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— Così sei più libera: la tua stessa professione ti da una indipendenza assoluta.
Ella s’alzò.
— Ho qualche visita da fare, rispose ad una sua occhiata.
— Non sei dunque venuta per me? le disse prendendole galantemente le mani e attirandosela sul petto senza che ella resistesse.
— Tu sei innamorato della principessa ora.
— Saresti gelosa? Quale complimento! esclamò dandole un bacio.
Ella lo lasciò fare. Il calore del gabinetto li ravvicinava: erano tutti due biondi, cogli occhi azzurri, rosei e giovani. Egli con quella lunga veste bianca stretta alla cintura da un grosso cordone, il collo dolce che gli si vedeva sotto la camicia smollata, sarebbe parso quasi una donna senza quell’aria quasi fiera della faccia: ella era più piccola, coll’abito che le guantava le spalle e il petto, i riccioli che le sfuggivano sotto il berrettino di martora, un po’ fredda e rigida come un uomo.
— Non sederai? esclamò ricadendo sul divano e traendosela sulle ginocchia, mentre con un braccio le stringeva più vivamente la vita e coll’altra mano le tormentava i bottoni del corsetto. Ella ebbe ancora un istante d’indifferenza, poi gli piegò il capo sopra una spalla nascondendogli il viso nel collo.
Nel gabinetto bianco il samovar seguitava a gorgogliare.