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— Giacchè diceste di essere informato sul mio conto, dovete saperlo.
— Viveste di giuoco, ribattè con voce aspra il presidente.
A questo scoppio di tempesta Kriloff alzò sbigottito la faccia: la sua ammirazione per Loris, cresciuta a quella sovrana alterigia di attacco contro il Comitato Esecutivo ancora più temuto dagli adepti nichilisti che dallo Czar, gli toglieva d’immaginare come questa scena potesse conchiudersi.
— V’ingannate, replicò Loris: avevo duopo di una somma per i primi provvedimenti della rivoluzione, e la rubai al giuoco. Posseggo 150.000 rubli: dovetti esercitarmi sei mesi per diventare invincibile all’ecarté.
A questa confessione, spaventosamente superba, tutto il Comitato fissò Loris con ammirazione.
— Quanto avete voi in cassa, signore? Se andremo d’accordo, io sono pronto domani a fare il mio versamento.
Il presidente non rispose, e Loris appoggiando un gomito sul tavolo quasi per appressargli il volto e appesantire meglio il colpo:
— Sareste così borghese da giudicarmi un ladro?
Quindi volgendosi a Kriloff:
— Te lo avevo detto, sono vecchi!
A questo insulto il presidente si levò: la sua fronte, che saliva al di sopra della maschera, aveva impallidito, i suoi occhi neri brillavano. Loris era in piedi.