Il libro del Cortegiano/Annotazioni

Annotazioni

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Varianti Catalogo cronologico delle principali edizioni del Cortegiano
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ANNOTAZIONI


Il passaggio di Papa Giulio II, dopo il quale per quattro sere si finge tenuto il presente Dialogo del Cortegiano, ebbe luogo ai primi di marzo dell’anno 1507; essendo il Castiglione allora appunto ritornato dal suo viaggio in Inghilterra, dove era andato ambasciatore del Duca d’Urbino Guidubaldo da Montefeltro al re Enrico VII (vedi Lettere Familiari, 27, 28 e 29). Il Castiglione pose il suo Dialogo in quei giorni, onde aver modo di introdurre a prendervi parte molti insigni personaggi che non dimoravano abitualmente in Urbino, ma che vi si trovarono in occasione di quel passaggio: finse poi di essere tuttora assente, onde non trovarsi astretto a farsi interlocutore nel Dialogo, o porsi in mezzo agli altri mulo spettatore.

Gl’Interlocutori del Dialogo sono i seguenti:

1. Duchessa ELISABETTA: Lib. I, cap. 6, 7, 12, 23, 32; Lib. II, cap. 5, 27, 35, 55, 85, 92, 99, 100; Lib. III, cap. 2-4, 49, 52, 60, 71, 77; Lib. IV, cap. 3, 25, 30, 43, 50, 55, 72, 73.

Figliola di Federico e sorella di Francesco Gonzaga marchese di Mantova, e moglie di Guidubaldo da Montefeltro duca d’Urbino; donna di singolar bellezza e virtú. Morì nel gennajo 1526, mentre il Castiglione si trovava Nunzio in Ispagna. Delle sue lodi veggasi il Castiglione in piú luoghi del Cortegiano e delle altre opere, il Dialogo del Bembo De Ducibus Urbini, e le Annotazioni del Serassi alle Poesie Italiane e Latine del nostro Autore.

2. EMILIA PIA. Lib. I, cap. 6, 7, 9, 12, 13, 23, 39, 50, 55; Lib. II, cap. 17, 44, 45, 52, 53, 69, 97, 98, 99; Lib. III, cap. 17, 20, 22, 32, 46, 58, 61-64, 76; Lib. IV, cap. 30, 44, 50, 71-73.

Questa celebre principessa fu sorella di Ercole Pio signor di Carpi, e moglie del conte Antonio di Montefeltro, fratello naturale del duca Guidubaldo. Piú ampie notizie intorno a lei si veggano nelle Annotazioni del Serassi alla stanza xxxv dell’Egloga Pastorale del Castiglione e del Gonzaga, il Tirsi. [p. 322 modifica]

3. CESARE GONZAGA: Lib. I, cap. 8, 13, 18, 23, 24, 28, 34, 53; Lib. II, cap. 10, 20, 27, 53, 56; Lib. III, cap. 3, 7, 40-52, 64, 70-72; Lib. IV, cap. 18, 30, 36, 60, 72, 73.

«Cugino ed intrinseco amico del conte Baldassarre. Questi alla gloria dell’armi univa con maraviglioso innesto l’ornamento delle lettere, e una incredibile prontezza e maturitá di giudizio; talché riuscí non men valoroso guerriero, che leggiadro poeta, e grande ed accorto ministro. Dopo la morte del duca Guidubaldo fu con onoratissime condizioni trattenuto da Francesco Maria della Rovere, a cui prestò rilevanti servigii così in pace come in guerra. Ed avendo nel 1512 ridotta Bologna all’obedienza del Pontefice, sovragiunto da una gagliarda febre, vi morí assai giovane, lasciando a tutti coloro che l’avevano conosciuto acerba e dolorosa memoria della sua morte.» Serassi.

4. Conte LUDOVICO CANOSSA: Lib. I, cap. 13, 14, 16-22, 25-29, 34-47, 49-55; Lib. II, cap. 44; Lib. III, cap. 34, 67, 74; Lib. IV, cap. 42, 55, 56, 60.

Stretto parente del Castiglione, fu poscia Nunzio Apostolico in Francia, vescovo di Tricarico e indi di Bajous, ed ambasciatore del re Francesco I presso la Republica di Venezia.

5. FEDERICO FREGOSO: Lib. I, cap. 12, 29-31, 37-39, 55; Lib. II, cap. 6-44, 84, 100; Lib. III, cap. 2, 53-56, 68; Lib. IV, cap. 56.

Figliolo della signora Gentile Feltria sorella del duca Guidubaldo, ed amicissimo del Castiglione. Fu poscia arcivescovo di Salerno e cardinale.

6. OTTAVIANO FREGOSO: Lib. I, cap. 40; Lib. II, cap. 91, 92; Lib. III, cap. 3, 51, 76, 77; Lib. IV, cap. 3-10, 12-14, 16-19, 21-35, 37-49.

Fratello del precedente; fu poscia doge di Genova. Morì infelicemente, prigione del Pescara.

7. PIETRO BEMBO: Lib. I, cap. 14, 45; Lib. II, cap. 27, 29, 43, 52-54; Lib. IV, cap. 45, 20, 50-54, 56-71.

Fu il Bembo amicissimo del Castiglione, essendosi conosciuti lungamente prima alla corte d’Urbino, poi in Roma durante il ponteficato di Leone X, che lo nominò suo secretario. Il Castiglione gli diede ad esaminare e correggere il suo Dialogo. Dopo la morte del Castiglione, fu da papa Paolo III creato cardinale. [p. 323 modifica]

8. BERNARDO DIVIZIO DA BIBIENA: Lib. I, Cap. 19, 27, 31; Lib. II, cap. 33, 44-54, 56-90, 92-96; Lib. III, cap. 64, 68, 72; Lib. IV, cap. 38, 42.

Preso dal cardinale Giovanni de’ Medici a suo secretario, essendosi poscia efficacemente adoperato per farlo eleggere papa, questi, asceso al pontificato sotto il nome di Leone X, lo creò cardinale sotto il titolo di Santa Maria in Portico. Fu uomo di molto ingegno, e sopratutto di maravigliosa destrezza nel maneggio degli affari politici; adoperato in varie importantissime legazioni, si mostrò uno dei piú gran ministri che avesse la Sede Apostolica.

9. GASPARO PALLAVICINO: Lib. I, cap. 6, 7, 15, 18, 21, 31, 47; Lib. II, cap. 10, 13, 23, 24, 28, 31, 35, 40, 67, 69, 90, 92, 94-97, 99; Lib. III, cap. 3, 7, 10, 11, 15, 17, 21, 25, 28, 31, 33, 35, 37, 39, 41, 47, 51, 52, 56, 58, 64, 65, 71, 72, 74, 75; Lib. IV, cap. 11, 14, 19, 22, 25, 28-30, 35, 48, 49, 60, 72.

Valente cavaliero, ed amicissimo del Castiglione, che da lui finge essergli stati narrati questi ragionamenti sul Cortegiano tenutisi in sua assenza. L’Autore compiange l’immatura morte del Pallavicino in principio del Libro IV.

10. GIULIANO DE’ MEDICI detto IL MAGNIFICO: Lib. I, cap. 28, 31, 42, 48, 55; Lib. II, cap. 14, 26, 55, 66, 98, 100; Lib. III, cap. 2, 4-10, 12-14, 16-38, 40, 52, 54-57, 59, 64-67, 69, 70, 72-74; Lib. IV, cap. 17, 44, 72.

Figliolo di Lorenzo il Magnifico, e fratello del cardinale Giovanni de’ Medici, che fu poscia Papa Leone X; si tratteneva allora alla corte d’Urbino,

Ove col formator del Cortegiano,
     Col Bembo, e gli altri sacri al divo Apollo,
     Facea l’esilio suo men duro e strano.
     (Ariosto, Satira IV.)

Rientrato in Firenze nel 1512, fu poscia capitan generale e gonfaloniere di Santa Chiesa, e duca di Nemours; ebbe in isposa Filiberta di Savoja, zia di Francesco I re di Francia. Morì li 17 marzo 1516. Piú ampie notizie intorno al medesimo si troveranno nelle Annotazioni del Serassi alla stanza xliii della Pastorale il Tirsi.

11. BERNARDO ACCOLTI detto L’UNICO ARETINO: Lib. I, cap. 9; Lib. II, cap. 5, 6; Lib. III, cap. 7, 60-63.

Bernardo Accolti d’Arezzo, detto l’Unico Aretino, di fama [p. 324 modifica] assai maggiore vivendo che non presso i posteri. Fa tuttavia cavaliere assai leggiadro, versato nelle buone lettere, e particolarmente nella poesia. Non si trattenne che di passaggio alla corte di Urbino, poiché era Scrittore Apostolico ed Abbreviatore sotto Giulio II.

