì dalla bottega del tabaccaio e venne loro incontro.

— Siete pedinati? chiese a Kriloff senza nemmeno salutare l’altro.

— No.

— Allora andiamo.

Entrarono nell’andito: il dwornik li vide passare dal proprio casotto, fingendo di leggere un giornale. Salirono in silenzio quattro rami di scale; una porta si aperse innanzi a loro, penetrarono in un’anticamera quasi buia.

— Potete trarvi le pelliccie.

Colui, che li aveva introdotti, sembrava un popolano, basso e tarchiato, con una larga faccia e la voce di una grande bonarietà.