12. FRANCESCO MARIA DELLA ROVERE, allora PREFETTO DI ROMA; Lib. I, cap. 54, 55; Lib. II, cap. 42, 43; Lib. IV, cap. 73.

Francesco Maria figliolo di Giovanni della Rovere, e di Giovanna sorella di Guidubaldo da Montefeltro duca d’Urbino, nacque li 24 marzo 1491, e perciò al tempo nel quale si finge tenuto il dialogo era giovane di soli sedici anni. Giulio II, suo zio, per assicurargli la successione al ducato d’Urbino, si adoperò in modo, che da Guidubaldo, il quale era senza prole, fu adottato per figliolo li 19 settembre 1504; poscia, per ottenere l’appoggio anche della duchessa Elisabetta, trattò che se gli desse per moglie Eleonora Gonzaga figliola di Francesco marchese di Mantova, e nipote perciò di Elisabetta; il qual matrimonio, conchiuso e pubblicato il 2 marzo 1505, per la tenera età degli sposi non si celebrò che il 25 novembre 1509, dopo che già Francesco Maria era succeduto al morto Guidubaldo. Espulso l’anno 1516 da papa Leone X, che concesse quel ducato a Lorenzo de’ Medici suo nipote, si rifugiò a Goito nel Mantovano. L’anno seguente, con una mano di circa 9,000 soldati raccogliticci di varie nazioni, tentò di recuperare lo stato; ma costretto infine di abbandonare l’impresa, si ricoverò nuovamente in quel di Mantova. Finalmente, morto appena papa Leone (1521), posti insieme quattromila fanti e duemila cavalli, ajutato dall’amore dei popoli, recuperò in breve spazio tutte le terre del ducato. Nel 1527, al tempo della spedizione di Carlo Borbone contro Roma, era capitano generale dell’esercito della Lega; e vuolsi che ad arte lasciasse che le cose del papa (Clemente VII) andassero in rovina, in vendetta dei danni recatigli dalla famiglia dei Medici. Morì avvelenato ai 20 ottobre 1558, in età di soli 47 anni. Di tale misfatto venne incolpato Cesare Fregoso, che, essendo generale della fanteria veneziana, aveva avuto briga col Duca, supremo capitano di quella Republica.

13. NICOLÒ FRIGIO o FRISIO: Lib. II, cap. 99; Lib. III, cap. 3, 19, 22, 24-26, 28, 37, 45, 49; Lib. IV, cap. 42.

Il Bembo lo dice uomo Germano, ma avveno a’ costumi della Italia. Fu familiare dello imperatore Massimiliano, a nome del quale si trovò al chiuder della lega di Cambrai; uomo di grande esperienza negli affari, ma sopratutto d’una bontà e lealtà singolare. Tornato in Italia, entrò a’ servigi di Bernardino Carvajal cardinale di Santa Croce; e passando per Urbino colla corte del Papa, vi si fermò alcun tempo, e vi contrasse amicizia col Bembo e col Castiglione, il quale [p. 325 modifica] già aveva conosciuto circa due anni prima in Roma. (fam., 25.) Nel 1510 si rese monaco nella Certosa di Napoli, e fu allora che il Bembo gli scrisse il sonetto che incomincia:

Frisio, che già di questa gente a quella.

14. MORELLO DA ORTONA, Lib. I, cap. 34; Lib. II, cap. 8, 14, 15; Lib. IV, cap. 55, 63.

Il più vecchio tra i cavalieri della corte di Urbino, il Castiglione nella Pastorale il Tirsi lo loda anche come poeta.

15. ROBERTO DA BARI, Lib. II, cap. 50; Lib. III, cap. 57, 58.

Amicissimo del Castiglione, che di lui parla con molta lode e ne compiange la perdita nel proemio del Libro IV del Cortegiano. Di lui parla il nostro Autore anche nella 58a delle Lettere Familiari.

16. FRA SERAFINO: Lib. I, cap. 9.

Burlatore faceto (Corteg., II, cap. 89), e gran mangiatore (I, 28).

17. LUDOVICO PIO, Lib. I, cap. 46; Lib. II, cap. 23, 37.

Figliolo di Lionello signore di Carpi; fu uomo di Chiesa.

18. GIOVANNI CRISTOFORO ROMANO, Lib. I, cap. 50.

Valente scultore, discepolo di Paolo Romano. Fu amico anche di Saba Castiglione, il quale di lui così ne’ suoi Ricordi (Ricordo 109): «Oltra le altre virtù, e massimamente della musica, fu al suo tempo scultore eccellente e famoso, e molto delicato e diligente, e massimamente per la nobile ed ingegnosa sepoltura di Galeazzo Visconte nella Certosa di Pavia. E se non che nella età sua più verde e più fiorita fu assalito d’incurabile infermità, forse fra li due primi (Michelangelo e Donatello) stato sarebbe il terzo.» — Sul monumento di Galeazzo Visconte si legge: IHOANNES CHR1STOPHORUS ROMANUS FACIEBAT.

19. VINCENZO CALMETA, Lib. I, cap. 56; Lib. II, cap. 21, 22, 39.

Fu a’ suoi giorni poeta di poco prezzo. Dolce.

20. PIETRO DA NAPOLI, Lib. I, cap. 46; Lib. II, cap. 18.

Nè presso il nostro Autore nè altrove mi venne fatto di trovar menzione di costui fra gli uomini insigni di quella età. [p. 326 modifica]

21. MARCHESE FEBUS, Lib. II, cap. 37.

Di costui parimente non trovai altro cenno che quello datoci dal nostro Autore in quest’Opera, Lib. I, cap. 54, e Lib. II, cap. 37.

22. COSTANZA FREGOSA, Lib. I, cap. 40.

Sorella di Ottaviano e di Federico Fregosi, e perciò nipote da sorella del duca Guidubaldo.

23. MARGHERITA GONZAGA, Lib. III, cap. 23.

Dama della duchessa Elisabetta.


Pag. 1, lin. 8.che in quegli anni. Meno bene le tre prime Aldine che io quegli anni.

Pag. 1, lin. 18. — Donna celebratissima per ingegno, per bellezza e per virtú, figliola di Fabrizio e sorella di Ascanio Colonna, e moglie di Fernando d’Avalo marchese di Pescara.

Pag. 1, lin. 19. — Vedi la 299 fra le Lettere di Negozii del Castiglione.

Pag. 2, lin. 2. — Messer Alfonso Ariosto, gentiluomo bolognese, era cortegiano molto favorito del cristianissimo re Francesco I, e grande amico del Castiglione. Sgrassi.

Pag. 5, lin. 26. — Questa fu opinione di molti, nata in parte dall’essere difatti il Castiglione adorno di quasi tutte le doti, delle quali vuole fregiato il perfetto Cortegiano; onde anche l’Ariosto, Canto XXXVII, st. viii.

C’è il Bimbo, c’è il Cappel, c’è chi qual lui
Veggiamo ha tali i Cortegian formati.

Pag. 6, lin. 8. — Questo è preso gentilmente da Cicerone. Dolce.

LIBRO PRIMO.

Pag. 8, lin. 21. — Allude al proemio del dialogo dell’Oratore. Dolce.

Pag. 9, lin. 22. — Vedi la descrizione di questo palazzo nel libro intitolato Versi e prose di monsignor Bernardino Baldi da Urbino, abate di Guastalla; in Venosa, 1590, in-4. Gaetano Volpi. [p. 327 modifica]

Pag. 10, lin. 7. — Imita Ovidio nel fine delle Trasformazioni. Dolce. — Metamorphos., lib. XV, v. 750, 751:

neque enim de Cesaris actis
Ullum majus opus, quam quod pater extitit hujus.

Pag. 15, lin. 23. — Tale usanza dura anche oggi in Sardegna; Vedi Lamarmora, Voyage en Sardaigne, 2° édition, vol. I, pag. 179.

Pag. 16, lin. 15. — Frate in Roma, famigliare del Castiglione. Delle sue facezie si fa cenno anche più sotto, Lib. II, cap. 44. Sembra che, tra l’altre stranezze, solesse fare l’elogio della pazzia, ed augurarla altrui quasi buona ventura; come appare e da questo passo, e più chiaramente dal seguente di una fra le lettere del Castiglione, che per la prima volta diamo alla luce (Lettere di Negozii, 174): «I medici . . . . . mi confortano a purgarmi diligentemente, per essere quell’umore melancolia di malissima sorte; benché frate Mariano dice, che per modo alcuno non mi debbo medicinare: che se per mia avventura questo umore mi andasse alla testa, io diventerei matto, e così avrei il miglior tempo che avessi mai in vita mia.»

Pag. 17. lin. 26. — Questo sonetto fu per la prima volta stampato dal Rovillio, nell’edizione del Cortegiano fatta in Lione 1362; indi dal Volpi nell’indice del Cortegiano, dove fu conservato nelle edizioni posteriori; esso è il seguente:

Consenti, o mar di bellezza e virtute,
     Ch’io, servo tuo, sia d’un gran dubio sciolto.
     L’S, qual porti nel candido volto,
     Significa mio Stento, o mia Salute?
Se dimostra Soccorso o Servitute?
     Sospetto o Securtà? Secreto o Stolto?
     Se Speme o Strido? se Salvo o Sepolto?
     Se le catene mie Strette o Solute?
Ch’io temo forte, che non faccia segno
     Di Superbia, Sospir, Severitate,
     Strazio, Sangue, Sudor, Supplicio e Sdegno.
Ma, se loro ha la pura veritate,
     Questo S dimostra, e con non poco ingegno.
     Un SOL Solo in belleasa e crudeltate.

Pag. 18, lin. 50.dolci li fa. Così corresse il Dolce; le Aldine e le altre antiche hanno dolci le fa.

Pag. 21, lin. 57. — Allude a quello che dice Orazio. Dolce. — Sermonum, lib. I, Satr. III, v. 44-55.

Pag. 22, lin. 16.se desvia. Le Aldine degli anni 1528, 1541, 1545, hanno si desvia. [p. 328 modifica]

Pag. 22, lin. 32. — Imitato da Orazio, Od. IV, 4, v. 29:

Fortes creantur fortibus et bonis;
Est in juvencis, est in equis, patrum
     Virtus, nec imbellem feroces
          Progenerant aquila columbam.

Pag. 25, lin. 22.i giudicii. Così le Aldine degli anni 1528, 1533, 1538, 1545, e questa credo la vera lezione; le Aldine del 1541 e 1547, i giudici.

Pag. 27, lin. 24.si astien da laudar. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, si astien di laudar.

Pag. 30, lin. 3-31. — Questo passo intorno ai duelli fu conservato intatto nell’edizione espurgata dal Ciccarelli. Il Volpi nell’Indice, alle parole Combattimenti privati o siano duelli, aggiunge la seguente Nota: «In essi non solo, come consiglia l’autore, dee il Cortegiano andar ritenuto, ma, se è buon cristiano, li dee affatto fuggire, per aderire all’insegnamento dell’Apostolo nella sua IIa lettera ai Corintii, al capo VI, di dover seguitar Cristo per gloriam et ignobilitatem, per infamiam et bonam famam

Pag. 31, lin. 36.compagnata. Così le Aldine del 1528, 1533, 1545, voce usata anche altrove dal nostro Autore; le Aldine del 1538, 1541 e 1547, hanno accompagnata.

Pag. 33, lin. 24.i guida. Così tutte le Aldine e le altre antiche, ed è lombardismo usato più volte dall’Autore. Simile forma troviamo presso Dante, Inferno, canto V, v. 78:

e tu li chiama
Per quell’amor che i tira, ed ei verranno.

Il Dolce mutò ad arbitrio li guida, lezione ripetuta nell’edizione dei Classici, e in quella del Silvestri. Simile modo di dire troviamo nuovamente a carte 58, lin. 36; a carte 87, lin. 25; a carte 118, lin. 34; a carte 123, lin. 35; a carte 200, lin. 20.

Pag. 39, lin. 5. — È da avvertire che la intenzion dell’Autore è appunto di rifiutar la opinion del Bembo espressa nelle sue prose intorno alla lingua; dove forse si potrebbe dire, che ambedue peccassero nel troppo, l’uno nell’osservare, e l’altro nello sprezzare. Dolce.

Pag. 43, lin. 3. — Allude al celebre verso di Orazio:

Scribendi recte, sapere est principium et fons.
(De Arte Poetica, v. 309.)

Non so astenermi dal notare qui il grave errore in che nella spiegazione di questo verso è caduto il Botta, nella prefazione alla continuazione della Storia del Guicciardini; dove, collegando il recte col sapere, e non collo scribendi, ci ripete a sazietà quell’insulso [p. 329 modifica] recte sapere, quasi fosse possibile sapere non recte. Al qual proposito conviene avvertire, che la voce italiana sapere corrisponde piuttosto alla latina scire, e che manchiamo nella nostra lingua di un vocabolo che perfettamente esprima il sapere del latini. Forse, ma pure imperfettamente, si potrebbe tradurre per aver senno.

Pag. 45, lin. 15. — Tolto da Cicerone. Dolce.

Pag. 46, lin. 12.se gli trovi. Così corresse il Dolce; le Aldine hanno, e forse il Castiglione scrisse si gli trovi. Del resto, questo pensiero parimente è tolto da Orazio:

ut sibi quivis
Speret idem; sudet multum, frustraque laboret,
Ausus idem.

(De Arte Poetica, v. 210-2-42.)

Pag. 47, lin. 2.italiana, commune. Così tutte le Aldine; il Dolce, tolta la virgola, scrisse, forse non male, italiana commune.

Pag. 47, lin. 53.perchè dite, se qualche. Così le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547; le altre, perchè dite, che se qualche.

Pag. 47, lin. 37.Campidoglio si usa in rima dal Petrarca nel primo capitolo del Trionfo d’Amore. Gaetano Volpi.

Pag. 50, lin. 3. — ''nella maniera del cantare. Le Aldine degli anni 1528, 1538, 1541, hanno nella maniera dal cantare.

Pag. 50, lin. 14. — Intorno al Mantegna, vedi la Parte II della Verona illustrata, del celebre signor marchese Scipione Maffei, in-8, a carte 189. Volpi.

Pag. 52, lin. 30, 33. — non direste voi poi, che Cornelio nella lingua fosse pare a Cicerone, e Silio a Virgilio? Così le Aldine del 1541 e del 1547; le altre Aldine, con manifesto errore, non direste voi poi, che Cornelio nella lingua fosse pare a Cicerone, a Silio e a Virgilio?

Pag. 53, lin. 19.attiche. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, antiche.

Pag. 55, lin. 11.non vi pare. Male le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, et vi pare.

Pag. 58, lin. 7, 8. — non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere. Così corresse il Dolce; le edizioni anteriori hanno non estimandola tanto ragionevol cosa, et ancor credere, tranne l’Aldina del 1547, che ha non estimandola tanto ragionevol cosa, è ancor credere.

Pag. 59, lin. 34. — Il simile dice Cicerone nella orazione in difesa di Archia poeta. Dolce.

Pag. 60, lin. 29. Versi tratti dal sonetto CXXXV del Petrarca. [p. 330 modifica]

Pag. 65, lin. 4.che or saria lungo a dir. Così corresse il Volpi; le edizioni anteriori hanno che lor saria lungo a dir.

Pag. 65, lin. 27.tener certo. Così scriviamo, colle Aldine degli anni 1538, 1541, 1547; quelle del 1528, 1553, 1545, tener per certo.

Pag. 65, fin. 21. — Il Volpi nota: «Anzi è certissimo per le Divine scritture, fra le quali basti il salmo 150.»

Pag. 65, lin. 4.tra gli oratori. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, tra oratori.

Pag. 67, lin. 7.anco. Seguiamo la lezione delle Aldine degli anni 1541 e 1547; le altre ancora.

LIBRO SECONDO.


Pag. 75, lin. 22. — È l’Oraziano laudator temporis acti. (De Arte Poetica, v. 173.)

Pag. 76, lin. 25.Plato in Phœdone, ed. Henr. Stephani, Vol. I, pag. 60, B.

Pag. 76, lin. 28.precede. Così le Aldine degli anni 1545 e 1547; male le quattro anteriori procede.

Pag. 78, lin. 7. — Forse il Signore alluse a ciò nella parabola della zizania con quelle parole: Sinite utraque crescere usque ad messem. Matth. XIII, 30. Gaetano Volpi.

Pag. 80, lin. 29. — Leggi la prima comedia di Terenzio. Dolce.

Pag. 81, lin. 15. — Comparazione tolta da Cicerone. Dolce.

Pag. 85, lin. 20.azza. Le Aldine degli anni 1533, 1538, 1541, 1547, acchia; e forse così scrisse l’Autore.

Pag. 84, lin. 6.barra. Male le Aldine degli anni 1528 e del 1545, bara.

Pag. 88, lin. 57. — Dubito che dir voglia due volte al giorno, come fanno alcuni zerbini d’oggidì; chè a niuno parrà certo soverchio il farsi la barba due volte la settimana. Del resto, è degno di nota, che questa accusa appunto venne a’ suoi tempi fatta da alcuni al Castiglione, come sappiamo dal Giovio, e dopo lui dal Marliani, che si tingesse i capegli, e che sformandosi di parer giovane, andasse pulitamente vestito.

Pag. 90, lin. 23. — Tratto dal Virgiliano:

. . . . . sed cruda Deo viridisque senectus.
(Æn. VI, 304.)

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Pag. 91, lin. 25.forze. Così le Aldine del IMI e del 1547; le altre forse.

Pag. 92, lin. 17.prosunzion sciocca. Così l’ultima Aldina; le altre prosunzione sciocca.

Pag. 94, lin. 23. — Luc. XIV, 8, 10.

Pag. 94, lin. 34.favor. Così le Aldine degli anni 1541 e 1547; le altre favore, il che non concorda col seguente meritargli.

Pag. 98, lin. 19.se lo estimassi. Così corresse il Volpi; le edizioni anteriori hanno se lo estimasse.

Pag. 102, lin. 10.nel vestire, voglio che ’l nostro Cortegiano. Così le Aldine degli anni 1528, 1535 e 1545; le altre del vestire, voglio che ’l Cortegiano; e questa forse è la vera lezione.

Pag. 102, lin. 15.di denti. Le Aldine degli anni 1525, 1533, 1545, de denti.

Pag. 103, lin. 16. — Bergamo abbonda nelle sue montagne di certi scimuniti gozzuti e mutoli, per alimentare i quali colà nel borgo Sant’Alessandro ha un ricco spedale detto la Maddalena. Gaetano Volpi.

Pag. 105, lin. 23, 24. — ragionaste. Le Aldine del 1541 e del 1547, ragionassi.

Pag. 106, lin. 32. — Ossia una misura piena di ceci.

Pag. 107, lin. 13.se gli metteranno. Così corresse il Volpi; le Aldine e le altre antiche si gli metteranno, e così forse, con forma latina, scrisse il nostro Autore.

Pag. 110, lin. 4. — Di questi innamoramenti per fama vedi esempio presso il Boccaccio, Giornata IV, Nov. IV, del Gerbino.

Pag. 110, lin. 38. — Josquin de Prez, nativo di Cambrai, o secondo altri di Condé, ed uno dei più valenti ingegni di che siasi vantata l’arte della musica, fu maestro di cappella sotto Sisto IV (1471-1484), e più tardi alla corte di Ludovico XII.

Pag. 112, lin. 2. vi vo’ dir. Le Aldine del 1538, 1541, 1547, vi voglio dir.

Pag. 115, lin. 5, 6. — mettono. Così fra le Aldine la sola del 1545; le altre mettano.

Pag. 115, lin. 11. — Il Volpi congettura, che qui il Castiglione accenni a Leonardo da Vinci.

Pag. 115, lin. 20. — ’’che non è sua professione. Male le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, che è sua professione. [p. 332 modifica]

Pag. 116, lin. 26. — Tolto da quello di Dante:

Sempre a quel ver che ha faccia di menzogna.
     Dee l’uom chiuder le labra, quanto ei puote,
     Però che senza colpa fa vergogna.
     Inf. XVI, 22.

Pag. 116, lin. 53.partono. Le due prime Aldine partano.

Pag. 117, lin. 20. — Nel resto di questo Libro, ossia in tutto il tratto relativo alle facezie, il nostro Autore segue principalmente Cicerone, De Oratore, lib. II, cap. 54-71, e ne trae alcune regole e molti esempii di facezie.

Pag. 117, lin. 30.queste. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, questa.

Pag. 118, lin. 13.de’ mordaci. Meno bene le Aldine degli anni 1541 e 1547, ne’ mordaci.

Pag. 123, lin. 7. — Allude al carme LXVII di Catullo.

Pag. 123, lin. 52.porte. Male l’Aldina del 1538 parte, e quelle del 1541 e 1547, parti.

Pag. 125, lin. 16. — Poesie di Strascino da Siena leggonsi nelle Raccolte di rime piacevoli. Giovanni Antonio Volpi.

Pag. 129, lin. 29.la guerra che era tra ’l re. Le Aldine del 1538, 1541 e 1547, e tutte le edizioni posteriori fino al Volpi, omettono le parole che era.

Pag. 129, lin. 33.di trovarvisi. Così l’antica edizione senza data, il Dolce, e le edizioni posteriori; le Aldine da trovarvisi.

Pag. 132, lin. 4.Antonio Alamanni pure scherza nello stesso modo sopra un tal vocabolo, in un sonetto a carte 82 delle rime del Burchiello dell’edizione fiorentina 1568:

Vorrei costì dal Tibaldeo sapessi
S’un crudo, senza legne, esser può cotto;
E se quel ch’è d’un sol, può esser d’otto;
O se non può aver letto un che leggessi.

Gaetano Volpi.

Pag. 132, lin. 3.di quel non aver letto. Male le due prime Aldine di qual non aver letto.

Pag. 133, lin. 11.domandar dell’ostaria. Con supino errore le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, domandar de l’historia.

Pag. 133, lin. 14.terra di ladri. Così primo il Dolce; le Aldine terra de ladri.

Pag. 133, lin. 18.lingua latrina. L’Aldina dell 547 e parecchie posteriori hanno, per errore, lingua latina. [p. 333 modifica]

Pag. 133, lin. 22.al medesimo proposito. Così primo il Volpi; le due prime Aldine ad medesimo proposito; le altre quattro a medesimo proposito; il Dolce a un medesimo proposito.

Pag. 133, lin. 23. — Virgil., Æneid. VI, 605, 606: Furiarum maxima juxta Accubat.

Pag. 133, lin. 30. — Verso d’Ovidio, Artis Amatoriae, I, 39.

Pag. 134, lin. 18.Luc. XV, 2.

Pag. 134, lin. 20.Matth. XXV, 20.

Pag. 135, lin. 32. — Monsignor Saba Castiglione ne’ suoi Ricordi insegna, che nel guadare le acque e nel mangiare il cacio si ceda sempre il primo luogo al compagno. Gaetano Volpi.

Pag. 136, lin. 3.Vino, disse uno Spagnuolo alla tavola del gran Capitano, domandando da bere, la qual parola in ispagnuolo può dir anche venne; e Diego de Chignones subito rispose Y no lo conocistes; cioè (come dice il Dolce in una postilla) venne il Messia, e voi non lo conosceste, perchè lo poneste in croce: volendolo così tassare d’occulto ebraismo; come non di rado succede, che in Ispagna alligni tal razza di gente. Gaetano Volpi.

Pag. 136, lin. 6. — Letterato celebratissimo, fu poscia secretano di Clemente VII e cardinale. Serassi.

Pag. 137, lin. 11.le disse. Le Aldine ed altre antiche gli disse, e forse così scrisse il Castiglione.

Pag. 137, lin. 32.talor. Manca nelle Aldine degli anni 1541 e 1547.

Pag. 138, lin. 1.dorargli. Male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, dotargli.

Pag. 139, lin. 7. — Il Volpi pensa che qui s’intenda o fra Serafino, del quale, Lib. I, cap. 29, e Lib. Il, cap. 89; o fra Serafino Aquilano, poeta celebre. Ma quel primo era presente, laddove le parole qui se ben vi ricordate alludono a persona morta, o da lungo tempo assente; e nulla v’ha qui che paja alludere al poeta Aquilano. Nè questo Serafino è qui detto frate; e forse non è altri che il medico, del quale più sotto, al cap. 77.

Pag. 139, lin. 26.cavatelo. Così emendò il Dolce; le edizioni anteriori cavatilo.

Pag. 140, lin. 28.molto. Non male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, e molto.

Pag. 141, lin. 30.quello che disse. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, quella che disse.

Pag. 142, lin. 27.diciate. Così primo il Dolce; le Aldine dicate. [p. 334 modifica]

Pag. 145, lin. 36. — Santo Ermo, certo fuoco fatuo che apparisce in su le antenne delle navi dopo le tempeste, ed è segno di tranquillità. Gaetano Volpi.

Pag. 144, lin. 22. — Tolto da quello che Fabio Massimo disse di Marco Livio, che aveva lasciato occupare dai Cartaginesi Taranto, ma che, avendo conservata e difesa la ròcca, si vantava che Taranto era stato recuperato per opera sua: Fateri se, opera Livii Tarentum receptum....; neque enim recipiundum fuisset, nisi amissum foret. Livii, Histor. XXVII, xxv.

Pag. 147, lin. 8.con quell’occhio. Le Aldine degli anni 1528, 1533, 1545, con quello occhio.

Pag. 147, lin. 24. — Lo scherzo nasce dal dividere in due la parola damasco.

Pag. 148, lin. 12.maestro Stalla. Così le Aldine ed altre antiche; il Dolce e le edizioni posteriori maestro di stalla, lezione priva di sale e di senso.

Pag. 148, lin. 27.se gli dice. Così corresse il Dolce; le Aldine si gli dice.

Pag. 150, lin. 20.con minaccia. Le Aldine degli anni 1528, 1533, 1545, con minaccie.

Pag. 150, lin. 23.escano. Così le Aldine degli anni 1528, 1533, 1545; le altre escono.

Pag. 151, lin. 3.incrudiscono. Male le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, incrudeliscono; lezione conservata anche dal Dolce.

Pag. 151, lin. 21, 22. — dei miseri. Le Aldine ed altre antiche di miseri.

Pag. 151, lin. 32. — A Montefiore era una magrissima osteria, ita in proverbio. Gaetano Volpi.

Pag. 153, lin. 4.di chi io intendo. Così l’edizione originale, e quella del 1545; l’Aldina del 1533 di ch’io intendo; onde quelle del 1538, 1541, 1547, di che io intendo.

Pag. 158, lin. 11. — Fu forse quel di San Giacomo; non essendocene altri che si possano circondare, ed essendo appunto dirimpetto ad esso una stradetta, che si chiama Scalfura. Gaetano Volpi.

Pag. 158, lin. 32.tenea lo spago. Le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, tenea o teneva il spago, che forse è la vera scrittura dell’Autore.

Pag. 159, lin. 26. — Notisi la voce calunnia, per imputazione maligna, ancorché vera. [p. 335 modifica]

Pag. 160, lin. 19, 20. — Frase alquanto intricata; più chiaro escirebbe il senso mutando l’ordine delle parole: poiché non m’obligano con lo amarmi ad amar loro.

Pag. 160, lin. 30, 31; pag. 161, lin. 12, 18, 23. — In questo luogo nelle Aldine, e quindi nelle altre edizioni, è scritto Boadiglia e Cariglio, secondo la pronunzia spagnuola; sopra a pag. 145, lin. 19, 23; pag. 147, lin. 22, Boadilla e Carillo, secondo l’ortografia; e questa forma abbiamo preferto, attenendoci alla consuetudine dell’autore.

Pag. 164, lin. 16.bracciesca. Così le Aldine del 1533, del 1543, e l’edizione originale o del 1528, ma questa con lettera majuscola Bracciesca; quelle del 1538, del 1541 e del 1547, hanno bracesca.

Pag. 165, lin. 36.quello di che io. Male le Aldine degli anni 1538, 1511 e 1547, quello che io.

Pag. 166, lin. 11.Cortegiana. S’astiene l’autore di chiamare la Dama di Corte con questo nome, chiamandola in vece Donna di Palazzo; perché Cortegiana per lo più è preso in cattivo significato. Fra le Orazioni del nostro M. Sperone Speroni ve n’ha una scritta ne’ giorni santi alle Cortegiane, per rimuoverle dalla pessima lor consuetudine. Alle volte però il Castiglione è pur caduto in ciò che non volea, chiamandola con un tal nome, come a carte 166 e 172, e forse in qualche altro luogo. Gaetano Volpi.

Il Castiglione fa uso parimente di questa voce nella Lettera 8 fra le Famigliari: Io mi parlo assai accarezzato dalla Illustrissima Signora, che mi ha onorato ed accarezzato assaissimo più che non merito, e ’l medesimo tutte quest’altre Donne Cortegiane e non Cortegiane.

Pag. 166, lin. 21.non mi vi sento. Meno bene le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, non mi sento.

LIBRO TERZO.

Pag. 168, lin. 1. — Preso da Aulo Gellio, lib. I, cap. 1.

Pag. 169, lin. 23.Essendosi. Meno bene le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, Essendo.

Pag. 170, lin. 8, 9. — di chiarir. Forse non male le Aldine degli anni 1541 e 1547, dichiarir.

Pag. 170, lin. 30.più s’appressano. Così le Aldine e tutte le edizioni anteriori al Dolce; onde non osai ammettere la lezione da questo introdotta, e conservatasi in tutte le edizioni posteriori, più si apprezzano. [p. 336 modifica]

Pag. 170, lin. 33.chi le serve. Così corresse il Volpi; le Aldine e le altre antiche hanno chi li serve o chi gli serve.

Pag. 171, lin. 27.nè fa. Così tutte le edizioni; tuttavia forse meglio si leggerebbe nè far.

Pag. 172, lin. 17. — Pigmalione, secondo la favola, s’innamorò di una statua d’avorio da lui formata. Gaetano Volpi.

Pag. 174, lin. 3.ritrovandovisi. Le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, trovandovisi.

Pag. 176, lin. 37.impudenza. Male le Aldine del 1538, 1541 e 1547, imprudenza.

Pag. 177, lin. 8.tendano. Così corresse il Volpi; le edizioni anteriori tendono.

Pag. 186, lin. 19.con questa secretezza. Così le Aldine del 1528, 1533, 1538, 1545, l’edizione dei fratelli Volpi, e le posteriori; le Aldine del 1541 e del 1547, seguite dal Dolce e da altri antichi, hanno con questa sceleratezza, che forse è la vera lezione.

Pag. 188, lin. 38. — Novelletta nota, di una moglie, che collata in un pozzo dal marito che voleva indurla a cessare dal ripetere la parola forbeci, pur persisteva, ancorché il marito la lasciasse attuffare a mano a mano, e già essa fosse nell’acqua fino alla gola; quando poi l’acqua le soverchiò la bocca, e più non potè parlare, elevato il braccio, pur contrafaceva colle dita il taglio delle forbeci. 11 marito non potè tenersi dal ridere in vedere tanta ostinazione, e ritrasse la donna dal pozzo.

Pag. 190, lin. 38. — Novella a lungo e leggiadramente narrata dall’Ariosto nell’Orlando Furioso, Canto XXXVII, stanza 44 e seguenti.

Pag. 193, lin. 37.ed al marito. Le Aldine degli anni 1528 e 1543 omettono la voce ed.

Pag. 196, lin. 11. — Tarpea, che tradì la ròcca ai Sabini, i quali appena entrati l’ammazzarono. Vedi Livio, lib. 1, cap. XI.

Pag. 198, lin. 33.E, per uscir d’Italia. Così corresse il Dolce; le edizioni anteriori hanno et che per uscir d’Italia.

Pag. 202, lin. 11.si trovan donne. Nelle Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547 manca la voce donne.

Pag. 208, lin. 18. — Se l’opera del Cortegiano dovea correggersi e spurgarsi da tutto ciò che in qualche maniera potesse guastare i buoni costumi, ragion voleva che in questo luogo principalmente fosse corretta e spurgala. Con ciò sia che alcune altre novelle, motti e facezie, che in essa qua e là s’incontrano, per lo più hanno sembianza di scherzi e di piacevolezze; ma qui parlandosi con serietà [p. 337 modifica] si viene ad onorare col titolo d’immacolata, e si propone per esempio di costanza e di pudicizia una donna, che già si era data in preda all’amante, e avendosi posta sotto de’ piedi l'interna onestà, e di più la verecondia o verginale o matronale, facea copia liberamente di sè medesima (dall’ultimo atto in fuori) ad un uomo libidinoso e dissoluto. Noi avremmo volentieri tolto via questo racconto scandaloso; ma vedendo, non senza qualche maraviglia, che il Ciccarelli l’avea lasciato, deliberammo di lasciarlo noi parimente, ma di confutarlo altresì colla dovuta censura. Prima dunque d’ogni altra cosa noi diciamo, esser questa narrazione se non falsa, almeno inverisimile affatto, e perciò mancante d’ogni autorità...... Certamente negli antichi secoli della Chiesa non si dovea prestar fede a Paolo Samosateno vescovo di Antiochia, nè agli altri chierici suoi segnaci, i quali, accecati dal diavolo, erano usati di tenersi a fianco nel letto una o talor due vergini a Dio consacrale, scegliendo dal numero di esse le più amabili e per gioventù e per bellezza, comechè protestassero di non trascorrer giammai a verun atto d’impurità. Chi si espone a rischio sì manifesto di peccare, o non ama daddovero la castità, o egli è stolido e prosuntuoso, mettendosi a tentar Dio. Imperciocché tanto è possibile che due di sesso diverso, infiammati di scambievole amore, conversando insieme da solo a solo, anzi nel medesimo letto, si astengano da peccati carnali, quanto è possibile che il fuoco s’accosti alla paglia senza abbruciarla ed incenerirla. Numquid potest homo (dice il Savio nei Proverbii, al capo sesto) abscondere ignem in sinu suo, ut vestimento illius non ardeant? aut ambulare super prunas, ut non comburantur plantæ ejus? Sic qui ingreditur ad mulierem proximi sui, non erit mundus cum tetigerit eam. Ma dato ancor che la donna di cui parla il Castiglione, per paura di morte o d’infamia, così ferma fosse nel suo proposito, che non permettesse in tanto tempo all’amante l’ultimo sfogo de’ suoi sfrenati appetiti: si dovrà perciò ella chiamare uno specchio di pudicizia, immacolata, illibata? Chi tal titolo volesse darle, verrebbe a pesare la pudicizia e l’onestà, per così dire, colla stadera del mugnajo, non colla bilancella dell’orefice. Queste virtù sono di tempera dilicatissima, e somigliano appunto a que’ fiori, che ad ogni fiato di scirocco appassiscono. La verginità e la continenza hanno lor sede principalmente nell’animo; ma quando poi una donna non disdice all’amante i baci, gli abbracciamenti, e l’altre sì fatte domestichezze, quand’anche più oltre non passi, queste nobilissime doti già sono affatto dissipate e perdute, nè altro di esse rimane che l’ombra sola e l’apparenza, la quale può bene ingannare la corta vista degli nomini, ma non sfuggire gli occhi penetranti ed acutissimi del grande Iddio. Omnis qui viderit mulierem ad concupiscendum eam, jam mœchatus est eam In corde suo, grida il Signore nel Vangelo (Matth. V, 32). Così ancora adunque mulier quae viderit virum ad concupiscendum eum; molto più quæ tetigerit, quae amplexa fuerit, quae se illi contrectandam præbuerit. Costei, oltre ai proprii peccati, venne a farsi complice [p. 338 modifica] de’ peccati ancor dell’amante, i quali in si lungo tempo saranno stati pressoché innumerabili. È certamente da stupirsi, come un uomo dotto e prudente, qual era il conte Baldessar Castiglione, abbia potuto prendere un granchio sì grosso, in materia di vera e soda virtù. Convien però dire, ch’egli abbia servito in questo luogo all’umore della persona da esso introdotta a ragionare; dimostrando egli per altro in varie parti di quest’Opera sentimenti più giusti e più ragionevoli, e discorrendo del dovere e dell’onesto con sottigliezza molto maggiore. Giovanni Antonio Volpi.

Pag. 210, lin. 30.allopiato. Le Aldine ed altre antiche all l’opiato; male il Dolce allopitato.

Pag. 211, lin. 2.Tanti pœnitere non emo: risposta data da Demostene a Taide, famosa meretrice in Corinto. Gaetano Volpi.

Pag. 21 4, lin. 4. — Imitato da quel di Tibullo, Eleg. I, 1, 65:

Illo non juvenis poterit de funere quisquam
     Lumina, non virgo, sicca referre domum.

Pag. 215, lin. 3.sempre non veda. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, sempre non si veda.

Pag. 216, lin. 2. — Allude al libro di Ovidio Artis Amatoriae. Un simile argomento nello scorso secolo fu trattato in Francia da Pietro Giuseppe Bernard, delfinate, conosciuto anche sotto il nome di Gentil Bernard.

Pag. 220, lin. 5. — Di essa parla Bernardo Tasso nell’Amadigi. Gaetano Volpi.

Pag. 225, lin. 16.circa le difficoltà. Così le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547; quelle del 1528, 1533 e 1543, circa la difficoltà.

Pag. 228, lin. 13, 14. — deve ancora cominciare a compiacere. L’Aldina del 1538, e dietro essa tutte, tranne l’Aldina del 1543, le edizioni posteriori del secolo XVI e XVII, omettono le parole cominciare a; esse furono restituite dal Volpi, e conservate nelle seguenti edizioni.

Pag. 230, lin. 9. — Tratto da quel verso di Properzio:

Si nescis, oculi sunt in amore duces.

Dolce.

Pag. 230, lin. 22.piglia le qualità. Così le Aldine degli anni 1541 e 1547; meno bene le altre piglia la qualità.

Pag. 232, lin. 15.più che agli altri. Così l’Aldina del 1545; le altre Aldine malamente più che gli altri.

Pag. 233, lin. 17. — Di costui vedi il Giornale de’ Letterati d’Italia. Volpi.

Francesco Colonna, religioso domenicano, pubblicò sotto il [p. 339 modifica] titolo di Poliphili Hypnerotomachia uno scritto pressoché impossibile ad intendersi, e per lingua e per argomento. Morì nel 1527, vecchio di 94 anni.

Pag. 233, lin. 27.meritino. Le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, meritano.

Pag. 234, lin. 29.aveva. Male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, avendo.

Pag. 239, lin. 20.dell’una parte. Forse dall’una parte.

LIBRO QUARTO.

Pag. 240, lin. 4. — Questa introduzione è imitata dal principio del terzo libro De Oratore.

Pag. 243, lin. 6.batteggia. Così per battezza trovasi scritto in tutte le antiche edizioni, compresa la prima del Dolce (1556); la quale forma crederei derivata piuttosto da vezzo o da idiotismo di pronunzia, che non dall’aver forse l’autore, come sospetta il Volpi, voluto alquanto contraffare per riverenza il verbo battezzare. Il Dolce nell’edizione del 1559 mutò ad arbitrio patteggia. La stessa scrittura batteggiare troviamo presso il nostro autore nelle Lettere di Negozii 129 e 288. Similmente, come nota il Volpi, nelle note al Canto II del Paradiso di Dante fatte dagli Accademici della Crusca si legge particulareggiare per particularizzare.

Pag. 246, lin. 21. — In essa si facea un’annual festa a’ tempi dell’autore. Gaetano Volpi.

Pag. 248, lin. 25. — Tratto da quel celebre passo di Lucrezio, De Natura Deorum, lib. III, v. 11-17:

Nam veluti pueris absinthia tetra medentes
Quum dare conantur, prius oras pocula circum
Contingunt mellis dulci flavoque liquore,
Ut puerorum ætas improvida ludificetur,
Labrorum tenus; interea perpotet amarum
Absinthi laticem, deceptaque non capiatur,
Sed potius tali facto recreata valescat.

Leggiadramente imitato dal Tasso in quei versi, Gerusalemme Liberata, Canto I, st. 3:

Così all’egro fanciul porgiamo aspersi
Di soave licor gli orli del vaso;
Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,
E dall’inganno suo vita riceve.

Pag. 249, lin. 20.si vede nei ciechi. Così le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547; quelle del 1528, 1533, 1545, si vede dei ciechi. [p. 340 modifica]

Pag. 252, lin. 33.per salvarsi. Gl’incontinenti adunque. Così corresse il Dolce nell’edizione del 1559; le edizioni anteriori hanno per salvarsi. Incontinente adunque, tranne l’Aldina del 1545, che ha per salvarsi incontinente. Adunque.

Pag. 254, lin. 22.delle cupidità. Non male le Aldine degli anni 1541 e 1547, della cupidità.

Pag. 255, lin. 11.renitente. Con manifesto errore le Aldine del 1541 e del 1547, retinente.

Pag. 255, lin. 19.modificati. Non è da sprezzare la lezione delle Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, mondificati.

Pag. 256, lin. 25. — Lo stesso giudizio porta Cicerone in varii luoghi, e particolarmente nel cap. xxxv del lib. I De Republica. Al regio tuttavia antepone il governo composto e temperato dei tre, regio, degli ottimati e popolare: Quartum quoddam genus reipublicae maxime probandum esse sentio, quod est ex his, quae prima dixi, moderatum et permixtum tribus. De Rep. 1, xxix. Simile opinione, solo forse fra gli scrittori del secolo XVI, espone il nostro autore sotto la persona di Ottaviano Fregoso nel cap. 51 del presente libro.

Pag. 259, lin. 2.dal supremo principe. Meno bene le due prime Aldine e quella del 1545, da supremo principe.

Pag. 259. lin. 18, 19. — ed è protettor non di que’ principi che vogliono imitarlo col mostrare gran potenza. Preferiamo questa lezione delle Aldine degli anni 1541 e 1547, a quella delle altre Aldine, che meno corrisponde al contesto, ed è protettor di que’ principi che vogliono imitarlo non col mostrare gran potenza.

Pag. 261, lin. 5.spargono. Meno bene, a parer nostro, spargano le Aldine del 1538, 1541 e 1547.

Pag. 261, lin. 22.in tutto a questa. Male le Aldine degli anni 1528, 1533 e 1545, in tutto questa.

Pag. 264, lin. 4, 5. — per conseguirne il fine. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, per conseguire il fine.

Pag. 265, lin. ult. — devemo. Così fra le Aldine la sola del 1545: le altre deveno.

Pag. 267, lin. 2.come di membri. Così le Aldine degli anni 1558, 1541 e 1547; meno bene le altre come de membri.

Pag. 267, lin. 25. A questo passo così nota il Volpi: «Quivi più che in altro luogo spiega l’autore il suo concetto intorno alla Fortuna. Questo passo (che lasciò il Ciccarelli intatto) se si fosse da lui, prima di spurgare il libro, ben avvertito, ne avrebbe lasciati molti altri pure intatti. Vedi la nostra Protesta avanti il [p. 341 modifica] Cortegiano.» Questa Protesta od avviso, bastantemente prolisso, e che credemmo inutile di qui rapportare, espone le opinioni di alcuni antichi autori e riferisce il noto passo di Dante sulla Fortuna; e contiene la dichiarazione, che vediamo apposta a molti libri stampati circa quel tempo in Italia, che l’autore fu buon catolico, e che se talora parlò della Fortuna secondo l’uso popolare, e alla foggia de’ poeti e degli altri scrittori gentili, sapeva per altro, non darsi altra fortuna che la Divina Provvidenza, ec. — Difficilmente si troverà cosa più strana ed insipida delle mutazioni introdotte dal Ciccarelli ovunque il Castiglione nominò la fortuna: spesso fu pago di sostituire a questa voce alcun sinonimo, e con un giro di parole fuggire il nome e non la cosa.

Pag. 268, lin. 28. — Conviene avvertire, che questa ed alcune altre regole di buon governo dettate dal Castiglione convengono forse a piccoli stati, quali tuttora a quel tempo erano molti nell’Italia superiore: ne’ grandi stati, soli oramai possibili, la ricchezza dei cittadini è ricchezza e potenza dello stato intero.

Pag. 269, lin. 3, 4. — sperano..... temano. Così tutte le edizioni; si emendi o sperano ..... temono, ovvero sperino..... temano.

Pag. 269, lin. 12.non diventino potenti. Così corresse il Dolce; le Aldine e le altre antiche hanno non diventano potenti.

Pag. 271, lin. 8. — Vedi la lettera 6 fra quelle di diversi al Castiglione, dove Rafaello d’Urbino parla di questa grande opera, della quale da papa Giulio II gli era stata commessa la cura.

Pag. 271, lin. 17. — Bucefalia, città dell’India, edificata da Alessandro in memoria di Bucefalo suo dilettissimo cavallo. Gaetano Volpi.

Pag. 271, lin. 18. — Atos, monte posto fra la Macedonia e la Tracia, detto ora Monte Santo. Dinocrate (come afferma Vitruvio nella prefazione del libro II) ovvero Stasicrate (al dir di Plutarco nella Vita d’Alessandro, e nel libro che scrisse Della virtù e fortuna dello stesso) diede per consiglio ad Alessandro di ridurre il detto monte in figura d’un uomo, e di edificargli nella sinistra un’amplissima città capace di dieci mila abitatori, e nella destra una gran coppa, nella quale si raccogliessero tutti i fiumi che da quello derivano, d’onde poi sboccassero in mare. Si compiacque Alessandro di sì bella e magnifica idea; ma quando intese che una tal città sarebbe senza territorio, e che dovrebbe alimentarsi colle sole provisioni d’oltre mare, ne abbandonò affatto il pensiero, comparando una tal città a un fanciullo che non può crescere per iscarsezza di latte nella sua balia. Gaetano Volpi.

Pag. 272, lin. 35. — Fu poi Francesco I re di Francia. Gaetano Volpi. [p. 342 modifica]

Pag. 272, lin. 37. — Fu poscia Enrico VIII, autore del Scisma d’Inghilterra. Il magno padre quivi indicato è Enrico VII, presso il quale poco prima il Castiglione era stato mandato ambasciatore dal duca Guidubaldo.

Pag. 273, lin. 9. — Questi fu poi Carlo V, e quivi gli vien pronosticato l’imperio. Gaetano Volpi.

Pag. 274, lin. 19.dal centro. L’Aldina del 1541 del centro.

Pag. 276, lin. 20. — Di lui, che fu marchese e poi duca di Mantova, avremo a parlare più volte nelle Annotazioni alle lettere del nostro Autore.

Pag. 279, lin. 29. — Allude a quello di Orazio, De Arte poetica, v. 304, 305:

. . . . . . . . funqar vice cotis, acutum
Reddere quæ ferrum valet, exsors ipsa secandi.

Pag. 283, lin. 6.al valore. Forse è da preferirsi la lezione delle Aldine del 1541 e del 1547, al valere.

Pag. 285, lin. 2. — Quanto discorre il Bembo nel restante di questo libro in materia d’amore (eccetto l’ultimo tratto, dove parla di Dio, Spirito Santo, Amor sustanziale), è in massima parte derivato da Platone e da’ suoi commentatori, come appare anche dalle annotazioni, che conserviamo, del Ciccarelli.

Pag. 285, lin. 9. — Il Ficino, nel quarto capitolo sopra il Convito di Platone, dice, tutti i filosofi concordarsi in questa diffinizion d’amore. Ciccarelli.

Pag. 285, lin. 23. — Si raccoglie tutto ciò da’ Platonici, i quali sogliono dire, la bellezza esser cosa universale, e dividersi in tre specie: l’una è quella degli animi; l’altra dei corpi, tanto dalla natura quanto dall’arte fatti; la terza delle voci e suoni. La prima con la mente, la seconda con gli occhi, l’ultima con le orecchie dicono godersi. Ciccarelli.

Pag. 285, lin. 36. — Vogliono i Platonici, che il volto della divina bontà risplenda nell’angelo, nell’anima e nel corpo: in quello, come a esso più vicino, chiaramente; in questa con minor chiarezza; ma nel corpo un picciol raggio se ne veda, il quale da loro vien domandato la bellezza del corpo: il che più si scopre in quel corpo, le cui parti sono tra loro debitamente proporzionate. Ciccarelli.

Pag. 286, lin. 16.mosso non da vera cognizione. Meno bene le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, mosso da non vera cognizione.

Pag. 286, lin. 33.quello. Le Aldine degli anni 1538, 1541, 1547, questo. [p. 343 modifica]

Pag. 287, lin. 1. — Qui si biasima con efficaci parole l’amor sensuale, siccome anco ciò si fa in molte altre parti di questo Dialogo. Questo istesso concetto è stato spiegato da Giovan Boccaccio nel suo Labirinto, dicendo: Vedere adunque dovevi, Amore essere una passione accecatrice dello animo, disviatrice dell’ingegno, ingrossatrice anzi privatrice della memoria, dissipatrice delle terrene facultati, guastatrice delle forze del corpo, nemica della giovinetta, e della vecchietta morte, generatrice de’ vizii, abitatrice de’ vacui petti, cosa senza ragione e senza ordine e senza stabilità alcuna, vizio delle menti non sane, e sommergitrice dell’umana libertà. Vien teco medesimo le istorie antiche e le cose moderne rivolgendo, e guarda di quante morti, di quanti disfacimenti, di quante ruine ed esterminationi questa dannevole passione sia stata cagione. Ciccarelli.

Pag. 287, lin. 24. — Quanto sieno fallaci i sensi, e come spesso ci empiano di false opinioni, lo dimostra Socrate appresso Platone nel Fedone. Ciccarelli.

Pag. 287, lin. 26.ragione, e però. Le Aldine’ del 1541 e del 1547, ragione: però.

Pag. 288, lin. 5, 6. — che i vecchi. Così il Dolce; le Aldine hanno che vecchi.

Pag. 288, lin. 12.sia malo. Così le Aldine del 1528, 1533, 1545; forse alcuno preferirà la lezione delle altre Aldine, sia male.

Pag. 288, lin. 12.meriti. Tutte le edizioni merita.

Pag. 288, lin. 31.connumerati. Male le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, commemorati.

Pag. 289, lin. 8.non l’intendo. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, non intendo.

Pag. 290, lin. 13. — Platone nel Fedro riferisce, che Stesicoro perdè la vista per aver biasimato la bellezza di Elena; la quale lodando poi, ricuperò la perduta luce. Ciccarelli.

Pag. 290, lin. 17. — Gli antichi filosofi posero nel centro la bontà, e nel circolo la bellezza; la bontà in un centro solo, ma in quattro circoli la bellezza. Questo centro dissero esser Dio; i quattro circoli dissero esser la mente, l’anima, la natura, e la materia. Ciccarelli.

Pag. 290, lin. 19.mala anima. Cioè indole; ed è ciò che forse intende il Savio nella Sapienza al cap. VIII, v. 19, col dire: Sortitus sum animam bonam. Gaetano Volpi.

Pag. 290, lin. 24.de’ fiori. Così corresse il Dolce; le edizioni Aldine hanno di fiori.

Pag. 290, lin. 35. Il Ficino, nel sesto libro della prima [p. 344 modifica] Enneade di Plotino, dice che gli animi nostri seguitano il bello e fuggono il brutto, poiché la bruttezza è una orrida faccia del male, e la bellezza è un volto lusinghevole del bene. Ciccarelli.

Pag. 291, lin. 9. se le allontana. Forse se ne allontana.

Pag. 291, lin. 33. — Tutto tolto da Cicerone. Dolce.

Pag. 292, lin. 12. — Plotino, nel sesto libro della Enneade prima, dice che l’anima essendo cosa divina e bella, tutto quello che tocca e sopra che essa signoreggia lo abbellisce, secondo la capacità della natura delle cose. Ciccarelli.

Pag. 293, lin. 33. — Maniere poetiche tolte da Platone; delle quali abonda quel gran filosofo. Gaetano Volpi.

Pag. 294, lin. 29.— I Platonici affermano, che la bellezza è un raggio di divinità; di maniera che di qui dicono nascere che gli amanti, ancorché alcune volte più potenti siano delle cose amate, nondimeno prendono terrore e riverenza dall’aspetto di esse. Ciccarelli.

Pag. 295, lin. 19. — Diotima, nel Convito appresso Platone, dice ch’Amor è un appetito, col quale ciascheduno desidera che ’l bene sia sempre seco: di qui nasce ch’Amore sia un desiderio d’immortalità; e perchè non si può in questa vita conseguir immortalità, se non per via della generazione, quindi ne avviene che amore abbia per fine di generare il bello nel bello, cioè il buono nel buono. Ciccarelli.

Pag. 296, lin. 19. — . . . . Opinione de’ Platonici, che vogliono convenirsi nell’amor divino il bacio, in quanto è segno della congiunzion degli animi. Ciccarelli.

Pag. 296, lin. 28. — Questa è bella dottrina in teorica; ma non dee ridursi alla pratica, per lo pericolo che in quell’atto l’amor ragionevole non diventi sensuale. Anzi, quanto generalmente pericoloso sia questo amore, vien toccato dall’Autor nostro per bocca del Bembo in principio della seguente facciata. Gaetano Volpi.

Pag. 296, lin. 35. — Allude a quello che dicono i filosofi, che Amore è una forza che congiunge e unisce. Ciccarelli.

Pag. 297, lin. 23, 24. — preverte. Probabilmente perverte.

Pag. 297, lin. 30. — Dicono i Platonici, che l’occhio e lo spirito che ricevono l’effigie della cosa bella sono a guisa di specchi, che per la presenza de’ corpi ritengono l’imagine, e per la assenza la perdono; e però gli amanti che amano solo la bellezza del corpo, nell’assentarsi della cosa amata s’affliggono. La miglior parte di queste cose si raccolgono da Ficino, nel capitolo sesto dell’Orazion sesta che egli fa sopra il Convito di Platone. Ciccarelli. [p. 345 modifica]

Pag. 298, lin. 13.e i tormenti. Le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, e tormenti.

Pag. 298, lin. 27.l’accresce. Meglio così le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547; quelle del 1528, del 1533 e del 1545, le accresce.

Pag. 299, lin. 12. — Diotima presso Platone nel Convito insegna, che si deve ascendere dalla bellezza d’un corpo alla bellezza universale di più corpi. Ciccarelli.

Pag. 299, lin. 34.possa. Le Aldine, tranne quella del 1545, ed altre antiche, poesia; e forse così scrisse l’autore.

Pag. 299, lin. 36.passi. Meno bene le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, si passi.

Pag. 300, lin. 4. — Socrate nel Convito appresso Platone. Ciccarelli.

Pag. 300, lin. 6.nella vita spirituale. Le Aldine degli anni 1538, 1541 e 1547, e le edizioni a queste affini, comprese quelle del Dolce e del Ciccarelli, omettono la parola vita.

Pag. 300, lin. 10. — Dicono i Platonici, che la bellezza del corpo è una ombra della bellezza dell’anima, e quella dell’anima è ombra di quella dell’angelo, e questa è ombra della bellezza divina; nella maniera che alcuni sogliono dire, che la luce del sole ch’è nell’acqua è ombra di quella che è nell’aria, e quella dell’aria è ombra a rispetto dello splendore del fuoco; il quale parimente è un’ombra in comparazione della infinita luce che nel corpo solare si vede. Ciccarelli.

Pag. 300, lin. 16.nascoso. Le Aldine degli anni 1541 e 1547, nascosto.

Pag. 301, lin. 6. — Diotima appresso Platone nel suo Convito dice, che se gli uomini mentre mirano un bel corpo sogliono rendersi molto maravigliosi, e, se possibil fosse, per contemplarlo sempre, eleggerebbono starsi senza alcuna sorta di cibo: quanto più felice e maraviglioso dobbiamo creder che sia il vedere l’istessa bellezza sincera, pura, intera, semplice, non contaminata da carne o da color umano, nè d’altra sorte di mortal sordidezza macchiata? Ciccarelli.

Pag. 301, lin. 20. — Platone nel suo Convivio. Ciccarelli.

Pag. 302, lin. 11. — Ragiona il Castiglione in fine di questo IV libro, per bocca di messer Pietro Bembo, di molti amori tra sè diversi: come del sensuale, ch’egli disapprova, e massime ne’ vecchi, a’ quali più che a’ giovani si disdice; del depurato dai sensi, del quale tra’ Gentili fu gran maestro Platone, le cui dottrine volentieri segue, e le cui maniere di esprimersi bene spesso usurpa il nostro [p. 346 modifica] Autore, singolarmente in questo luogo (e di ciò potrà di leggieri accorgersi chiunque nella lettura de’ Dialoghi di quel Filosofo anche mezzanamente versato sia); poscia dello spirituale, così propriamente detto, ovvero divino; all’ultimo del sostanziale, cioè di Dio Spirito Santo, del quale ben due volte dice apertamente il diletto Discepolo nel cap. IV della sua Ia lettera, che Charitas est.... Questo passo.... è uno de’ più belli del Cortegiano, e in cui gareggia la sublime eloquenza colla sincera religione di questo gran cavaliere e letterato. Gaetano Volpi.

Pag. 302, lin. 27. — La bellezza, anche de’ corpi, si è un raggio, come di sopra dicemmo, benché tenuissimo, della divina bellezza. Ed è vero il concetto di Dante Alighieri là nel principio del suo Paradiso:

La gloria di Colui che tutto muove
     Per l’universo penetra, e risplende
     In una parte più, e meno altrove.

Giovanni Antonio Volpi.

Pag. 303, lin. 13. — Per l’ambrosia e nettare qui s’intende la visione e fruizione divina. Ciccarelli.

Pag. 303, lin. 32. — Ritorna di nuovo a ragionare secondo i Platonici, i quali pongono quattro sorte di furore: l’uno è delle poesie, l’altro dei misterii, il terzo de’ vaticinii, il quarto degli amori, più potente ed eccellente di tutti gli altri. Ciccarelli.

Pag. 303, lin. 33.ora che par più non m’aspiri. Preferiamo questa lezione delle Aldine del 1541 e del 1547, seguita dalla maggior parte delle antiche edizioni, a quella delle altre Aldine, restituita dai Volpi, e conservata nelle edizioni posteriori, ora che par che più non m’aspiri.

Pag. 304, lin. 8. — È detto per burla, che alle donne sia impossibile il camminare per la strada che conduce alla felicità; e poco di sotto efficacemente si confuta. Ciccarelli.

Pag. 304, lin. 26. — Diotima, fra l’altre cose amorose ch’insegnò a Socrate, come Platone riferisce, fu d’ascendere per grado dalla bellezza del corpo a quella dell’anima, e da quella alla bellezza angelica, donde poi alla somma bellezza divina si perveniva. Ciccarelli.

Pag. 304, lin. 31.dall’amor. Così corresse il Dolce; le Aldine e le altre antiche dell’amor.


Pag. 307, lin. 13. — Da questo Proemio si vede, che il Conte s’era indotto a scrivere il suo libro per compiacere al re di Francia, e però [p. 347 modifica] si stende alquanto nelle sue lodi; ma essendosi poi dato interamente al partito degl’Imperiali, non solo perchè così portava l’interesse de’ suoi Principi, ma ancora per secondare il proprio genio, come si vede in più luoghi delle sue lettere: così gli convenne levar via tutto questo pezzo che apparteneva al re Francesco, tanto più che al finissimo suo giudizio dovea questa digressione parer troppo lunga, e alquanto fuor di proposito, massime sul principio del libro. Serassi.

Pag. 318, lin. 6. — Da ciò si comprende, che il Castiglione avea già stesa gran parte del suo Libro nel 1514, in cui il duca Francesco compiva appunto il ventitreesimo suo anno, essendo nato li 24 marzo del 1491. Serassi.

Più sopra, dal Proemio, dove si parla di Ferdinando il Cattolico come tuttora vivente, appare che fu scritto prima del gennajo 1516.